Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: Sofyflora98    28/02/2015    2 recensioni
Sofia è una ragazza apparentemente comune, ma un incidente avvenuto in un pomeriggio di settembre, dopo la scuola, le svelerà la sua vera natura: lei è un'Astral, una persona che riesce a rendere reale ciò che non esiste. E' stato in seguito a quell'incidente che venne coinvolta nell'Astral project, l'associazione che gestisce e tiene sotto controllo questo strano fenomeno. Tra maggiordomi diabolici, dei della morte fiammeggianti e creature mostruose, Sofia scoprirà un mondo interamente nuovo, iniziando a comprendere meglio la vera natura della fantasia umana e dei sentimenti che si può provare per qualcosa che non esiste. O almeno, che fino a poco prima non esisteva.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Grell Sutcliff, Nuovo personaggio, Sebastian Michaelis, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Angelica aveva chiuso gli occhi, e si dondolava sulla sedia ritmicamente. Dopo averle telefonato, ci eravamo accordate di incontrarci nella pasticceria che era a dieci minuti a piedi dalla scuola. Più che una vera   propria pasticceria, sembrava una delle sale da tè inglesi. Avevamo preso posto ad uno dei tavolini in legno chiaro, dove le raccontai tutto a voce bassissima, nonostante non ci fosse ragione per tutta quella segretezza.
- Mi sapresti descrivere meglio questa… Lulu? – arricciò il naso mentre pronunciava il suo nome. – Scusa, ma ancora non capisco come possa sua madre averle dato un nome così zuccheroso. Mi ricorda una coniglietta di un libro per bambini –
Una delle cameriere si avvicinò al tavolo, posando una teiera piena di acqua bollente, due tazze, lattiera e zuccheriera sul centrino di merletto bianco che copriva il legno. La ringraziammo con un sorriso, che lei ricambiò, prima di tornare al banco dei dolci.
- Lulu è bassa, mingherlina. Sembra una ragazzina delle medie, e ha uno sguardo molto serio, di solito. Apparentemente sembra timida, tentennante e dolce. Ha i capelli castano chiaro, sempre raccolti in due trecce ai lati della testa. Occhi azzurri molto grandi e sguardo candido. Una specie di bambola di porcellana vivente –
- Mentre in realtà è… -
- Una schifosa imbrogliona e approfittatrice. Avessi visto che espressione aveva, dopo aver praticamente mangiato la faccia del mio ragazzo! Come se mi stesse sfidando a dirle qualcosa! – mi accorsi di aver alzato un po’ troppo i toni, e mi guardai attorno per assicurarmi di non aver attirato l’attenzione di nessuno. A parte un ragazzo seduto non molto lontano con alcuni amici, nessuno mi fissava.
Per calmarmi versai il tè nelle tazze. Era Earl Grey, il mio preferito in assoluto. Tempo fa veniva bevuto solo dalle classi più agiate della società, e venne esportato in Italia solo dopo la seconda guerra mondiale. È un tè al bergamotto, molto profumato, nel quale a differenza della tipologia più diffusa in Gran Bretagna, l’English Breakfast, non si versa il latte, che ne rovinerebbe l’aroma. L’Earl Grey ha questo nome perché nell’epoca vittoriana era il preferito del Conte Grey, per l’appunto.*
- Del tuo ragazzo? – Angelica mise due zollette nella tazza, ed un cucchiaino di miele – Ma voi non state insieme, o sbaglio? –
- Non ti sbagli – confermai, e impilai cinque zollette in cima al cucchiaino – Dico che è il mio ragazzo nel senso che è una mia proprietà. Lui mi appartiene –
La torre di zucchero crollò, e misi tutti i cinque cubetti bianchi nel tè. Iniziai a mescolare rapidamente. Sì, era mio. Una mia proprietà. Mio, e mio soltanto. Nessuno aveva il diritto di prenderselo, non altri Astral, né tantomeno gli Esterni, che non facevano altro che prendersi gioco di lui, se non insultarlo, da quando era apparso nella storia. E il fatto che ora fossero reali rendeva le loro azioni ancora peggiori, dal mio punto di vista, nonostante fossero state scritte da una semplice fumettista.
- Ma se lui non era interessato a lei, non vedo dove sta il problema. Non ha speranze, la mocciosa, no? –
No, infatti. Non era quello il problema.
- So bene che lui non guarderebbe mai una smorfiosa del genere – portai la tazza alle labbra, e bevvi un piccolo sorso – Ma voglio allontanarla. Farle capire che ha allungato troppo il braccio –
Sbattei la tazza sul piattino, forse più di quanto non avessi desiderato. – Nessuno tocca ciò che mi appartiene. Dovresti saperlo, ormai –
Angelica si ritrasse di qualche centimetro, involontariamente. Era intimorita. – Sì, lo so –
Conosceva fin troppo bene la mia possessività nei confronti delle persone e ciò che ero disposta a fare in proposito per non intimorirsi. E aveva ragione di farlo.
 
 
 
 
- Come mai ti nascondi? – il viso di una bambina dai capelli biondi fece capolino sotto all’arbusto dove mi ero nascosta. Mi osservava con occhi sgranati, puramente incuriosita. Aveva circa cinque anni, la mia stessa età. – Perché non giochi con gli altri? –
- Gli altri non mi vogliono. Dicono… - tirai su col naso, asciugandomi le narici sulla manica del grembiule a quadretti rosa e bianchi. – Dicono che sono strana. Dicono che parlo da sola! – scoppiai a piangere, coprendomi il viso.
- Potresti far finta di parlare con me. Se mentre giochiamo hai voglia di parlare da sola, fallo guardandomi, no? – mi rivolse un sorriso smagliante, che di sicuro le avrebbe fatto venire un crampo alle mascelle.
- Che cosa ti piace? – domandò allora l’altra bambina. Borbottai qualcosa riguardo le fate.
- Allora giochiamo a fare le fate! Comunque il mio nome è Angelica. Tu come ti chiami? –
- Sofia –
 
 
Ora di ginnastica. La maestra, a corto di idee, aveva deciso di farci fare il salto della corda a coppie, e ci aveva lasciati liberi di scegliere liberamente il nostro compagno. Io mi aggrappai istintivamente al braccio di Angelica, la mia migliore amica. E l’unica, anche. Biondissima, carinissima e vivacissima, piaceva un sacco alle altre ragazzine, e tutte volevano chiacchierare e giocare con lei. Ma lei non voleva nessuna di loro.
- Sempre insieme voi due? – disse imbronciata una bambina dai riccioli castani, vedendoci vicina.
- Certo! – affermò Angelica – Io e Sofia ci sposeremo! Vero, Sofia? –
- Ah… sì, ci sposeremo! – confermai, colta alla sprovvista.
Saltavamo. La nostra coordinazione era perfetta, come il tempo di salto. Toccavamo terra e sollevavamo i piedi nello stesso momento. Giravamo la fune alla stessa velocità, la alzavamo contemporaneamente.
Eravamo alte uguali, con pesi uguali e soli dieci giorni di differenza d’età. Personalità opposte, visi neanche minimamente somiglianti e attitudini che non potevano essere più differenti. Compatibilità totale.
Come io eccellevo nella composizione di temi, nello studio dell’inglese e nel disegno, lei invece era più dotata nelle discipline sportive.
Era estroversa, come un raggio di sole, e rideva, rideva, rideva sempre. Poteva accogliere chiunque. Bionda, con occhi castani e pelle ambrata. Teneva i capelli con la riga in parte, erano voluminosi e i boccoli morbidi  si adagiavano sulle sue spalle con grazia.
Io era l’estremo opposto. Chiusa più del guscio di un uovo, dalla lacrima facile, difficilissima da avvicinare e quasi sempre posata. Pallida, con occhi verdi e labbra rosse abbastanza carnose. Capelli lisci e frangetta.
- Come fa Angelica a stare con quella? –
- Già, già! Lei è così carina, e invece sta sempre appiccicata alla stramba! –
- Ma lo sapete che Sofia ha degli amici immaginari? Una volta l’ho vista mormorare tra se e se, e muovere gli occhi e le mani come se avesse qualcuno di fronte! –
- Beh, è figlia unica, no? Probabilmente si sarà sentita sola, e si è inventata degli amici immaginari per credere di parlare con qualcuno –
- No, non è il tipo da sentirsi sola. So che ha un buon rapporto con i suoi genitori, e parla sempre con loro. Secondo me è pazza di suo –
- O forse sono pazzi i suoi, e l’hanno contagiata! In effetti la sua famiglia è bizzarra! Ma lo sapete che non hanno neanche la televisione? Ha ha ha! –
 
- Oggi stavano di nuovo parlando di me – dissi, entrando in camera. Lasciai scivolare lo sguardo sul letto. Accuratamente adagiati sul cuscino c’erano una serie di peluches raffiguranti vari animali. La cassapanca invece, dava mostra di diverse bambole di pezza di svariate forme e dimensioni. La libreria aveva sedute in cima una decina di Barbie dalle articolazioni snodate. Principesse, fate, sirene e via discorrendo. La cassettiera era coperta di bambole di porcellana vestite in stile vittoriano. Al soffitto erano appesi dei modellini in legno e tessuto di gabbiani, aquile e altri uccelli.
E poi una pila di quaderni e riviste. Disegni, fumetti, cartoni, stampe, posters. – Dicevano che sono pazza. Di nuovo. Ma io non sono pazza. Sono loro ad esserlo. In fondo… -
Contemplai l’immagine attaccata all’armadio di una ragazza con ali scintillanti e un vestito pieno di merletti e nastri. – In fondo loro non si vogliono bene davvero. Loro dipendono totalmente da quella televisione, e ascoltano tutte le sciocchezze che dicono. Sono superficiali –
Appoggiai le mani su quelle bidimensionali della fata. – Hanno detto che non si può amare qualcosa che non esiste. Ma non hanno ragione, vero? –
 
Il nuovo arrivato nella classe era per metà inglese e per metà italiano. Il suo nome era Kevin. Era persino più pallido di me, con un viso ovale e le guance spruzzate di lentiggini. Ci aveva guardati tranquillamente al suo ingresso in aula, anzi, quasi con contentezza. E io avevo fissato lui. Sembrava un folletto: riccioli color miele, occhi verde chiaro. E ciglia lunghissime. E labbra scarlatte. Sembrava un po’ una ragazza.
Era veramente carino.
Non pensavo che potesse mai decidere di parlare proprio con me, ma invece così fece.
- Ciao. Tu non parli con gli altri? – io sollevai lo sguardo dal libro che stavo leggendo. – No, la confusione non mi piace. E neanche la gente. La mia unica amica in carne ed ossa oggi è assente, quindi comunico con i miei altri amici. Quelli non in carne ed ossa. Quando lo faccio non amo essere disturbata: loro rischiano di scivolare via dalla mia mente –
Lui non si diede per vinto, e sbirciò la copertina del libro. Quando riuscì a vederla, i suoi occhi chiarissimi s’illuminarono. – Harry Potter? Anche a me piace! –
Cinque punti simpatia. Tentativo di attirare la mia attenzione andato parzialmente a segno.
- A me non piace! – rettificai, troppo orgogliosa per cedere così ad un tentativo di avvicinamento – Io lo adoro. Capito? Questa è la quinta volta che rileggo la serie, in attesa dell’uscita del quinto libro. Un semplice “mi piace” non può guadagnarti la mia amicizia. Sforzati di più. Ma ti avverto: sarebbero fatiche sprecate. Quasi nessuno riesce a diventare mio amico. E d’altronde, nessuno vuole esserlo –
Lui fece un’espressione perplessa. – E come mai? Sei chiaramente una persona intelligente. E sei carina –
Io sbuffai. – Perché sono la pazza della classe, chiaro? Io parlo da sol.! Ho una considerazione maggiore di questo blocco di carta che di tutti gli altri ragazzini messi insieme! Nessuno riesce a sopportarmi –
- Ah no? – lui sorrise, ed indicò il tomo. – Io li ho letti sette volte –
 
 
Angelica si cacciò in bocca un brownie tutto intero, che mandò giù con una lunga sorsata di tè.
- Non capisco, però, perché tu te la prenda tanto. Voglio dire…               quella ormai avrà smesso. Nessuna ragazza sarebbe così stupida da continuare a provarci con uno, quando è già stata respinta in quella maniera. Non credi di essere troppo possessiva? –
Mi lanciò un’occhiata eloquente. – Le persone a cui stai troppo col fiato sul collo potrebbero sentirsi soffocare, ed è possibile che ad un certo punto si vogliano staccare, non ti pare? –
- Non ci sarebbe bisogno di stare col fiato sul collo a nessuno, se quelle persone non avessero fatto altro che tentare di abbandonarti già di loro. E se non ci fossero altri ancora che vogliono portartele via –
Era chiaro che la conversazione era conclusa, come l’incontro. Pagai la mia parte del conto e me ne tornai a casa.
Quel pomeriggio non mi misi neanche a studiare. Proprio non riuscivo a concentrarmi.
Me ne stetti sul letto ad accarezzare il mio gatto nero, guardare vecchi disegni, rileggere pagine degli svariati diari che avevo scritto.
Il giorno dopo, avrei tolto quel sorrisetto strafottente dalla faccia di Lulu, una volta per tutte. Così carina, così tenera aveva voluto apparire, e poi invece… pensai che non avrei mai potuto aspettarmelo. Non da una ragazzina che sembrava una bambola di porcellana vivente.
Cosa aveva detto poi, quella?
“Tu sei sprecato, qui. Pensa a cosa saresti in grado di fare se potessi liberare le tue potenzialità!”
Smisi di colpo di accarezzare il piccolo Yoru, che emise un miagolio contrariato.
Ero talmente scioccata dall’averla vista incollata al mio shinigami, che non avevo fatto molto caso a cosa stesse dicendo. Quella frase… che senso aveva? Non aveva nulla a che fare con questioni amorose o antipatie nei miei confronti! Come mai aveva detto una cosa del genere?
Tu sei sprecato, qui.
Per qui, si riferiva all’Associazione dell’Astral Project, indubbiamente! Era l’unico “qui” che potesse valere sia per lei che per lui. Liberare le sue potenzialità significava forse…
- Scusami, micio. Ho da fare, ti coccolerò più tardi! – esclamai rivolta al gattino, che posai sul cuscino del mio letto. Presi la borsa e corsi giù dalle scale, urlando a mia mamma, che era in bagno a dividere la biancheria, che uscivo.
 
 
- Senti, Sofia, lo so che siamo amiche da molto, ma tutta questa storia comincia ad essere un po’ seccante! – ormai era giunto il secondo anno delle scuole medie. Angelica stava in piedi di fronte a me; eravamo in un angolo del cortile. Le lezioni erano terminate da poco, e lei mi aveva trattenuta, dicendo che voleva parlarmi.
- Io davvero non riesco a capire quale sia il problema, Angelica! Studiamo insieme, abbiamo sempre tante cose da dirci, ci aiutiamo a vicenda, e frequentiamo gli stessi posti! Siamo sempre andate perfettamente d’accordo! – esclamai, mettendo le mani sui fianchi. Non avevo idea di cosa fosse saltato in testa alla mia migliore amica.
Lei sospirò, e si scostò un ciuffo di capelli biondo oro dalle fronte.- È proprio questo il problema, Sofia. Quando sono con te non posso frequentare nessun altro. Tu non sopporti quasi nessuno, preferisci startene chiusa in casa a leggere, studiare e disegnare piuttosto che andare in giro o fare shopping, come le persone normali. Sei chiusa nei confronti di tutti gli altri, e li rifiuti categoricamente. E ci vado di mezzo anch’io. Non posso uscire con nessun altro, senza essere vista come “l’amica sfigata della stramba”, e non fingere di non sapere che è questo che gli altri pensano di te –
- E quindi? Cosa vorresti dire, eh? – sbottai, e strinsi i pugni così forte a conficcarmi le unghie nella carne.
- Che hanno ragione. Non posso starmene sempre relegata con una persona soltanto. Si comincia persino a dire che siamo una coppia! Ti vedo quando borbotti tra te e te, ed è inquietante! Sì, loè, anche sapendo che stai solo inventando delle storie, o che è quello che vorresti dire alla gente ma non puoi! Quando eravamo bambine era un conto, ma ora è diverso. Come pensi ci si senta a stare vicino ad qualcuno che parlotta a bassa voce con lo sguardo perso nel vuoto? Come pensi che sia camminare a fianco a qualcuno che guarda sempre per terra, invece che davanti a sé?
Io voglio andare in giro, divertirmi, essere con persone normali, che facciano cose normali, come guardare telenovele, parlare di ragazzi e divertirsi! –
Il pugno che le assestai in viso la fece cadere a terra violentemente. Vidi distintamente la sua espressione sbalordita. Non pensava che avrei mai osato colpita. Segno che anche dopo tutti quegli anni non mi conosceva davvero.
- Bene – dissi. Il turbamento era sparito. Anche il dispiacere di perdere la mia amica. – Fai quello che ti pare. Non m’importa. Vai pure con quelle oche smorfiose. Diventa come loro. Se è questo che pensi, tu non vali il mio affetto. Non ti azzardare a rivolgermi la parola, stupida ragazza –
E me ne andai, lasciando dietro di me non solo la biondina con un segno rossastro sulla guancia, ma anche qualsiasi amicizia che avessi mai potuto nutrire nei suoi confronti. Ormai se la erano presa quelle idiote dalla testa vuota. E pensare che fino al giorno prima lei era…
Mia.
 
- Mi dispiace, davvero – sussurrava Kevin vicino al mio orecchio, avvolgendomi le spalle con le braccia. Mi nascosi il viso pieno di lacrime tra le mani, cercando di soffocare i singhiozzi. Senza grandi risultati.
- Non vorrei neanch’io, ma mio padre dice che vuole tornare in Inghilterra, quindi ci trasferiamo a Chester. Ho detto che a me l’idea non piaceva, ma non ha voluto sentir ragione. Avrei di gran lunga preferito restare qui con te, Sofia –
Mi abbracciò più forte. Ora stava per piangere anche lui. aveva gli occhi rossi, e lucidi. – Però… - iniziò a dire, con la voce rotta – Non appena sarò adulto tornerò in Italia, te lo prometto. Verrò a trovarti. Dico sul serio –
- Eri l’unico amico che mi era rimasto – singhiozzai. – Se non tornerai, verrò io a prenderti, e ti picchierò a sangue. Quindi vedi di sbrigarti a diventare adulto! –
- Farò del mio meglio – mi prese delicatamente i polsi per potermi guardare negli occhi. Quando riuscì ad incrociare il mio sguardo, abbozzò un sorriso triste.
- Allora, arrivederci – sussurrò, e mi diede un bacio leggero sulle labbra.
 
 
Erano passati due anni da quando l’unico amico che avevo se ne era andato. Due anni in cui nessuna persona era più riuscita ad avvicinarmisi, due anni in cui avevo tagliato fuori ogni altro. Due anni in cui persi ogni fiducia in quei ragazzi coetanei che mi circondavano, e durante i quale avevo vissuto perlopiù nel mondo che esisteva nella mia testa.
La gente mi annoiava. La realtà mi annoiava. Molto meglio evitare qualsiasi relazione fastidiosa, e dare i miei sentimenti a persone ideali immaginarie. Persone esistenti solo al livello grafico, e che in quanto tali non avrebbero mai potuto abbandonare né ferire alcuno. Creature che sentivo molto più vicine di qualsiasi individuo avessi mai incontrato.
Sentivo chiaramente che il mondo esterno non era quello in cui avrei dovuto vivere. Mi sarei sentita nella mia immagine solo se avessi potuto immergermi totalmente in quegli universi magnifici e perfetti. Non volevo un mondo dove le persone si attaccavano solo a chi fosse più conforme alla massa o più conveniente come amico, ma neppure in un paese delle meraviglie tutto zucchero e fiori. Nemmeno quest’ultimo era “perfetto”, nei miei criteri.
Tra pagine e pagine  di ragazze magiche, bambole viventi e demoni, giunse l’inizio delle scuole superiori. Avevo senza esitazione optato per il liceo artistico. Se non potevo vivere nei mondi che amavo, allora li avrei disegnati io stessa, diventando fumettista. E nessuna scuola poteva essere migliore per raffinare le tecniche grafiche di un liceo artistico. Per l’età che avevo, naturalmente.
Mi sedetti in prima fila, all’angolo, dal lato della porta. Sperai con tutto il cuore che a sedersi vicino a me non fosse ne qualche cretina super truccata né qualche ragazzo rumoroso ed irritante.
Per i primi minuti la sedia rimase libera: molti degli altri venivano dagli stessi paesi, e si conoscevano l’un l’altro, a gruppetti di tre o quattro. In tutto la classe era di ventotto persone.
Alla fine una ragazza prese posto accanto a me.
Le diedi un’occhiata rapida, senza voltare la testa. Aveva pelle abbronzata, capelli scurissimi e lunghi, occhi quasi neri. Era vestita un po’ da maschiaccio, con jeans consumati sulle cuciture, una felpa larga che le arrivava quasi a metà coscia, e scarpe da ginnastica lasciate larghe.
- Ciao! – mi salutò allegramente. Sembrava entusiasta di essere lì.
- Ehi, sorellina, non costringermi sempre a starti vicina! – si lamentò una seconda ragazza. Era quasi identica alla prima, solo un po’ più pallida.
- Non ci posso far niente se non sei veloce a trovarti un posto a sedere, tesoruccio! – replicò la mia vicina di banco. La sorella, evidentemente gemella, si sdette vicino a lei, sbuffando un po’.
- Come ti chiami? – si rivolgeva di nuovo a me.
- Sofia – mormorai a voce bassa, girandomi di qualche centimetro.
- Piacere! Il mio nome è Angelica, e questa è mia sorella Beatrice –
Angelica.
Da sotto i suoi libri fece capolino un libricino bianco con due figure colorate al centro. Catturò la mia attenzione. –Quello cos’è? – chiesi, incuriosita.
- Ah, quello… - lei arrossì. La sorella, ridendo, lo estrasse, ed evitando le braccia della gemella, me lo lanciò. – Questa è la roba che si legge la mia sorellina Angelica! – la prese in giro.
Ma io non risi affatto. Era un manga.
Frugai nella cartella, e tirai fuori anch’io un volumetto. – Li leggo, ma non sono una fanatica… - cercava intanto di difendersi Angelica.
Le sorrisi, mostrandole anch’io il mio “tesoro”. – Peccato. Perché ne hai una davanti –
 
 
 
Quando giunsi trafelata all’Associazione, ormai la maggior parte degli Astral se ne erano andati.
Chiesi a Simon se Lulu era ancora lì o se come gli altri era tornata a casa, e mi rispose che no, si trovava ancora nell’edificio, ma che non aveva idea dell’area in cui fosse. Decisi di andare nell’ultimo posto dove l’avevo vista, ovvero la biblioteca, nonostante fosse passato già un bel pezzo da quando me ne ero andata, e comunque lei stessa era uscita di lì prima di me.
Come pensavo, non la trovai lì. Invece c’erano alcune ragazze con cui avevo combattuto qualche battaglia, intente a sfogliare una guida sulle arti marziali orientali per principianti. Le salutai.
- Ah, credevo fossi andata via! – disse una di loro. Le spiegai che sì, me ne ero andata, ma dovevo assolutamente discutere una questione con Lulu, e che ero tornata appunto per quello. – Se cerchi Lulu, credo di averla vista scendere ai piani sotterranei con una senpai. La senpai era piuttosto contrariata, a guardarla… -
La ringraziai, ed uscii dalla stanza. Imboccai le scale più vicine ed inizia la discesa, più rapidamente che potei. Man mano che scendevo il cicaleccio e lo scalpiccio proveniente da di sopra si faceva sempre più distante, finché non ci fu un silenzio quasi assoluto, rotto solamente dal rumore delle mie scarpe sul marmo dei gradini. Riecheggiavano.
Faceva una certa impressione vedere quelle sale, solitamente gremite di persone, così vuote. In alcune le luci erano già spente. Cercai la ragazzina in tutte le stanze e aree che man mano raggiungevo, ma di lei neanche l’ombra.
Giunsi alla conclusione che l’unica area ancora non controllata era l’acquario. O meglio, il gigantesco ed inutile acquario di cui tanto si vantavano gli addetti all’architettura del palazzo, ma di cui non si capiva l’utilità, essendo questo posto principalmente la sede di un piccolo esercito di cacciatori di mostri.
Sta di fatto che rimaneva l’unico luogo dei piani sotterranei che non avevo ancora controllato, anche se c’era la possibilità che lei si stesse spostando ed io semplicemente non l’avessi mai incrociata, considerate le dimensioni del luogo.
L’area dell’acquario non aveva mai un’illuminazione completa. Tutto era avvolto in un alone azzurrino, che creava un’atmosfera misteriosa e un po’ magica. E anche romantica, a dirla tutta. Ripensandoci, poteva essere pure il luogo perfetto per un omicidio fatto con stile.
Girai un po’ senza risultato tra le interminabili e colossali vasche, alte più di tre metri, finché non riuscii a sentire dei passi. Dal rumore sembravano due persone.
- Sei una completa idiota, Lulu – disse una voce vellutata. Qualcosa in quella voce mi gelò il sangue nelle vene. Era una voce morbida e sensuale, ma allo stesso tempo velenosa e con una nota crudele.
- Chiedo umilmente perdono, my lady – mormorò Lulu, con la sua vocina sottile – Non succederà mai più, lo prometto –
- prometti? Non me ne faccio nulla. Il guaio l’hai già fatto! Metterti a parlare in quel modo, senza la sicurezza che nessuno stesse ascoltando… spera che White Maiden non abbia sentito più del dovuto, razza di incompetente! – ora colei che interloquiva con la più piccola aveva alzato la voce. Era arrabbiata. Anzi, no. Era irritata, e provava un lieve ribrezzo.
White Maiden. L’avevo già sentito.
I passi si fermarono non troppo distante da dove mi trovavo. – Vi supplico, Lady! Porrò rimedio al mio errore! – gemette Lulu.
Ne seguì un lungo silenzio. – Tu non ti rendi conto di ciò che hai fatto, mocciosetta. Non solo hai rischiato di farti scoprire dalla mia futura rivale, ma hai anche mandato in fumo i nostri tentativi di tirare dal nostro lato lo shinigami scarlatto. Sei davvero inutile” non solo la tua scenetta da shojo manga non ha avuto alcuna utilità, ma ora lo hai addirittura messo sul chi va là nei tuoi confronti –
- Per favore, per favore… - ora Lulu stava piangendo. Mi sentii un po’ in pena per lei. Mi chiesi chi fosse l’altra ragazza, e cosa le avrebbe fatto. non che mi dispiacesse sul serio, però. Solo un pochino.
Era chiaro, comunque, che sia il bacio rubato che tutte quelle frasi che volevano tentare Grell a fare non so che cosa, non erano state una sua personale idea. Le era stato ordinato, e lei non aveva eseguito gli ordini adeguatamente.
- per favore, per favore! – la scimmiottò la più grande – Dio, quanto mi fai schifo, con quella vocina acuta e infantile, con quegli occhioni da bambola! Sei così patetica! E credi che io possa aver pietà di una nullità come te? NON FARMI RIDERE! –
Un solo istante, ed un singolo getto di vento sembrò espandersi da dove le due si trovavano, scompigliandomi i capelli. Riconobbi quell’effetto: era l’attivazione dell’armatura.
Lulu lanciò un gridolino terrorizzato. – Black Lady, vi scongiuro, non…! –
Non fece in tempo a finire la frasi. Un suono raccapricciante mi fece accapponare la pelle, un suono come di qualcosa che si lacera. Ed un rantolo.
Non è possibile, non è possibile
Una presa ferrea mi serrò le labbra da dietro.
- Ma guarda un po’ chi c’è qui! – era la ragazza dalla voce crudele. – Una pseudo eroina che ficca troppo il naso negli affari altrui! –
Provai a divincolarmi, ma era nettamente più forte di me. mi schiacciò sulla fronte per avvicinarmi al suo viso, e accostò le labbra al mio orecchio. – Io sono Black Lady. Conosci la mia vera identità? –
Scossi la testa. – Bene. E sai perché intendo muovervi guerra? –
Scossi di nuovo la testa. – Proprio così, non lo sai. Ma quelli che stanno in alto lo sanno. Per ora ti basti sapere questo: io sono la tua altra metà, il tuo Ying. Soltanto che io mi sono svegliata prima di te –
Mi lasciò andare. Mi girai più velocemente che potei, ma si era già volatilizzata.
Poi mi ricordai di Lulu. Svoltai l’angolo, aspettandomi di vederla ferita, dopo aver sentito quel gemito di dolore poco prima. Non mi aspettavo però quello.
Quello che vidi fu un corpo minuto di ragazza riverso a terra, in un lago di sangue. La schiena era piegata in un’angolatura innaturale. Una grossa e lunga lama era conficcata nel suo ventre, e sbucava dall’altra parte.
Gli occhi vuoti, appannati, spalancati, e la bocca semi dischiusa, da cui scivolava un rivoletto di saliva striata di rosso.
 
 
 
“Esistono solo due tipi di persone al mondo: coloro che rubano e coloro che vengono derubate. Io oggi vi privo del vostro futuro. Tutto qui.”
 
 
 
 
 
 
****
Note: Ehilà! Ho avuto da fare, e me la sono presa comoda con la scrittura. Chiedo scusa a chiunque sia così masochista da leggere la mia orrida fanfiction e stava attendendo il nuovo capitolo. Ma, onestamente, come fa a piacere a quelle persone che hanno detto di apprezzarla?
Vabbè, vabbè… tanto meglio! Credo che questo capitolo sia l’inizio delle cose serie, e il prima era la fase “innocente”, se così piò essere definita.
Spero di non aver deluso le aspettative di nessuno, e di non metterci un’eternità ad aggiornare di nuovo. Grazie mille a chi ha seguito la storia fino a questo punto; per me è davvero splendido vedere che ci sono persone a cui piace!
Un bacio! <3
Sofy
 
 
*Earl Grey significa Conte Grey. Probabilmente qui tutti sapranno che Earl significa conte, ma per sicurezza lo specifico.
   
 
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