Era stata lei a sedurlo, a cominciare quella… cosa, che non era una relazione, con
Harry. Lo aveva fatto perché era arrabbiata con Ron per essersi messo con
quell’oca della Brown e perché si sentiva sola. Ora che Ron e Lavanda si erano
lasciati, portandosi via anche la sua rabbia e la gelosia, si rendeva conto di
aver fatto qualcosa di terribile, ma non sapeva come rimediarvi senza far
soffrire Harry. Di una cosa era certa: dovevano chiuderla, e subito, prima che
i sensi di colpa la facessero impazzire. Quindi, un giorno, dopo le lezioni,
prese da parte Harry e lo portò in un’aula in disuso per chiarire una volta per
tutte, ma riuscendo solo a fargli equivocare tutto.
«Fermati,
Harry; dobbiamo parlare» gli disse, cercando di mantenersi seria, premuta
com’era tra il suo corpo e il muro, con le mani del ragazzo che le aprivano la
camicetta e la sua bocca che le tormentava il collo in quel modo che la faceva
impazzire. «Dico sul serio, smettila» aggiunse, spostandogli la mano dal seno
che stava accarezzando.
«È questo
il tuo problema, Hermione: sei sempre troppo seria. Divertiti e basta» le
rispose il ragazzo, infilando l’altra mano sotto la gonna e facendola gemere.
«Non posso,
non possiamo» replicò lei, la voce ridotta a un sussurro. «Non possiamo più
fargli questo». Pessima scelta di parole. Harry la lasciò di colpo, quasi si
fosse scottato, e in certo senso era così.
«Non
possiamo più fargli questo?» il modo
in cui calcò quella parola fu come un dito puntato contro il colpevole, contro
di lei. «A chi non possiamo fare questo, Hermione?». La domanda era chiaramente
retorica, non serviva un genio per capirlo. «Almeno dimmi che quello che c’è
stato tra noi non era una semplice ripicca». Non poteva, quindi non disse
niente e a Harry fu sufficiente come risposta. «Vattene, con te ho chiuso».
Come dargli torto.