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Autore: Kristah    01/03/2015    1 recensioni
Eccomi qui! A storia finalmente ultimata (finirla si è rivelato più difficile di quanto immaginassi). Come già esplicitamente detto nel titolo, saranno raccontati gli eventi del 1943 (l'anno della nascita ufficiale di Capitan America) dal punto di vista di uno dei personaggi più bad-ass: Peggy Carter. Non voglio dilungarmi troppo nei dettagli degli episodi descritti, ma ci saranno (ovviamente) parti tratte dal film e piccoli missing-moments che mi sono immaginata!
Last, but not the least: se la storia vi piace, lasciate una recensione, anche piccina! Non sapete che immenso piacere provo nel leggerle! :) - Inutile scrive che anche critiche sono ben accette, vero?
Detto questo...
Enjoy!
XX,
Kristah
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Howard Stark, Peggy Carter, Steve Rogers
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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18 aprile 
 
Ero in Francia da un paio di settimane ed ero già stanca di ascoltare la radio: trasmetteva soltanto gli show registrati di Capitan America. Ricordavo il dottor Erskine e riuscivo ad immaginarmelo seduto accanto a me a brontolare con il forte accento tedesco che acquisiva quando era stizzito: si sarebbe lamentato dicendo che non aveva creato il supersoldato perché il Presidente lo buttasse in mezzo alle ballerine di can can mezze svestite. 
Per i commilitoni, Capitan America era una barzelletta vivente che stava dall’altra parte dell’oceano: non aveva valori, non conosceva gli orrori della guerra, non sapeva in che condizioni si viveva in Europa. 
Steve Rogers suonava sempre più come un burattino nelle mani del governo, allontanandosi dall’eroe leader che sarebbe dovuto essere. 
 
Arrivò un’altra lettera, un mese dopo il mio arrivo in Francia: mi avrebbero spostato in Italia. 
Feci le valigie, salii a bordo dell’aereo e feci come mi era stato ordinato; iniziavo a pensare che anche io stavo diventando un burattino. Non sapevo esattamente chi stesse muovendo i miei fili, però. 
Al mio arrivo al campo fui costretta a mordermi il labbro per trattenermi dalla sorpresa di vederlo. 
 
Italia, 1943 
 
“Carter!” 
“Colonnello Philips…” 
Peggy Carter provava gioia nel vedere una vecchia faccia amica: aveva sperato che almeno qualcuno dei soldati da lei addestrati si trovasse in Francia, ma le sue speranze furono disattese. 
Lì, invece, aveva ritrovato il suo vecchio capo e non poteva esserne più felice: “Ti stavo aspettando da giorni. Dove sei stata?” 
“In viaggio, signore” 
“Forza, ho del lavoro da farti fare!” 
Seguì il Colonnello con il sorriso sulle labbra; tutto sommato, le sembrava di essere tornata di nuovo ad Oakland. 
 
Il giorno del suo arrivo il Tenente Carter firmò tante di quelle carte per il governo che alla fine della giornata le faceva male la mano; questo non la fece desistere dal passare del tempo con il Colonnello prima di ritirarsi. 
“Quel ragazzo è diventato la barzelletta degli Stati Uniti"
Peggy sorrise, annuendo debolmente: “In Francia non lo sopportava nessuno…” mormorò. 
L’uomo la guardò negli occhi, stringendo le labbra: “Mi hanno detto che a breve verrà qui"
“Per girare uno dei suoi film da mandare in onda nel cinema?” 
Il Colonnello Philips scosse la testa: “Per portare…” aprì un cassetto della sua scrivania ed estrasse una lettera spiegazzata; la posò sul tavolo e lesse ad alta voce: “Il soldato Rogers, ora conosciuto come Capitan America, visiterà a breve il vostro campo; pensiamo che potrebbe portare speranza e un senso di casa dopo la terribile perdita dell’unità 107” 
 
Continuai a ripetermi di non sperare troppo nel suo arrivo: la situazione era pericolosa, il governo lo considerava troppo prezioso per fare di lui un vero supersoldato. Ultimo, ma non per questo meno importante, era circondato giorno e notte da avvenenti ragazze in minigonna pronte a sgambettare ovunque per lui: non avevo nemmeno una chance e lo sapevo bene. Continuavo a ripetermelo prima di cadere addormentata per fare in modo che mi entrasse in testa. 
 
Italia, 1943 
 
"È in viaggio" 
Il Colonnello Philips aveva un cipiglio arrabbiato più del solito: Peggy impiegò qualche secondo prima di capire di chi stesse parlando. 
Il superiore la guardò e la donna scorse un lampo paterno in quello sguardo: "Il fatto che venga qui non significa che lo abbiano lasciato libero di fare ciò che vuole. Mangiafuoco è oltreoceano, ma non si è dimenticato del suo burattino più famoso"  
Peggy annuì semplicemente, senza proferire parola per il resto della mattinata. 
A pranzo, il Colonnello le si sedette vicino; non era un tipo loquace, lo si capiva alla prima occhiata. Eppure qual giorno aveva una gran voglia di chiacchierare, a quanto pare: "Carter, io e te ne abbiamo passate tante nell'ultimo anno... Se vuoi posso continuare a fingere di non saperlo"
Il Tenente Carter non disse nulla, continuò a fissare il piatto come se nulla fosse. Il Colonnello insistette ancora: "Se fosse stato qualsiasi altra persona, qualsiasi altro ragazzo che hai addestrato in quel campo, ti avrei fatto una lavata di capo su quanto sia sbagliato avere una relazione con il proprio sottoposto... Rifletti sul fatto che sono qui a darti consigli come un amico e non a sgridarti come tuo superiore. Voglio solo che tu non ti faccia male" 
"So quando una cosa è sbagliata, Colonello. So bene dove fermarmi" 
La ragazza sentì una mano sulla sua spalla: "Mi fido di te, Carter" 
 
Pensavo che lo avrei trovato diverso, radicalmente cambiato dal lavaggio del cervello che il governo si era impegnato tanto per fargli. Mi sbagliavo: dove tutti vedevano Capitan America, una barzelletta inutile, più una bambola di pezza che un supersoldato, io vedevo ancora il ragazzo magrolino che avevo addestrato quasi un anno prima. 
Era circondato da ragazze da mattina a sera e riusciva comunque ad essere imbarazzato dalla loro presenza; mio malgrado mi ritrovai a sorridere. Almeno finché uno dei ragazzi non fece qualcosa di increscioso che nessuno può dimenticare: calarsi i pantaloni davanti a quello che oggi è considerato l'eroe nazionale non è una cosa che si dimentica. 
 
Scorsi, alla fine dello spettacolo, la sua inconfondibile ombra dietro al palco e presi coraggio per andargli a parlare: pensavo che la conversazione avrebbe preso una piega completamente diversa da come finì in realtà. 
Immaginavo, speravo più che altro, che sarei riuscita a togliermi quell'orribile peso sullo stomaco: il soldato semplice Steve Rogers mi piaceva. Confessarglielo non avrebbe cambiato niente.  
 
Non sono mai stata il tipo di persona che dispensa complimenti né discorsi di incoraggiamento, ma quello di cui Steve aveva bisogno in quel momento era una spinta verso la giusta direzione: mi faceva male vederlo esibirsi come una scimmietta ammaestrata nel circo migliore della città.
Fui io a spronarlo ad andare in quella missione suicida: entrare da solo in una tra le più grandi basi tedesche di stanza in Italia era l’idea più stupida che potesse avere. Io avevo fiducia in lui, però; e questo mi spinse, ancora una volta, a mandare al diavolo le regole per aiutare quel ragazzo. 
 
Howard Stark è l’uomo più inopportuno che io abbia mai avuto il dispiacere di conoscere; se non fosse stato l’unico disposto a prendere un aereo e accompagnare Steve, non lo avrei mai chiamato per chiedere il suo aiuto. 
Stark era un uomo inopportuno e pieno di sarcasmo fino alla punta dei capelli, ma di certo non mi aspettavo che la sua semplice battuta sulla fonduta avrebbe scatenato l’imbarazzo misto alla gelosia di Steve: in una situazione completamente diversa, gli avrei riso in faccia spiegandogli che io e Howard eravamo semplici amici; in quella situazione, però, con lui pronto a saltare giù dall’aereo per entrare nel cuore della base nemica, pensavo che lui non avesse nessun diritto di fare così: si stava imbarcando in un suicidio ben pianificato, ma che pur sempre un suicidio restava. 
Steve saltò e io mi lasciai cadere sul sedile accanto ad Howard: non gli serviva un copilota, ma a me serviva un amico. 
 
Italia, 1943
 
“Se la caverà, Peggy” 
Peggy Carter allentò il nodo alla sua cravatta, scuotendo piano la testa: “Questa volta non si tratta di uno show in una città americana, Stark” 
L’inventore virò lentamente, uscendo dalla rotta che i due avevano concordato per tornare alla base; sul volto di Peggy si dipinse uno sguardo incuriosito: “Dove vai?” 
“Fonduta” 
Peggy alzò gli occhi al cielo: “No, Stark… Davvero, non sono dell’umore” 
“D’accordo. Allora fragole e champagne. O fragole e cioccolato fuso” 
Lei lo guardò, con una mano posata sul viso: “Non mi riporterai alla base, vero, Stark?” 
Stark sorrise in quel modo irresistibile: un sorriso che, Peggy aveva imparato, portava più guai che altro: “Se ti riporto indietro passerai la notte insonne a pensare a Capitan America. Questo io non posso accettarlo. Hai la faccia di una che ha bisogno di cioccolata” 



 
Angolino autrice:
Eccomi qui, di nuovo! (E questa volta sono riuscita a rispettare la mia stessa scadenza! Yay!)
Okaaaayy-- dicevo.
Oh, sì; come promesso Peggy e Steve non ci hanno messo molto tempo per ritrovarsi, dall'altra parte dell'Oceano! ;)
E... Ah. La scena tra Howard, Peggy e Steve sull'aereo è stata una delle mie preferite, lo devo proprio ammettere; così ho pensato di inserirla anche qui, sotto una luce diversa!
Okay, ho finito!

Sapete che, as usual, le recensioni sono più che bene accette!
XX,
Kristah.
  
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