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Autore: _Trixie_    01/03/2015    5 recensioni
[Seguito di Quattro volte in cui Emma e Regina furono felici e la quinta in cui non lo furono e Quando un cuore si spezza.]
«Io e Regina abbiamo un figlio da proteggere. Pensavamo sarebbe stato meglio andarcene, tornare a Storybrooke, se questo fosse stato ciò che Henry desiderava. Dopo quello che abbiamo saputo non lo lasceremo in un mondo pericoloso come questo, senza di noi. Ma quando non ci sarà più motivo di temere della sua vita, sarà lui a decidere se ci vorrà accanto o meno» rispose Emma.
Regina sospirò e chiuse gli occhi. Emma aveva ragione, ma non c’era motivo di parlarne in quel momento.
«Ma questo è il tuo mondo, tesoro, è la tua casa» rispose Biancaneve con un filo di voce.
Emma scosse la testa.
In quel momento, il grido di una donna squarciò l’aria.
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Altri, Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'This is your heart, can you feel it?'
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Capitolo XI
Per fuggire da una stanza
 
 

La stanza era buia e l’unica fonte di luce era rappresentata dalle braci morenti in un camino di pietra.
Faceva molto freddo e i tentativi di Frederick di arrestare il fremere del suo corpo causato dai brividi davano scarsi risultati.
Tossì e qualcosa gli sfuggì dalle labbra.  
Con orrore, si rese conto che quello che ora giaceva a terra era uno sei suoi denti.
Sputò il sangue, che gli aveva riempito la bocca in pochi secondi sospettando che non tutto provenisse dalla gengiva che aveva appena perso uno dei suoi componenti.
«Sei Frederick, non è vero? Epicari, si tratta di Frederick?»
Quella voce maschile, proveniente dalla sinistra dell’uomo, era stanca e roca, ma Frederick la riconobbe subito.
«Sì, Sire, sono io, sono Frederick!» esclamò il giovane immediatamente, cercando di scrutare nell’oscurità la figura del suocero. Strisciò in avanti, con attenzione.
Non aveva idea di quanto quella stanza fosse grande e preferiva non fidarsi del proprio udito per calcolare una distanza approssimativa tra lui e Mida. Non sapeva nemmeno se ci fossero ostacoli, sul suo cammino.
Gli uomini di Marvos non si erano certo risparmiati nell’accarezzargli le spalle, come aveva detto il conte. Frederick, in vita sua, non ricordava d’aver mai provato un dolore tanto intenso.
Gli uomini di Marvos erano stati brutali, certo, ma non feroci. Non lo avevano colpito per uccidere né lo avevano fatto alla cieca, tutt’altro. Avevano sferrato ogni calcio e assestato ogni pugno con precisione millimetrica, attenti a procurargli quanto più dolore possibile, senza mai rischiare di strappargli la vita.
Era stata un’agonia, un’agonia che era finita solo quando il suo corpo aveva reagito per proteggersi dal dolore e gli aveva fatto perdere coscienza.
Si era risvegliato quando lo avevano gettato sul pavimento freddo di quella stanza. O forse avrebbe dovuto chiamarla cella?
«Avvicinati, figliolo, avvicinati. Epicari, sii cara, aiutalo».
Una figura si mosse nell’oscurità e, qualche istante dopo, Frederick sentì un fruscio di abiti che gli sfioravano il volto per poi allontanarsi.
Epicari si chinò di fronte al camino, oscurandolo, poi afferrò quella che aveva l’aria di essere una rudimentale torcia a fuoco e tentò di accenderla con ostinazione.
Frederick pensò fosse tempo perso, ma non disse nulla durante i lunghi minuti che seguirono.
Alla fine, la torcia prese fuoco, quasi timidamente e, anche se il chiarore che emanava aveva di per sé un che di agonizzante, fu abbastanza per illuminare il volto di Epicari.
Era una ragazza dal volto ossuto, aguzzo, con gli zigomi che sembravano sul punto di bucare la pelle e gli occhi talmente infossati che per un momento Frederick temette le fossero stati cavati.
Aveva la pelle scura e i capelli erano stati raccolti all’indietro, probabilmente legati dal pezzo di stoffa che era stato strappato dal suo semplice vestito da cameriera, il quale sicuramente aveva visto giorni migliori.
In un lampo, Frederick la vide. La vide come l’aveva vista quando aveva lasciato il castello con Abigail, un’immagine che sembrava provenire da un altro universo.
Allora, Epicari era una giovane con la risata pronta, il seno prosperoso e lunghi ricci neri lasciati cadere sulle spalle e tenuti lontano dal viso con una semplice fascia che scompariva dietro le orecchie, in quel groviglio indomabile di capelli.
Lui, Frederick, non le aveva mai prestato particolare attenzione, ma Abigail la trovava particolarmente simpatica e spesso le aveva fatto piccoli regali, di quelli che si fanno alle cameriere, come vecchi bustini che ormai erano stati sostituiti da altri, in accordo con la moda del momento o sandali con la punta appena rovinata, che certo una principessa non avrebbe potuto indossare.
Epicari si avvicinò a Frederick e gli porse la mano, tentando di sorridere, ma tutto quello che vide l’uomo fu un teschio con uno strano ghigno, reso ancora più spettrale dalla luce fioca.
Ciò nonostante, Frederick accettò la mano della ragazza e si mise in piedi, con difficoltà, ricacciando la bile nello stomaco e aspettando che il violento capogiro che lo prese passasse.
Epicari lo sostenne, con più forza di quanta l’uomo si sarebbe mai aspettato da una ragazza nelle sue condizioni, poi lo guidò cautamente attraverso quello strano luogo.
«Sedetevi qui, principe Frederick» lo invitò lei, illuminando a beneficio dell’uomo una piccola porzione di pavimento ricoperta da pagliericcio.
La ragazza si sistemò di fronte a lui, reggendo la torcia tra le mani con attenzione.
«Mi dispiace non poterti offrire nulla di meglio, ragazzo mio» commentò Mida, accanto al quale Frederick capì di essersi accomodato. «Come stai? Cosa ti hanno fatto? La mia Abigail è al sicuro, vero? Il bambino è già nato? Sta bene?»
«Abigail sta bene» lo rassicurò immediatamente Frederick, sentendo la mano del suocero cercare la sua. L’uomo più giovane la strinse istintivamente. «Si trova in un posto sicuro. Il bambino non è ancora nato».
«Bene, bene. Sapevo che li avresti protetti, ragazzo mio. Perché non sei con loro?»
«Serviva qualcuno che portasse un messaggio a Marvos».
«Per questo esistono i messaggeri».
«Volevo anche… vedervi, signore».
«Non avresti dovuto. Sei il padre di mio nipote e il marito di mia figlia. Avresti dovuto metterti al sicuro con loro. Non possono perderti. Perderanno già un padre e un nonno, non permettere che a loro non rimanga nessuno al mondo che li ami».
Frederick sospirò.
«Dobbiamo sal-».
«No, non dobbiamo fare nulla. Scommetto che gli uomini di Marvos hanno fatto un bel lavoro anche con te, non è vero?»
«Sì, ma-».
«Epicari, sii cortese, illumina il viso di mio genero e dimmi cosa vedi».
«Subito, Sire» annuì la ragazza, avvicinando la torcia al volto di Frederick, permettendo in questo modo al ragazzo di scorgere Mida e i suoi lineamenti trasfigurati dalla fame e dai maltrattamenti.
Per un secondo, l’uomo più giovane pensò che anche gli occhi del genero fossero talmente infossati che quasi sparivano nel cranio, ma un guizzo della torcia illuminò Mida con più chiarezza e Frederick capì.
«Sire, voi non… Non mi vedete».
«Mi hanno cavato gli occhi, ragazzo mio e poi mi hanno cucito le palpebre. Ho detto a Marvos che lui non avrebbe mai più visto mia figlia, che non avrebbe mai messo le sue luride grinfie su di lei e lui ha ordinato questo, per assicurarsi che nemmeno io l’avrei rivista. Mai più».
 
«Hai chiuso quel ragazzino in una cella?!» sbraitò Belle furiosa, in direzione di Tremotino.
Era la prima volta dopo giorni che la donna gli rivolgeva direttamente la parola e il gelo calò sulla stanza, lasciando che a riempire l’aria fossero lo scoppiettio del fuoco e lo sgranocchiare appassionato di Emma Swan.
La ragazza era ancora a letto, dal momento che Regina non aveva voluto sentire ragioni sul fatto che lei abbandonasse quella stanza per partecipare ad un estenuante consiglio. Così Ruby aveva avuto la bella idea di portare il consiglio in camera di Emma. Il che aveva svelato che anche Regina poteva avere un aspetto pericolosamente lupesco, soprattutto quando si trattava di proteggere le persone che amava.
Ruby, non solo l’aveva ignorata, ma aveva anche portato a Emma un sacchetto di quelli che erano a tutti gli effetti dei pop-corn, mais fatto scoppiare sul fuoco con un particolare retrogusto di fumo e fuliggine che a Emma non dispiaceva poi molto.
Così, quando la tensione tra i presenti divenne talmente densa da poter essere tagliata con un coltello, Emma si ritrovò a sgranocchiare rumorosamente i propri pop-corn fino a quando Regina non le assestò una leggera gomitata tra le costole che tuttavia la fece deglutire con violenza.
Emma si girò verso di lei con gli occhi spalancati e increduli - cosa ho fatto ora di male?! -, ma prima che la ragazza potesse chiedere spiegazioni, Tremotino parlò.
«Oliver ha tentato di uccidere un membro di una Casa Reale e ha quasi fatto fuori l’esponente di un’altra. Normalmente, questo avrebbe significato l’impiccagione. Io mi sono solo assicurato che non potesse fare del male a nessun’altro» rispose con tono piatto l’uomo, guardando dritto davanti a sé con distacco, per non dover posare lo sguardo su Belle.
«È solo un ragazzino!» protestò, con voce acuta, sua moglie.
«Fallo uscire da lì» intervenne una terza voce, bassa e minacciosa, colma di rabbia.
A parlare era stato Henry.
Emma mise da parte i pop-corn e strinse la mano a Regina.
«Ha quasi ucciso tua madre, Henry, non possiamo sempl-»
«Non voleva ucciderla! E non è stato lui! Sei stato tu, sei sempre tu!» lo accusò Henry, mettendosi a urlare e alzandosi dallo sgabello di legno con una mossa così repentina da far sussultare violentemente Regina.
Il ragazzo coprì i pochi metri che lo separavano da Tremotino con poche, ampie falcate, tentando di sfoderare la spada mentre si avvicinava all’uomo, ma all’improvviso Henry venne sollevato in aria, e entrambe le mani lasciarono perdere elsa e fodero e saettarono alla gola, nel disperato tentativo di  liberarsi da qualsiasi cosa stesse tentando di soffocarlo.
Tremotino aveva una mano alzata nella sua direzione.
Emma scattò e Regina si alzò a sua volta, una palla di fuoco che si era materializzata nelle sue mani con velocità fulminea e gli occhi che sembravano sul punto di incendiarsi a loro volta.
Non disse nulla, Regina. Rimase ferma, con il fuoco che le danzava tra le dita, lingue di rancore e odio che emergevano dal suo passato, dal ricordo di Cora che usava la magia su di lei, dall’orrore di vedere il suo stesso figlio alle prese con un incubo dal quale aveva giurato di proteggerlo.
Tremotino lasciò andare Henry con uno sbuffo annoiato e il ragazzo cadde a terra, ansante. Emma si affrettò nella sua direzione per aiutarlo a rimettersi in piedi, così come Ruby.
Le lingue di fuoco lambivano ancora la pelle di Regina. Tremotino sorrise leziosamente nella sua direzione, come se si stesse divertendo.
«Regina» la chiamò infine Emma, facendo un passo verso di lei. «Ehi, Regina».
Il fuoco nelle mani della donna si ridusse lentamente, fino a scomparire del tutto.
«Portate via quel ragazzino dalle segrete» disse infine Regina rivolta alle guardie appostate ai lati della porta, senza mai staccare gli occhi da Tremotino. «Mettetelo nella sua vecchia stanza, assicuratevi che sia trattato con ogni riguardo e che non gli manchi nulla. E fate in modo che ci siano sempre delle guardie, con lui. Una fuori dalla stanza e una dentro».
«Non sei nella posizione di poter dare ordini» le ricordò Tremotino, facendo schioccare la lingua. «I nostri cari Regnanti sono impegnati ad organizzare le difese militari e durante il tempo che servirà a cercarli e chiedere loro consulto, prop-»
Emma si schiarì la gola.
«Non ho ancora capito a chi appartenga il culo che dovrebbe sedersi sul trono di questo castello, Tremotino, ma in quanto madre del futuro Re, fidanzata di Regina e figlia di Biancaneve e del Principe» elencò Emma, sperando di non aver dimenticato nessuna delle qualifiche che tutti continuavano ad affibbiarle, «ritengo di avere il potere di prendere questo tipo di decisioni; perciò ordino che venga fatto tutto ciò che ha detto Regina. Belle, puoi occupartene immediatamente, non è vero?»
«Certamente» confermò la ragazza, dirigendosi verso la porta senza degnare di uno sguardo suo marito. «Nonostante tutto, ricordo ancora cosa significhi essere gettati nelle segrete da Tremotino».
L’uomo si accigliò appena, mordendosi le labbra probabilmente per trattenere una risposta velenosa o, forse, delle scuse inutili e fin troppo tardive.
«Vado con lei» disse invece Henry risoluto.
«Cosa?» domandò Emma, il cui figlio le era scivolato dalle braccia con una rapidità impressionante. «Henry, non-»
Il ragazzo aveva ormai raggiunto Belle ed era uscito dalla stanza con lei.
«Vado con loro» disse allora Regina, cercando la fidanzata con lo sguardo per essere rassicurata.
Emma annuì.
«Così» disse Tremotino, con voce carezzevole dopo che anche Regina ebbe abbandonato la stanza, «ti fidi di Oliver al punto da lasciarlo girovagare libero per il castello, ma non abbastanza perché possa godere della compagnia di tuo figlio?»
«Dovresti andartene prima che decida di imitare i miei genitori gettandoti in una cella nei sotterranei, Tremotino».
L’uomo rise.
«Ero in quella cella perché volevo esserci, Emma» sottolineò Tremotino, voltandosi e facendo un gesto di saluto con la mano mentre anche lui usciva dalla stanza.
Ruby fece un gesto disgustato nella sua direzione, prima di dare una pacca sulle spalle di Emma.
«Wow, Swan» commentò la ragazza lupo. «Non capirai nulla di diritto politico, ma quando si tratta di tirare fuori le palle fai quasi più paura di Regina-ti-ucciderò-dovesse-essere-l’ultima-cosa-che-faccio-Mills». 
«Ruby!» esclamò Emma scandalizzata.
«Beh, è vero».
«Questo non importa, il fatto è che non puoi mettere tante parole tra il nome e il cognome, l’ho detto anche a Regina! Se fai così, se dici il nome, poi ci metti un quarto del dizionario e poi chiudi con il cognome, la cosa perde di efficacia».
«Non è vero!» protestò Ruby.
«Sì, che è vero! Hai detto Mills e io avevo dimenticato cosa c’era dopo Regina
Ruby la guardò, scuotendo la testa.
«Per quanto la cosa non mi stupisca, Emma, dovremmo rimandare questa discussione a più tardi. Pensavo di tenere d’occhio Tremotino. Cosa ne dite, Vostra Meastà? Ve la sentite di affidarmi questo compito?» domandò Ruby, sogghignando.
«Oh, smettila con le stronzate, Rubs. Ad ogni modo, credo sia una buona idea tenere d’occhio Gold, verrò con te».
«Ah, no, cara, non voglio aggravare la mia posizione agli occhi di Regina, già mi accusa dell’eccessivo colesterolo che hai in circolo».
«Il mio colesterolo va benissimo così come è e io mi sento splendidamente. Andiamo, Rubs!»
«No!»
«Ruby, ti prego!»
«Ho detto di no».
«Devo sgranchirmi le gambe».
«Torna a letto, Emma Swan!»
«Regina non lo verrà mai a sapere».
Ruby la guardò in modo significativo per qualche secondo, con la testa inclinata.
«Ok, Regina lo verrà a sapere» concesse Emma, «ma abbiamo un vantaggio di almeno un paio d’ore, prima che lo scopra».
«Regina lo verrebbe a sapere nel giro di un paio di minuti, Emma. Torna a riposare».
«Ruby, credevo fossimo amiche!»
«Ciao, Emma!» la salutò la ragazza lupo, prima di lasciare Emma sola nella sua stanza a valutare i rischi e i vantaggi di lasciare la sua camera di nascosto da Regina.  
 
«Dovremmo spostare un paio delle truppe da qui» disse David, indicando su una mappa una zona pianeggiante poco lontano dal castello, «a qui» completò, scivolando verso destra con la mano fino a posarla su una verde collinetta.
«No» disse sua moglie. «Sappiamo che Marvos attaccher-»
«Non sappiamo da dove Marvos attaccherà» la interruppe immediatamente David. «E tenere i soldati su quell’altura è la scelta migliore. Maggiore visibilità, minor rischio di un attacco a sorpresa».
«Dobbiamo evitare  un assedio ad ogni costo, David, e tenere la battaglia in campo aperto. Dobbiamo sistemare un’efficace linea di attacco qui» insistette Biancaneve, prendendo la mano del marito e sistemandola nuovamente sulla zona pianeggiante, «senza risparmiarci nulla. Spostare uomini sulla collinetta è una strategia difensiva che non possiamo adottare. Permetterà all’esercito di Marvos di avanzare fino a un limite pericolosamente vicino al castello e sono sicura che una sezione delle sue truppe è stata addestrata a scalare mura e infiltrarsi nei bastioni, per cercare Abigail e Olliver».
«Il castello è protetto da una barriera magica, che a breve verrà rinforzata. Non c’è pericolo di-»
«Non possiamo sostenere un assedio, David. Non possiamo rischiare, nemmeno remotamente!»
«Non stiamo rischiando, saremo in grado di schiacciarli dall’alto della collinetta!»
«Sì, quando ormai avranno sfondato l’entrata principale con una testa d’ariete!»
«Ora basta, tutti e due!» gridò Brontolo, salendo su un poggiapiedi di legno per poter guardare Biancaneve negli occhi. David rimaneva comunque qualche centimetro troppo alto. «Possibile che quando c’è da pianificare una guerra, vuoi due non riusciate a trovare un punto d’incontro?»
«Se lui mi desse retta-»
«Se lei imparasse ad ascolt-»
«Zitti, ho detto!» urlò di nuovo Brontolo. «Con rispetto, Maestà» aggiunse poi, guardando Biancaneve.
«Fate chiamare Regina, Emma e Tremotino».
«Cosa?» domandò confusa Biancaneve.
«No! Non sarebbero di nessun aiuto. Regina boccerebbe ogni singola proposta che non sia una sua idea» disse David.
«E Tremotino se ne starebbe seduto in un angolo a sogghignare alle sue stesse battute» continuò sua moglie.
«Mentre Emma non ha alcuna esperienza militare».
Brontolo li guardò scuotendo la testa.
«Ma loro hanno la magia. Non abbiamo mai avuto un aiuto magico, in nessuna delle guerre che abbiamo combattuto. Loro potrebbero aiutarci. Voglio dire, quando abbiamo combattuto contro Regina, il suo esercito era un terzo del nostro. Eppure sembrava inarrestabile. Lei sa come sfruttare la magia in una guerra e sarebbe davvero da stupidi non approfittarne» fece loro notare Brontolo.
Biancaneve aprì la bocca per protestare, poi la richiuse.
«Chiamiamo Regina, allora».
 
«Signorina Lucas, la smetta di pedinarmi, la prego. Credevo che avesse distrutto il mio matrimonio perché ha una cotta per mia moglie, ma a giudicare dal modo in cui mi perseguita adesso, inizio a credere che-»
«Oh, dacci un taglio, Tremotino» ringhiò Ruby, uscendo dall’angolo dietro il quale era nascosta. «Hai girovagato per il castello per un’ora nel vano tentativo di seminarmi?»
«No» rispose l’uomo, stringendosi nelle spalle. «Non ho nulla da fare, così ho pensato di far perdere tempo anche a te. Ma non è stato tanto divertente quanto speravo».
«Nulla da fare?»
Tremotino si strinse nelle spalle.
«Che vuoi farci? Non sono più quello di una volta. Il Sindacato dei Cattivi delle Favole mi ha consigliato di andare in pensione e lasciare spazio ai giovani virtuosi del terrore».
«Da che parte stai, Tremotino?»
«Beh, mi reputo decisamente troppo giovane per la pensione, ma-»
In un istante, Tremotino si ritrovò steso a terra, con due enormi zampe corredate da affilati artigli premuti sul petto e il fiato caldo di un licantropo che gli accarezzava il viso.
L’uomo sogghignò.
«La mia stanza è proprio dietro l’angolo, cucciola, un letto sarebbe più comodo».
Ruby ringhiò e uno dei suoi artigli affondò nella carne dell’uomo, che scosse la testa.
«Marvos mi ha rubato ciò che mi serve per liberare Aiden dalla sua maledizione. Dovresti saperlo che non perdono chi ruba all’Oscuro Signore, men che meno stringo patti con loro».
Ruby esitò, esercitano maggiore pressione sul petto dell’uomo con il proprio peso, in modo da fargli mancare il fiato per qualche secondo, poi si scostò, ritornando nella sua forma umana.
«Mi hai fatto rovinare un’unghia» si lamentò acidamente la ragazza, prima di scuotere la testa e allontanarsi.
«Signorina Lucas?» la chiamò Tremotino dopo essersi rimesso in piedi. «Vada pure a riferire a mia moglie quello che le ho detto, ma tenga i suoi artigli lontani da lei. Sono stato chiaro?»
Ruby lo ignorò.
 
«Voglio che una guardia sia sempre con lui, sono stata chiara?» domandò Regina a un giovane con le ginocchia tremanti e lo sguardo terrorizzato, che annuì freneticamente.
«Perdonatemi, Maestà, mi chiedo se…» l’uomo lasciò la frase a metà, in cerca delle parole adatte, «se quando il ragazzino va… sì, insomma, quando il ragazzino ha bisogno di riservatezza per poter espletare le sue funzioni corp-»
«Non concludere la domanda perché non credo che potrei sopportare una cosa del genere senza strapparti il cuore» lo interruppe Regina, i cui occhi non si erano mai posati sul soldato, ma erano rimasti ossessivamente puntati sulla schiena di Henry.
Erano nella stanza di Oliver, il quale sembrava trovare conforto solo nella presenza del ragazzo più grande, in piedi di fronte a lui, che era sprofondato in una poltrona non appena lo avevano riaccompagnato nella sua vecchia stanza e da cui non si era mosso.
Belle era andata a prendergli qualcosa da mettere sotto i denti, ma nemmeno dopo aver mangiato Oliver sembrava propenso a parlare con loro. Secondo la ragazza, era rimasto traumatizzato dalle ore trascorse nelle segrete.
Secondo Regina, c’era altro sotto, e non solo per quello che era successo con Emma, ma anche per il modo in cui Oliver guardava Henry, come se fosse tutto ciò cui poteva rimanere aggrappato per non diventare pazzo e questo, a Regina, non piaceva.
Era il modo in cui lei guardava Emma, quando il suo passato tornava con il desiderio di divorarla, quando la sua rabbia minacciava di prendere nuovamente il sopravvento portandola di nuovo ad essere la Regina Cattiva di molti anni prima.
Se Oliver guardava Henry il quel modo, l’unica spiegazione era che avesse demoni interiori che Regina non voleva in alcun modo che sfiorassero Henry.
E nonostante le precauzioni prese da Regina e la sua stessa presenza, la donna sentiva ancora un terrore viscerale che le divorava il cuore e che la metteva in guardia da Oliver.
Forse, era semplicemente iperprotettiva, ma Regina era convinta che mai l’istinto materno l’aveva ingannata e che se in quel momento le diceva di tenere Henry lontano da Oliver, allora quello era ciò che doveva fare.
Ma non aveva idea di come farlo senza far insospettire Oliver o senza far infuriare Henry.
«M-mamma».
La voce di Henry era flebile, insicura. Mamma.
Gli occhi di Regina si riempirono di lacrime, ma lei le ricacciò in gola e sorrise a suo figlio.
«Puoi andare, ora. Qui è tutto ok. Rimango con Oliver ancora un paio d’ore».
Regina deglutì.
Fantastico, pensò sarcasticamente.
Guardò suo figlio, poi Oliver e poi il soldato silenziosamente retto accanto al camino.
Henry ne seguì lo sguardo.
«Lui è proprio necessario?» domandò indicandolo.
«Beh, il suo compito è quello di proteggere, perciò sì, è necessario» rispose Regina, senza specificare se il ruolo del soldato fosse di proteggere le persone da Oliver o proteggere Oliver da altre persone. «Bene, allora io… vado».
«Grazie, mamma» disse Henry e Regina scosse la testa, schiarendosi la gola e uscendo con passi pesanti dalla stanza.
Una volta chiusa la porta, prese un respiro profondo e puntò un dito sul petto della guardia appostata lì accanto.
«Se succede qualcosa a mio figlio, verrò a cercarti personalmente e aggiungerò un cuore alla mia collezione».
 
«Belle!»
La ragazza chiuse con attenzione la porta della stanza di Oliver alle sue spalle, prima di sorridere a Ruby che la stava chiamando.
«Ehi».
«Ehi» rispose la ragazza lupo, indicando il piatto vuoto che aveva tra le mani. «Come sta il ragazzino?»
«Meglio, immagino. Si sente al sicuro, con Henry accanto, che è persino riuscito a convincerlo a mangiare. Ma non ha ancora detto una parola, da quando l’abbiamo tirato fuori da quella cella. Povero piccolo».
Ruby annuì, schiarendosi la gola.
«Ho parlato con Tremotino».
«Perché?» domandò la ragazza, prendendo a camminare lungo il corridoio.
«Volevo tenerlo d’occhio, sai, per vedere se scoprivo qualcosa».
«Qualcosa?»
«Qualcosa tipo un patto segreto con Marvos o… roba da Tremotino, ecco».
Belle rise leggera, coprendosi la bocca con una mano.
Ruby la trovò incantevole.
«No, questa volta posso assicurarti che non sta facendo il doppio gioco» aggiunse poi, stringendosi nelle spalle.
«E come fai a esserne tanto sicura?»
«Mi piacerebbe dirti che è cambiato e che non farebbe mai del male a noi, alla sua famiglia, né ci metterebbe in pericolo, ma il fatto è che Tremotino e Marvos hanno… dei trascorsi. Non so di che genere, l’ho solo sentito inveire confusamente contro il conte, accusandolo di essere un ladro. E Tremotino è… molto possessivo».
«E se… Se Marvos gli avesse rubato qualcosa di molto importante?»
«Per Tremotino nulla ha importanza fino a che non ne ha bisogno. Sai che cosa gli ha rubato Marvos?»
«Non di preciso. Ma so a cosa serve».
Belle la guardò con espressione curiosa e interrogativa.
«Quello che Marvos ha rubato» iniziò Ruby, schiarendosi la gola e appoggiando una mano sulla spalla dell’altra, «è ciò di cui Tremotino ha bisogno per liberare Aiden dalla sua maledizione».
Belle spalancò la bocca, incredula, poi sorrise, lanciando le braccia attorno al collo di Ruby e lasciando cadere il piatto vuoto che reggeva.
«Possiamo aiutarlo, possiamo aiutare il mio bambino» disse, ridendo e piangendo allo stesso tempo.
Anche Ruby sorrise, stringendo a sé e cullando Belle.
«Sì, possiamo aiutare Aiden. Dovresti…».
Ruby si schiarì la gola.
Belle profumava di buono. Profumava di legno e di miele ed era un tale scricciolo tra le sue braccia, fremente di energia e sollievo, sapendo che c’era un modo par aiutare Aiden… adorava quella ragazza.
Ma lei apparteneva a Tremotino.
Non aveva importanza quanto quell’uomo fosse viscido o malvagio, quanto male avrebbe fatto alla sua Belle o quanta felicità le avrebbe sottratto.
Erano l’una il vero amore dell’altro e Aiden era la prova vivente del loro legame.
Era una cosa che Ruby non riusciva a capire perché l’amore che lei conosceva significava farfalle nello stomaco, baci rubati sul far del tramonto e un fastidioso sorriso da ebete.
Eppure doveva esserci altro, perché se si guardava attorno, Ruby vedeva una ragazza innamorata dell’uomo che l’aveva barattata e poi rinchiusa in una cella e vedeva questo uomo lottare contro la sua stessa natura per quella ragazza.
Vedeva Emma che non aveva esitato a mettere a rischio la propria vita per la donna che le aveva strappato il futuro per egoismo personale e Regina combattere contro i suoi demoni personali, solo per poter essere all’altezza della sua ragazza.
E quando Biancaneve si era macchiata le mani del sangue di Cora, David le aveva lavate e pulite, le aveva asciugate, continuando ad amare sua moglie.
Ma se si fermava un po’ a pensare, a riflettere, a indugiare su quella parte del suo passato che avrebbe tanto voluto cambiare, Ruby intuiva che cosa significasse amare fino in fondo. Perché a volte nei suo incubi affiorava il volto di Billy, l’ultima volta che lo aveva visto.
E quello che aveva visto negli occhi di Billy non era odio, ma solo lo struggente desiderio che quel destino non fosse toccato alla sua Ruby e che sarebbe stato disposto a morire mille e poi altre mille volte, se farlo avesse significato alleviare il fardello della ragazza.
Forse, a lei quell’amore era stato negato prima che potesse manifestarsi in ogni sua forma.
«Belle» disse infine, prendendo un profondo respiro. «Credo dovresti parlare con Tremotino e… perdonarlo».
 
«Mentre voi ve ne stavate rintanati in questo tugurio Tremotino ha rinchiuso Oliver nelle segrete e mio figlio ha dato di matto fino a quando non è riuscito a tirarlo fuori» disse Regina, entrando nella stanza in cui David e Biancaneve stavano discutendo la miglior strategia militare per affrontare Marvos.
Entrambi spalancarono la bocca, increduli e indignati che nessuno li avesse messi al corrente della situazione.
«Non preoccupatevi, Emma ha saputo gestire la situazione molto meglio di quanto avreste fatto voi» aggiunse poi la donna.
«Davvero?» domandò Biancaneve. «Come?»
«Mi ha dato retta senza discutere» rispose Regina.
L’altra donna alzò gli occhi al cielo e David sogghignò divertito.
Brontolo, che aveva accompagnato Regina, si sedette con le braccia incrociate e senza dire una parola. Detestava la matrigna di Biancaneve con ogni fibra del suo piccolo corpo e l’astio era reciproco, ma in quella situazione si era convinto a mettere da parte i rancori per il bene del castello.
«Per cosa sono stata convocata?» volle sapere Regina.
«A parte erigere barriere, che cosa puoi fare con la magia?» chiese David, appoggiando entrambe le mani sulla mappa aperta davanti a lui.
Regina lo guardò come se avesse chiesto se l’acqua fosse davvero bagnata.
«Praticamente tutto. Tranne riportare in vita i morti o creare il Vero Amore. Per la prima parte, dovreste rivolgervi a Emma, per la seconda a Tremotino».
 «No, intendevo, in campo militare» specificò Biancaneve.
Regina si strinse nelle spalle.
«Dipende, di cosa avete bisogno?»
David spiegò sia il proprio piano d’azione che quello della moglie, con Biancaneve che interveniva per sottolineare quanto un assedio sarebbe stato insostenibile e pericoloso.
Regina si strinse nelle spalle.
«Posizionate la maggior parte dell’esercito in pianura e lasciate solo una manciata di uomini sulla collinetta. Incanterò le catapulte in modo tale che bastino solo due uomini invece di sei, per azionarle. Posizionate anche arcieri e balestrieri sull’altura, ma sarò io a fornire loro le armi. Avranno una gittata maggiore e le frecce saranno avvelenate. In questo modo un numero esiguo di uomini potrà fornire la stessa difesa che sarebbe in grado di garantire la metà dell’esercito» spiegò Regina.
«Usavi questi trucchi anche quando combattevi contro di noi?» domandò David, visibilmente colpito.
Regina annuì.
«E un altro paio che ho imparato da Tremotino e che richiedono pratiche che voi non approvereste mai».
«Che genere di pratiche?» domandò Biancaneve. «No, anzi, preferisco non saperlo».
Regina si strinse nelle spalle.
«Per quanto riguarda il resto degli uomini, il massimo che posso fare è rinforzare spade e armature, in modo che siano più resistenti a colpi e urti, ma non saranno indistruttibili».
Sia David che Biancaneve annuirono.
«Avrò bisogno di Emma per fare una cosa del genere. Fate portare tutte le armi a disposizione dell’esercito nell’armeria e le incanteremo. Non ci vorrà molto in termini di tempo, ma l’energia necessaria sarà notevole» spiegò Regina, guardando Brontolo come se volesse ordinare a lui di occuparsene.
Il nano sbuffò.
«Per favore, Brontolo, potrest-»
«Sì, sì, sì, certo, faccio io. Devo sempre fare tutto io, in questo dannato castello» disse il nano, interrompendo Biancaneve prima che potesse concludere la frase.
«Nani» commentò Regina con disgusto.
Biancaneve la guardò con un’espressione di muto e implacabile rimprovero.
 
«Davverodavverodavvero posso uscire dalla mia camera?» domandò Emma, con gli occhi sgranati, non appena Regina le disse che sarebbero andate nell’armeria.
«E potrò camminare? E fare incantesimi? Posso avere una balestra? Ho sempre voluto una balestra!».
«Non sai nemmeno impugnarla, una balestra».
Emma si strinse nelle spalle, mentre Regina le apriva la porta della camera per farla passare e poi seguirla all’esterno.
«Beh, è come un arco, solo orizzontale. Non deve essere poi tanto difficile» disse Emma.
Regina fece per ribattere, ma poi decise che intavolare una discussione sulla differenza tra una balestra e un arco non le avrebbe portate da nessuna parte, così si limitò a scuotere la testa e intrecciò le proprie dita a quelle di Emma.
«Grazie» le sorrise la ragazza, sporgendosi per darle un bacio sulla guancia mentre camminavano verso l’armeria.
«Per cosa?»
«Per esserti presa cura di me. Sei stata una gran spina nel culo, ma è stato tenero».
«Linguaggio. E io non sono tenera» ci tenne a specificare Regina.
Emma nascose un sorriso e appoggiò la testa sulla spalla della fidanzata.
 
«Non mi hai chiesto se sono stato io» disse Oliver.
Henry scosse la testa e si strinse nelle spalle.
«Perché lo so benissimo che non sei stato tu. Ho fiducia in te, Oliver».
Il ragazzo più giovane distolse lo sguardo.
«Credo tu stia riponendo la tua fiducia nella persona sbagliata».
«Cosa?»
«Chiedimi se sono stato io, a mettere il veleno in quella coppa».
«No!» esclamò Henry, tra l’incredulità e l’indignazione.
Oliver non disse nulla per un po’, limitandosi a giocare con l’orlo della coperta, senza mai guardare Henry in faccia.
Piangeva, silenziosamente, senza singhiozzi, senza smorfie di dolore, solo lacrime che cadevano rapide lungo il suo volto, irrimediabilmente attratte dalla forza di gravità.
«Farò finta che tu me lo abbia chiesto, allora» disse infine Oliver, con la voce che tremava appena.
Era appena uscito da quella cella e ora ci sarebbe sicuramente ritornato. Probabilmente, era giusto così.
Alzò gli occhi chiari dal pavimento, per puntarli in quelli dell’altro ragazzo.
«Henry, io-»
La voce gli morì in gola.
«Oliver, cosa..?»
Il ragazzo più giovane indico un punto dietro le spalle di Henry, ma quando questo si voltò, non vide nulla.
Confuso, stava per chiedere cosa stesse succedendo, ma poi, più che vederlo, lo sentì.
Sentì freddo, un freddo che non veniva da fuori, ma direttamente dal suo petto e che da lì dilagava, serpeggiando lungo il suo sterno, avvinghiandosi alle sue costole fino ad agguantare il cuore e stringerlo, ingarbugliarlo in sottili fili di gelo che non avevano intenzione di arrestarsi e dilagavano in tutto il suo corpo, sotto la sua pelle, attraverso vene e arterie, fino a quando in Henry non rimase nemmeno una scintilla di calore.
La sua pelle divenne pallida, identica al proverbiale candore di quella di sua nonna, le sue labbra illividirono e il suo sguardo si annebbiò. Henry si sentiva leggero, senza peso.
Svenne.
E Oliver prese a urlare il suo nome.
 
«Frederick? Frederick?»
L’uomo aprì gli occhi, sentendo il suocero chiamarlo con insistenza.
«Frederick, devi andartene, ora».
«Cosa? Dove?».
«Lontano da qui, al sicuro. Forza, mettiti in piedi» insistette rudemente Mida, dandogli una pacca sul viso per aiutarlo a svegliarsi. «Epicari ti indicherà la strada».
«Epicari? A me? E non verrete con noi?»
«Sono vecchio e cieco, Frederick, con me non avete speranza. Ora però dovete andare. Sei il miglior marito che un padre potrebbe mai desiderare per la propria figlia. Porta i miei saluti ad Abigail e al mio nipotino. O nipotina. E non… non dire loro cosa mi hanno fatto, ti prego».
Frederick scosse la testa.
«Dovete venire anche voi! Non posso lasciarvi qui!»
«Puoi e devi».
«Ma-».
«Va’! Devi metterti in salvo per Abigail e per tuo figlio, Frederick, te lo sto ordinando! Epicari, trascinalo via, non c’è tempo da perdere».
Frederick si sentì afferrare per un braccio da mani piccole, ma con una presa ferrea che lo sorprese.
«Signore, vi prego» disse la giovane donna in un sussurro, cercando di convincere Frederick a muoversi verso la grata della cella, lontano da Mida.
«Epicari!» un sibilo maschile li raggiunse e pochi istanti dopo il viso di un ragazzo adolescente comparve fuori dalla loro prigione, con una torcia in una mano e la chiave nell’altra. «Dobbiamo fare presto o ci impiccheranno tutti quanti».
«Oh, fratellino, non sono mai stata tanta sollevata di vederti».
«Re Mida, vi prego» tentò un’ultima volta Frederick, allungando un braccio verso il suocero prima che anche il nuovo arrivato lo afferrasse per un braccio, aiutando Epicari a portarlo fuori dalla cella.
Prima di chiudere di nuovo la grata a chiave, il giovane che era venuto a salvarli tornò nella cella e versò un liquido chiaro tra le labbra di Re Mida.
«Grazie, ragazzo» sussurrò l’uomo, tentando di sorridere.
Il giovane chinò il capo.
«Vostro fedele suddito, mio re».
Qualche ora dopo, quando ormai il sole si affacciava al nuovo giorno, Re Mida morì e divenne vento per poter accarezzare le guance della sua Abigail e divenne sole per asciugarle le lacrime e divenne terra per agevolarle il passo.
In quel nuovo stato del suo essere, l’uomo divenne parte del tutto e del niente.
 
 


NdA
Scusatescusatescusate per il ritardo. Ho fatto una specie di involontario hiatus anche io, mi dispiace, ma sono sicura che Cla, che ringrazio per il betaggio - e, tra l'altro, Cla, non ho scoperto ora i commenti su Word, ho solo collegato ora che potrebbero essere molto utili nel non dimenticarmi quello che devo scrivere nelle note, lol - vi ha tenuto compagnia a dovere! :D
Riguardo al capitolo… ho un paio di cose da precisare. 
Epicari è citata da Tacito negli Annales nel contesto della congiura di Pisone - se non sbaglio - come un esempio di eroismo, dal momento che preferì torture e suicidio piuttosto che tentare di salvarsi la pelle rivelando i nomi degli altri congiurati.
Accarezzare le spalle è invece un’espressione manzoniana, tratta da I Promessi Sposi.
E… tutto qui.
Scusatemi di nuovo!
A presto,
Trixie :D
 
 
   
 
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