Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: controcorrente    04/03/2015    1 recensioni
Metà del 1800. Soledad Blanca Escobar ha solo 8 anni eppure sa già quanto sia veritiero il significato del proprio nome e, forte dell'esperienza della sua famiglia, arriva a pensare che amore e matrimonio non siano compatibili. Soledad rinnega l'amore ed ogni forma di sentimento, ritenendolo causa di ogni sua sciagura...eppure sarà proprio un matrimonio combinato a farle capire quanto sia importante...sia pure a caro prezzo.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Benvenuti a questo nuovo capitolo della storia. Io vado avanti, sperando che la storia venga bene. Probabilmente, a breve cancellerò LEGAMI, ve lo dico subito. La storia prosegue in modo abbastanza piano.

 

LA LENTA DISCESA

 

Non so quanto dormii.

L'esperienza nella cantina della chiesa mi aveva indebolito più di quanto volessi. Così quando aprii gli occhi, mi ritrovai a guardarmi attorno con sgomento. Vedevo file di alberi e terre piene di mucche al pascolo ai lati della via. Sbattei più volte le palpebre. Il mare non c'era più. Perplessa, sollevai gli occhi verso l'uomo che condivideva con me l'angusto spazio della carrozza.

-Stiamo andando a Orleans-disse, notando la mia espressione perplessa -ci stabiliremo là.-

Avevo sentito parlare di quella città ma non immaginavo che quella sarebbe stata la mia destinazione. Non sapevo cosa dire e così mi limitai a scivolare nel mio silenzio, lasciando che gli occhi bevessero quel paesaggio.

Il viaggio durò molto ma questo non sembrò preoccupare Don Escobar. All'epoca non sapevo l'entità delle sostanze che mio padre possedeva ma ero così abbattuta e rabbiosa nei suoi confronti che non volevo avere molti contatti con lui. Mi rendo adesso conto che era un atteggiamento poco saggio ma avevo solo otto anni e molte, brutte esperienze alle spalle.

-Ci fermeremo tra poco ad una locanda. Mangeremo qualcosa e poi ripartiremo.- disse, con quel tono che non ammetteva repliche e che ormai conoscevo bene. Non c'era motivo di oppormi e temevo troppo la sua forza perché mi potesse venire il desiderio di rispondergli come avrei voluto. Mani che sanno accarezzare e picchiare allo stesso tempo fu il pensiero inevitabile mentre fissavo, senza volerlo i palmi del mio genitore.

 

 

 

 

 

Non sapevo quanto fossi affamata, fino a quando non vidi lo sformato di carne nel mio piatto.

-Mangia-disse Don Escobar, prendendo il piatto che aveva ordinato per sé.

Meccanicamente, ne addentai un boccone. Mi sembrò di mangiare un mattone, tanto era pesante ma le occhiatacce del mio genitore mi forzarono a ingoiare tutto. Man mano che proseguivo, però, mi resi conto che quella dose abbondante che avevo cominciato forzatamente, entrava senza problemi nel mio stomaco, fino a riempirmi e privarmi della debolezza che sentivo addossi dall'inizio del viaggio.

Una volta finito, Ignacio pagò l'oste e, sempre tenendomi in braccio, mi portò su una panchina che stava all'esterno, sotto un albero alto e scuro. -Siamo arrivati a metà strada ma penso che sia meglio raggiungere la nostra destinazione con maggiore comodità.-la informò ma a me non interessavano le sue parole e la sua noncuranza. L'odio che provavo per lui aveva lasciato il posto al disinteresse più profondo. I Rossignol non mi avevano voluto e, dal momento che la famiglia paterna non esisteva più, sapere che dovevo affidarmi a colui che aveva rovinato la mia vita era qualcosa che, alla fine, aveva smesso d'interessarmi. Avevo ormai preso atto che a nessuno importava di una bambina incapace di muoversi. Non ero buona né per un convento né per un matrimonio...come spesso sentivo sussurrare dalle comari che vivevano nei pressi della mia dimora di Cordoba, quando spettegolavano sotto una delle finestre della casa dove vivevo.

Alzai gli occhi, guardando il cielo sgombro di nubi.

Non c'era più possibilità, per me, di rivedere la mamma nell'Aldilà, così mi ero rassegnata a vivere quell'odiosa compagnia come un anticipo delle pene che mi attendevano, per via del mio folle gesto.

-La casa dove andremo a vivere si trova un po'fuori dalla città. Non avremo molti vicini ma credo che non ci importerà molto. Dovremo comunque andare in chiesa tutte le domeniche.-disse, fissandomi. Sentivo i suoi occhi addosso ma finsi di non curarmene.

-Le cose andranno diversamente, da questo momento in poi.-disse.

Chiusi gli occhi.

-Perché avete ucciso la mamma?-chiesi in spagnolo. Non seppi nemmeno perché lo domandai né, tantomeno, perché usai la mia lingua natale.

Don Escobar non parve curarsene molto.

-Perché non avete fatto pace con la famiglia della mamma?- domandai.

Ignatio giocherellò con i bottoni della propria giacca, fissandoli apatico. Era ben vestito ma non sembrava curarsene troppo. -C'è chi vede il benessere nel nome, come i Rossignol...e c'è chi tiene maggiormente ad avere una dispensa piena. Non seguire mai la prima via, chica, perché non ti porterà a nulla.- disse, passando dallo spagnolo al francese.

Allora quelle parole mi suonarono strane, quasi sfrontate.

Non era un modo di ragionare da nobile ma Don Escobar non aveva mai seguito le regole...ma questo non era strano. Avevamo sempre condotto una vita ritirata, senza ricevere molte visite per cui quella prospettiva di solitudine mi era del tutto indifferente.

Quando giungemmo alla carrozza, pronti a ripartire, vidi l'oste avvicinarsi. -Monsieur, il mattone riscaldato e la coperta pesante, come avete richiesto. Il pranzo al sacco è nella borsa...per vostra figlia.-disse, ricevendo alcune monete d'argento.

Quella premura mi disorientò. Incerta, lasciai che mi appoggiasse i piedi sopra al mattone riscaldato. Il calore si diffuse lentamente dalle gambe verso il resto del corpo, lasciandomi un profondo benessere.

Lo sportello della carrozza si richiuse e, sazia e con il sollievo del mattone riscaldato, mi lasciai cullare da quello strano tepore, chiedendomi cosa sarebbe successo da quel momento. Qualunque cosa fosse, comunque, Don Escobar sembrava avere le risposte...ed io, nella mia debolezza, non potevo che lasciarmi portare dalla sua corrente.

 

 

 

Percorremmo molte miglia, seguendo la linea morbida dei sentieri di campagna. Don Escobar non dette segno di voler conversare ed io mi beai del silenzio che mi era concesso. Lo sguardo viaggiava distratto verso la campagna, dove facevano capolino qua e là, come funghi, pigre mucche al pascolo.

Non ne avevo mai viste così tante ma mi guardai bene dal mostrare la sorpresa per una simile abbondanza. Pensai che la Francia fosse un mondo assai strano e, come se non bastasse, aveva un clima umido e noioso. Facemmo un paio di soste, fino a quando non giungemmo nei pressi di una locanda. Ad ogni cambio, Don Escobar si premurò di cambiare il mattone riscaldato con uno nuovo, come se avesse a cuore la mia condizione fisica. Tutto ciò mi sembrò assurdo e privo di ogni logica, giacché la mia salute mi rendeva inadatta a qualsiasi ruolo. Ma allora, continuavo a chiedermi, per quale ragione Don Escobar aveva preso me, una zavorra di carne e sangue nella sua fuga dalla Spagna?

In quel viaggio, assurdo e senza meta, le domande crescevano, anziché diminuire...ma mi promisi di non chiedere altro all'uomo che mi stava di fronte. Sapevo che dovevo accontentarmi delle sue risposte sibilline, dell'osservazione spasmodica dei suoi gesti che questi concedeva. Don Escobar non mi avrebbe mai parlato, se avessi forzato la mano. Al contrario, si sarebbe chiuso nel silenzio, lasciando il Mondo fuori. Se sapevo tutto questo, ciò era dovuto alla semplice spiegazione che anche io ero solita comportarmi così.

Per questo motivo, dopo qualche ora, spossata dal viaggio, mi addormentai di nuovo.

 

 

 

 

 

 

 

-Soledad? Svegliatevi, figlia mia- disse una voce carezzevole.

Aprii gli occhi, incontrando le iridi di Honor specchiarsi nelle mie. Quella vicinanza, mi fece ritrarre di scatto, sgomenta da quella distanza tanto minima.

-Siete proprio come vostro padre.-disse questa, con un sorriso divertito.

-Davvero, madre?-chiesi, aggrottando la fronte e non sapendo se essere felice di quelle parole.

-Neanche lui ama il contatto fisico.-spiegò, carezzandosi le braccia- Non possiamo farci nulla, tesoro.- Il volto di Honor era denso di malinconia, un'ovale perfetto, incorniciato da una chioma d'autunno.Indossava un abito scuro, dallo scollo arrotondato, dal quale usciva un colletto bianco. Il cappello a capote, del medesimo colore scuro, incorniciava il viso, lasciando fuoriuscire alcuni riccioli d'autunno. -Vostro padre è un uomo molto riservato.- mormorò, allungando una mano guantata verso di me -Ancora non lo comprendete ma vi prego di credermi che è difficile capire il prossimo.-

Annuii, non molto convinta e con un filo di timore nel cuore. Honor era solita sprofondare in lunghi e inspiegabili silenzi che duravano giorni e settimane. Spesso, mio padre chiamava il medico perché la visitasse. Avevo paura di quei momenti.Temevo che uno di quei giorni, mia madre volasse via, lontano da me.

 

 

-Siamo arrivati-disse la voce di Don Escobar, riscuotendomi dal torpore in cui ero caduta.

Mi guardai attorno, fissando il paesaggio intorno a noi. La campagna aveva lasciato il posto ad una cittadina diversa. Non vi era più traccia del mare, come se tutto fosse stato inghiottito dalle colline che avevamo attraversato fino a quel momento. Ormai era calato il buio e mi era difficile distinguere con chiarezza i contorni degli edifici. Rimasi comunque colpita dalla presenza di alcuni sporadici lampioni che, a distanza regolare gli uni dagli altri. Quel luogo sembrava diverso dai villaggi che avevo visto fino a quel momento. Gli edifici mi sembravano più alti e, benché fosse buio, la pietra appariva comunque chiara.

La carrozza scivolò nelle vie, immettendosi sicura lungo una strada di medie dimensioni. Assottigliai gli occhi, chiedendomi in quale altro convento, mi avrebbe condotto. Avevo sopportato la cattiveria di quella vecchia malevola e la falsa carità che mostrava a tutti...cosa dovevo attendermi? Niente di buono ma non mi fidavo più di nessuno...soprattutto di mio padre.

Questi pensieri vennero meno nel momento in cui il mezzo si fermò di fronte ad un cancello. Pochi minuti dopo, l'ingresso si aprì e la carrozza entrò dentro.

Alcuni servitori erano all'esterno, tenendo delle lanterne. -Bene, siamo arrivati- mormorò Don Escobar, aprendo lo sportello e uscendo.

-Monsieur, siete giunto piuttosto in anticipo-fece uno di loro, dalla voce bassa e compassata.

-Le stanze e la cena saranno comunque pronte in tempi ragionevoli?-domandò, prendendo con noncuranza il mantello -Mia figlia è molto provata per il viaggio. Assicuratevi che mangi adeguatamente.-

La sua stazza mi impediva di vedere con chiarezza ciò che stava fuori dal mezzo. C'era solo la luce che tagliava la sua sagoma, rendendo tutto più grigio e plumbeo. Poco dopo uno di loro mi prese in braccio, portandomi dentro.

 

 

 

 

 

 

-Mademoiselle desidera altro?-domandò una cameriera, servendomi una fetta di carne.

-No, grazie-risposi, studiando l'uomo di fronte a me.

Don Escobar addentava tutto, guardandomi fisso. -Abiteremo qui, da oggi in poi. Orleans sarà la nostra nuova città, vivremo qui. Ti piacerà.- disse.

A quelle parole, afferrai il bicchiere. -Cosa succederà se i De Rossignol vi troveranno?-esalai.

Ignatio rise. -Pensi davvero che quella famiglia verrà ad aiutarti? Sei una povera ingenua. Le famiglie nobili si occupano di tutelare gli interessi del proprio sangue, mantenendo una reputazione immacolata agli occhi del Bel Mondo. Dimenticati di loro. Non ti salveranno.- rispose, studiando il mio viso.

-Loro mi verranno a prendere, se sapranno dove vivo...e voi pagherete...-provai a dire, prima di sentire le parole venire meno.

L'espressione di Don Escobar era avvolta dalle tenebre, tanto da avvolgere tutto. Nessuno dei servitori si accorse di nulla. Mio padre aveva parlato in spagnolo, in modo da non essere ascoltato da nessuno. -Non credo che i vostri sogni si realizzeranno. La Spagna sta passando un brutto momento ed ora non ci sarà nessuno che avrà voglia di perdere tempo con noi, nonché risorse. Mi dispiace nina.-rispose, con un sorriso sardonico.

 

 

 

 

La casa di Don Escobar era ampia e magnifica.

Meravigliosi arabeschi in stucco decoravano gli interni, gettando una luce candida ovunque. -Vostro padre ha fatto un ottimo acquisto, se mi è consentito dirlo, mademoiselle- disse la cameriera che mi era stata assegnata, una donna dagli occhi castani ed una chioma nera. Si occupava della mia persona, mantenendo il mio aspetto in condizioni accettabili. -Il commercio nel sapone è molto popolare e suo padre è diventato un uomo molto atteso in città..- disse, mentre pettinava i miei capelli- Ha dato molti ottimi consigli ad alcuni mercanti e si sta facendo ben volere da alcuni notabili di Orleans. Qualcuno gli ha persino ventilato l'ipotesi di un soggiorno parigino ma non sembra molto interessato.-

Istintivamente, mi guardai alle spalle. L'espressione della donna era densa di sorpresa. -Mademoiselle, sono convinta che vi troverete bene in questa città. Orleans è un luogo meraviglioso, pieno di negozi e di chiese.- disse, con aria sognante poi, vedendo il mio silenzio, si riscosse -Perdonatemi, non volevo...-

-Non importa- dissi, continuando a guardare la mia immagine. Gli abiti smorti che avevo portato all'inizio, avevano lasciato il posto ad un guardaroba completamente nuovo.

-Se posso permettermi, vorrei complimentarmi per il buon gusto nella scelta degli abiti. Quelle sono le migliori stoffe della città e vi donano particolarmente.- mormorò, tentando di fare conversazione.

Guardai quella cameriera, attraverso il riflesso dello specchio. Si chiamava Charlotte ed aveva 19 anni. Non so cosa vedesse in me ma era molto gentile e, sebbene quei modi mi sembrassero strani, ignorai quel senso di fastidio per quella vicinanza.

Era un privilegio che spettava a Honor, non a quella serva...ma nessuno conosceva i fatti, a parte mio padre ed io. Non sarebbe servito a nulla spiegarle che non era nella condizione di permettersi una simile confidenza, così la lasciavo fare, riservandole indifferenza mascherata da timidezza. -E'stato mio padre a sceglierli-risposi, sia pure malvolentieri.

Charlotte si bloccò un momento, poi riprese a spazzolarmi la chioma. -Sarete comunque molto graziosa. Orleans ha dei magnifici giardini e voi fareste una bellissima figura.- disse.

 

 

 

 

In realtà, non era molto semplice per me seguire il consiglio di Charlotte. Ero una bambina e, come se non bastasse, non potevo muovermi senza la carrozzina. Era una delle tante, amare, verità che avevo digerito.

Non pensai nemmeno di chiederlo al mio genitore. Don Escobar era spesso assente ed io mi sentivo a disagio a fare simili domande. Non credevo che mi avrebbe accontentato e la rabbia era troppo forte per permettermi di spingermi in quella direzione.

Confesso che erano sentimenti del tutto inutili ma nella mancanza di scopo che sentivo dentro, non avevo altro appiglio che quell'odio. I giorni proseguivano sempre uguali, gli uni agli altri, nella più quieta e apatica noia. Per sfuggire a quell'odioso tedio, presi l'abitudine di leggere quei libri che Louis, l'ambasciatore francese, mi regalò durante il breve soggiorno portoghese.

Erano piccoli volumi di favole di La Fontaine, un autore di cui avevo sentito parlare ma che solo allora cominciavo a conoscere davvero. Non avevo ancora una piena padronanza del francese, malgrado l'essere immersa in quel mondo, mi rendesse ormai familiare l'idioma e riuscissi a capire un po'di più le conversazioni più semplici. Non era molto consolante sentirmi così isolata ma quelle novelle, dove gli animali parlavano come persone, era l'unico passatempo che avessi.

Non avevo mai letto quelle storie ma ne conoscevo altre, che mi raccontava Honor, nei nostri pomeriggi insieme. Mi parlava di Don Chishotte e, soprattutto di El Cid. Ripensare a quei racconti aveva qualcosa di amaro e dolce insieme...e più passava il tempo, più mi rendevo conto di quanto fossi sola.

La Spagna della mia vita precedente non mi apparteneva più...né sarebbe stato più possibile per me farvi ritorno. -Mademoiselle-disse Charlotte- potremo scendere al pianterreno e rimanere in giardino. Il sole di questo pomeriggio è molto piacevole.-

Mi girai un momento, vedendo l'espressione della mia cameriera personale. -Forse avete ragione- rispose, con tono sommesso. Non avevo molta voglia di farlo ma mi dispiaceva che la donna, a cui ero stata affidata, passasse il tempo in mia compagnia, annoiandosi di conseguenza.

L'espressione di Charlotte, luminosa come non mai, mi confermò quell'impressione iniziale. Occuparsi di me era oltremodo noioso. Vivevo come un automa. Mangiavo per non scatenare l'ira di Don Escobar. Mi lasciavo vestire per la medesima ragione. Dormivo sognando la mia vita passata e rivivendo l'incubo dello strappo. Un ciclo infinito e privo di scopo, nel quale languivo senza avere la voglia di pensarla diversamente.

 

 

 

 

Con l'aiuto della servitù, venni condotta all'esterno. Spalancai gli occhi, vedendo il verde intorno. La villa era circondata da un giardino all'italiana, intorno al quale erano piantati alberi da frutto che in quel momento non ero in grado di riconoscere. -Questa dimora apparteneva ad una famiglia aristocratica, molto vicina ai Principi d'Orleans ma non sufficientemente ricca per poter essere ammessa a Versailles, almeno fino a quando non sono entrati nelle grazie di Madame Lamballe e hanno avuto accesso alla reggia.-spiegò la cameriera, con fare lezioso.

Vari roseti decoravano i lati dell'edificio, creando giochi di colore strani e insoliti, alternando il tutto a statue di fanciulle e giovani, entrambi svestiti. Quella vista mi lasciò sgomenta e un po'disgustata. I francesi avevano modi ai miei occhi molto volgari ma all'epoca non ero avvezza alla conoscenza, dal momento che avevamo sempre vissuto molto ritirati a Cordoba.

Quel ricordo mi fece male. -Charlotte, è così bella Orleans?-domandai, ottenendo l'espressione stranita della cameriera.

-Certamente, mademoiselle. E'un luogo pieno di storia. Non quanto Parigi ma, di certo, non è una località spiacevole. Ci sono molte pasticcerie e molti negozi di giocattoli.- raccontò, sorridendomi gentile.

-Non ho mai visto niente di tutto questo.-mormorai, chinando la testa.

-Non ne sono sorpresa. E'ancora molto fresco e non è proprio consigliabile muoversi adesso, con questo tempo.- rispose l'altra- Anche i giardini pubblici sono piacevoli.-

Mi girai verso di lei, scorgendo una luce sognante nello sguardo. -Non potrò comunque andarmene-ribattei io, con testardaggine. Ero inchiodata alla carrozzina...e questa realtà non sarebbe mai cambiata. Ugualmente, per quanto la cosa mi affliggesse, sapevo di meritarmi tutto. Era colpa mia se ora non avevo speranza alcuna di guarigione e con questa consapevolezza avevo deciso di smettere di pregare, limitandomi a simularlo. Congiungevo le mani, pronunciavo le preghiere...ma la mia mente ed il mio cuore erano vuoti. Non meritavo alcuna clemenza, così mi crogiolavo nel ricordo, pur sapendo che era un modo di fare distruttivo e inutile. Era tutta colpa mia...e meritavo pienamente ogni scintilla di dolore.

-Mademoiselle, sono certa che vostro padre troverà una soluzione. L'aria aperta gioverà alla vostra salute e di certo vi rafforzerà.-rispose, guardandomi con fiducia.

Sapevo a cosa alludeva. Don Escobar aveva raccontato che la mia incapacità di camminare era dovuta alla poliomielite, spiegando in questo modo la presenza della carrozzina. Nessuno aveva quindi fatto domande sulla mia particolare condizione...ed io non avevo fatto niente per smentire tutto. Il mio carattere introverso e ombroso aveva trovato nella malattia, che non avevo mai avuto, la sua più alta e valida spiegazione. Chi avrebbe potuto credermi se avessi narrato la verità? Chi avrebbe potuto darmi il giusto conforto per la perdita di Honor se persino la sua famiglia non era riuscita ad ottenere giustizia? Mio padre aveva separato la mamma dalla sua stirpe, portandola nella sua dimora a condurre una vita silenziosa e isolata...ma a cosa serviva rivangare tutto?

-Grazie- dissi, forzando me stessa per impedirmi di urlare.

Ero diventata l'ombra di me stessa, un guscio vuoto privo di valore e senso...e quel pensiero mi spaventò, oltre ogni ragionevole dubbio. Avevo cessato di avere ogni diritto di poter sperare di rivedere Honor, al termine della mia esistenza terrena. -Mademoiselle, perché non provate a chiedere a vostro padre? Sono convinta che vi darà il permesso.-mi esortò Charlotte.

 

 

 

Sfortunatamente non avevo la medesima fiducia ma non avevo alcuna scelta e, con il passare dei giorni, continuavo a domandarmi quando mio padre si sarebbe liberato di me.

Era un pensiero nato casualmente, con la stessa genuinità con cui un fungo esce dalla terra, dopo un temporale...e ne temevo le conseguenze, dal momento che l'ignoranza mi aveva risparmiato molte amarezze, sebbene fosse stata inefficace per il mio dolore.

Sentii lo stomaco chiudersi, oppresso da una simile verità.

-Non avete fame, Soledad?-domandò mio padre.

A quelle parole, mi bloccai e, lentamente, alzai lo sguardo verso di lui. La zuppa era ancora nel piatto ma non riuscivo a mandarla giù. Sentivo lo stomaco chiudersi, dandomi delle fitte dolorose che mi gettavano pesanti brividi addosso.

-Dovete finire il piatto. Il cuoco potrebbe rattristarsi della cosa-proseguì.

Provai a fare come mi diceva ma il corpo rifiutava di obbedirmi. Da giorni non riuscivo a mangiare come prima e stavo perdendo nuovamente peso. Ad ogni alba, mi sentivo sempre più debole, meno desiderosa di nutrirmi, meno interessata a quanto c'era intorno a me. Tutto mi appariva insignificante e privo di valore.

Quella bella casa.

Quella servitù gentile.

Quel cibo che doveva essere squisito e che invece sentivo senza sapore. Un nodo di nausea mi investì in pieno, facendomi piegare in due.

-Signorina!-

Non potevo più continuare così, con quella vita inutile. Un nuovo spasmo mi travolse...e finii per rimettere tutto quello che avevo mangiato. Sentii uno scalpiccio diffuso intorno ma non me ne curai, come non sentii nemmeno le mani delle cameriere toccare il mio corpo. In tutto quel trambusto, mio padre fissò inerte la mia sofferenza. Voci confuse mi gravitarono attorno.

-Lasciatela stare e chiamate un medico.- disse infine Don Escobar.

Sentii la sua voce spaventosamente vicina, tanto da gettarmi addosso nuovi brividi di terrore. Sapevo cosa poteva fare e, benché fossi rassegnata, non riuscivo a non aver paura per quello che consideravo un nuovo salto nel vuoto. Istintivamente mi coprii il corpo, preda di un nuovo spasmo. Credevo di essere giunta al limite della sopportazione, vivendo con quell'uomo che non riconoscevo più e con un'esistenza che sentivo sempre più estranea.

Volevo che finisse tutto.

Rivolevo la mamma.

Rivolevo la mia vita apatica e priva di sorprese.

Era un peso troppo grande da sopportare per me...o almeno così pensavo, dall'alto dei miei otto anni. Credevo che tutto fosse finito quella notte maledetta, un tragico epilogo di una lenta decadenza.

Mi sbagliavo, naturalmente.

La rovina è una discesa inarrestabile ed ha infiniti volti...e, per quanto potesse sembrare strano, per quanti colpi potessi ricevere, c'erano parti illese che attendevano la propria percossa. Era solo l'inizio...e già volevo la fine.

 

 

 

Capitolo di passaggio, forse. Non lo so ma spero che la storia continui a piacere. Ringrazio naturalmente Diana924 e coloro che mettono il racconto tra preferiti, seguiti e ricordati. Soledad è al limite, dopo quanto successo. Ha perso la madre e deve seguire il genitore, malgrado tutto. Non so se sono riuscita a esprimere il suo stato d'animo ma spero che vi piaccia. Questi capitoli di passaggio sono importanti, per vedere la lenta trasformazione di Soledad ed il suo percorso di crescita. Quanto alle altre storie, scusate per ogni eventuale ritardo ma sono impegnata con la tesi e quindi gli aggiornamenti vanno a rilento.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: controcorrente