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Autore: Eruanne    05/03/2015    2 recensioni
DAL TESTO: "Anna sentì le dita di lui sfiorare le sue mentre si appropriava della sciarpa e, con gesti lenti e delicati, gliela attorcigliava al collo una volta sola lasciando pendere le estremità sopra la felpa. Le sfiorò involontariamente la pelle quasi solleticandola, facendole abbassare le palpebre dall'imbarazzo; era così vicina da poter annusare il suo profumo di docciaschiuma al muschio bianco, residuo di una doccia fatta probabilmente poco prima, forse addirittura prima di venire da lei. A quel pensiero le si attorcigliò lo stomaco e venne sopraffatta da un calore innaturale, coperto parzialmente dal tessuto blu di lana.
«Ecco, direi che è perfetta.»"
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Richard Armitage
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ti amo come Severus Piton amava Lily'
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STORIA DI UNA SCIARPA BLU DI LANA E DELLA SERENDIPITA' CHE NE DERIVO'



Serendipità: indica la fortuna di fare felici scoperte per puro caso e, anche,

il trovare una cosa non cercata e imprevista mentre se ne stava cercando un'altra.

Wikipedia



ATTO I. COSA ACCADDE


No.

No.

No.

Non poteva essere!

Smise di rovistare febbrilmente nella borsa e tentò di calmarsi. In quel particolare frangente udiva solo le pulsazioni frenetiche del cuore nelle orecchie mentre tutti gli altri rumori erano spariti, inghiottiti dal panico che l'aveva avvolta come quella dannatissima sciarpa avrebbe dovuto fare col suo collo. E invece no!

Perché l'aveva persa.

La macchina parve restringersi, comprimendo le persone sedute attorno a lei o in piedi, attaccate a qualche sostegno per non cadere durante i bruschi movimenti.

Pensa, avanti!

Compì un bel respiro e si concentrò, mentre la metro diminuiva la velocità e si apprestava a fermarsi.

Come in un film registrato su videocassetta riavvolse gli avvenimenti e gli spostamenti della giornata partendo dall'ultima tappa: il supermercato. Per quanto pensasse ricordava piuttosto nitidamente il non averla avuta addosso; se ne sarebbe accorta, altrimenti, visto che nove volte su dieci le avrebbe impedito d'impigliarsi in giro! Perché non si era allarmata quando, aprendo la borsa per recuperare il portafogli, non l'aveva scorta? Che diamine l'era passato per la testa? Assolutamente nulla!

Gemette, nascondendo il volto tra le mani; era inutile piangere sul latte versato, così come era improduttivo insultarsi. Non le avrebbe riportato la sua cara, carissima sciarpa. Il mini market venne così scartato dalla lista di posti papabili al ritrovamento perciò non le rimase che pensare alla biblioteca, dove si era fermata giusto una mezz'oretta a scambiare due chiacchiere con l'amica Jenny.

Stavolta era piuttosto sicura di rimembrare la grossa sciarpa blu, quindi rimaneva solo una cosa giusta da fare. Scattò in piedi appena in tempo per accodarsi dietro l'ultima persona uscita e, scusandosi come mai in vita sua, riuscì in qualche modo a superare la calca dell'ora di punta ed imboccare le scale mobili per ritornare in superficie; si strinse i lembi del cappotto rosso attorno al collo per ripararsi dalle correnti d'aria dei veri treni e, dopo aver strisciato la fedele Oyster card sui lettori ed atteso impaziente l'apertura della barriera – il tutto durato due secondi, ma interminabili per lei – corse fuori.

Pregò con tutta se stessa di non trovarsi le porte dell'edificio già chiuse.



Era stato un fiasco. Un buco nell'acqua non avrebbe mai creato un vortice, questo era risaputo, eppure non faceva altro che invocarlo così che potesse inghiottirla. Lei e la sua sbadataggine. Aveva chiesto a Jenny se, per caso, avesse trovato una sciarpa blu di lana, e si era vista prima rivolgere uno sguardo pensieroso – la speranza aveva brillato debolmente – seguito da uno desolato – e qui la speranza era morta del tutto.

L'amica si era offerta di accompagnarla a guardare in giro perché magari poteva essere finita sotto i tavoli di legno, o qualche anima pia poteva averla appesa da qualche parte o lasciatala sopra un banco, ma niente. Dopo un'ora avevano setacciato ovunque e seccato chiunque date le domande che, giustamente, erano state poste ai frequentatori. Nessuno l'aveva vista, si era dissolta nel nulla. Jenny si era mostrata dispiaciutissima per l'accaduto, assicurandole un'altra occhiata una volta terminato l'orario d'apertura; l'aveva ringraziata e rassicurata, dicendole di non preoccuparsi poiché dubitava fortemente potesse spuntare fuori. Non era certo un oggettino piccolo!

Ed ora si trovava lì, sul pianerottolo del secondo piano, a riflettere; o meglio, a trattenere le lacrime. Non si era mai considerata una persona materiale, però in quel frangente si sentiva esattamente così dato che quella sciarpa era stata un regalo d'addio da parte delle sue più care amiche italiane.

Un prezioso ricordo di quella terra non tanto – eppure sì – lontana; un ricordo tangibile di amicizie speciali e sincere nate e cresciute in un periodo della sua vita su cui non avrebbe scommesso un centesimo, considerando un po' la naturale timidezza e un po' la difficoltà nel trovarsi in sintonia con persone sconosciute. Ogni giorno passato con la compagnia rassicurante e calda della lana blu era un dolce tuffo nei ricordi, uno sprazzo di sorriso nel riportare a galla momenti bizzarri o più seri, un luccichio negli occhi marroni screziati di verde. Si sentiva a casa, con quella sciarpa. Ora, era smarrita.

Non vi era sicurezza, né baldanza. Solo tristezza.

E con che coraggio raccontare l'accaduto alle ragazze? Loro avrebbero minimizzato, prendendola anche in giro riguardo queste paranoie, ma lei non sarebbe stata dello stesso avviso: da quando era a Londra ogni oggetto, anche quello reputato più insignificante in Italia e portatolo con sé, acquisiva valore ai suoi occhi. Perché era un pezzo di pianura nebbiosa in inverno ed afosa in estate. Perché le ricordava i colori sgargianti assunti dagli alberi del lungo viale che dal ponte l'accompagnava fino alla stazione dipinta di giallo, per poi curvare a destra fino a casa, in primavera ed autunno.

Sospirò a fondo, suonando il campanello dell'appartamento di fronte al suo, le mani affondate nelle tasche del cappotto rosso; riconobbe l'abbaiare di Lafayette e una voce gentile avvertirla di aspettare, accompagnata dal suono di passi concitati. Non attese molto prima che la porta si aprisse rivelando la padrona di casa, una donna sulla settantina dal sorriso cordiale e modi affabili.

«Oh, immaginavo fossi tu. Ti aveva riconosciuta.»

Le sorrise, salutandola e accucciandosi quando scorse la macchietta color champagne correrle incontro «Ciao, Lafy. Spero si sia comportato bene.»

«Ma certo, deary, ci siamo fatti compagnia a vicenda. Gradisci una tazza di tè? Hai le dita intirizzite.»

«Non vorrei disturbare.»

«Non pensarlo nemmeno» l'ammonì, sedando ogni eventuale protesta «altrimenti non te l'avrei chiesto. Su, togliti il cappotto.»

Obbedì all'istante mentre un leggero sorriso le increspò le labbra; dopo averlo appeso all'attaccapanni la raggiunse nella piccola cucina calda e accogliente appena in tempo per staccare la spina del bollitore.

La donna nel frattempo aveva tirato fuori dalla dispensa una scatola di biscotti con gocce di cioccolato fondente, poggiandola sulla piccola tavola quadrata di legno chiaro, pronti per esser mangiati.

«Lasci, mrs. Taylor» la fermò, prima che prendesse il vassoio con le tazze fumanti «ci penso io.»

«Ti ringrazio molto.»

Una volta accomodate presero una tazza, aggiungendoci un po' di latte. Bevvero in silenzio il primo sorso, interrotto dalla donna più anziana.

«Ci voleva proprio, vero? Mia nonna diceva sempre che ogni problema si poteva risolvere con una buona tazza di tè e due abbondanti cucchiai di zucchero. Non ho mai capito perché dovesse metterne così tanti, a dirti la verità.»

Anna strinse la tazza tra le mani, alzando gli occhi verso di lei «E funzionava?»

«La maggior parte delle volte sì. Purtroppo il tuo visetto è ancora abbattuto, quindi deduco abbia fallito, stavolta.»

«Non è colpa sua, né del te. E'... niente di importante» minimizzò, dopo una manciata di secondi di silenzio.

«Io non penso, altrimenti ora ti staresti lamentando del freddo di Londra. Era un accenno di sorriso?»

«Mi conosce troppo bene.»

«Siamo vicine da quasi un anno, ormai, e credo d'aver passato abbastanza tempo in tua compagnia da conoscerti almeno un pochino. Non scherzavo quando dicevo d'aver trovato in te una sorta di nipote.»

Anna si ritrovò ad arrossire, come ogni qual volta riceveva un apprezzamento o complimento e tentò di nasconderlo in un sorso di tè caldo «Grazie» mormorò, non sapendo bene come replicare «Mi ha aiutato così tanto, mrs. Taylor, che non saprei proprio come sdebitarmi.»

La donna scosse una mano e le sorrise, intenerita da quella confessione detta con un fil di voce «Fai anche troppo, Anna. Solo, mi piacerebbe sapere cosa ti turba tanto questa sera.»

«Oggi ho perso un oggetto. Una sciarpa, ad essere precise. So che sembrerà stupido, ma ci tenevo perché era un regalo di alcune mie amiche italiane, sa –»

«Aveva un valore affettivo» terminò per lei.

«Esatto.»

Fu il turno di mrs. Taylor di prendersi qualche secondo di tempo per ponderare una risposta adatta; infine, sembrò pronta a parlare «Era un regalo prezioso, non lo nego; un ricordo davvero importante. Ma per quanto lo sia stata... perché non inizi a creare nuove memorie londinesi? Qui non sei felice?»

«Certo!» esclamò veloce, per poi rabbuiarsi «Suppongo... suppongo di sì. Ho pochi eppure buoni amici, in lei mi sembra di vedere una figura famigliare, però –» si bloccò, lasciando all'altra il compito di intuire e tradurre i pensieri in parole.

«Non è casa.»

«Non è casa» ripeté Anna. Ricacciò il fastidioso senso di colpa in fondo al cuore supplicando internamente mrs. Taylor di capirla, anche un minimo.

La donna le sorrise incoraggiante e le batté qualche colpetto affettuoso sul dorso della mano, esortandola a prendere un altro biscotto “Perché ne hai bisogno, deary. Fai onore alla tavola e mi riempi di soddisfazioni!”

Chiacchierarono del più e del meno – finendo il tè in entrambe le tazze – finché mrs. Taylor non si ricordò di un fatto accaduto quel pomeriggio.

«Ah, oggi ho incontrato mr. Armitage, mentre tornavo dalla passeggiata con Lafayette.»

Anna smise all'istante di accarezzare il cagnolino, sedutole in grembo, ascoltando il resto della frase col fiato sospeso.

«Si è fermato a scambiare due parole e tra le tante mi ha domandato come mai avessi questo piccolo demonietto. Credeva fossi partita per tornare a casa, ma gli ho spiegato che invece ti trovavi al lavoro.»

«Capisco.»

Mrs. Taylor osservò le sue guance tingersi di un rosa tenue, intuendo alcune questioni ancora all'oscuro del cuore della giovane. Non soddisfatta della risposta concisa – e tremendamente curiosa – decise di sondare il terreno a piccole ed astute mosse.

«È un uomo gentile e disponibile, nonostante i numerosi impegni. Abito qui da moltissimi anni, ormai, e il Cielo solo sa quante persone bizzarre abbia conosciuto – anche più famose di lui. Eppure credo proprio di poter contare sulle dita delle mani le più meritevoli. E lui è tra queste, credimi! Hai mai avuto occasione di parlarci?»

Anna grattò la testa e le orecchie del cane più a lungo del previsto non sapendo né da dove cominciare né, soprattutto, quanto raccontare senza innescare inutili fraintendimenti. Quel che era certa era la totale mancanza di pazienza nell'ascoltare assurdi consigli basati su sprazzi di effimere conversazioni o innocenti scambi di saluti.

«Sì, io... l'ho incontrato casualmente già due volte, mentre ero in cortile con Lafayette. Le mie impressioni su di lui finora sono buone.»

Ignorò i battiti decisamente accelerati del cuore concentrandosi sui movimenti del cane, ora sceso per trotterellare in giro.

«Ne sono contenta! Credo non ci sia nessuno in questo condominio in grado di parlarne negativamente.»

«Meglio così.»

«Sicuro! Eppure, sai, un po' mi è sempre dispiaciuto» iniziò, incuriosendola col tono basso assunto; pareva fosse in arrivo un momento di confidenza, un pezzetto di succoso pettegolezzo. Alzò gli occhi nocciola dalla decorazione floreale della tazza in ceramica, guardandole il volto rugoso alla ricerca degli occhi azzurri.

«Pur essendo un uomo d'oro e così affascinante, è stato piuttosto sfortunato in amore. Mai storie serie, a quel che so.»

«Forse è semplicemente bravo a mantenere la sua privacy. Scusi la franchezza, ma non vedo perché dovrebbe esserne informata dato si tratta della sua vita.»

Mrs. Taylor si ritrovò a ridere di cuore nel vedere con quanto ardore lo difendesse – benché non se ne fosse resa pienamente conto. Il suo sbottare era stata una prova non tanto schiacciante, quanto piuttosto un altro piccolo tassello di un puzzle più grande. Anna, d'altra parte, rimase interdetta sia dalle parole pronunciate che dalla reazione della donna.

«Mi dispiace. Non volevo mancarle di rispetto.»

«Hai solo espresso il tuo parere, deary. Non c'è nulla di male» strizzò un occhio al suo indirizzo, strappandole un sorriso sollevato «e non crucciarti. Credo di aver capito cosa credi ti manchi per considerarti “a casa”, qui a Londra. Se mi permetti, ti consiglio di non pensarci più del dovuto; quando meno te lo aspetterai arriverà.»

Anna si stupì nel sentire le identiche parole ripetute da sua madre negli anni precedenti, quando lei stessa le esponeva i propri dubbi. Ora non ce n'era stato bisogno, forse perché era vero quanto sostenevano tutti: era un libro aperto, ogni sua espressione veniva analizzata e compresa. Doveva considerarlo un bene o un male?

«Le posso assicurare che non si tratta di quel che pensa» affermò sicura, sentendosi una completa idiota quando mrs. Taylor alzò le sopracciglia a dimostrare il proprio scetticismo.

«E io sono piuttosto certa del contrario, Anna. Ti sentirai sola, a volte, perché succede anche a me; ho perso il mio Rudolph da molti anni eppure sembrano passate solo poche ore, tanto è il dolore. Quindi posso capire bene quanto il tuo cuore brami una compagnia diversa dalle solite amicizie. O da questa vecchia vedova.»

Anna non riuscì a rispondere, limitandosi ad abbassare gli occhi. Inevitabilmente pensò a mr. Armitage, al modo in cui si era sentita scossa dopo le loro brevi conversazioni e prese coscienza di ciò che più la spaventava. Le era entrato sottopelle riuscendo a raggiungere il cuore. Non sarebbe mai dovuto accadere perché non potevano esistere persone più diverse al mondo di loro due; erano agli antipodi, questo lo sapeva. Lui non avrebbe mai provato nulla all'infuori di una superficiale amicizia e lei, d'altro canto, avrebbe dovuto farsela bastare seppellendo qualsiasi altro sentimento. Impresa non facile, dal momento che non era mai stata brava a mentire. E se l'uomo avesse scalfito la superficie desiderando qualcosa di più rimanevano comunque i problemi legati al suo mestiere e, non meno importante, alla differenza d'età: ben diciassette anni. Un'enormità, anche se lei aveva sempre affermato che quando avrebbe amato qualcuno niente le sarebbe stato d'ostacolo. Ora doveva rimangiarsi le sue stesse parole ed essere realista. Non sarebbe mai accaduto niente di quel che desiderava quasi più di ogni altra cosa.

Per lei era stato il classico e totale colpo di fulmine, al di là del fatto fosse un attore e lei una sua grande fan. E, come tale, andava dimenticato in tutta fretta.

«La ringrazio per il tè e la chiacchierata, ma ora devo proprio andarmene. È stata una lunga giornata.»

«Certo, comprendo.»

Anna strinse le labbra e chiamò a sé il cane, camminando fino alla porta e attendendo fosse la padrona di casa a compiere la mossa successiva; la salutò un'ultima volta e si lasciò l'appartamento alle spalle per dirigersi al suo. Non fu mai così lieta come in quel momento, quando chiuse la porta e ci si appoggiò esausta, sia mentalmente sia fisicamente. Desiderò solo buttarsi a letto e dormire fino a dimenticare quei sentimenti che, neanche troppo lenti, divoravano l'anima e il cuore lasciando un immenso vuoto nero. Un vuoto rispondente al nome di Richard Armitage.



ATTO II. COSA ACCADDE TEMPO DOPO


Natale era passato in un lampo, trascinandosi con sé le festività. Col cuore gonfio di tristezza aveva salutato i parenti e la sua casa per far ritorno alla fredda e nevosa Londra, dove si era ricongiunta con Lafayette, rimasto ospite di mrs. Taylor. Era ritornata da poche ore nel suo piccolo ma accogliente appartamento ed aveva già terminato di disfare la valigia, avviato la lavatrice, si era rinfrescata un poco e ora aveva deciso di rilassarsi con una buona tazza di tè ed un libro; aveva infilato il pigiama e tolto le lenti a contatto pensando che, data l'ora – appena le sette e mezzo di sera ma era stanca morta, tanto da non aver voglia di cenare – nessuno le avrebbe fatto visita.

Dovette ricredersi quando udì un discreto bussare alla porta invece del solito trillo del campanello. Aggrottò la fronte, chiedendosi chi potesse essere e contemporaneamente maledicendo l'ospite inatteso perché avrebbe dovuto mostrarsi in quell'aspetto casalingo. Era quasi arrivata alla porta, la mano destra già sulla maniglia, quando udì distintamente la voce profonda.

«Anna? Sono Richard.»

Si bloccò, e dovette sembrare davvero una sciocca, ferma lì con la mano a mezz'aria. Fortuna era sola, a parte il piccolo carlino!

In un attimo le passarono davanti agli occhi frammenti delle loro ultime tre – ed uniche – uscite, terminate con un casto bacio sulla guancia; di ciò non poteva certo lamentarsi, poiché era a conoscenza della fortuna capitatale e di sicuro invidiatale se l'avesse confidato a qualcuno. E il Cielo solo sapeva quanto incontenibile fosse stata la felicità – unita ad una buona dose di incredulità – nel ricevere il primo invito, giorni dopo l'inconveniente con la sciarpa. Gli altri due si erano susseguiti un po' più tardi, durante i mesi successivi – si era chiesta se avesse combinato qualcosa di grave, magari una parola fuori posto o un gesto non appropriato! – ma infine erano giunti, inaspettati e graditi come non mai. Ora non avrebbe dovuto esitare ad aprire, poiché il cuore pareva scoppiarle in petto tanta era la gioia; invece stava tremando da capo a piedi, lo stomaco si era annodato, faceva fatica a deglutire e ogni pensiero era volato altrove. Finché la voce al di là del legno non la riportò di nuovo coi piedi per terra, ricordandole ch'era lì fuori ad aspettarla e che lei, da vera maleducata, lo stava facendo attendere sul pianerottolo gelido.

«Al diavolo!» borbottò, stanca di tutte quelle paranoie. Afferrò la maniglia e aprì, ritrovandoselo davanti in tutta la sua altezza.

«Ciao» la salutò, con un leggero sorriso imbarazzato «Ehm, disturbo?»

Per un breve attimo non capì subito a cosa si riferisse, ma le parve tutto chiaro quando ricordò di portare quel terribile e vecchio paio di occhiali dalla montatura rettangolare e di indossare il pigiama bianco a piccoli pois rossi sotto la felpa di pile color lavanda. Una meraviglia.

«No no, figurati!» esclamò, la voce improvvisamente più acuta «Entra, ti prego. Starai morendo di freddo, sei senza cappotto.»

Richard sorrise ed entrò, scuotendo la testa ma mantenendo le braccia dietro la schiena «Sono appena uscito dall'appartamento, quindi il tempo di scendere le scale ed eccomi qui. Di certo non sto tremando» ritornò serio, lasciando vagare lo sguardo azzurro ovunque tranne su di lei «Sono andate bene le vacanze?»

«Oh, certo. Normali feste tra parenti, piene di cibo e... altro cibo. Le tue come sono andate?» domandò, sperando di uscire dal vortice di imbarazzo.

«Non male. Mia madre mi avrebbe impedito di ritornare, se avesse potuto.»

Sorrise «Immagino. La mia è quasi scoppiata a piangere il giorno della partenza.»

«Scusami, non volevo... insomma, le mie parole non... ah, non riesco nemmeno a spiegarmi!»

Il sorriso si tramutò in una leggera risata di fronte allo sbotto «Ho capito, non preoccuparti. E non devi scusarti di niente» sciolse le dita ormai indolenzite dall'intreccio in cui le aveva costrette e batté piano le mani «Ti offro qualcosa? Un tè, un caffè... stavolta ho la scorta, a casa mi hanno rifornita» aprì le ante iniziando a tirar fuori ogni sorta di bevanda o biscotti pregando nel contempo di non far cadere nulla a causa delle dita tremanti.

Sentiva le occhiate di Richard in ogni centimetro di corpo, e non era affatto preparata a questo né alle figuracce che, sicuramente, sarebbero arrivate a sbeffeggiarla ricordandole per l'ennesima volta di non essere all'altezza dell'attore. Un fulmine a ciel sereno le ricordò ch'era da tanto che non lo chiamava così; ora per lei esisteva solo l'uomo. Esisteva solo Richard.

«Un tè sarebbe perfetto, grazie.»

Il cuore tornò a battere normalmente mentre annuiva e riempiva il bollitore; quando si girò gli lanciò un'occhiata incuriosita nel vederlo lì in piedi, impalato come uno stoccafisso e le mani ancora dietro la schiena. Sembrava aspettare qualcosa – un momento specifico, forse. Non distolse mai lo sguardo dal suo mentre le si avvicinava e schiudeva le labbra in procinto di parlare.

«Siccome il mese scorso non abbiamo avuto molte occasioni e non ci siamo visti, ne approfitto per darti il mio regalo.»

Finalmente mostrò ciò che nascondeva, ovvero un pacchetto avvolto in una semplice carta rossa adornata con un nastro argentato. Anna lo guardò, stupita e piena di vergogna, non riuscendo a frenare il rossore impossessatosi delle gote.

«Buon Natale. Anche se in ritardo.»

«Non avresti dovuto» mormorò in un soffio senza rispondere al sorriso dell'uomo che, d'altra parte, scrollò le spalle.

«Prima aprilo e poi decidi se avrei dovuto o meno.»

Prese il regalo tra le mani, soppesandolo e notandone la morbidezza; escluse immediatamente un libro e qualsiasi oggetto duro mentre la curiosità la divorava e un leggero sospetto iniziava a farsi largo nel cuore. Strappò la carta – l'unico rumore in tutta la casa, visto che Lafayette di sicuro stava dormendo nella sua cuccia – e contenne a stento una risata nel riconoscere una macchia blu.

Spostò alternativamente gli occhi finché non si posarono su di lui, riconoscente come poche volte in vita sua «E' praticamente identica a quella persa! Come sei riuscito a trovarla? Ho setacciato ogni negozio londinese senza successo.»

Richard si mostrò più che soddisfatto regalandole un meraviglioso e luminoso sorriso esteso fino allo sguardo blu «Sapevo la volevi – o rivolevi, in questo caso. Spero ti piaccia e no, non ho intenzione di rivelarti niente. Il come l'ho trovata rimarrà un segreto.»

«Certo che mi piace, sul serio! Grazie infinite ma davvero, non dovevi disturbarti» tornò seria, mortalmente dispiaciuta «Io non ti ho comprato nulla. Non ho avuto alcuna idea e –»

«Non importa, Anna. L'ho presa perché lo desideravo, senza volere qualcosa in cambio» se possibile, la voce bassa e roca le provocò alcuni brividi lungo tutta la spina dorsale e rimase leggermente ipnotizzata osservando le lunghe dita della mano destra correre a scompigliare i corti capelli scuri, lasciando che alcuni ciuffi gli ricadessero sulla fronte.

Sorrise pienamente, creando due graziose fossette ai lati delle labbra – prima la fossetta a sinistra e poi la destra, come Richard aveva imparato a osservare.

Anna sentì le dita di lui sfiorare le sue mentre si appropriava della sciarpa e, con gesti lenti e delicati, gliela attorcigliava al collo una volta sola lasciando pendere le estremità sopra la felpa. Le sfiorò involontariamente la pelle quasi solleticandola, facendole abbassare le palpebre dall'imbarazzo; era così vicina da poter annusare il suo profumo di docciaschiuma al muschio bianco, residuo di una doccia fatta probabilmente poco prima, forse addirittura prima di venire da lei. A quel pensiero le si attorcigliò lo stomaco e venne sopraffatta da un calore innaturale, coperto parzialmente dal tessuto blu di lana.

«Ecco, direi che è perfetta.»

Non accennò a spostarsi e nemmeno lei pensò di muoversi; anzi, si ritrovò a sperare di rimanere perennemente lì in piedi, accanto alla tavola in legno color panna, a bearsi della sua presenza.

«Ti piacerebbe restare per cena?» chiese d'impulso, correggendo il tiro con un «Per sdebitarmi. Se non hai già mangiato» quasi si morse la lingua constatando con rabbia di stare balbettando.

Difetto che, purtroppo, non si era scollata di dosso con l'età. Le capitava se era soprattutto nervosa o eccitata per qualcosa e, a quel punto, doveva prendersi alcuni secondi per riordinare le idee e parlare con più calma; eseguì anche in quel caso nascondendo il volto fino al naso, non accorgendosi dell'occhiata dolcemente intenerita al suo indirizzo.

«Mi piacerebbe tanto. E mi piacerebbe...» allungò entrambe le mani ai lati del viso, sfilandole piano piano gli occhiali neri sotto il suo sguardo pienamente sconcertato.

«Non vedo niente, sai?» brontolò incerta, cercando di trovare una qualsiasi ragione valida al comportamento strano.

«Non hai bisogno di vedere, per questo.»

Si abbassò quel tanto che bastava – lei poteva vantare un'altezza leggermente superiore alla media, anche se di fronte alla sua si sentiva finalmente bassa – dapprima sfiorandole il naso col suo, lento, quasi a concederle il tempo di ripensarci e ritrarsi; poi le labbra si toccarono e si schiusero, incastrandosi alla perfezione come fossero state create apposta per quel momento – e a quel punto ogni tratto del viso di Richard era talmente nitido da confondersi, portandola a chiudere gli occhi mentre le orecchie rimbombavano dei colpi del cuore impazzito.

Fu un bacio senza traccia di lussuria, quasi timido e guardingo eppure incredibilmente delicato al pari di una carezza leggera come quella lasciatagli sulla guancia appena ispida. La estraniò da tutto, persino dal fuoco propagatosi dal collo ancora avvolto dalla sciarpa – un nuovo ricordo di Londra, il segno di una svolta tanto attesa quanto insperata – al viso, lambito dalla mano destra di Richard. Non riusciva a formare alcun pensiero coerente, conscia solo delle labbra sulle sue, dei respiri divenuti uno solo, delle lingue che iniziavano ad esplorare e conoscersi, caute; dei corpi che si avvicinavano come attratti da una forza invisibile volta solo a far udire all'altro il battito frenetico del cuore e assaporare il calore della pelle attraverso gli abiti.

Sarebbe venuto il tempo delle spiegazioni, si disse, in cui ogni dubbio – ogni paura da quando era iniziata quella stramba avventura – avrebbe trovato pace. In cui entrambi avrebbero trovato conforto nell'altro, in cui avrebbero affrontato tutte le sfide a testa alta e senza timore, armati solo del loro amore.

Ma non era questo il giorno.

Sorrise mentalmente alla citazione, sorrise realmente sulle labbra di Richard, tra un bacio e l'altro. E quando si staccarono gli occhi brillarono, pieni d'un potente sentimento finalmente emerso dal mare di timore e pessimismo.


ATTO III. COSA ACCADE ORA


Cerca di asciugarsi gli occhi, senza successo. Non riesce a frenare le lacrime nemmeno volendolo e si ritrova a premere la sciarpa blu – con ancora addosso un lieve sentore del suo profumo – sulla bocca, almeno per darsi un contegno e calmare i singhiozzi. Nel momento in cui compie respiri profondi, ed è quasi riuscita a riprendersi, lo sguardo si posa sullo schermo spazzando via ogni misero tentativo.

Si è soffiata per l'ultima volta il naso e si è strofinata gli occhi gonfi quando sente la chiave girare nella toppa e la porta dell'appartamento aprirsi; non risponde al saluto – davvero, vorrebbe – nemmeno alza la testa quando lo sente avvicinarsi, continuando a cercare conforto nel calore della sciarpa di lana.

«Ciao. Ma... che succede?» si sente chiedere con voce preoccupata. Di certo si è accorto dei fazzoletti di carta appallottolati sul tavolino e del suo aspetto tutt'altro che allegro. Gli occhi blu si spostano sui titoli di coda e le orecchie riconoscono la canzone finale comprendendo il motivo dello stato d'animo della moglie.

«E' già la terza volta che lo rivedi in una settimana. Non è troppo?»

Sposta la vaschetta ormai vuota di gelato alla stracciatella – sul serio, proprio non capisce come riesca a mangiarlo in pieno inverno – e le si siede accanto, circondandole le spalle con il braccio sinistro mentre col destro drappeggia la coperta di patchwork scozzese in modo da coprirli entrambi. Le asciuga la scia di lacrime sulla guancia e gliela bacia solleticandola con la barba folta, ricordo del ruolo di Thorin Scudodiquercia.

Anna sa bene che dovrebbe tagliarsela a causa di altri ruoli, ma proprio non riesce a capacitarsene! Non potrebbe lasciarsela?

Si schiarisce la voce lacrimosa, indicando il video col mento «Perché Tolkien ha ideato e scritto dei finali così deprimenti? Frodo ai Porti Grigi, per non parlare del discorso di Gandalf e ora questo! E Peter Jackson... gli farò causa per danni morali e... e... tu –» non termina, puntandogli l'indice contro.

«Io? Ho solo fatto il mio lavoro.»

«Sei stato anche troppo bravo» piagnucola, mentre un'altra lacrima sfugge alle ciglia «Non potevi esserlo meno? Ora ho un bisogno estremo di coccole.»

Richard sorride – di quel mezzo sorriso malizioso che le fa perdere sempre qualche battito.

«Vieni qui, su» l'abbraccia più stretta, trasmettendole consolazione e dolcezza. Incredibile come la visione di una pellicola, per quanto triste, possa destabilizzarla in questo modo; d'altra parte, però, la sua giovane, incredibile compagna di vita mostra tutta la sensibilità di cui afferma essere sprovvista – convinzione errata, perché lui sa bene quanto invece lo sia – quando decide di guardarsi il terzo film de “Lo Hobbit”.

«Sono proprio una stupida» mormora, l'orecchio premuto sul torace ad ascoltare i placidi battiti del suo cuore; in risposta, lui la stringe appena.

«Affatto. Dimostri solo l'attaccamento ai personaggi, in particolare a Thorin. Non c'è nulla di male.»

Le dita compiono piccolissimi movimenti circolari su una minuscola porzione di petto, sa di farlo impazzire «E' orribile vederti morire.»

«E' solo finzione.»

«Lo so, ma sembra tutto così reale.»

La voce si incrina ancora, probabilmente la mente le gioca il pessimo scherzo di farle rivedere infinite volte il fatidico momento.

«Anna, guardami» solo quando è certo degli occhi nocciola sui suoi allora sorride, sorride davvero «Sono qui in carne e ossa, stanco morto per il sevizio di Sarah – a proposito, ti saluta – e mi piange il cuore nel vederti in queste condizioni. La prossima volta scegli un film comico, così la tristezza passerà.»

Anna sgrana gli occhi, sconcertata «Sei impazzito? Ora mi riguardo “La Compagnia dell'Anello”! Almeno Aragorn non mi ha mai delusa» il tono è molto più giocoso, ora, perciò anche Richard si rilassa visibilmente; alza le sopracciglia, fingendosi sorpreso.

«Ah, davvero?» senza concederle tempo di capire si getta su di lei iniziando a solleticarla ovunque, costringendola a tapparsi la bocca con la sciarpa per non urlare troppo forte e vanificare tutti i precedenti sforzi.

Il corpo è scosso da tremiti continui e nuove lacrime si affacciano agli angoli degli occhi, stavolta senza portare tristezza con loro. Gli fa cenno di smetterla e indica il corridoio, al che lui finalmente si quieta e la bacia sulle labbra, realizzando d'aver agognato quel momento da quando era uscito di casa quella stessa mattina.

Gli mordicchia il labbro inferiore e lo sente sospirare, la bocca si schiude permettendole di iniziare un piacevole gioco con la sua lingua. Le mani accarezzano il collo e salgono alla nuca, graffiandogliela leggermente quando sente le mani di Richard intrufolarsi sotto il maglione. Un gemito sfugge quando con una mossa lenta e calcolata glielo alza, scoprendo la pelle della pancia e dello stomaco e le lascia una catena di baci fino al minuscolo neo appena sotto il fiocchetto verde dell'indumento intimo. E' allora che si ferma e alza gli occhi verso il suo volto arrossato, trattenendo a malapena un sorrisino malizioso.

«Mmh, questo è un colpo basso, Anna» lo sfiora con la punta del naso e poi vi poggia le labbra, mordicchiandolo; quel reggiseno è una vera tentazione, così come la voglia di strapparglielo di dosso. Pressoché incontenibile.

La sente agitarsi, e niente è più bello di quel momento perfetto in cui lei è in sua totale balia.

Finché un vagito non li raggiunge, bloccandoli.

«Vado io.»

«Sicura? Posso benissimo pensarci da solo» afferma, rimettendole a posto il maglione e spostandosi dal suo corpo.

Per tutta risposta gli sorride e gli bacia la fronte nel punto in cui si nota la piccola cicatrice tonda, regalo della varicella d'infanzia «Tu riposati. Non eri distrutto, poco fa? Quando ho finito di cambiare Peter magari potrò guardarmi quel benedetto film.»

«O continuare questa interessante attività.»

«Attento, Armitage. Non vorrei mi crollassi esausto» provoca, accennando un'occhiata sensuale.

Oh, quanto lo eccita sentirle pronunciare il proprio cognome con quell'accento italiano.

La punta della lingua guizza fuori, a bagnare le labbra «Non vedo l'ora di mostrarti quanto possa essere resistente, se lo desidero. E con te è sempre un costante desiderio, sweetheart

La vede arrossire – ancora non ha perso questa dolce caratteristica – e, compiaciuto, si sporge a donarle un lieve contatto a fior di labbra seguito da una strizzatina dell'occhio destro. La segue con lo sguardo finché non sparisce nella stanza del loro piccolo bambino e si permette di sospirare mentre si distende sul divano; la nuca entra in contatto con qualcosa di morbido, non può fare a meno di sorridere quando riconosce la sciarpa. La piega con cura e la poggia sul tavolino ricordando come fosse accaduto ieri il momento in cui il loro rapporto aveva intrapreso una nuova e meravigliosa strada. Tutto era irrimediabilmente mutato da quella lontana serata d'inverno di ben sei anni prima e non si era pentito di un singolo momento. In primis, non si era mai pentito di lei, mai l'avrebbe anche solo pensato. Insieme avevano lottato per i loro sogni costruendo una famiglia a dispetto di ogni pregiudizio e di quelle persone che fin da subito si erano dimostrate contrarie. Era felice allora, è felice adesso. Non potrebbe chiedere di meglio né di più, poiché ha tutto ciò a cui ambiva.


Quando ritorna in salotto – ha impiegato più tempo del previsto a riaddormentare Peter perché proprio non voleva saperne di chiudere gli occhioni blu – sorride e scuote la testa, lasciando fuoriuscire un soffio divertito. Richard dorme un sonno profondo, il petto si alza e si abbassa ritmicamente denotando tranquillità. La coperta lo copre parzialmente – forse si è mosso allungando quelle gambe chilometriche che si ritrova – e non può fare a meno di risistemargliela lasciandogli un bacio sulla fronte. Pensa che è davvero bello, lì sdraiato e pacificamente addormentato; le ricorda molto loro figlio e di nuovo ringrazia chiunque, lassù, per averle instillato il desiderio di abitare a Londra e averle indirizzato quel preciso condominio dove, a sua insaputa, l'attendeva l'uomo della sua vita.

Cammina verso il lettore dvd e traffica un pochino, finché il dvd de “La Compagnia dell'Anello” non è inserito e pronto a farle rivivere per l'ennesima volta le sue spettacolari avventure alle quali è legata con un filo indissolubile. Si accomoda per terra, la schiena a contatto col divano e, con decisione e un bel sorriso sulle labbra, schiaccia il pulsante play.

La sciarpa rimane al suo posto poiché non ha bisogno di conforto, se Richard le è accanto.




CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Buongiorno e ben ritrovati! Ebbene sì, sono ancora qui e pronta a invadere il fandom con un'altra one-shot su Anna e Richard stavolta divisa in tre parti. Il filo conduttore è questa sciarpa blu di lana, scoperta a causa di una foto in cui il nostro attore preferito la indossava. Solo che questa sciarpa mi sembrava più “da donna” che da uomo, e la mia mente malata ha iniziato a partorire strane idee su questo capo d'abbigliamento regalato ma che poi diventa praticamente “in comune”, anche se per la maggior parte del tempo la indossa solo lei.

Se devo essere sincera non mi convince moltissimo, a parte il secondo atto. Purtroppo è da un po' di tempo che non scrivo e, per quanto abbia provato molte volte a tagliare, aggiungere pezzi, cambiare qualcosina, il risultato finale è questo. A voi la sentenza, miei lettori! Vi chiedo di perdonarmi e dirmi se qualcosa non è stato di vostro gradimento, se avete trovato errori o altro. Inutile dirvi che Richard Armitage non mi appartiene (che amarezza) e tutto ciò che ho scritto non è a scopo denigratorio, di lucro, eccetera eccetera. Insomma, lo si fa per divertirsi ;)!

P.S. I primi due atti si svolgono prima che Richard interpretasse lo Hobbit, ovviamente – circa nel 2011 –, mentre il terzo coincide con l'uscita dell'ultimo film.


Saluti e buona lettura, grazie in anticipo a tutti!

Eruanne <3

  
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