Bleach © Tite Kubo.
Fix You © Coldplay.
Dedicata a mia cugina, a cui devo la scoperta di Bleach,
Code Geass, eccetera.
A colei che è più otaku di me e la mia
Spacciatrice di manga. <3
A Mari.
But every night I call your name
[Lights will guide you home.]
Rukia sorrideva leggermente,
osservando Ichigo mentre appoggiava Orihime a terra, con delicatezza, al
contrario di ogni aspettativa.
Guardò la giovane voltarsi
con il vestito bianco e gonfio sporco e il viso chinato a terra, mentre mormorava
un tremulo: «Arigatou», una gratifica dolcissima per tutte le cicatrici
collezionate a Hueco Mundo.
Rukia l’avrebbe fatto un altro milione di volte solo per rivedere quel sorriso
abbozzato.
Ichigo si era portato una
mano dietro la testa e si grattava la zazzera arancione, con
quell’atteggiamento teso che assumeva quando doveva trattare con le persone,
quando non sapeva cosa dire o fare. Tremendamente stupido, come sempre.
«Di niente, Inoue. Grazie a te per… per
avermi medicato, ecco.» bofonchiò alla fine, deviando lo sguardo verso il
cielo, d’un plastico azzurro.
Orihime sorrise, le guance
rosse, scuotendo piano i lunghi, setosi, capelli chiari, dello stesso colore
esotico di Ichigo. Erano così simili,
in quel momento. Stesso imbarazzo, stesso sguardo che vagava a terra, stesso
mezzo sorriso – la facevano sentire di troppo. Chissà se era così che si era
sentita Orihime, quando Ichigo aveva salvato lei.
Senza volerlo, le labbra di
Rukia si tirarono in un’espressione tormentata.
Renji, accanto a lei,
sbadigliò vistosamente, grattandosi il mento ruvido di barba rossiccia. Lo
shinigami la fissava dal basso, seduto su d’un marciapiede, il mento abbandonato
sul palmo di una mano e i piccoli occhi scuri indifferenti che vagavano sul suo
viso.
«Neh, Rukia, sai che adesso
torniamo a Soul City, vero?»
Rukia sbatté le palpebre,
sorpresa dall’uscita. «Ovvio che lo
so. E tu sai che dovremo subire qualche punizione non proprio indolore e
onorevole, vero?»
Renji annuì, senza apparire
preoccupato. «Aha.»
Rimasero per alcuni minuti
seduti in silenzio, fissandosi, senza pensare a niente in particolare, godendo
la reciproca compagnia.
«Neh, Rukia…»
«Uh?»
«Dovresti andare a
salutarlo. Potreste non rivedervi più, sai.»
Rukia, a sorpresa, scoppiò a
ridere. «Abbiamo tutto il tempo del mondo, Renji!»
Si avvicinò a lui con
lentezza, ciondolandosi appena per attirare la sua attenzione.
«Ehi, Ichigo!»
Il ragazzo si voltò verso di
lei e sogghignò dall’alto verso il basso. «Yo, Rukia. Sei tutta intera, sì?»
Lei sbuffò, irritata. «Ho qualche
graffietto in più solo perché Orihime
era dannatamente stanca dopo aver curato le tue,
di ferite!» gli rinfacciò, mentre la bocca si piegava a virgola, in una smorfia
sarcastica.
Ichigo mormorò un suono
sommesso, da scorbutico, che la fece sghignazzare.
«A proposito, non è meglio
che Orihime vada a casa a riposare? È da poche ore che tutto è finito.»
Ichigo alzò le spalle e i
suoi occhi fissarono il gruppo chiassoso a poche metri da loro,
pensieroso. «Inoue
sta bene dove sta.»
Rukia sorrise, cercando di
non essere troppo dolce, per non far trapelare la sua commozione.
«Già, hai ragione. È meglio
che rimanga in compagnia il più a lungo possibile, ha bisogno della vostra
presenza.» Cambiò tono, diventando mordace. «Che animo gentile che hai Ic– !»
Non finì la frase che una
farfalla nera si posò sulla sua spalla.
Lui la osservò per qualche
attimo, sorpreso, senza capire cosa potesse significare.
Rukia rabbrividì guardando
gli occhi di Ichigo farsi sospettosi e più sottili.
Sapeva che dietro la sua spalla
si potevano vedere suo fratello, Renji, Rangiku, Hitsugaya e gli altri
aspettarla, pronti per aprire il varco.
All’improvviso, si accorse
di avere il cielo sopra la testa e un
vago senso di smarrimento la colse impreparata. Sentì il suo corpo tendersi e
irrigidirsi per trattenere un brivido, contenendo una paura che le bloccava il
fiato (respiro?) in gola.
«Rukia.»
Che voce irritante. Un tono
deciso e roco che la faceva fremere.
«Cosa significa?»
«Stiamo per tornare a Soul
City» sussurrò, incerta, facendo scivolare gli occhi lungo la bocca di Ichigo
inconsapevolmente, sperando di riuscire a capire dal movimento delle labbra le
sue parole perché, al momento, non riusciva ad ascoltare nulla che non fosse un
incalzante battito nelle orecchie.
«…cosa?» sillabò Ichigo,
spalancando gli occhi. «Di già? Non rimanete con noi a festeggiare?»
Rukia sorrise. «Piacerebbe
molto a Rangiku-san, ma abbiamo delle colpe a cui
rispondere, lassù.»
Gli fece un occhiolino,
serena, e di risposta Ichigo la guardò attentamente, facendosi insicuro. «Così
mi volevi salutare, eh?»
«Già. Allora…
ciao, Ichigo.»
«Ciao…»
Gli diede le spalle e
s’incamminò con piccoli passi eleganti verso il portale, già aperto. Ad
aspettarla erano rimasti solo Renji e Byakuya, entrambi imperscrutabili e
silenziosi. Rukia fu grata di quell’appoggio silenzioso, anche se sapeva di
aver mosso in entrambi preoccupazione e sconcerto con il suo atteggiamento
giulivo. Non avevano ancora capito. E nemmeno Ichigo, dal tono smorto con cui
l’aveva salutata.
«EHI RUKIA!»
La shinigami si fermò a metà
strada, gli occhi nascosti dal ciuffo di capelli neri.
Si voltò, incapace di
trattenersi dal guardarlo nelle iridi scure, così scure che le ricordarono
quelle di una tormenta (ma non c’era il fulmine, fortunatamente; l’Hollow
dentro Ichigo era ormai assopito).
Era talmente caldo quello
sguardo, che Rukia si sentì improvvisamente debole, ma le piacque; era un
debolezza che sapeva di caramelle e dango.
«Sì?»
Ichigo tentennò, la fissò a
lungo, intervallando il suo viso alla farfalla nera che le stava accanto,
ricordandole che era il tempo degli arrivederci; aveva la bocca semi-aperta,
quasi ci fosse qualcosa che gli sfuggiva e volesse, risucchiando aria, comunicare.
Rukia ridacchiò.
«Ehi stolto, per parlare
devi muovere la mascella, comprendi?» ironizzò beffarda, incrociando le braccia
al petto, sfrontata e sicura, atteggiamento che le veniva naturale vicino a
Ichigo. Si sentiva protetta da tutto, accanto a lui, perfino dalla propria
insicurezza.
Le narici di Ichigo si dilatarono
e il ragazzo strinse i denti, scostando lo sguardo, imbronciato.
«Abbi cura di te, pidocchio.»
Le dita di Rukia fremettero
per qualche attimo.
«Vedi di non farti uccidere tu, Kurosaki!»
Se ne andò voltandogli le
spalle, nascondendo calcolatamente gli occhi e il viso, in modo che Ichigo non
potesse notare le labbra che tremavano incontrollabili.
Nessuno degli altri disse
nulla, ma Renji le toccò il braccio e Rukia lo maledì perché non aveva proprio
bisogno di nessun conforto, nessun bisogno di compatimento.
Era soltanto irritata dalle
parole di Ichigo – sempre preoccupato per lei, per gli altri, e a lui? Doveva
pensarci sempre lei, al suo bene! –
e, questo lo ammise quando stava per varcare il portale, era un po’ turbata
poiché il saluto ‘leggero’ era stato un
po’ più difficile da realizzare di quanto avesse creduto.
Prima che il portale si
chiudesse, ancora una volta, come un dejà-vu, sentì la voce roca di Ichigo e il
suo nome. Sbuffò, trattenendo le proprie gambe dal muoversi verso la terra.
Dio, come lo pronunciava bene.
*
When you get what
you want but not what you need
When you feel so tired but you can't sleep
Stuck in reverse
«Rukia!»
Scattò a sedere, il sudore
che le colava gelido lungo la schiena e il respiro affannoso.
Ancora.
«Merda.» mugugnò,
strofinandosi la fronte bagnata e dolorante per l’ennesima forte emicrania che
le martellava il cervello.
«Signorina Kuchiki?» Alzò
appena gli occhi, vedendo una delle cameriere di villa Kuchiki. «Sta bene? L’ho
sentita gridare, poco fa.»
Rukia grugnì, sentendosi
troppo male per essere gentile. «Sto bene. Vattene via.»
La ragazza non se lo fece
ripetere e, obbediente, uscì dalla sua stanza, lasciandola sola con i suoi
pensieri. E questo non la rincuorava affatto.
Con un grugnito di
insofferenza, si alzò dal futon morbido e caldo, e fu accolta dall’aria tiepida
del mattino.
Aprì le finestre per far
circolare l’aria nella stanza e prenderne una generosa boccata.
Vide il sole, già sorto,
brillare sullo spicchio ceruleo di cielo che intravedeva dalle fronde dei
ciliegi, e convenne di dover essere in ritardo sulle le mansioni quotidiane da quarto
seggio della Tredicesima Compagnia.
Si morse le labbra, ma una
fitta alla tempia più acuta delle precedenti la convinse a prendere con cautela
il suo mal di testa e di non affrettarsi: si lavò quindi il viso, indossò la
divisa nera da shinigami, prese con delicatezza Sode no Shirayuki,
accarezzandola con i polpastrelli, e uscì dalla stanza, richiudendo la porta di
carta bianca con delicatezza.
Scesa in cucina, si fece
servire del the verde e lo sorseggiò con parsimonia, pensando a ciò che avrebbe
dovuto fare quella mattina e che aveva saltato.
Uscendo poi dalla villa,
passò al capezzale della sorella, per salutarla, e corse verso il Gotei.
Ukitake-taichou non aveva avuto problemi a perdonarle il
ritardo e, comunque, l’avrebbe scusata in ogni caso dopo la mole di lavoro che
aveva svolto; aveva perfino rinunciato al pranzo – cosa non troppo rara,
soprattutto alla sera, quando era troppo stanca perfino per sollevare le
bacchette – e aveva svolto la maggior parte dei rapporti in arretrato, guardato
le matricole e coordinato l’operato di Kiyone e Sentaro.
Si era fatto tardi; la sera
scendeva anche su Soul City, inghiottendo le anime un’altra volta nel buio,
pieno di sogni, senza fantasmi di ricordi, se quella sarebbe stata una notte
benevola.
Era una sera fredda e Rukia
si ritrovò a rabbrividire, uscendo l’ufficio della Tredicesima Divisione. La
chiave girò a vuoto un paio di volte e poi, finalmente, la serratura scattò.
Controllò di aver chiuso tirando la maniglia e si voltò per tornare a casa.
«Yo.»
Rukia sbatté le palpebre
scorgendo nella pallida luce dell’imbrunire la sagoma di Renji, con i capelli
rossi sempre più spettinati e il viso spigoloso e scavato. Gli sorrise e si
avvicinò a lui sventolando una mano.
«Come stai?» gli chiese
allegra, infilando la chiave sotto un vaso, come d’abitudine.
Renji alzò le spalle. «Bah,
tuo fratello mi fa sgobbare come un dannato cane.»
Lei rise, portandosi una
ciocca di capelli dietro l’orecchio. Un angolo della bocca dello shinigami si
piegò all’insù, divertito dalla sua reazione.
«Ehi, che ne dici di cenare
insieme?»
Rukia annuì, prendendolo a
braccetto. «Come no, mio cavaliere!»
C’era una piccola locanda
dove non si faceva che cibo giapponese e, sin dai tempi dell’Accademia, era il
locale che Renji preferiva in assoluto. Una volta le aveva confidato, come se
fosse un gran segreto, che semplicemente amava l’odore dell’amido degli
spaghetti e del pesce fresco, saltato con le cipolle. Rukia ricordava di
avergli risposto con sarcasmo, commentando divertita il suo cattivo gusto nel
mangiare, ma non si era mai azzardata a lamentarsi del cibo.
Era tanto tempo, rifletté un
po’ distrattamente, che non visitava la locanda. La trovarono mezza-vuota e non
faticarono a trovare due posti verso la fine del bancone.
Era piccola e all’aperto,
come un chiosco, ma il calore delle pentole la scaldò subito, ristorandola dal
freddo della notte; l’odore era sempre forte e speziato, come lo ricordava, e
come Renji adorava (si era messa a ridere quando lo aveva visto annusare l’aria
soddisfatto).
Ordinarono due ciotole di
ramen di carne e si lanciarono in buffe imitazioni di loro colleghi (per poco
non le andò di traverso un pezzo di naruto quando
Renji si mise sotto la divisa un paio di cocomeri, per imitare Rangiku), poi
l’atmosfera si rilassò mentre bevano un bicchiere di the caldo e fumante.
Rukia si godette il
silenzio, assaporandolo; sapeva di gelsomino.
«Oggi sono stato a Karakura.»
Presa alla sprovvista,
strinse le dita sulla tazza, scottandosi i polpastrelli. «Ah, sì? Come
stanno i nostri amici?»
Renji la osservava,
appoggiato pigramente sul bancone, il mento appoggiato sulla mano, una posa
abituale e rilassata con cui diventava il suo Osservatore, il Consigliere,
insomma, la postura che assumeva quando non voleva farsi i cavoli suoi.
«Tutto okay. Ora sono tutti all’universotà, o qualcosa del
genere…» mugugnò, non troppo convinto delle sue
parole.
«Università, idiota, università.» lo corresse
precipitosamente lei, prendendo un sorso di the. «Che cosa hanno scelto?»
«Scelto?»
Rukia alzò gli occhi al
cielo, esasperata. «Studiano diverse materie, un po’ come qui all’Accademia,
solo che lì è più settoriale la divisione, ogni facoltà porta a un lavoro
diverso.» spiegò sinteticamente.
Renji sbatté le palpebre,
con un’espressione comicamente confusa.
«Eh?»
«Lascia stare.» lo fermò
precipitosamente, sbattendo la tazza sul bancone per non perdere la calma. «Ad
esempio, Orihime vuole fare l’estetista, o la modella, o – ?»
«Ho capito!» si illuminò
Renji, sorridendo stupidamente. Rukia ruotò gli occhi esasperata.
«Bene. Sii sintetico.»
«Però…»
Lo shinigami si grattò il mento, pensieroso. «Non credo che me l’abbiamo detto.»
Rukia assottigliò gli occhi.
«Sei inutile!»
«Ehi, Rukia!» protestò
Renji, vivacemente. «Sii più
gentile! Se proprio vuoi
saperlo vai a trovarli, no?»
«E secondo te ho tempo? Ci sono un sacco di cosa da
fare, sono passati appena quattro anni da Hueco Mundo e tutto è ancora a squadro! Potessi fare i miei
comodi, come fai tu!»
Lui strinse le labbra,
irritato. «Ora sei ingiusta, Rukia, e lo sai.»
Lei si morse le labbra,
pentendosi subito delle proprie parole, ma non glielo disse. Fingersi
arrabbiata era, almeno, una buona scusa per andarsene da lì il più velocemente
possibile.
Buttò qualche moneta sul
bancone, mormorando un «Tenga il resto», e salutò velocemente Renji, avviandosi
per la strada buia che portava alla villa Kuchiki.
Renji rimase immobile contro
il bancone.
«E di Ichigo non vuoi sapere
nulla?»
Rukia si fermò d’istinto e
si morse le labbra. «Hai detto che stanno tutti bene, no? E poi quello stolto
qualcosa la sa combinare, alla fine.»
«Inoue
mi ha detto» la voce di Renji era alta e chiara e, Rukia ne era sicura, se si
fosse girata l’avrebbe trovato nella postura da amico rompiscatole, con gli
occhi nerissimi puntati su di lei. «Che secondo Ishida e Chad
dorme poco e mangia il minimo, concentrandosi solo sullo studio. E sai chi mi
ricorda questo atteggiamento da stressato del lavoro? Qualcuno che Kurosaki
chiama ogni dannatissima notte.»
Rukia riprese a camminare
spedita.
«Notte, Renji.»
*
And the tears come streaming down your face
When you lose something you
can't replace
When you love someone but it goes to waste
could it be worse?
Era stato un allarme
improvviso: un forte reiatsu era apparso a Karakura e
Rukia era l’unica in grado di poterlo sopprimere nelle vicinanze, dato che i
capitani erano in riunione e che gran parte luogotenenti era già occupata.
Entrò, dopo tanti anni, a Karakura nel pieno della notte: l’aria fredda la colpì in
viso.
Rukia atterrò su un tetto,
bagnando il sandalo di legno con la neve.
La città era completamente
bianca; gli alberi cascavano sotto il peso della neve che scendeva ancora a
fiocchi grossi, accumulandosi
sull’asfalto, i tetti, le macchine. Era la prima volta che Rukia vedeva Karakura innevata e si sentì a disagio. La neve non era
l’elemento che più donava alla città. Questo un po’ la intristì, ma non si
permise di ammetterlo.
A riprenderla dalle sue
riflessioni fu un’improvvisa esplosione di reiatsu alla sua destra; svelta,
Rukia saltò da un tetto all’altro usando lo shunpo.
Quando vide da dove
proveniva il reiatsu risucchiò il proprio fiato nuovamente in gola: era la casa
di Orihime. E, a meno che l’avesse venduta, non poteva che esserci lei, lì
dentro.
Aumentò il passo e trapassò
la finestra come se fosse aria.
«ORIHIME!»
«INOUE!»
Ebbe il tempo di sbattere le
palpebre che nuovamente le si mozzò il respiro: Ichigo era lì, dall’altra parte
della stanza, intorno a lui i pezzi di vetro della finestra che aveva sfondato,
dal lato opposto rispetto a quello in cui si trovava lei.
Anche Ichigo la fissava e
aveva un aspetto terribilmente sbalordito; aveva gli occhi castani spalancati,
i capelli arancioni appena più lunghi, che gli ricadevano sulla fronte
disordinatamente, le guance più appuntite e le sopracciglia scure che gli
sottolineavano lo sguardo intenso, calamitante.
«Ichigo?» mormorò il suo
nome piano, quasi avesse paura che svanisse.
«Ru–
?»
Un grido li richiamò
all’emergenza e Rukia si irrigidì improvvisamente, impugnando la zampakuto. «A
dopo i saluti, stolto!»
Lui annuì di malavoglia ed
entrambi entrarono in cucina, la spada alzata sul capo e lo sguardo minaccioso.
«Inoue
stai ben – ?!» gridò Ichigo, ma le parole gli morirono in gola.
Orihime era accovacciata
accanto alla figura longilinea di un uomo, che tale sarebbe sembrato se non
fosse stato per la pelle completamente bianca e un buco sul petto e un numero
tatuato, che lo identificavano con un ex-Espada. Per la precisione, Ulquiorra.
«Ma…
cosa…?»
Orihime piangeva
abbondantemente china sul corpo riverso dell’Hollow; aveva appoggiato sul
grembo una delle sue mani e sussurrava qualcosa di indefinibile tra i
singhiozzi, che Rukia non era certa di voler ascoltare.
C’era qualcosa di intimo nel
modo in cui Orihime gli accarezzava le nocche bianche: era disperazione, quella
negli occhi della ragazza, e venerazione, quelle carezze sulla fronte, mentre
l’Espada rantolava, sputando sangue nero.
«Perché è ancora vivo?»
domandò Ichigo, bisbigliando tra sé e sé.
Era esattamente quello che
Rukia stessa si chiedeva.
«Rukia», si voltò verso
Ichigo, con un’espressione turbata. «Dobbiamo eliminarlo. È pur sempre un
Hollow.»
«Ma…»
si morse un labbro, sentendo il lamento di Orihime. «Lei…»
«È un morto che non ha avuto
pace. Me lo insegnasti tu.»
Il suo viso si ammorbidì. «Vai
tu?»
Ichigo annuì e si avvicinò a
Ulquiorra, spada in mano.
Inoue gridò, avventandosi sul corpo dell’Hollow
agonizzante, mormorando incoerentemente “nononono”,
con gemiti sempre più alti e striduli.
«Rukia?» il tono di Ichigo
era supplichevole, ma non poteva certo dargli torto. Stavano per dividere (o
lacerare?) qualcosa, e lo strappo poteva essere più doloroso della sua stessa distruzione.
Con un sospiro si avvicinò a
Orihime, la allontanò dal corpo di Ulquiorra, rassicurandola che avrebbe smesso
presto di soffrire, e l’accompagnò a letto. Orihime continuava a piangere,
sussurrando «Era buono in fondo, era
così buono Kuchiki-san, lo giuro!», e Rukia, pietosa,
le diede qualcosa per farla dormire.
Quando fu certa che Orihime
fosse appisolata, ritornò in cucina.
Ichigo aveva già fatto
piazza pulita e aveva messo dell’acqua per il the sui fornelli.
«Non devi tonare subito a
Soul City, vero?»
«In realtà l’avvistamento di
un ex-Espada è piuttosto insolito e preoccupante» esitò per un attimo. «Ma
credo che un paio di ore non cambieranno nulla.»
Ichigo annuì e si sedette,
facendole cenno di imitarlo.
I muscoli le parevano
disubbidienti mentre le sue gambe, vigliacche e indipendenti, la portavano al
tavolo; ormai aveva risposto che sarebbe rimasta e così avrebbe fatto.
Si accomodò con calma e con la
schiena ritta. Ichigo la fissava.
«Yo.»
Rukia sorrise debolmente. «Ciao.
Non dovresti essere a Tokio o in qualsiasi altra città provvista di università?»
Lui alzò gli occhi,
sorpreso. «E tu come lo sai?»
«Renji.»
«Ah.» Le parve vagamente
irritato, e si chiese se Ichigo la immaginava come una specie di angelo custode
che lo spiava. Il pensiero la fece sorridere. «Che hai da ridere?»
Era più bravo ad osservare
di quanto potesse sembrare. «Niente, un’idea assolutamente insana e stupida.»
L’acqua, dietro di loro,
bolliva. Ichigo si alzò e spense il
fuoco, immergendo delle foglie nel liquido.
«Se vuoi lo faccio io, il
the.»
Ichigo scosse la testa e
rifiutò gentilmente la proposta. «Nah, saresti capace di bruciare la cucina di Inoue.
Faccio io.»
Rukia sbuffò, oltraggiata,
ma non fece commenti preferendo rimanere a guardarlo mentre diligentemente versava
il the in due tazze, inusuali e a forma una di kiwi l’altra di WC, un sicuro
acquisto firmato Orihime Inoue.
«Sei bravo.»
«Impari un po’ di cucina se
vivi insieme a Ishida e Chad.» Le offrì la tazza
fumante.
«Grazie.»
«Uh.»
Bevvero in silenzio, guardando
le foglie ondeggiare sulla superficie del the, in armoniche onde. Rukia non
sapeva cosa dire; non aveva voluto quell’incontro, non in quel tempo. Gli anni
avevano mangiato la sua pazienza e ora, avendolo accanto, le risultava
difficile anche solo pensare di lasciarlo ancora,
di non poter più sentire la sua voce.
Quando Renji le aveva
raccontato che la chiamava nel sonno, ogni notte, Rukia si era sentita
stupidamente felice. Il suo richiamo l’aveva tormentata per notti e notti, e
aveva dovuto stare a casa alcuni giorni per impedire a se stessa di scendere a Karakura e trovarlo.
Aveva sentito la sua voce
per giorni e giorni martellarle nelle orecchie come il battito del proprio
cuore, occupandole la testa con l’estrema potenza del suo urlo, e Rukia si era
trovata schiacciata dal bisogno di sfiorargli casualmente la mano, di vedere il
suo imbarazzo, di sentirlo dire scema, o nana, o qualsiasi altro insulto. E di
chiamarlo.
«Perché credi che Ulquiorra
fosse vivo?»
Rukia sobbalzò appena,
riscossa all’improvviso dai suoi pensieri. Ichigo la guardava da dietro la
tazza.
«Forse, uhm, forse non era
colpito a morte. Forse abbiamo sbagliato qualcosa quando l’abbiamo distrutto, o
forse aveva qualcosa che lo ancorava alla sua esistenza…
sinceramente, non ne sono certa.»
«Uhm,» Ichigo appoggiò la
tazza sul tavolo. «Intendi che, forse, era qui per Inoue?»
«Beh, l’abbiamo trovato qui.
Agonizzante. Nessuno soffrirebbe così per niente.»
Ichigo annuì. «Zucchero?»
«No, grazie.»
Rukia fece tintinnare il
cucchiaino sul bordo di ceramica, pensosa. «Orihime…
ti ha mai parlato di Ulquiorra?»
Ichigo inarcò le
sopracciglia. «Mai. Perché?»
Lei alzò le spalle. «L’hai
vista, no? Non è la reazione che avrebbe normalmente una ragazza nei confronti
del suo carceriere. Per cui, ecco, mi domandavo se… insomma…»
«Se fossero innamorati?»
Ichigo arrossì, distogliendo lo sguardo. «Non… lo so.
Ma mi sono sentito un po’ di troppo, prima.»
«Già.» Rukia sospirò. «Anche
io. Sarà… difficile per Orihime.»
«Non c’era null’altro da
fare.»
«Lo so questo.» sbottò
all’improvviso lei, gesticolando. «Ma avrei voluto che Ulquiorra non fosse
stato un Hollow e fosse andato nella Soul City, ad aspettarla. Questo avrebbe
dato un lieto fine, no?»
Una mano di Ichigo si
infranse contro il tavolo, facendolo vibrare sotto le dita di Rukia e
spaventandola.
«MA SEI SCEMO?!»
«Non parlare in quel modo
così romantico e sensibile, dannazione!»
Gli occhi di Ichigo, scurissimi, le
tolsero il pensiero. «Non puoi venire qui dopo sei fottuttissimi
anni e parlarmi di lieti fini, Rukia! Dove sei stata?! Perché non sei tornata?!»
«Io…
avevo da fare.» La risposta tremula non convinse Ichigo e men
che meno lei.
«Sei ancora una gran
bugiarda.»
Lei assottigliò gli occhi
violacei, sbattendo a sua volta una mano sul tavolo, con meno potenza,
vicinissima a quella di Ichigo.
«Ichigo tu dovevi vivere la
tua vita e io la mia! Sono una shinigami, cavoli!»
«E agli amici? Non ci pensi?»
la attaccò subito lui, allungando la schiena e avanzando verso di lei,
facendola sentire tremendamente piccola.
«Sì che ci penso!» ribatté,
aspra. «Tutte le sere!»
«Ah, si vede come ci pensi!
Ti immagino già riverita nella casa di quel riccone di tuo fratello, tutta
lussi e sorrisi!»
Il suo tono si fece freddo e
formale. «Adesso stai esagerando, Ichigo.»
L’espressione di lui non si
ammorbidì affatto. «Sbaglio forse?»
D’un tratto, Rukia si sentì
priva di energie. Si lasciò cadere a terra, cercando di rimettere a posto i
pensieri, di rimanere fedele alle sue decisioni, di non tremare. Tutto inutile:
sembrava che ogni pezzo di lei, costruito con pazienza, fosse stato mescolato
in ordine confuso in un secondo, lasciandola spiazzata e impreparata davanti a
lui.
«Ichigo…
ti prego.»
«“Ti prego” cosa Rukia?!»
Stavolta fu il tono di Ichigo, a farsi più basso e stanco. «Non ti capisco. Non
ti capisco proprio. Prima a malapena mi hai salutato quando sei andata via, poi
non ti fai mai vedere. Non saresti venuta qui se non avessi pensato che ero
via, non è vero?»
Rukia deglutì, ma annuì
svogliatamente.
«Perché fuggi?»
Le uscì un gemito sommesso,
lamentoso.
«Ichigo io abito nella città
dei morti, e tu sei ancora vivo.
Capisci?»
Lui inarcò le sopracciglia. «Sinceramente?
No, per nulla. Non capisco dov’è il problema, so perfettamente chi sei e in che
situazione siamo.»
Rukia si passò una mano tra
i capelli, che rimasero impigliati al sudore delle mani, e si guardò attorno,
nervosamente. «Ichigo… io ho avuto il mio tempo, la
mia vita, sulla terra. E… semplicemente non è ancora
il tuo tempo. Vivendo accanto a me non faresti che desiderare di essere un vero
e proprio shinigami e io – non voglio, Ichigo. Non voglio.»
«Cosa stai – ?»
«Ah, ma sei proprio stupido!» Rukia si alzò in piedi, e una
farfalla nera le si appoggiò sulla spalla. «La vedi questa? Mi viene vicino
perché sa che devo tornare a casa,
Soul City. La mia casa. Non la tua.»
Ichigo osservò ripetutamente
lei e la farfalla.
«Eh?»
Il pugno di Rukia lo colpì
in pieno zigomo.
«AHIA!»
«CHE NERVI!»
Rukia camminò a passo
d’elefante fino alla finestra, dove si aprì il varco. Si girò appena, di
profilo, con un’espressione scocciata.
«Torno a Soul City, state
vicini a Orihime. E tu, Ichigo, ti prego,
vivi!»
Gli occhi di lei brillavano
nel buio. E, allora, Ichigo finalmente capì.
E, allora, la chiamò ancora
nella notte, sofficemente.
«Rukia…»
Quel suono, nei suoi
ricordi, sarebbe stato il loro arrivederci più bello.
*
Lights will
guide you home
And ignite your bones
And I will try to fix you
Fu improvviso, l’incontro.
Accadde mentre era immersa
nella correzioni dei temi sulla tecnica shunpo del
gruppo di allievi dell’Accademia che Ukitake-taichou
le aveva chiesto gentilmente di istruire.
«Rukia.»
Era il suo richiamo;
stavolta era certa che non era l’eco della sua immaginazione.
Le si smorzò il respiro e si
girò immediatamente, scorgendo sulla porta Ichigo, i capelli arancioni corti e
l’espressione morbida, più giovane di come lo aveva immaginato tante volte.
Sorrise, trattenendo le
lacrime che le pizzicavano gli occhi.
«Ehi, perché non hai i
capelli radi e bianchi? Dopotutto mi hai fatta aspettare sessant’anni.»
Ichigo sbuffò e si
inginocchiò accanto a lei, sfiorandole una guancia con la punta delle dita. Il
suo tocco era caldo ma, soprattutto, reale.
«Eh, tu hai detto a Renji
che avevamo tutto il tempo del mondo, no? Ora c’è l’eternità, basterà a
compensare l’attesa.»
Fu allora che Rukia pianse,
e si sentì un po’ meno vecchia e più leggera.
Seguendo
ancora Bleach in italiano, non so niente degli
spoiler. Ma la saga degli Arrancar, per quanto esaltante per gli Arrancar stessi
(Ulquiorra <3 Grimmjow <3), mi ha lasciato molto amaro come fan IchiRuki.
Sia
chiaro: non vedo nell’atto eroico di Ichigo che una semplice volontà di salvare
la sua amica Orihime.
Rukia
è stata l’essenziale della sua vita,
il cambiamento; se lei non fosse apparsa, non si sarebbe mai accorto di
Orihime. E, Orihime, per crescere, ha bisogno di passare sopra a Kurosaki-kun; per quanto sia sensibile e abbia capito il
suo animo almeno in parte, non è riuscita a colmare il vuoto di Ichigo.
Però
Tite Kubo è un dannato: un dannatissimo dannato, per la prezisione. Manco un momento con Ichigo e Rukia, solo
Orihime! Damn it. – ma almeno ci sono tanti momenti UlquiHime *_*!
Per
cui, ho deciso di dare un finale molto, molto mio, post-saga Hueco Mundo.
Non so come sia finita la battaglia; per ora, tutti felici e contenti, tutti a
casa, ai loro posti. Ma qualcosa, in Ichigo e Rukia, manca. Ah, la distanza! Non affievolisce nulla, anche se il muro è
la morte! *si crogiola*
Inoltre
volevo fare quella Rukia più sicura, quella anche più matura e paziente; i suoi
non sono sorrisi falsi, ma veri, forse un po’ malinconici, ma non è triste: ha
lasciato che Ichigo, venuto a contatto con la morte troppo presto anche un po’
per colpa sua, viva la sua vita. Ma, alla fine, si ricongiungono.
Aw, così romanticooo!
<3
Ah,
non sono certa che gli shinigami mangiano, ma Rukia lo faceva sulla terra no? o
era solo perché era dentro un gigai? Ah, i misteri di
Bleach! XD
Ringrazio
il forum IchiRuki [http://deathstrawberry.forumfree.net/?t=33369558]
e le BlackBerries
che hanno organizzato questo concorso e mi hanno dato l’occasione per
rispolverare Ichigo e Rukia. Sarebbe bello avere sempre colpi di genio per Bleach, ma come manga è già talmente emozionante e
gratificante che trovo difficile cercare un missing
moment che vorrei scrivere e non vorrei rovinare nessun personaggio con l’OOC
in un’AU; sono già perfetti! (L)
…ah, giusto: sono iscritta ufficialmente al concorso
indetto dal forum. Non ho idea di come fare il collegamento internet senza fare
quelle odiose righettine nella grafica, per cui
prendete l’indirizzo rosso e fateci un saltino, ya? Thank you! <3
Grazie
a mia cugina e alla Vale.
1 a 1, mia cara! *mwahaha*
Sperando
che vi sia piaciuta, un saluto e il solito appello: RECENSITE please! J
Bye,
Kaho