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Autore: Acinorev    06/03/2015    11 recensioni
"«Respiri, quando sei con lui?»
Lo ami?
«Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per scaricare su di essi tutta la tensione, perché non voleva mostrarla: ormai era migliorata moltissimo nel confinare e nascondere le proprie emozioni, fino a riuscire ad ingannare persino se stessa.
Harry le si avvicinò ancora, appoggiando l'avambraccio destro accanto alla sua testa e piegandosi lievemente verso di lei. Le stava respirando sul viso. «Rispondi».
Emma serrò le labbra in una linea dura, come a voler sigillare dentro di sé le parole che fremevano per uscire.
«Respiri?» ripeté lui a bassa voce.
Lo ami?
«Sì».
No.
Harry inspirò profondamente e si inumidì le labbra con un movimento lento: sembrava dovesse compiere un ultimo sforzo per ottenere ciò che più bramava. E quello sforzo si riversò in una semplice domanda.
«E con me? Respiri, quando sei con me?»
Mi ami?"
Sequel di "Little girl", della quale consiglio la lettura per poter capire tutto al meglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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Capitolo ventisette - This far

 

Emma rabbrividì con un sorriso trattenuto sulle labbra, a causa del bacio leggero che Harry le lasciò sulla caviglia fine: non riusciva a distogliere lo sguardo dal suo corpo nudo, dalle linee che definivano i suoi muscoli.
Era quasi ora di pranzo e la stanza di Harry era pienamente illuminata dal sole freddo di quella giornata: circondati dalle lenzuola stropicciate del suo letto, entrambi sapevano che avrebbero finito per possedersi ancora una volta da un momento all'altro. Nell'attesa, ad Emma non restava che pazientare e godersi la cura che lui le mostrava nel percorrerle il corpo con la bocca e le dita.
Anche se i suoi pensieri erano macchiati da una vaga preoccupazione, ben distante da quell'atmosfera.
«Sei sicuro di voler venire?» domandò lentamente, osservandolo attentamente con la schiena appoggiata alla testiera del letto.
Harry alzò il viso e continuò ad accarezzarle il polpaccio destro: con i capelli disordinati, la guardò sollevando un sopracciglio e sorrise malizioso.
Lei alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. «Intendo dire a cena a casa mia», rettificò.
Era giovedì e mancavano poco più di ventiquattro ore al fatidico avvenimento. Emma non riusciva a trattenere la propria inquietudine: senza contare la breve discussione sul quando avrebbe dovuto sottoporsi alla tortura, era la prima volta che accennava al discorso. Aveva disperatamente desiderato che Harry cambiasse idea, nei due giorni precedenti, ma nessun indizio era riuscito ad illuderla di quella possibilità: dal momento che persino suo padre non si era rivelato restio all'idea, messa alle strette, doveva evidentemente occuparsene da sé.
Harry sospirò sonoramente, piegandosi per respirarle sul ginocchio. «Vuoi parlarne proprio adesso?» le domandò a bassa voce, dimostrando il suo interesse per tutt'altra occupazione.
Lei increspò le labbra e si morse l'interno di una guancia. «Prima o poi dovremo farlo», perseverò, senza rifiutare le sue attenzioni.
«Allora rimandiamo a più tardi, hm?»
Emma inspirò a fondo per sopportare le piacevoli labbra di Harry sul proprio interno coscia, ma non si lasciò scoraggiare. «Dico solo che dovresti pensarci bene», continuò quindi.
Lui sbuffò, arrendendosi alla sua insistenza, e si lasciò cadere al suo fianco: si coprì il viso con un braccio, poi si voltò a guardarla con un'espressione contrariata. «Ci ho già pensato», le rispose.
«Mia madre ti ha invitato solo per farmi un dispetto, dato che le ho mentito riguardo quella ser-»
«Così mi offendi», la interruppe Harry, senza particolare entusiasmo.
«E non è vero che mio padre sarà felice di averti a cena con noi», proseguì lei, incrociando le braccia sul petto nudo e citando le parole di Constance. «Sono sicura che starà progettando un interrogatorio al quale sottoporti, e fidati, non sarà affatto piacevole».
«Penso di poter resistere ad un padre protettivo», le ricordò Harry. «In fondo devo già sopportare la figlia».
Emma lo ignorò. «Senza contare il fatto che è... Be', è un passo importante. Incontrare la mia famiglia, intendo. Non devi sentirti obbligato solo perché mia madre ti ha invitato: sarebbe comprensibile se tu non volessi-»
«Emma», la chiamò lui, senza darle l'opportunità di continuare l'elenco delle sue riserve riguardo la cena che li attendeva.
Lei si voltò a guardarlo, in attesa di parole che non riusciva ad immaginare: non era contraria al fatto che Harry potesse conoscere l'intero patrimonio genetico dei Clarke, ma non si era preparata all'eventualità. Tra tutti gli avvenimenti con i quali aveva dovuto confrontarsi, una simile evoluzione della situazione non era assolutamente comparsa nella sua sfera di eventualità. Non riusciva ad abituarsi all'idea, né a concepirla del tutto, senza contare che non sapeva cosa aspettarsi: se fosse stato troppo presto? Troppo azzardato? Se Harry e suo padre avessero litigato?
«Non ho capito quale sia il problema, esattamente», riprese lui, strisciando sul materasso fino ad imitare la sua posizione. «Prima hai detto che tutto questo è solo una strategia di tua madre per fartela pagare, poi la tua preoccupazione si è spostata su tuo padre ed infine hai tirato in ballo il fatto che è un passo importante».
«Il problema è che sono tutti dei problemi», gli spiegò Emma, imbronciandosi appena.
«Lo sono per te», precisò Harry, osservandola intensamente.
Lei non interruppe il contatto visivo, ma si sentì vagamente in colpa per quelle rimuginazioni delle quali non riusciva a sbarazzarsi.
«Ascolta», ricominciò lui, sospirando mentre si inumidiva le labbra, «se dovessi chiedermi se avrei mai pensato di conoscere la tua famiglia in questo momento, ti risponderei di no. Non ci ho pensato, è forse l'ultima cosa che mi è passata per la testa in questo periodo».
«Allora perc-»
«Ma», la interruppe con decisione, «quando tua madre mi ha invitato a casa vostra, non mi è sembrato... Sbagliato. Non mi ha dato fastidio né ho pensato che fosse troppo presto, anzi». Le sue iridi riflettevano la sua sincerità, lo sforzo di aprirsi a lei per permetterle una migliore comprensione: il modo in cui Harry accarezzava le parole descriveva la sua velata difficoltà nel dar voce alle proprie sensazioni. La loro capacità di comunicare stava finalmente migliorando.
«Non mi importa se è solo un dispetto nei tuoi confronti e di certo non mi preoccupa il fatto di dover rispondere alle domande di tuo padre: anzi, credo che mi divertirò. Il punto è se a te sta bene che io conosca la tua famiglia», continuò, abbassando la voce. «Se hai anche solo un minimo dubbio, lascia perdere». Qualcosa nella sua espressione aveva il sapore di delusione, come se quella possibilità potesse ferirlo impercettibilmente.
«Non ho dei dubbi...» mormorò Emma, spostando lo sguardo su qualcosa di indefinito nella stanza.
Harry si mosse infastidito, non convinto dalle sue parole, e si sedette sul bordo del letto per rivestirsi. «Se non vuoi che venga, hai solo da dirlo», esclamò duramente, alzandosi subito dopo per scomparire nel corridoio. Si era offeso, era evidente.
Emma si massaggiò il viso con le mani, borbottando qualcosa, e recuperò i propri vestiti da terra: quando si fu rivestita, lo raggiunse in soggiorno. «Non c'è bisogno di mettere il broncio», gli fece presente, osservandolo mentre si dirigeva in cucina con aria indispettita. Nonostante la situazione, era divertente essere testimone del suo lato infantile, delle sue labbra increspate con orgoglio.
«Il broncio?» ripeté lui, senza fermarsi. «Non darti tutta questa importanza».
Lei sorrise alle sue spalle, alzando gli occhi al cielo, e lo guardò tornare in salotto. «Harry».
La ignorò.
«Harry», riprovò, avvicinandosi a lui e posando una mano sulla sua schiena ancora nuda.
«Che c'è?» le chiese, brusco.
Emma gli si posizionò di fronte, scrutando la sua espressione. «Non ho mai detto di non volere che tu conosca i miei genitori», provò, cercando di districarsi tra i propri pensieri.
«Però sembra che tu abbia parecchie cose da dire a riguardo», precisò lui, serrando la mascella: era impressionante come il suo umore potesse guastarsi da un momento all'altro, dopo un solo istante di consapevolezza o sospetti.
«Sono solo... Preoccupata», ammise Emma, sperando di essere credibile. «Continuo ad immaginarmi la scena di te seduto al nostro tavolo, con mia madre che probabilmente farà domande imbarazzanti e mio padre che impugnerà un coltello per qualsiasi evenienza. Fanny che non dirà nemmeno una parola, l'arrosto che magari farà schifo e...» Si arrestò con un sospiro profondo. «Nemmeno a me dà fastidio l'idea che tu incontri la mia famiglia, ma non riesco a fare a meno di cercare qualsiasi scusa, perché è tutto così strano. Improvviso. Inaspettato. Assurdo?»
Gli occhi di Harry avevano perso la loro momentanea durezza, dopo aver compreso che tutte le riserve di Emma altro non erano che tentativi di mascherare la propria inquietudine. «Assurdo che Emma Clarke ed Harry Styles siano arrivati a questo punto?» domandò, senza riuscire a nascondere uno sprazzo di divertimento per quella verità. Sembrava esser riuscito a ricavare una rassicurazione dalle sue parole.
«E senza vittime», scherzò Emma, per sdrammatizzare: il sollievo le rilassò ogni muscolo, al pensiero di come il loro rapporto si stesse evolvendo con migliori prospettive. Nonostante fosse a dir poco spaventata dalla serata che li attendeva, non riusciva a non essere ugualmente elettrizzata per le basi sulle quali si poneva.
Harry portò le mani sui suoi fianchi, obbligandola ad avvicinarsi al proprio corpo: un sorriso sulle labbra umide. «Chi l'avrebbe mai detto?»
Lei si alzò sulle punte e spense l'accenno di una risata sulla sua bocca, che non si ritrasse al bacio, ma lo incoraggiò. Per qualche istante si abbandonarono entrambi a quella tenerezza che sapeva di conforto, di speranza.
«Sei sicuro che sia una buona idea?» gli chiese senza dividersi dalla sua bocca, guardandolo con poche certezze: ormai non sapeva nemmeno lei cosa pensare, come reagire.
«No», rispose lui in un respiro, avvolgendole il busto con le braccia.
Emma si agitò nella sua stretta, per ribellarsi alla sua risposta. «Così non mi aiuti», lo rimproverò, arrendendosi subito dopo e facendolo sorridere.
«Ci stai pensando troppo».
«E se fosse un passo azzardato?»
«Potrebbe esserlo».
«E se tu te ne pentissi?»
«Magari sarai tu a pentirtene».
«E se non andrai d'accordo con i miei genitori?»
«Me ne farò una ragione».
«E se-»
«E se chiudessi quella bocca?» la interruppe Harry, alzando gli occhi al cielo con un sorriso. «Non pensavo potessi essere così paranoica».
Emma gli rivolse una smorfia, imbronciandosi subito dopo. «Sto diventando patetica», sussurrò a se stessa, realizzando il proprio comportamento esageratamente ansioso.
«Sì», confermò lui, ricevendo in risposta un pizzico sul fianco.
«In fondo, come diresti tu, è solo una cena», continuò, tentando di auto-convincersi.
Harry annuì.
«Potrebbe andare tutto bene».
«A meno che tu non combini dei disastri in cucina: sappi che la presenza della tua famiglia non mi fermerà dal prenderti in giro».
«Non l'ho sperato neanche per un istante», gli assicurò, conoscendolo sin troppo bene. «E comunque nessuno ha detto che sarò io a cucinare».
«Non vuoi fare buona impressione sul tuo ragazzo?» la provocò, stringendola un po' di più.
Lei sorrise con vanità e dispetto. «Non ne ho bisogno»,mentì, mentre a se stessa ammetteva il contrario.
Si baciarono di nuovo, ma solo per giocare.
«Quindi domani sera si mangia arrosto?» domandò Harry, attento come sempre a qualsiasi parola lei si lasciasse scappare.
Emma fu sul punto di rinnegare quella fuga di informazioni, ma la suoneria del proprio telefono smorzò le sue intenzioni: si divincolò dalla sua stretta con una smorfia dispettosa, correndo in camera sua per recuperare il cellulare. Sullo schermo lampeggiava il nome di Dallas.
Non rispose. Dopo la loro riconciliazione, se così si poteva chiamare, era la prima volta che la contattava, ma non doveva pensare che sarebbe stato così semplice riavvicinarsi. Inoltre, in quel momento non aveva voglia di sporcare il tempo a disposizione con Harry.
Tornò in salotto e lo trovò con una sigaretta tra le labbra, il viso notevolmente più rilassato.
«Chi era?» si informò distrattamente, accendendo la televisione che suo padre gli aveva dato in prestito. A pensarci bene, anche Emma aveva conosciuto la sua famiglia e, certamente, in circostanze meno appropriate: aveva incontrato suo padre quando il suo corpo era scosso dal risentimento, piombando in casa Styles senza nemmeno avvertire, ma questo non aveva assolutamente interferito con la sua storia con Harry, né le era parso di grande importanza. Probabilmente era solo l'agitazione ad ingigantire la prospettiva di quella cena in casa Clarke.
«Dallas», rispose lei, stringendosi nelle spalle.
Harry corrugò la fronte e la guardò confuso, ricordandole di non avergli detto nulla riguardo la sua ricomparsa. «Quel Dallas?» domandò infatti.
Emma si sedette sul divano, raggomitolando le ginocchia al petto. «Mi sono dimenticata di dirtelo, ma qualche giorno fa è venuto a casa mia a chiedermi scusa».
«Buongiorno, principessa», commentò ironicamente lui, improvvisamente più cupo: anche a distanza di anni, la sua simpatia per Dallas non era aumentata, soprattutto dopo aver saputo dello sviluppo nell'amicizia con Emma. «Spero tu l'abbia rispedito da dove è venuto», aggiunse.
«Più o meno», rispose lei, lentamente. «Vuole farsi perdonare, così ho deciso di dargli una possibilità».
Harry espirò il fumo bruscamente. «Stai scherzando?»
«È così strano?» indagò Emma, intenta a comprendere le sue espressioni.
Lui scosse la testa e si allontanò a passi svelti, sbuffando nel dirigersi nella propria camera da letto: lei sbatté le palpebre più volte, sorpresa dalla sua reazione.
«Che ti prende?» domandò ad alta voce, seguendolo per non perderlo di vista: stava riordinando le lenzuola che i loro corpi avevano confuso. Non le rispose.
«So che non siete mai stati migliori amici, ma-»
«Non me ne frega un cazzo di lui», la interruppe Harry, voltandosi velocemente per rivolgerle uno sguardo rancoroso. Teneva la sigaretta tra le labbra.
«Allora perché ti comporti così?»
«No, perché tu ti comporti così?»
«Non capisc-»
«Se lui fa lo stronzo e sparisce per anni, tornando solo quando magicamente gli ricrescono gli attributi, tu sei pronta a riaccoglierlo senza nessuna esitazione, mentre se io decido di non dirti di Lea p-»
«È davvero questo il punto?» gli chiese incredula, senza lasciargli finire il concetto.
«Certo che lo è!» replicò Harry, alterato.
«E invece di arrabbiarti, non potresti semplicemente chiederti perché ci sia questa differenza?» continuò Emma, indispettita dal suo tono di voce e dalle sue insinuazioni. Era vero, aveva accettato le scuse di Dallas molto più facilmente rispetto a quelle di Harry, ma c'era un motivo, e non sopportava che lui non lo vedesse.
Harry serrò la mascella e la superò, uscendo dalla stanza senza dire una parola.
 
Emma aspettò seduta sul letto parzialmente rifatto: con le mani strette tra le cosce ed un labbro tra i denti, era determinata a non fare il primo passo. Per diversi minuti aveva sperato che fosse Harry a tornare nella stanza, magari anche urlando la sua rabbia capricciosa, ma almeno con gli occhi su di lei: invece aveva dovuto ricredersi, scontrandosi con una caparbietà più resistente della propria.
Quindi, stanca di attendere invano e desiderosa di riprendere ciò che i propri discorsi preoccupati avevano interrotto, afferrò il cellulare sul comodino e agì.
 
Messaggio inviato: ore 12.25
A: Harry
“Idiota!”
 
Non passarono nemmeno dieci secondi da quando Emma udì la suoneria del telefono in salotto a quando Harry entrò con urgenza nella camera da letto.
«Ti ho già detto di smettere di chiamarmi idiota!» sbottò ad alta voce, con il viso arrossato dall'orgoglio ferito.
Lei si trattenne dal ridere, sforzandosi di non soffermarsi sul suo petto nudo. «Allora tu non comportarti da tale!»
«Io?!»
Emma si alzò in piedi per fronteggiarlo, avvicinandosi fino ad essere costretta a sollevare il viso per poterlo guardare negli occhi. «Sì, tu! Non credi che se per me è più facile perdonare Dallas, è solo perché può farmi meno male?!»
I metri quadri che li circondavano furono riempiti di un silenzio teso, ma sollevato: Emma fu tentata di abbassare lo sguardo e di nascondere le guance coloratesi di porpora per quella confessione indiscreta, ma resistette solo per continuare a spiare le iridi di Harry, improvvisamente meno nervose.
Lui strinse i pugni lungo i fianchi, respirando profondamente. Subito dopo, si voltò per uscire per l'ennesima volta dalla stanza. Emma ebbe l'occasione di notare una variazione impercettibile nella sua espressione, che le suggerì quanto in realtà Harry fosse stato colto impreparato dalla sua ammissione: forse si era persino sentito lusingato, ma non pronto a mostrarlo.
Sorridendo come una bambina soddisfatta, gli corse dietro sgattaiolando davanti al suo corpo: lo abbracciò nonostante i suoi tentativi poco convinti di allontanarla, poi gli baciò l'addome più volte, percorrendo la sua pelle fino al collo. Desiderava trasmettergli ciò che non riusciva a controllare dentro di sé, ciò che dopo esser stato espresso ad alta voce sembrava essersi ingigantito oltre il ragionevole: Harry non si rendeva nemmeno conto di quante armi letali potesse usare contro di lei, quanto fosse rischioso per Emma accettarlo nella propria vita con la consapevolezza di metterla a repentaglio, di consegnarla nelle mani di qualcuno che avrebbe potuto disintegrarla con una sola stretta.
Harry si lasciò accarezzare dalle sue labbra, restando immobile, e solo dopo diversi istanti si rilassò contro il suo corpo. Appoggiò la fronte alla sua e tenne gli occhi chiusi, la mascella serrata. «Non so più come starti dietro», sospirò.
 
 
 
Per la prima ora e mezza, Dallas aveva guidato il discorso verso argomenti innocui: attento a non dire niente di rischioso, a non nominare Ruth, a non farla indispettire. E ci era riuscito, perché Emma gli camminava accanto con un bicchiere di cioccolata calda tra le mani, pronta a cogliere qualsiasi parola sospetta, ma comunque a proprio agio: aveva appreso dalle loro parole talvolta imbarazzate che Dallas sarebbe rimasto in città ancora per una settimana, costretto a tornare a casa per il lavoro, e aveva letto nelle sue intenzioni la voglia di usare quel tempo per recuperare tutto il possibile.
«Quindi quanto ti manca alla laurea?» le domandò, dopo averla invitata a sedersi su una panchina della via principale di Bradford. Continuava ad osservarla con attenzione, ricordandole l'adolescente premuroso con il quale era cresciuta.
«Questo è l'ultimo anno», rispose lei con fierezza. «Spero di riuscire a passare tutti gli esami che mi rimangono, anche se alcuni sono una vera tortura».
Dallas annuì con un sorriso, ma non utilizzò nessuna frase di circostanza: sapeva che Emma non ne avrebbe avuto bisogno e sembrava anche dipendesse da un proprio cambiamento. I suoi modi di fare erano vagamente diversi, più controllati e maturi, mentre il suo contegno si era ispessito: non c'era quasi più traccia dello sbruffone di anni prima, perché sembrava esser stato sostituito da una persona più moderata, nonostante la sua indole non fosse stata stravolta. Emma si chiese se fosse solo cresciuto, o se Ruth avesse colpe per quelle differenze.
«Tu hai intenzione di restare a lavorare alla concessionaria?» indagò quindi, per sviare i propri pensieri da una strada più cupa. Dallas vendeva automobili e talvolta partecipava a congressi al di fuori dell'Inghilterra, aveva uno stipendio che gli permetteva di vivere dignitosamente e di pagare metà dell'affitto della casa, risparmiando per quando ne avrebbe comprata una: non avevano parlato di chi ci sarebbe andato a vivere.
«Fin quando non mi licenziano», rise Dallas, passandosi una mano dietro il collo. La cicatrice sulla bocca si muoveva insieme alle sue labbra. «È un posto sicuro, mi pagano bene: non voglio e non posso rischiare, in fondo il mio lavoro mi piace», continuò con più serietà. «A volte riesco anche a fare un giro su macchine che non potrei permettermi nemmeno dopo sessant'anni di stipendio», scherzò.
«Cosa fondamentale», precisò Emma, sorridendo e terminando la cioccolata calda. Si alzò per gettare il bicchiere nel cestino più vicino e, non appena prese di nuovo posto al suo fianco, sentì il cellulare vibrare nella tasca della propria giacca.
 
Un nuovo messaggio: ore 16.13
Da: Harry
“Cosa state facendo?”
 
Un nuovo messaggio: ore 16.32
Da: Pete
“Che fate?”
 
Un nuovo messaggio: ore 16.33
Da: Harry
“Emma”
 
Ad Emma venne da ridere, ma seppellì l'istinto dietro un sorriso trattenuto: non poteva credere che due ragazzi come loro potessero essere così bambini nella loro ingenua gelosia.
Harry non si era mostrato contrario al fatto che Emma avesse poi richiamato Dallas per invitarlo a vedersi, ma quasi. Mentre Pete si era palesemente indispettito per aver ricevuto una risposta negativa alla sua proposta di uscire, soprattutto quando gli era stato detto il motivo.
 
Messaggio inviato: ore 16.35
A: Harry
“Siamo in centro: abbiamo preso qualcosa in un bar ed ora stiamo facendo una passeggiata. Non sono stata rapita, né ho intenzione di scappare con lui, puoi stare tranquillo (forse)”
 
Messaggio inviato: ore 16.36
A: Pete
“Giuro che il prossimo pomeriggio lo dedico solo a te!”
 
«Cosa vuole mio fratello?» indagò Dallas, sorprendendola.
Lei ritrasse istintivamente il telefono dal suo campo visivo, corrugando la fronte. «Non ti hanno detto che spiare è da maleducati?» lo rimproverò bonariamente. In realtà, dovette scendere a patti con la sensazione che la sua intrusione non fosse affatto minacciosa, né fastidiosa. Come sempre.
Lui si strinse nelle spalle, assumendo un'aria di sufficienza. «Mi è caduto l'occhio».
«Certo», borbottò Emma, scuotendo il capo.
«Mi ha detto che stai di nuovo con Harry», esordì dopo qualche istante, attirando la sua attenzione insieme alla vibrazione del cellulare.
 
Un nuovo messaggio: ore 16.40
Da: Harry
“Ne riparliamo domani, quando dirò davanti alla tua famiglia che il tuo arrosto faceva schifo”
 
«Sì», confermò Emma, momentaneamente distratta. «Ci siamo ricascati», aggiunse con una vaga nostalgia nel tono di voce.
 
Messaggio inviato: ore 16.41
A: Harry
“Ok. Ora però sono impegnata, non posso parlare: mi dispiace”
 
«La cosa non mi ha stupito, sinceramente», commentò Dallas, osservandola sorridere per il messaggio appena digitato.
«Siamo così prevedibili?» gli domandò divertita.
Lui le dedicò una debole risata. «Siete più... Una scommessa».
«E tu scommetti su di noi?»
«Io scommetto su di te», precisò Dallas.
 
Un nuovo messaggio: ore 16.44
Da: Harry
“Vaffanculo :)”




 


Buonasera!
Finalmente!!!!!!!!!!!!!!! Questo capitolo mi ha fatto dannare senza un motivo, e in più ho avuto diversi impegni e diverse distrazioni che mi hanno impedito di scrivere. Scusate per il ritardo! Spero che almeno l'attesa sia valsa la pena ahahha Probabilmente molte di voi si aspettavano che in questo capitolo ci fosse la cena a casa di Emma (sono felice che abbiate apprezzato così tanto l'idea :)), ed effettivamente avevo pensato che sarebbe stato così: in realtà poi mi sono resa conto che il capitolo sarebbe venuto troppo lungo, perché non potevo tagliare la parte iniziale tra Emma ed Harry, né volevo togliere spazio alla descrizione della cena. QUINDI, ho inserito Dallas e la cena verrà ampiamente descritta nel prossimo capitolo :) Vi avviso che ormai mancano solo tre capitoli alla fine della storia (non mi sembra vero.......): come pensate che finirà?
- Harry/Emma: spero sia chiaro che Emma non è contraria a far conoscere la sua famiglia ad Harry, ma che è semplicemente uscita fuori di testa hahaha È molto agitata all'idea, quindi si aggrappa a qualsiasi cosa per trovare una scusa plausibile, anche se Harry è più deciso di lei. Vi è piaciuto come hanno affrontato la cosa? Cosa pensate a riguardo? E cosa vi aspettate dal prossimo capitolo?
Strano che nessuna di voi abbia fatto caso al comportamento in parte diverso di Emma: ha perdonato molto facilmente Dallas, se si pensa al casino che ha fatto con Harry per la storia di Lea. E infatti Harry se ne accorge eccome, e si incazza (te pareva): ma il tutto si risolve molto facilmente, perché ogni tanto essere sinceri ed ammettere qualcosa può essere molto d'aiuto :)
- Dallas/Emma: non ho dato molto spazio a loro perché non me la sento di farlo e perché il loro rapporto non tornerà mai quello di un tempo. Non so, sono piuttosto scettica su Dallas, un po' come lo è Emma: senza contare il fatto che quello che è successo a loro è successo a me, quindi credo di avere una specie di blocca nella mia mente. IN PRATICA, per me Dallas (aka il mio mio migliore amico) è caduto in basso, quindi mi rivendico così. Ma si sentirà comunque parlare ancora di lui :)
- Messaggi vari tra Emma, Pete ed Harry: i due piccini si sono ingelositi ahahhahah Pete rimane il TOP del TOP, mentre Harry.... BE', è Harry!! Il "vaffanculo :)" finale spero vi abbia fatto sorridere hahahah In realtà lo smile non doveva esserci, ma l'ho scritto inconsapevolmente e alla fine ho deciso di lasciarlo così :)
E niente, spero che il capitolo vi sia piaciuto! Ancora una volta vi chiedo di farmi sapere cosa ne pensate, soprattutto perché la storia sembra aver perso un po' di lettori, quindi i pareri mi sono fondamentali in questo momento.
Grazie come sempre per tutto <3 <3

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.

 
     
  

 
  
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