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Autore: FireFistAce    06/03/2015    6 recensioni
Salve! Questa storia è il mio primo Crossover e, quindi, la prima Jelsa che scrivo. Piccola precisazione: i capitoli sono alternati, dopo il prologo sono Jack, Elsa, Jack, Elsa, ecc...
Spero che vi piaccia!
Dal capitolo due:
"Jack (si chiamava così, giusto?) si rimise in piedi subito, volteggiando fino a terra e atterrando con grazia.
Ora che lo guardavo bene, notai che doveva avere più o meno la mia età, ed era vestito in modo improponibile per uno che aveva planato sulle montagne innevate: una leggerissima felpa blu con le maniche lunghe, un paio di pantaloni marroni a pinocchietto e basta. Non aveva le scarpe, non aveva le calze, una sciarpa, un paio di guanti, niente. [...]"
Dal capitolo tre:
"Avrei voluto farle un sacco di domande in quel momento.
Non hai freddo? Non sei stanca? Non vuoi tornare a casa?
Invece rimasi in silenzio e la accontentai, passando intorno a una nuvola conica che andava verso l'alto, girandole intorno e poi capovolgendomi per tornare verso il suolo a capo in giù.
Sentii le sue braccia stringermi il collo e il suo viso affondare nella mia spalla mentre cadevamo a velocità folle verso il basso.
“Hai paura?” chiesi preoccupato.
“No”
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, I Cinque Guardiani, Jack Frost, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Il giorno in più

Ero un fascio di nervi, avevo addosso un'ansia mai provata prima, nemmeno quando dovevo essere incoronata e ancora non avevo la padronanza dei miei poteri.

Mi accomodai sulla roccia, sentendo la mancanza del calore della mano di Jack, e respirai a fondo.

“Adesso entriamo nella sua testa e vediamo cosa c'è” disse Gran Papà.

Mi mise una mano sulla fronte e poi la fece scorrere su di essa, trascinandosi dietro una nuvola colorata, che si aprì di fronte a noi tutti, nella radura.

Al di là c'ero io, impegnata a rivestirmi dopo essere tornata a casa di notte. Avevo sul viso un sorriso che non mi riconoscevo e mi imbarazzò moltissimo il fatto che quella cosa la potessero vedere tutti quanti.

“Sto arrivando!” avevo gridato a qualcuno al di là della porta. Velocemente mi ero vestita ed ero uscita in corridoio, aggiustandomi la crocchia sulla nuca.

“Ah, Elsa! Buongiorno!” mi aveva salutato Anna, raggiante. Forse notandolo perché ormai sapevo del bambino, vidi che aveva una mano sulla pancia e la accarezzava con naturalezza.

“Buongiorno Anna!” avevo ricambiato, abbracciandola con slancio.

Ci eravamo salutate con affetto, cosa che non facevamo quasi più da più di dieci anni, e riconoscevo nei miei occhi quell'amore che per molto tempo mi ero ero proibita di provare per qualsiasi persona.

I miei ricordi erano di una giornata come un'altra: avevo svolto il mio lavoro da Regina, avevo ascoltato le lamentele, fatto un paio di conferenze, pranzato con Kristoff, Anna, Olaf e Sven e avevo letto le varie relazioni.

Rispetto al solito notai una maniacale ed ossessiva ricerca dell'orologio: avevo chiesto almeno trenta volte che ore fossero.

Avevo quasi paura a domandarmi come mai, anche se la risposta era ovvia.

A fine giornata, durante la cena, fui più veloce del solito a mangiare. Mi ero alzata dopo dieci minuti cronometrati, congedandomi.

“Elsa, va tutto bene? Oggi sei così strana, sei... impaziente” mi aveva detto Anna. Io mi ero schiarita la voce imbarazzata.

“Io? Tutto benissimo” avevo risposto, ma ero arrossita e avevo distolto lo sguardo. Anna, fissandomi, si era avvicinata.

“Sei sicura? Sai che con me puoi parlare di tutto?” mi aveva chiesto. E riuscivo a leggere sul mio viso la lotta interiore. Ero così poco abitata a fidarmi delle persone che mi risultava difficile aprirmi, anche dopo che Anna si era dimostrata così aperta con me, tanto da salvarmi la vita.

Avevo sospirato, poi un enorme sorriso si era dipinto sul mio volto.

“Si tratta di un ragazzo!” avevo ammesso emozionata. Anna mi aveva preso le mani e aveva saltellato.

Quella parte mi stava incredibilmente mettendo in imbarazzo, quindi guardai di soppiatto Jack, accanto a me, che fissava divertito la scena.

Cavoli.

“Chi è? Lo conosco? Come l'hai conosciuto?” mi aveva tempestata di domande Anna, e io mi ero messa a ridere.

“Non lo conosci, non emozionarti. È un tipo... buffo. Prima di parlartene voglio conoscerlo” le avevo detto. Si era subito spenta, delusa.

“Ma così non vale! Io ti ho detto subito di Hans e poi di Kristoff!” si era lamentata.

“Anna, volevi sposare Hans dopo tre ore! Tu non fai testo!” l'avevo presa in giro. Mi aveva dato una leggera spinta mentre ridevo.

“Va bene, forza vai dal tuo fidanzato segreto. Però promettimi che appena capisci se ti piace vieni a dirmelo!” si era raccomandata.

Io l'avevo abbracciata, poi avevo annuito.

“Te lo prometto” avevo detto.

Fortunatamente quella parentesi imbarazzante finì e io ero entrata in camera, chiudendo chiaramente la porta a chiave.

Avevo sciolto la crocchia, cambiato l'abito, mi ero guardata allo specchio almeno sedici volte prima di essere felice. No, continuava nonostante tutto ad essere imbarazzante.

“Ti stavi preparando per me?” mi chiese Jack, sfottendo.

“Sta' un po' zitto” risposi infastidita.

Avevo aperto la finestra e guardato fuori. Riuscivo, solo adesso, a ricordare vagamente il senso di eccitazione provato nel sapere che stavo uscendo per un appuntamento, o qualcosa di molto simile.

All'improvviso avevo sentito un rumore dietro di me e mi ero voltata sulla difensiva, le mani davanti già pronte a congelare chiunque.

“Mia Regina, i miei più sentiti saluti” aveva detto l'ospite da un punto indefinito. Io mi avvicinai all'immagine, sentendo il cuore accelerare. Stava per arrivare il momento.

“Chi parla?” stavo dicendo nel ricordo. Un'ombra mi era passata davanti, proiettata sul muro, per poi spuntarmi da dietro. Mi ero voltata sempre sulla difensiva.

“Le porgo i miei ossequi, mia Regina. Il mio nome è Pitch” mi stava salutando lui. Era apparso sulla parete e ne era uscito fuori come il peggiore degli incubi.

Io mi ero preparata ad attaccare.

“Come sei entrato qui? Cosa vuoi?” lo avevo interrogato. Lui si era messo le mani dietro la schiena ed aveva iniziato a passeggiare tranquillamente per la stanza. Seguivo le sue mosse attentamente.

“Immagino che si stia preparando ad uscire. Bel ragazzo, Jack Frost, una mia vecchia conoscenza. Le faccio i complimenti per la scelta” mi aveva detto.

“Ti ho fatto una domanda. Cosa vuoi?” avevo ripetuto. Lui si era fermato di fronte alla finestra e mi aveva fissata con un sorriso inquietante sul volto.

“Sono venuto qui per conto di un amico. Mi ha chiesto di fargli un favore e quindi sono venuto. Ma lo sa che è molto più bella di quanto mi avevano raccontato, mia Regina?” mi aveva risposto. Poi aveva fatto un movimento che non ero riuscita a capire e, nel dubbio che potesse attaccarmi, avevo lanciato un getto di ghiaccio contro di lui.

Saltando, lo aveva scansato.

“Oh, suvvia Regina. È così che tratta gli ospiti?” mi aveva sbeffeggiato dal soffitto, a testa in giù. Gli avevo lanciato un altro getto di neve ma aveva scansato anche quello e pure quello dopo e quello dopo ancora.

Era troppo veloce per me.

“Non si fa, non si fa. Davvero, mia Regina, pensavo che fosse più educata di così. A comportarsi in modo così scomposto mi ricorda veramente quel Frost. Anche lui è una testa calda, se mi passa il gioco di parole” mi aveva detto.

“Chiunque tu sia, vattene” lo avevo minacciato.

Il ghiaccio ricopriva interamente tutte le pareti della mia stanza.

Pitch si mise di nuovo contro la finestra, la luce della luna era oscurata dalla sua presenza mortifera. Perfino da fuori, come spettatrice, sentivo l'ansia e l'angoscia crescermi dentro.

Mi aveva sorriso per un istante.

“Ricorda che le avevo detto di dover fare un favore a un amico?” mi aveva domandato. Non avevo risposto ma avevo tenuto lo sguardo fisso su di lui.

“Be', avrei dovuto distrarla. Addio, mia Regina” mi aveva detto, per poi saltare fuori dalla finestra. Non avevo fatto in tempo a sentirlo, troppo occupata a fissare Pitch, ed ero stata lenta a voltarmi. Gridai mentre vedevo me stessa trafitta da una spada lunga e lucente da un uomo col cappuccio. Vidi il mio stesso stupore mentre mi accasciavo a terra, incredula di quello che stava succedendo, incapace di capirlo.

Mi avvicinai ancora all'immagine del mio ricordo e mi osservai fissare il cappuccio del mio aguzzino, cercando una spiegazione, un qualche modo per riconoscere chi si trovava al di là di quel mantello.

La figura si era abbassata, poi mi aveva preso per il mento mentre stavo cercando l'aria che non c'era più, mentre stavo esalando gli ultimi respiri della mia vita da umana.

E poi gli era caduto il cappuccio.

Trattenni un grido, là nella radura dei Troll, mentre quella faccia si piantava di fronte ai miei occhi, indelebile, un incubo che stava tornando indietro. Un terrore cieco si impossessò di me.

“Se solo tu e quella stupida di tua sorella non aveste rovinato tutto, non sarei dovuto arrivare a tanto. È solo questione di tempo, poi penserò anche ad Anna. Povera, pensa quanto sarà vulnerabile ora che sua sorella è morta ed è rimasta sola. Avrà bisogno di una spalla su cui piangere, non credi? E chi ci sarà a chiedere scusa per il passato e ad aiutarla?” mi aveva detto. Poi aveva sorriso.

“Lunga vita alla Regina, mia cara Elsa”

Mi aveva lasciata lì a respirare affannosamente, il sangue che se ne andava dal mio corpo ferito. Si era rimesso in testa il cappuccio e se n'era andato, mentre il ghiaccio intorno a me si trasformava, scuriva fino a diventare nero come la pece. Nero di morte.

Il ricordo terminò e l'immagine nell'aria scomparve. Nella radura eravamo tutti in silenzio e io sentivo il fiato mancare, le mani tremare e il poco calore che avevo nel corpo sparire.

Non era possibile, era il ritorno di un incubo.

Dopo non so quanto tempo passato in silenzio, Jack mi si avvicinò.

“Lo conosci? Sai chi è quel tipo?” mi domandò.

Boccheggiai senza riuscire a parlare, sentivo che pronunciare il suo nome ad alta voce avrebbe concretizzato la sua minaccia.

Ecco perché l'avevo visto al castello, ecco perché era lì! Cercava di avvicinarsi ad Anna, la mia Anna, per farle del male, per uccidere anche lei.

Non potevo permetterlo.

Mi alzai e sentii nella mia voce la sicurezza che poche volte avevo avuto nella mia vita, una sicurezza da Regina.

“Dobbiamo tornare ad Arendelle. Subito” annunciai. Mi voltai verso Gran Papà.

“Tu puoi vedermi. Devo fare in modo che Anna riesca a vedermi. Come posso fare?” gli chiesi. Lui scosse la testa.

“Se lei non crede in te non può vederti. Mi dispiace” commentò. Sospirai ma non mi persi d'animo: avrei dovuto avvertirla in altro modo, se possibile.

“D'accordo, non importa. Jack riportami indietro, torniamo da Nord e Dentolina” gli dissi. Lui annuì senza discutere e mi prese in braccio. Mi girai un'ultima volta verso i Troll.

“Grazie, grazie di tutto! Mi ricorderò della vostra gentilezza!” li salutai.

Dopo due minuti di volo la radura era già invisibile ai nostri occhi, dispersa in lontananza in mezzo agli alberi. Jack mi fissò.

“Elsa, che succede?” domandò. Lo guardai.

“Hans, Principe delle Isole del Sud, è tornato per vendicarsi di mia sorella”

  
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