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Autore: CrisBo    07/03/2015    4 recensioni
Il tavolo era imbandito di pietanze di ogni tipo. Una varietà di legumi e ortaggi erano stati disposti sopra i piatti, s'affollavano i formaggi e le piante verdi del vecchio contadino del decumano ovest, colui che coltivava le migliori carote di Hobbivile (il più quotato tra le hobbittesse, perbacco!)
Volavano i piatti e s'infrangevano nel fumo dell'erba pipa di Gandalf, spargendo i vapori di quell'odore per tutta la sala da pranzo. Bofur e Dwalin suonavano allegri, seguiti da Dori, i loro busti ondeggiavano a ritmo e con le braccia facevano saltare le stoviglie. C'erano tutti i nani chiamati per la spedizione di Scudodiquercia, persino quelli che non discendevano dai Durin. [ Dal prologo ]
***
- 2941, T.E. Partono in sedici dalla casa di Bilbo per la spedizione verso Erebor e ciò che l'avventura comporta cambierà le sorti dei discendenti di Durin. Il sedicesimo compagno è una nana, Berit, del quale si sa poco e niente. Mangia tanto, beve tanto, è chiassosa ed ha un rapporto particolare con Bofur. - Prima ff, c'è dell'autocritica in me.
[ IN REVISIONE! ]
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bilbo, Bofur, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 39.
Solo tu




Un potente frastuono rimbombò per tutte le pareti, una pila di armi era stata ammassata con poca saggezza sul pavimento di una stanza illuminata dalla leggera luce delle fiaccole. Berit era intenta e spostare con mestizia e nervosismo tutte le armi che era riuscita a portare dentro la camera. Non era una stanza grossa ma le pareti erano alte e alcune finestrelle s'aprivano sullo spiazzo sottostante, lasciando filtrare la luce e la polvere. V'era un letto molto largo attaccato alla parete – sfatto – ricoperto di vestiti, cotte, usberghi, e alcuni elmi. Erano diverse ore che continuava in quei gesti senza darsi pace. La conversazione con Fili aveva acceso un pensiero ricorrente che non voleva abbandonarla con alcuna alternativa possibile. Si ritrovò spesso a osservare oltre la finestrella e a guardare la Luna. Il pensiero era deviato verso la Guerra che incombeva. Era giunta la notizia che Dàin – contattato da Thorin – stava giungendo ai piedi di Erebor con tutto l'esercito dei Colli Ferrosi. Aveva velocizzato la sua marcia dopo l'incontro poco felice del giorno stesso ed era sicura che ben presto i suoi parenti sarebbero apparsi oltre le luci dell'alba.
Non aveva amato particolarmente quella novità.
Non odiava i suoi parenti lontani ma erano stati ben leali solo una volta che l'Arkengemma fu riapparsa nuovamente, un comportamento che riteneva fin troppo vile. Non poteva biasimare il loro lato calcolatore ma non era nella condizione giusta per affrontare quel percorso di eventi con la lucidità e la spensieratezza d'un tempo. Stava cominciando a sentire in maniera opprimente il cambio di clima che aleggiava sopra le loro teste. Non erano solo la mancanza estenuante di Bilbo, non era il sapore della battaglia incombente e non era neanche il pensiero di quella feccia d'Elfo che aveva avuto l'ardire di fare il gradasso per le sue preziosissime gemme bianche. Aveva ammirato Bard per il coraggio con cui aveva affrontato Thorin ma non poteva dire lo stesso del Re del Reame Boscoso e di certo vederlo perire sotto gli attaccati dei suoi consanguinei sarebbe stato un evento assai divertente.
Ma non era il momento propizio per pensare ad una tale scelleratezza - o forse lo era - ma non riusciva a togliersi dalla mente l'impulso più trasparente e inusuale che potesse mai provare in vita sua. Non era stata così deviata da qualcosa nemmeno quando si trattava di scommettere cospicue somme di denaro. Non era un pensiero illogico ma era del tutto nuovo per lei.
O forse non lo era.
Continuava a mettere in fila indiana martelli e asce e spadoni e anche un arco che aveva senz'altro rubato a Kili – inconsapevolmente – seppure sapesse con fin troppa certezza di avere la mira di una talpa; quello confermò il divertente scherzo che la sua mente si stava divertendo a farle.
Afferrò il manico dell'ascia e poi lo stesso martello e si ritrovò a soppesarli con estrema minuzia, brontolando parole sconclusionate, nella lingua antica del suo popolo. Il silenzio che aleggiava in quell'ala della Montagna faceva vibrare ogni suono che scaturiva da esso. Era ben conscia che i suoi movimenti potessero essere presi con fastidio dai suoi Compagni dormienti ma – di certo – l'ultima cosa che s'aspettava era il picchiettare di alcuni stivali che presagivano la venuta di qualcuno.
Qualcuno che aveva molta fretta, a quanto pare.
Si ritrovò ad alzare lo sguardo verso la porta della stanza e – senza che potesse controllarlo – sentì il cuore rimbombare sempre più forte nel petto. Si ritrovò a pensare ad un fatto insolito: si ricordò di un discorso di Dwalin durante un allenamento ufficiale nello spiazzo verdeggiante a ridosso del villaggio degli Uomini, a sud degli Ered Luin. Quel giorno aveva assassinato ben dieci manichini di legno, aveva decapitato qualche cespuglio e aveva trafitto i tronchi degli alberi. Dwalin non fece emergere alcuna espressione sul volto, neanche quando la luce arancione del tramonto discese su di loro richiamando la ricercata ora della cena, facendo finire la lezione d'armi. Ma si voltò verso di lei e spulciò una semplice frase, una di quelle che ricordi quando passi il tempo a pensare disteso nel letto o quando la mente – invasa da pensieri – si ricorda di un evento improvviso e lontano.
Quando ti ritroverai davanti un nemico - in battaglia - devi ricordarti che la tua vittoria dipenderà dal nano che sta al tuo fianco. Se abbassi la guardia, lui è morto. Se lui abbassa la guardia, tu sei morta.”
Non aveva la minima idea del perché si ritrovò a pensarlo in quel preciso momento, aveva collegato quel pensiero non appena la paura e la speranza si mischiarono insieme. In quel preciso momento si rese conto che, se avesse mai scommesso in quel particolare stato emotivo della sua mente, avrebbe perso. Stava abbassando la guardia e questo gli procurò un moto eccessivo di paura; non aveva mai lasciato che i sentimenti la sopraffacessero, in fondo.
I passi divennero sempre più delineati fino a che, risalendo le ultime scale di pietra, la figura di Bofur si palesò sull'uscio dell'arco.
Quello era alquanto trafelato, aveva ancora il cappello un po' storto sul capo e respirava pesantemente dal petto. Berit non appena incrociò il suo sguardo si ritrovò a stringere convulsamente la presa con le due armi che ancora stava reggendo tra le mani.
Avrebbe persoAvrebbe senz'altro perso.
«Bofur!» Esclamò con una voce fin troppo squillante. La cosa le procurò una smorfia sottile sul volto e abbassò in fretta lo sguardo, non controllando più il calore che le si sprigionò sul volto.
«Ho...Bofur!» Di nuovo marcò il suo nome con un tono indecifrabile. «Sei giunto proprio in un momento propizio. Non so...non so proprio cosa fare con queste due.»
Quello non aveva risposto al saluto, era rimasto bloccato a respirare con le labbra schiuse e uno sguardo acceso. Se s'era fermato per riprendere fiato la cosa non sembrava funzionare adeguatamente. Quel silenzio, da parte sua, non migliorò in alcun modo il profondo disagio che sembrava avvolgere Berit in ogni sua forma.
«Vedi...ho quest'ascia e penso che...sarebbe un'ottima arma nel caso dovessi usarla per... però i fendenti sarebbero un po' complicati. Sarebbe una scelta rischiosa, sai, di quelle...di quelle dove scegli lanciandoti un po' nel vuoto.» Mormorò lei evitando accuratamente di guardarlo. Spostò l'attenzione verso il martello stretto nell'altra mano. Sentiva le mani sudare e la testa gli ronzava, pressando contro le tempie.
Avrebbe potuto pensare che fosse una grave malattia, d'altronde, ma non lo fece.
«E ho questo martello, il mio fido martello, che sarebbe la scelta saggia per...per andare sul sicuro e...continuare a usare ciò che ho sempre usato, consapevole che...con questo non sbudellerò nessuno.» Riuscì a spiegare lei, prendendo delle pause adeguate e non volute.
Bofur aveva rigettato sulle due armi lo sguardo e – ancora silenzioso – aveva cominciato a muoversi dentro la stanza per avvicinarsi a Berit. Lei notò che non era per niente sciolto nei movimenti e – qualcosa – dentro di sé le provocò un brutto stato d'ansia. Si sentiva come se fosse ai piedi di un alto e oscuro precipizio e stesse ponderando l'idea di lanciarsi, indipendentemente se fosse saggio o meno farlo. Stare sull'orlo, di certo, non era una soluzione migliore: era un'agonia.
«...Quindi sono molto indecisa, capisci? Scelgo ciò che non so bene dove mi porterà o scelgo di rimanere...con il mio...la mia arma passata?» Lei deglutì le ultime parole – non sapeva nemmeno più di cosa stesse parlando - prima di rialzare lo sguardo e trovarsi esattamente Bofur davanti al naso. Qualcosa dentro al suo petto impazzì completamente e si chiese perchè non riusciva a guardare in volto il suo più caro amico senza sentirsi frastornata.
Cosa dannazione stava succedendo? La malattia dell'Oro aveva cominciato a palesarsi in maniera così insolita? Cosa non capiva?
Maledetto Fili e i tuoi discorsi saggi.”
Bofur stava faticando a respirare, il cuore aveva cominciato a tramortirlo con battiti troppo vigorosi ed era sicuro che stesse prendendo fuoco. Un coraggio nuovo prese piede in lui, lo stesso che era riuscito a trovare il giorno in cui Thorin lo aveva minacciato nella stanza dell'Oro. Se Bilbo non avesse interrotto nulla forse, adesso, le cose sarebbero molto diverse.
Forse.
Ma continuava a pensare a ciò che, quella sera stessa, aveva scorto mentre era andato a cercare la sua Berit nelle Grandi Sale. Si era sentito peggio di un ladro, o di un topo, quando aveva deciso di restare celato nell'ombra a guardare la scena che gli si palesò davanti. Fili e Berit che si stavano abbracciando, i loro volti così vicini, e la nebbiosa sensazione di qualcosa che aveva già vissuto
...ma dove? Non lo ricordava.
stava tornando a farsi strada dentro di lui, come un ricordo malevolo e rabbioso. Non aveva mai provato così tanta gelosia in una volta sola, pur sapendo che Fili era quanto più lontano possibile da qualsiasi atteggiamento viscido e traditore. Il nano biondo sapeva con fin troppa certezza ciò che Bofur aveva sempre nascosto a sé stesso. O a lei. E ricordava perfettamente ciò che gli disse dentro quella casa, a Esgaroth, davanti al fuoco, dopo quella domanda.
Non aspettare che qualcun altro si faccia avanti e te la porti via. Apri gli occhi e vedi, per una buona volta.”
Non lo aveva fatto. S'era lasciato sopraffare dalla paura di un suo rifiuto e aveva rovinato ogni cosa. In fondo lui cosa poteva mai saperne di amore? Di sentimenti? Di unioni?
Quello che aveva con Berit gli era sempre bastato, non avevano mai avuto bisogno di promesse o frasi per delineare qualcosa che sapevano entrambi, nel profondo.
Si appartenevano. 
Ma questo non bastava più, s'innalzava la consapevolezza che non aveva più alcuno scudo difensivo in sua presenza, non poteva più celare niente oltre lo sguardo. Quel sentimento stava incalzando come la più grande e potente tempesta che egli avesse mai provato. Alimentato dalla paura di quei giorni, dall'oscurità che filtrava oltre i tunnel e s'insinuava dentro le ossa ogni qualvolta l'Oro tintinnava la sua straziante melodia.
Il suo sguardo continuava a vagare sulle mani di Berit - da un'arma all'altra - fino a che l'apice di quella sensazione non raggiunse una vetta incontrollabile. Alzò gli occhi su di lei e si sentì completamente sovrastato da una mole di pensieri enormi. Il corpo era proteso pericolosamente ma ancora rimase ad una distanza sicura da quello di Berit. Lo sguardo calò sulle labbra della nana e – questa volta – restò a fissarle a discapito di quello che lei avrebbe detto, fatto o solo pensato.
«Che si infanghino entrambe!» Riuscì a biascicare con un filo di voce prima di fare uno scatto in avanti e cercare le sue labbra con le proprie, reclinando il capo. Prese a baciarla con tutto il desiderio accumulato fino ad allora, spingendola col proprio corpo contro la parete dietro di sé. Non appena la schiena di Berit si bloccò sull'ostacolo, lui andò a rialzare le mani e le prese il volto, continuando ad assaporare le sue labbra con trasporto. Non era stato lieve, non era stato dolce e soave – come forse nei suoi sogni aveva sempre immaginato – ma era partito sapiente e bisognoso, doveva sentire quelle labbra sulle proprie. Schiacciò il corpo contro quello di Berit e s'abbandonò a quel bacio senza più pensare a niente. Era rimasta impigliata al suo cuore la paura sottile di un suo presunto rifiuto ma ora aveva lasciato spazio ad un'immensa felicità, gli era bastato sentirla schiudere le labbra e trascinarlo in quella spinta per farlo resistere. Quel miscuglio di sensazioni era stato capace di stordirlo completamente.
Per farlo vivere e morire insieme.
Nessuno dei due sembrava voler smettere, entrambi con gli occhi chiusi e le labbra che si ricercavano in un bacio ardente; si leccavano e si mordevano a vicenda – sorridevano entrambi in quel contatto – mentre le mani di lui scesero fino ad arpionare la cotta di cuoio ancora legata al petto di Berit. Fu in quel momento che lui si staccò con una smorfia di disappunto, restando vicino al suo viso. Erano entrambi rossi e bollenti in volto, i loro cuori stavano danzando all'unisono come tamburi possenti e i loro respiri erano spezzati.
«...Forse...forse sarebbe meglio l'a..l'ascia, non credi?» Riuscì a dire lei senza più voce in gola. Il suo sguardo cercò quello di Bofur e lui cominciò ad annuire – non era ben sicura che avesse veramente capito la domanda – mentre le dita di lui cercavano velocemente di slegarle la cotta. Sentiva una sorta di impazienza in quel gesto e lei era sicura che il cuore non avrebbe retto un'emozione più grande di quella.
«Sì...sì certo, il martello quando...sì..no l'ascia! L'ascia è meglio.» Biascicò lui senza fiato e lei sorrise pienamente, facendo uno slancio col volto per tornare a baciarlo. Ora che avevano cominciato – ora che avevano finalmente oltrepassato il loro limite – non riusciva più a farne a meno.
Bofur smise immediatamente tutto ciò che stava facendo e si ritrovò abbandonato a quel gesto senza riuscire a contrastarlo. Lei si stava scostando dalla parete e aveva fatto cadere sia l'ascia che il martello a terra – altro rimbombo tintinnante – afferrando i lembi della giacca di Bofur per stringergliela con possessione. Lo stava spingendo verso il centro della camera e lo percepì quando Bofur incespicò su tutte le armi lasciate a terra – altri clangori e rimbombi ovunque – se i nani fossero stati svegli e attenti avrebbero ben pensato a chissà quale lotta inusuale a quell'orario notturno.
Bofur stava ancora indietreggiando quando incastrò lo stivale sull'arco di Kili e si ritrovò a perdere l'equilibrio, cadendo all'indietro. Berit – che Bofur teneva ben arpionata al proprio corpo – cadde insieme a lui e gli finì brutalmente addosso.
Avevano cominciato a ridere come due ebeti prima di ricercarsi ancora, tornando a baciarsi con uno slancio più sapiente e sempre meno impaurito. Sorridevano e arrossivano, le mani continuavano a cercarsi e carezzarsi come mai era successo prima di allora.
«...Però il martello sfonda i crani, sai...sai...magari dovrei...» Ci provò Berit a parlare sulle sue labbra ma Bofur le vietò di farlo quando tornò a bloccare ogni suo dire con un altro bacio, facendola rotolare sul pavimento con uno slancio del corpo. Ora lei era sotto e lui gli si era spiaccicato sopra, evitando accuratamente di schiacciarla col proprio peso. Le dita, intanto, avevano trovato tutti i legacci e li avevano sapientemente slacciati così che si ritrovò a liberarla dalla cotta di cuoio. Lei sotto aveva solo una blusa pesante, color porpora.
«...Ma l'ascia sbudella.» Soffiò Bofur sulle sue labbra velocemente, con un sorriso divertito, prima di chiudere gli occhi e lasciare filtrare una mano oltre i lembi della blusa di Berit. Quando lei se ne accorse sorrise nel bacio e gli morse il labbro inferiore, spintonandolo per invertire di nuovo la posizione. Rotolarono sul pavimento per l'ennesima volta – Bofur scalciò inconsapevolmente un elmo e fece un gran baccano – prima di fermarsi ai piedi del letto.
Lui sotto e lei sopra.
Con una mossa rapida – più da combattente – lei gli si era messa a carponi sopra al corpo e la mano era scivolata fino alla base del collo di Bofur. I loro volti erano vicinissimi ma questa volta Berit rimase a guardarlo più a lungo. Sentiva le sue mani arpionarle i fianchi e cercare di infiltrarsi sotto la blusa e lei fece un sorrisino malizioso – che di malizioso aveva ben poco in realtà – e lui si ritrovò a guardarla senza più nascondere nulla. Ogni sentimento, ogni sensazione che incalzava scendeva come un fiume in piena dallo sguardo e sentì il corpo tremare sotto quell'affollamento. Lei lo percepì e subito scostò la mano dal suo collo per farla scendere lungo il suo petto, fino a soffermarsi sui fianchi di lui. I loro volti rimasero vicini a tal punto da sospirare nello stesso istante. Gli occhi non facevano che cercarsi e si spostavano su ogni lineamento, su ogni minuscola ruga d'espressione, su ogni piccolo particolare del loro sorriso piegato sul volto.
Se l'Oro aveva inasprito loro il cuore, in quei giorni, era bastato solo quello a farlo tornare come un tempo. Libero, forte ed estremamente felice.
«Quindi ero io.» Sussurrò lei con un coraggio che non le competeva, strusciando la punta del naso contro quella di Bofur.
Lui corrugò appena la fronte e si ritrovò a cercare il suo sguardo. Le mani si bloccarono non appena le dita cominciarono a percepire la pelle nuda di lei sotto gli strati delle vesti. Era bollente e l'aveva sentita arricciarsi sotto il proprio tatto. Era la sensazione più bella che avesse mai provato in tutta la sua vita.
«Cosa...cosa vuoi dire?» Mormorò lui, con voce un po' roca.
«Tu...tu hai detto che avevi una nana. A Bilbo.» Mormorò lei e si sentì la pelle ribollire, di nuovo. Un falò sarebbe stato meno caldo di lei, in quel momento. Lui, di tutta risposta, fece passare le dita sui fianchi della nana e le sorrise con una dolcezza infinita. Lei tremò appena per quel contatto e il respiro gli si spezzò in gola, ritrovandosi a strusciare consapevolmente su di lui.
Per la prima volta – da quando era nata – provò qualcosa che il suo corpo non aveva mai sentito. Era così diverso dalla sensazione della guerra, del sangue o del semplice rimpinzarsi di vino o di cibo. Era qualcosa che non poteva controllare neanche volendolo ed era piacevole il fatto che fosse lui a crearlo.
«Se non ti conoscessi direi che sei...gelosa?» Azzardò lui, alzando le sopracciglia con un sorriso che proprio non poteva nascondere la sua contentezza. «Mi hai mai visto con altre nane che non fossero...te
«Oooh ma davanti a te le nane si spogliano, no, Signor Belloccione?» Lo prese in giro lei, con voce piccola, rifugiandosi con il volto sul collo del nano. Lui sorrise di pieno gusto e sentì un brivido lungo tutta la schiena quando le labbra di Berit cominciarono a donargli tiepidi e brevi baci sotto l'orecchio.
Sarebbe morto volentieri in quel momento e sarebbe morto felice.
«Sei proprio una scimmietta.» Mormorò lui, socchiudendo le palpebre e beandosi di quel contatto. Lei continuava a baciarlo e a martoriargli la pelle con le labbra prima di stringere i denti in dei morsetti più studiati, mentre le mani scendevano e risalivano lungo tutto il busto del nano che aveva sotto il proprio corpo. Sentiva il suo cuore martellare come un forsennato e il proprio non faceva che rimbombare nelle orecchie bollenti.
«Sì, sono stata gelosa.»
Lei scostò il volto dal suo collo e tornò a guardarlo in volto e, questa volta, Bofur allargò lo sguardo per guardarla negli occhi. Fece fatica a mantenere il pensiero lucido, in quel momento, le mani di lei che si muovevano placide ma pressanti non avevano il potere di tenerlo ancorato a quella realtà.
Il suo corpo stava reagendo a quella sensazione e si ritrovò a sospirare per bloccare ogni possibile impulso. Alzò le mani, sfilandole via dalla pelle di lei, e le prese il viso così da liberarlo dalle ciocche delle trecce scomposte.
«Dimenticati immediatamente questa frase o sarò costretta a ucciderti.» Scherzò lei mentre arricciava il naso in una smorfia e lui sorrise pienamente, tirandole il viso verso il proprio, con dolcezza. Socchiuse le palpebre e inspirò il suo odore a pieni polmoni, sfiorando le sue labbra con le proprie. Era uno di quei contatti soavi che ricordavano il tepore di qualcosa di giusto.
«Solo tu, Berit.» Sussurrò quello, alzando gli occhi per incrociare quelli di lei. «Ci sei sempre stata solo tu. Ci..» lei sentì il suo corpo irrigidirsi appena e provò l'irrefrenabile impulso di stringersi a lui col proprio corpo, riscaldarlo e sciogliergli ogni nodo presente. «...ci sarai sempre solo tu.»
Lei sorrise pienamente e i suoi occhi si illuminarono, ingigantendosi d'un sentimento pieno e totale, prima di abbandonarsi all'ennesimo sospiro e ricercare di nuovo le labbra del nano. Ripresero a giocare fra di loro, mischiare i sapori e lasciar sfuggire ringhi giocosi mentre quel bacio divenne più sapiente e appassionato. Le mani di Bofur ritornarono a sgusciare sotto la blusa di Berit e lei ebbe l'ennesimo brivido a riguardo. Non era sicura che sarebbe mai riuscita a resistere a tutto quello, ancora per molto.
Lui staccò lesto le labbra da quelle di lei per mordicchiarle la guancia – le lasciò un segno sbilenco – e si ritrovò a spintonarla col proprio corpo di nuovo. Ancora rotolarono e altre spade vennero colpite e spostate, prima che il corpo di Bofur cominciò a non schiacciare più quello di Berit.
«Ehi, che ci fai nelle mie stanze, tu?» Esclamò quello, continuando a sorridere come un ebete, mentre si rialzava. Non aspettò alcuna risposta, l'aveva presa per le braccia e l'aveva fatta rialzare con un tiro frettoloso. Non aveva più il controllo della situazione; doveva sentirla, toccarla e baciarla senza un attimo di tregua. La fece impattare al proprio corpo e le strinse i fianchi, di nuovo, mentre la spintonava contro il letto.
«Fino...fino a prova contraria questa...è la mia stanza, razza..di citrullo...» Mormorò lei, tentando di trattenere un tono sicuro – per quanto scherzoso – ma continuava a spezzarsi il respiro e la mente non era più sua alleata, in quel momento.
Indietreggiò fino a sentire le gambe impattare contro il letto e si ritrovò a cadere di schiena su questo; Bofur non le diede il tempo di fare niente che gattonò sopra di lei fino a sovrastarla col proprio corpo, ricercando ancora le sue labbra. Questa volta le mani di lei presero a slacciargli ogni gancio – ce n'erano un'infinità – della giacca e si ritrovò a sentire il bisogno eccessivo di percepire la sua pelle sotto le dita.
«...ma...allora ho sbagliato...stanza dici?» Rispose lui con tono tutt'altro che acceso. Stava diventando roco, spezzato, dettato da una strana eccitazione incalzante.
Questa volta Berit gli diede un'altra spinta col proprio corpo – Bofur era convinto che avesse ringhiato un Baruk Khazâd!* - prima di ritrovarsi di nuovo sotto di lei. Fecero cadere dal letto degli usberghi; di nuovo quel leggiadro rimbombo metallico si diffuse in tutta la stanza.
Lui si ritrovò a ripiegare leggermente le braccia quando lei gli strappò letteralmente la giacca di dosso, liberandolo da quell'ammasso di vesti. Non era sicuro di averle mai visto un tale sguardo sul volto e la cosa gli provocò un moto inusuale, ritrovandosi ad afferrarle i lembi della blusa e ad alzargliela.
Era sicuro che quel momento sarebbe stato trafitto da mille incidenti – e non solo di percorso – che qualcuno li avesse fermati di colpo, che i tordi avessero deciso di vendicarsi delle storie di Berit sul loro grugare, che Bombur fosse capicollato lì per sbaglio cercando un tacchino vivo da cuocere o che lei avesse, semplicemente, deciso di non procedere, rendendosi conto dell'immensa idiozia che stava compiendo. Fu la paura d quel pensiero e lo stesso desiderio di vederlo continuare a dargli il coraggio di procedere. Le sfilò completamente la veste di dosso e si ritrovò a guardare il suo busto nudo. Era un po' sporca di terra e alcune cicatrici la martoriavano in punti tattici ma visibili per occhi attenti. La pelle s'era arricciata tutta e quando fece risalire lo sguardo sul suo volto si rese conto che lei lo aveva spostato – imbarazzata – stringendosi nelle spalle e arrossendo vistosamente.
Alzò le proprie mani e cominciò ad accarezzarla con dolcezza e sapienza, sentendo il calore che aumentava ogni secondo sempre di più.
«Che...che succede qua: si tocca?» Pronunciò lei, arricciando tutto il volto in una smorfia.
Bofur, in quell'esatto momento, mentre osservava la sua Berit arrossire per lui, mentre le sfiorava il corpo e lo sentiva fremere a quel contatto, si rese conto che non avrebbe mai più potuto fare a meno di tutto questo. Si stava facendo strada la consapevolezza che il suo cuore aveva scelto, per l'unica e ultima volta. Per tutto il tempo che gli era concesso.
«Io...io non sto toccando...sei tu che tocchi.» Rispose così con un filo di voce, riciclando parole già dette, nel momento in cui l'aveva ritrovata di nuovo.
In effetti lei stava toccando – eccome – una volta che lo aveva liberato con troppa foga della giacca e della blusa chiara che gli copriva il busto. Erano rimasti solo con i pantaloni, entrambi, e le loro mani scivolarono fino a raggiungere le cinte che li tenevano ancora saldi.
Berit percorse tutto il petto di Bofur con le dita prima di arrivare sempre più giù...
Entrambi trattennero il respiro e portarono lo sguardo a incrociarsi con un bisogno impellente, fino a che lei ridiscese col busto fino a sfiorare quello di lui col proprio. Sorrise una volta raggiunta la vicinanza adeguata da ritrovarsi le sue labbra ad un soffio.
«Non toglierti il cappello.» Gli sussurrò sulle labbra, prima di pinzargli la guancia con un morso ringhioso e lui fece una risata rauca, facendo risalire le mani fino a sfiorarle gli angoli del seno. In quel preciso momento il corpo reagì di conseguenza.
«È una minaccia?» Sussurrò lui prima che lei alzò le mani – con una smorfia di dissenso da parte di Bofur – fino a pinzargli gli angoli del copricapo, trattenendoglielo ben stretto sul capo.
«Sì!» Esclamò lei con un sospiro eccitato.
Lui sorrise di gusto prima di chiudere gli occhi e lasciar impattare le labbra con quelle di Berit, baciandola con lo stesso trasporto di prima.
In quel momento Berit non fu proprio in grado di reagire all'ennesima spinta di Bofur mentre quello – con un ghigno famelico – l'aveva roteata di nuovo sul letto. Ma non prese bene le misure e si ritrovarono a cadere oltre questo, sul pavimento, con un tonfo sordo.
Si portarono dietro due elmi, una spada e un pugnale; l'ennesima melodia che sovrastò le loro improvvise risate.


 


* (Per) le Asce dei Nani.




NA.
Ebbene è successo. L'ho scritto! Dopo ben sessantamila capitoli sono giunta al momento più intimo, amoroso e romantico che potessi mai scrivere xD Non so come mi sia venuto perchè non sono pratica in queste faccende, l'ho riletto almeno dieci volte e ci sono alcuni passaggi che trovo banalissimi e brutti e altri che...non so perchè SONO LI ma okei! Era da troppo che volevo concedere a sti due poveracci questo esatto attimo e quando ho cominciato a scrivere è uscita questa cosa. Spero vi piaccia, che non vi abbia annoiato e che ...niente e che vi piaccia! (sì mi ripeto! Sono noiosa!) Intanto ringrazio sempre le mie donzelle che recensiscono flash sto agoniando (?) per la recensione a questo! E chi mi segue, e chi mi legge e chi capita qui sempre per sbaglio x°D io ringrazio TUTTI. A prestissimo! Buona notte a tutti. 

  
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