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Autore: Himmie    07/03/2015    1 recensioni
Brian May?
Parliamo della stessa persona che è innamorata pazza di un bastone per selfies?
***
In tutto questo marasma, il suo cervello ignorò deliberatamente la figura che accompagnava Roger in una seconda batteria di supporto, al suo fianco. Il suo cervello aveva fermamente deciso che quel ragazzo, molto attraente, fosse semplicemente come un pezzo del palco, dotato comunque di braccia muscolose e un ghigno decisamente sexy.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Brian May, Nuovo personaggio, Roger Taylor
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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THE BREAKTHRU.
 
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3. I’m Going Slightly Mad.
 
Leni fissava un punto indefinito di fronte a sè, un cipiglio corrucciato sul viso.
La sua espressione doveva essere così inquietante che un fan, mentre si dirigeva verso l’uscita, si era persino paternamente fermato di fronte alla sua sedia, e le aveva rivolto la parola in tono preoccupato, chiedendole se stesse bene.
E soprattutto, quasi divertito, si era premurato di ricordarle che il concerto era finito, e che era meglio iniziare ad avviarsi se non voleva incontrare troppo traffico.
Il tono gentile dell’uomo sulla quarantina la aveva fatta risvegliare dal suo trance, provocandole quasi un sobbalzo sulla sedia in plastica su cui era accasciata da qualche minuto.
Arricciò le labbra un poco, mormorando un “Si, certo. Grazie” non troppo convinto.
Alzò gli occhi sulla O2 arena che andava svuotandosi, e desiderò darsi un pizzicotto, per verificare che non fosse vittima di qualche surreale scherzo.
L’uomo si rimise pazientemente in fila per uscire, scuotendo la testa dopo aver constatato che la rossa non accennava a muoversi da lì.
Uh, giovani, commentò lui annoiato con quella che doveva essere sua moglie.
Leni però non ci fece realmente caso.
Quasi come un automa spostò lo sguardo verso il prato, ora mezzo vuoto.
E poi, lo sguardo planò verso il palco.
La gigante Q che conteneva il megaschermo, ora nero come la pece, e la parte di stage che avanzava protesa verso il parterre, e verso l’intera arena. Spettacolare, semplicemente.
E Leni sapeva solo due cose.
La prima, era che era stato il concerto più bello della sua intera vita. Ma, al diavolo, era stato il momento più bello della sua intera vita!
Di solito non si lasciava andare a sproloqui del genere, e a dichiarazioni così a cuor leggero.
La sua nazionalità poi era già un marchio: e l’essere razionali e lucidi non era solo un pregiudizio affibbiato per caso al popolo tedesco. Era una garanzia.
E lei, di certo, non era da meno.
Iper-razionale su ogni cosa, mirata nell’analisi, e nell’esprimere i propri sentimenti, o qualsiasi opinione. Calcolatrice, composta. Nulla si dice o fa per caso, nel mondo di Leni.
Ma avrebbe potuto metterci la firma: quella serata, era stata semplicemente epica, e meravigliosa, e l’unica breve descrizione che in realtà riteneva adatta a non sminuire l’accaduto, era il momento più bello della mia fottuta vita.
Non sarebbe riuscita a dimenticare mai l’atmosfera che regnava tra quelle quattro mura, e l’energia.
Adam Lambert, e la sua performance impeccabile su tutti i fronti. Non è Freddie,  si ricordò placida una parte di lei, ma ci sapeva fare, e non poteva e voleva muovere alcuna critica verso il cantante. Il suo lavoro e presenza sul palco erano stati eccellenti.
E poi, Roger Taylor. Roger Taylor, e la sua compostezza che mal nasconde il rocker che è in lui e che non svanirà mai, come se quella batteria fosse una parte del suo corpo, come se stare sul palco e cantare, fossero l’unico momento in cui si sentisse davvero a casa, e libero.
E gli applausi scroscianti alla sua prima timida apparizione sulla passerella, in cui tutti volevano mostrare il loro amore, e lui aveva capito, e ringraziato composto e grato.
E poi Brian. Brian, la persona che Leni ammirava più di tutti su questo insulso pianeta.
Brian, e le sue mille qualità positive.
Brian, che la aveva fatta emozionare durante Love Of My Life, Brian e la sua Red Special.
Freddie nel megaschermo, gli applausi più sinceri del pubblico.
Le luci, intricate e affascinanti.
Il suo vicino di sedia, che ad un certo punto aveva iniziato a piangere dalla felicità.
Mai vista una cosa del genere, in tutta la Germania.
Allora non era una leggenda che i tedeschi provassero emozioni!
Aveva ballato, e cantato, e saltato, e urlato fino a rimanere senza fiato, e battuto le mani a ritmo durante Radio GaGa.
L’adrenalina che aveva avuto in corpo per due ore e mezza era ancora in circolo, e sapeva che non si sarebbe affievolita facilmente, né al ritorno a casa, né mai. Lo sapeva.
Però, in quel momento, era come su una dimensione parallela.
Il concerto se l’era goduto fino all’ultimo secondo, fino a che l’ultima luce del palco era andata spegnendosi a favore di quelle artificiali e statiche dell’arena.
Non avrebbe cambiato nulla di quella serata, non avrebbe rimpianto nulla.
Eppure…
Eppure, la seconda cosa che ben sapeva, era che le era successo qualcosa di decisamente strano, assolutamente inusuale.
Non poteva essere vero.
Sfiorò con le dita la digitale che aveva ancora al collo.
Le foto sarebbero state magnifiche, non vedeva l’ora di stamparle. Sacra macchina!
E proprio quell’oggetto, era stato l’unico testimone di ciò che di assurdo era accaduto.
Lo strinse a sé inconsciamente possessiva.
Risoluta poi, la accese, e abilmente fece materializzare sul piccolo display una foto ben precisa, scorrendo nella galleria.
La stessa foto che aveva fissato incredula nell’unico momento di pausa (o meglio, riflessione incredula per lei) offerto dallo show, ovvero prima del bis finale di We Will Rock You e We Are The Champions.
Due occhi azzurri così simili a suoi la fissavano, sorridenti.
Non aveva voluto crederci.
Aveva scosso la testa scettica quando, in One Vision, la prima canzone, nell’enorme schermo, tra un Adam con un espressione alquanto sexy e Brian che suonava soddisfatto la sua Lady, aveva visto far capolino una chioma bionda impegnata con le pelli della batteria, che concentrata batteva le bacchette a tempo di qui e di là. E, no, non era di certo Roger, per ovvi motivi.
Aveva persino lanciato uno sguardo preoccupato ai suoi vicini di posto, pregando che anche loro lo riconoscessero e si stupissero un po’ per ciò che avevano appena visto, che almeno fossero sconvolti quanto era lei. Le serviva qualcuno che la capisse, le serviva qualcuno.
 Possibile che tutti andassero avanti a divertirsi e fare filmini, imperterriti?
Niente.
Nessuno aveva notato che le era venuto improvvisamente caldo, e che avrebbe volentieri urlato in stile quadro di Munch. Cercò di celare le sue emozioni al meglio, e di rimanere concentrata sul concerto.
E ciò implicava che cantasse a squarciagola, facesse altre mille foto, girasse qualche video. E così fece, esattamente.
Le canzoni scorrevano fluide, scaletta impeccabile.
E sì, in tutto questo marasma, il suo cervello ignorò deliberatamente la figura che accompagnava Roger in una seconda batteria di supporto, al suo fianco. Il suo cervello aveva fermamente deciso che quel ragazzo, molto attraente, fosse semplicemente come un pezzo del palco, dotato comunque di braccia muscolose e un ghigno decisamente sexy. E talento.
Decise insomma, che avrebbe di certo applaudito al giovane durante il suo assolo – da lasciare senza parole – nella drum battle con Roger, e lo stesso cervello, decretò poi che avrebbe esultato come tutti gli altri fans entusiasti, nel momento in cui il padre, fiero, avrebbe presentato con un “Rufus Tyger…Taylor!” il suo figlioccio, nascosto dietro ai mille tamburi e piatti. E avrebbe ignorato la sua dolcezza nel salutare il pubblico con un cenno riconoscente, proiettato sul megaschermo.
Ebbene, Leni eseguì alla lettera quegli ordini, fedele a sé stessa, fino alla fine.
Ma era innegabile, che il cuore perdesse almeno due battiti ogni volta che il giovane appariva o veniva nominato.
Sobbalzò quasi spaventata quando una ragazza, non più giovane di lei, urlò sonoramente il suo nome, adorante, sbracciandosi per farsi notare.
La rossa si limitò a fissare con attenzione esagerata e minuziosa Adam, che saltellava ovunque sul palco, ignorando magistralmente la ragazzina urlante e, soprattutto, ciò che urlava.
Grazie a Dio, siamo talmente lontani dal palco che non può minimamente notarci.
Fu per questo che negò a sé stessa che il giovane batterista stesse effettivamente e furtivamente guardando proprio verso il suo lato, verso la sua tribuna, e pure ripetutamente.
Probabilmente guarda qualcuno in basso, o nel prato, si convinse.
Magari  ha il torcicollo! Dannato maltempo Berlinese!
Era davvero impossibile volesse ammirare proprio e precisamente quel settore così scomodamente in alto, nel buio per giunta, buttato poi quasi casualmente così alla sinistra del palco: non aveva alcun senso.
Non guardava lì, non guardava lei. E non avrebbe neanche potuto trovarla, volendo, dato che era solo un puntino nero nell’oscurità, o un flash di macchina fotografica, al limite.
La razionalità di Leni subì un brutale contraccolpo quando, alla fine di ’39, tutti i musicisti riuniti sul palco salutavano pronti a tornare alle loro postazioni dopo l’allegro motivetto appena suonato.
Roger, trattenendosi per qualche secondo sospetto, ascoltò divertito qualcosa che il suo figliolo gli sussurrò nell’orecchio, purtroppo troppo lontano dal microfono per essere udito. Brian, sullo sgabello, sorridente alla folla, si girò verso i due dopo qualche momento, ed essi lo misero al corrente del qualcosa, ridendo tutti complici.
Brian riportò la sua attenzione sul pubblico acclamante, e si portò una mano sulla fronte, come per ripararsi dalla luce e vedere meglio in lontananza.
Poi, spostò il suo sguardo lungo tutta l’arena, lentamente, e…
Leni avrebbe potuto giurarlo. Leni era pronto a firmare una dichiarazione.
Mr. Brian May stava guardando proprio il suo settore.
Brian May si era fermato nella sua osservazione panoramica, e, occorreva una rettifica, ora stava fissando il suo settore.
Certo, inizialmente aveva pensato fosse impossibile, magari guardava quello in fianco, a destra o sinistra, o quello sotto, ovvio, ma no, quei pensieri erano assurdamente errati, perché tutti coloro seduti intorno a lei iniziarono ad urlare entusiasti e a salutare ed ad alzarsi in piedi. Lo avevano notato pure loro!
Non era una illusione di Leni, chiunque si era accorto che il chitarrista dei Queen studiava insistentemente, gli occhi leggermente socchiusi per i riflettori, proprio quell’angolo di arena.
Il vociare si fece altissimo, e Brian distolse lo sguardo, salutando poi tutti quanti alzando un braccio.
These Are The Days Of Our Lives risuonava nell’edificio, e Leni ancora fissava a bocca spalancata, incurante, ciò che accadeva sul palco.
Roger cantava, e ora le inquadrature di Rufus erano più ripetute e regolari, dato che si trovava alla batteria principale.
Leni colse l’occasione per fargli una buona foto, la mano che le tremava leggermente, cosa alquanto insolita per lei. Era sempre stata una fotografa eccellente!
Il concerto proseguì, e come detto, il cervello di Leni permise alla ragazza di godersi lo show, in modo sorprendentemente normale.
E poi, eccola, la pausa prima delle due canzoni finali.
Quei cinque minuti in cui Leni confrontò febbrilmente la foto scattata con Rufus prima dell’inizio del concerto, lì, vicino alla sbarra in acciaio, e gli scatti abili del suo visto proiettato sullo schermo di poco prima.
E’ lui, oh, cazzo.
 
Leni mise piede fuori dall’edificio, e fu investita dall’aria gelida del febbraio berlinese, e si strinse al meglio nel suo cappotto, rabbrividendo.
Grazie ai suoi mille pensieri, era stata una delle ultime ad uscire dall’arena, al pari dei nostalgici che rimangono fino all’ultimo secondo per le foto di rito.
Con la coda dell’occhio, notò un discreto gruppetto di persone accalcate alla sua sinistra, vicino ad un cancello, che all’entrata non aveva sinceramente notato, che recava la scritta Verboten, e che chiaramente vietava l’accesso a fans.
Inoltre, almeno due omoni grossi il triplo di lei bloccavano e contenevano il gruppetto rumoroso, non senza sforzo evidente.
Leni capì subito cosa c’era in quell’angolo seminascosto, oltre quel cancello.
Molto probabilmente, da lì si scorgeva il retro dell’arena. Fece alcuni passi avanti, meccanicamente.
E ovviamente, potevano esserci anche alcuni soggetti che non staremo qui a ricordare….
Tentazione troppo forte. Troppo.
Sarebbe stata un’occasione d’oro. Un altro passo in avanti.
Avrebbe potuto ottenere una foto con loro, proprio come quelle che aveva visto ed ammirato su ogni social network in passato, sospirando e sognando che un giorno sarebbe toccato anche lei.
Così pochi passi…
Ma, la  rossa si bloccò di colpo.
Scosse la testa, rassegnata, tornando in sé.
Cosa sperava? Di incontrarli, fare davvero una foto insieme e gioire per il resto dell’esistenza? E magari di vincere alla lotteria, e passare il suo esame di programmazione elettronica della settimana successiva indenne?
E magari vuoi anche incontrare lui, hm? Questa è bella! gracchiò una vocina nella sua mente, che ignorò prontamente. No!
 Ora avrebbe girato i tacchi, avrebbe presto la sua efficiente e puntuale U-Bahn notturna (l’ultima corsa!) per tornare al suo caldo e confortevole appartamento, e magari rallegrarsi per lo splendido e epico concerto a cui aveva avuto la fortuna di partecipare, facendosi una cioccolata calda.
Ebbene, diede le spalle alla folla verso il quale era diretta, non senza qualche rimpianto che celò al meglio a sé stessa, per attuare quello che era la prima parte del suo piano ben congegnato, ovvero, girare i tacchi.
Ciò che successe dopo la convinse completamente che il destino si stava divertendo a giocare con lei.
Ormai ne era certa.
Dal momento in cui aveva acquistato i biglietti, ad esempio.
Oltre ad avere speso un patrimonio, aveva davvero temuto fino all’ultimo secondo che le avessero rifilato dei falsi. Paura cieca di essere stata truffata, dato che teneva troppo a quell’evento per permettersi di vederlo andare in fumo nelle sue mani se non l’avessero lasciata entrare una volta presentatasi lì all’arena.
Inoltre, si ricordava perfettamente quando aveva chiesto ad alcuni dei suoi amici se avessero potuto accompagnarla, e nessuno era disponibile per questo o quel motivo. Tutti impegnati.
E, per una delle poche volte nella sua vita, Leni, infastidita, si era impuntata, e aveva deciso cocciutamente che non avrebbe rinunciato a quel concerto, anche a costo di andarci in solitaria ed di acquistare i ticket di un show soldout da mesi da siti internet poco leciti.
Inutile dire, che ce l’aveva fatta. Non senza soddisfazione.
Si rammentò poi che avrebbe dovuto presentarsi al lavoro presto il giorno dopo, per giunta.
Infatti il suo turno era stato cambiato con quello di un collega proprio il giorno in cui aveva comprato i biglietti, trasformando il suo entusiasmo in infastidita noia. Il suo caro collega otteneva il turno del pomeriggio, e lei doveva presentarsi incredibilmente presto al negozio di mattina, invece. Pensava di poter festeggiare fino a notte tarda, ma il piano era stato bruscamente cambiato. Quindi, doveva anche riuscire nell’impresa di lavorare, dopo una serata del genere.
Ne aveva già avuto abbastanza di tutto, per farla breve.
Ma quel tutto non era nulla, perché, seriamente, il destino ora metteva a dura prova la sua sanità mentale.
Per ben la seconda volta in quella giornata, l’educata Helena Vorsteiner andò letteralmente addosso ad uno sconosciuto.
O meglio, osservò con soddisfazione, stavolta era lo sconosciuto che era andato addosso a lei.
Esso era un ragazzo. Ed aveva un profumo anche familiare…
Leni si ritrasse in fretta di qualche passo, spaventata da quel contatto così improvviso, osservando timorosa la figura più alta di lei illuminata dal lampione poco lontano.
Lui era coperto da in cappotto vaporoso, e indossava il cappuccio di una felpa scura che gli copriva il viso. O almeno, quello che rimaneva scoperto del viso, dato che la metà superiore era coperta da un paio di occhiali da sole.
Chi indossa gli occhiali da sole, di notte, e per giunta a Berlino!?
Socchiuse incuriosita gli occhi, studiandolo meglio.
E poi li spalancò di colpo, sotto shock, quando lui parlò.
- Come è piccolo il mondo… - ridacchiò strafottente il ragazzo poco distante da lei, rilassandosi.
 
No, mi rifiuto di crederci.
 
***
 
Salve a tutti! E rieccoci qui.
Capitolo 3, che ho amato molto scrivere se devo essere sincera. Un bel viaggio nei sentimenti  e nella pazzoide mente di Leni, e I’m Going Slightly Mad calzava a pennello!
Non so se si è notato, ma niente più POV come nei primi due capitoli, ora si passa ad una narrazione onnisciente, e olè. Confesso che ho sempre odiato i POV, #lol, ma amo sperimentare, volevo tentarli, ed erano molto adatti per i primissimi capitoli, in my opinion. c:
La domanda che ovviamente voglio farvi dopo questo casino, è se siete stati al concerto di Febbraio! Raccontatemi tutto, su su! Sono curiosa, anche perché io sono andata, e potremmo confrontarci, sdjkhfdks! (?)
 
Ed ora, beh, voglio ringraziare tutti per le recensioni e visite, mi rendete davvero felicissima! <3
 
Colgo l’occasione per augurare una buona Festa Della Donna a tutte voi Queenies (anche se andremmo festeggiate ogni singolo giorno!)
 
Un abbraccio,
vostra Himmie xx
  
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