Non
E’ Mai Troppo Tardi
14
Suo padre, sua madre e i nonni al completo sembravano molto
nervosi all’idea di conoscere George.
Conoscendoli, specie i suoi due nonni, non credeva proprio che fosse
nervosismo dettato da una possibile soggezione nei confronti di George in
quanto genio, quindi c’era una sola possibilità: erano nervosi perché si
rendevano conto che quell’uomo era stata ed era tuttora una presenza
fondamentale nella sua vita e loro se n’erano accorti solo allora.
Probabilmente per suo padre e sua madre c’era anche la consapevolezza
che con George avevano iniziato un discorso che avrebbero dovuto intraprendere
dieci anni prima.
Era, in generale, il risultato del fatto che improvvisamente era
entrato a far parte della famiglia.
Era arrivato ad una conclusione sconcertante: non aveva mai avuto
problemi a nascondere quella che lui credeva essere una doppia vita per il
semplice fatto che non era doppia.
Lo era diventata quando lui si era trovato scaraventato nella realtà di una
famiglia che prestava attenzione alle sue abitudini ed erano cominciati subito
i guai.
Forse se il fatto dell’agguato, di Michael, dello stare male, fosse
successo quando ancora la sua famiglia si restringeva a suo padre e sua madre,
avrebbe parato i colpi come al solito… ma adesso la situazione era cambiata.
Lui era cambiato. Ancora forse non aveva capito come e fino a che
punto, ma…
Howard entrò nel salone seguito da George… il quale, ormai ne era
certo, aveva fatto un patto con il Diavolo! Era un uomo che si avvicinava all’ottantina
e dimostrava sessant’anni nei momenti peggiori!
Saltò giù dal divano dove lo avevano costretto e gli andò incontro per
abbracciarlo.
George lo abbracciò con il solito affetto di sempre e alla fine gli
scompigliò i capelli, «Ciao testa matta, ti trovo bene.»
«Da ieri non ho la febbre.»
«L’ha a trentasette» lo corresse automaticamente sua madre arrivandogli
vicino e rimettendogli sulle spalle lo scialle che aveva fatto volare via.
«La signora McGregory, vero?» chiese George «La voce al telefono non le
rende giustizia.»
Sua madre sorrise e gli tese una mano, «Finalmente la vedo di persona.
Benvenuto in questa casa professor Cowley.»
«Mi chiami George, la prego: potrei essere suo padre, ma non me lo
faccia pesare così tanto.»
Tutta la stanza scoppiò a ridere. Non faceva fatica a credere che
George fosse stato un professore adorato dagli alunni.
Sua madre aveva spianato la strada, in meno di due minuti George
conobbe l’intera stanza… e anche il suo geniale cervello cadde nella trappola
preferita di sua madre.
Quando Jennifer gli tese la mano non la lasciò andare e si rivolse a
lui, «La febbre alta ti ha impedito di aggiornarmi su una novità così
importante o devo pensare che mi hai coscientemente tenuto all’oscuro?»
Jennifer doveva essersi immunizzata perché non solo non diventò viola,
ma fu lei stessa a spiegare come stavano le cose… scherzandoci sopra, per di
più!
«Non sono fidanzata con questo bel tipo, sono ospite con la mia
famiglia del nonno di Juna, ma ciò non comporta fidanzamento… me ne sono assicurata
prima di entrare in questa casa!»
George rise di cuore, «Anche spiritosa oltre che bella! Peccato, per un
attimo ho pensato di averne sistemato almeno uno! Anche mio figlio è allergico
a certi discorsi e ha quasi trent’anni… ormai io e mia moglie stiamo perdendo
la speranza di avere un nipotino in tempo utile per viziarlo a dovere.»
«Io non ho alcuna intenzione di mollare invece» fu il commento di sua
madre, espresso a voce moderata ma non per questo meno pericoloso di una
minaccia in piena regola.
Era ora di cambiare argomento!
«Senti un po’ George, quando ti decidi ad invecchiare?» chiese tirando
fuori uno dei loro batti becchi preferiti.
Solo che stavolta George aveva una sorpresa in serbo.
«Gli anni passano Juna. Tu cresci, io è già un po’ che ho cominciato ad
invecchiare. Ho una novità: un paio di mesi fa ho avuto un leggero attacco di
cuore. Mi ha accompagnato mio figlio qui e mi verrà a riprendere… il dottore mi
ha tassativamente vietato di guidare, di alzare pesi di qualsiasi genere, di
fumare la mia adorata pipa e mangiare grassi. Mia moglie ha perso dieci anni di
vita e mio figlio, che Dio mi aiuti, si è trasformato nella più perfetta delle
chiocce.»
Sentì il sangue confluirgli ai piedi.
Rimase senza parole ad osservarlo per qualche secondo mentre il
discorso trovava la giusta collocazione nel suo cervello. Dopo di che contò
fino a dieci per dargli la possibilità di dirgli che era uno scherzo.
«Leggero come un masso di una tonnellata, vero George?» chiese
con una calma gelida che era ben lungi dal provare quando realizzò che George
non stava scherzando «E cosa dannazione aspettavi a dirmelo?»
George sospirò, «Non è mai capitato che non ti facessi sentire per così
tanto tempo ragazzo, sei un incosciente ma hai anche un sano istinto di
conservazione che alla fine ti ha sempre spinto a cercarmi per i nostri
esercizi. Questa volta non è stato così e ho intuito che fosse successo
qualcosa che richiedeva tutta la tua attenzione. Se avessi alzato il telefono
saresti piombato a casa mia ancora prima che la cornetta ritoccasse la
forcella. Ti conosco: sei una testa matta ragazzo.»
«E se ti conosce…» fu il commento a mezza voce di Justin.
George gli sorrise, poi tornò a guardare lui, «Sei furibondo con me
adesso, te lo leggo negli occhi Juna, ma devi credermi: sono stato realmente in
pericolo neanche venti minuti e mia moglie e mio figlio hanno buttato fuori il
resto del mondo dalle nostre vite per due settimane. Quando è arrivato il
momento si avvisare qualcuno di cosa era successo… beh, c’era solo da dire che
ero ancora vivo, ma tu questo lo sapevi già.»
«Come sta adesso?» chiese suo padre.
«Ho adottato uno stile di vita da chierichetto e ritmi da pensionato.
Tutta salute.»
«Juna, torna sul divano adesso» disse sua nonna Charmaine con la calma
che l’aveva fatta sopravvivere ad oltre cinquant’anni di matrimonio con Mansur Alifahaar.
«Non scordare che fino a pochi giorni fa avevi la febbre a trentanove.»
«Dubito che tu mi permetterai di scordarmene, nonna» ribatté tornando
sotto il plaid.
Tutti si sederono e George prese posto nella poltrona davanti a lui.
Melissa e Michael si sedettero all’altezza del suo stomaco al limite
del divano.
«Allora Juna, mi hai parlato di novità e di un regalo per il
sottoscritto» esordì George.
«Regalo?» si alzò un coro di voci.
«Quando sei uscito a comprarlo?!» esplose poi sua nonna Madeline.
Sua madre lo guardava con occhi sbarrati, «Non puoi averlo fatto
davvero…»
«Non ho messo il naso fuori di casa, volete calmarvi tutti quanti per
favore?» Si rivolse a George, «Come se non fossero coscienti di aver
organizzato veri e propri turni di guardia! Andiamo per ordine, ok? Prima la
novità. Mi rimetto a studiare.»
George lo guardò in silenzio per qualche secondo, poi dovette stabilire
che non stava scherzando e alzò gli occhi al Cielo, «Allora esisti veramente.
Grazie» disse con un sorriso.
Tutta la stanza scoppiò a ridere.
«Mio figlio non mi ha mai detto che lei faceva pressioni perché lui
tornasse a studiare» disse suo padre.
George sospirò, «Ho l’impressione che Juna non le abbia detto molte
cose signor McGregory.»
Il solito schiacciasassi…
«Connor. E ha dannatamente ragione. A questo proposito, vorrei che lei
conoscesse il professor McIntyre. E’ il medico di famiglia e ha fatto nascere Juna.»
«Ma papà…»
«Molto volentieri Connor.»
«Far conoscere lui e Larry?» ripeté Juna «Perché non mi spari
direttamente un colpo in testa?»
Connor guardò il figlio accigliato, «Abbiamo visto i risultati
lasciandoti carta bianca sulla tua salute Juna. Quando avrai imparato a badare
a te stesso ne riparleremo, ma prima di allora non ti permetterò più di fare di
testa tua.»
Juna sbuffò e guardò il soffitto.
A guardarlo con attenzione era vero: Juna doveva aver perso peso. Le
guance erano più incavate di quando lo aveva rivisto a casa sua.
«Cosa hai in mente?» riprese George.
«Psicologia, medicina, arte e giurisprudenza.»
«Lo sapevo» fu il commento di Justin.
«Oh smettila» ribatté Juna, «sarai tu il legale ufficiale, lo sai.
Lascerò giurisprudenza per ultima.» Sorrise all’indirizzo del cugino, «E non
farò neanche il praticantato.»
«Sei un cuore d’oro Juna.» Sorrise anche lui, «Il lato positivo è che
risparmierò un sacco sui testi giuridici, avendo te a portata di mano!»
Juna fu il primo a scoppiare a ridere.
Paul scompigliò i capelli al suo secondogenito.
«Hai già messo in moto Drake, immagino» disse il professor Cowley.
«Mi ha già sommerso di depliant delle università di tutta Boston.
Pensavo di iniziare con psicologia e medicina.»
Il professor Cowley annuì «Se avrai bisogno di aiuto, sai dove
trovarmi» fu il suo commento.
«Professore» disse Melissa, «Juna deve fare esercizi anche quando
studia?»
«Che tipo di esercizi sono?» rincarò suo fratello.
«Andiamo per ordine, prima le femminucce» disse il professore. «Sarebbe
meglio se Juna non smettesse di fare esercizi anche se studia. Gli esercizi che
fa con me sono molto simili a dei tests di intelligenza, qualsiasi materia si
metta a studiare non sarà mai la stessa cosa. Vedete, il cervello di Juna
funziona in maniera molto diversa rispetto al vostro: riesce ad immagazzinare
informazioni ad una velocità anche quaranta o cinquanta volte superiore. Questo
purtroppo può creare dei problemi. Se Juna non avesse imparato a gestire e
controllare in qualche modo questa velocità sarebbe potuto impazzire diverso
tempo fa.»
«Cooossaaa??» esplose Melissa. Si gettò addosso al cugino mentre
nella stanza tutti si mettevano una mano sugli occhi. «E’ vero Juna?? E se
succede io che faccio??»
Juna la tirò di nuovo a sedere e le spostò i capelli dal viso, «Hai
ascoltato cosa ha detto George? Ho imparato a controllarlo. Non ci sono
pericoli. Vero?» si rivolse al professore.
«Vero» si limitò a rispondere l’uomo guardando con un misto di
preoccupazione e sbigottimento la bambina.
Melissa non aveva distolto lo sguardo dal cugino. «Me lo giuri? Sai che
non posso stare senza di te.»
Juna alzò la mano destra chiusa a pugno con l’indice e il medio alzati
e uniti, «Parola di lupetto.»
«In cosa consistono esattamente questi esercizi?» chiese Patrick dopo
qualche secondo di silenzio.
Il professor Cowley rivolse verso di lui la propria attenzione e… «Ci
sono esercizi di memoria visiva, uditiva, memorizzazione immediata,
concentrazione, tests di logica, di associazione, di selezione, problemi
d’informazione minima, media e massima…»
La sua attenzione fu improvvisamente catalizzata da un gemito.
Appena si rese conto da chi proveniva non riuscì a trattenersi dal
ridere: Jennifer aveva già le mani nei capelli.
«Sai solo tu cosa ci sia da ridere» disse Justin amareggiato, «tu non
ci hai fatto le due stanotte a cercare di capire cosa farne di quell’unico,
maledetto gettone…»
«Sei riuscita a coinvolgere anche lui?» chiese guardando la testa della
ragazza che non accennava a rialzarsi.
«Gli unici che non ci hanno passato la serata e buona parte della
nottata sopra sono stati Melissa e Michael» lo informò Georgie.
«Non mi dire che le hai sottoposto il problema dei sacchi di lingotti
d’oro…» disse George sbalordito. «Ragazzo, è un problema d’informazione minima,
uno dei più difficili» continuò evidentemente incapace di credere a tanta
crudeltà da parte sua.
«Ne esistono di facili professore?» chiese suo zio Ryan con una sana
ironia nella voce.
«Juna, stavolta ti ammazzo» decise Justin.
Melissa si voltò verso di lui come se l’avesse morsa, «Dovrai prima
uccidere me!»
Stavolta sua zia Elisabeth non resse, «Sta scherzando Melissa!»
esplose «E poi Juna è perfettamente in grado di badare a se stesso, tu faresti
meglio a pensare a cosa ti ha detto la dottoressa Horgan!»
Melissa guardò sua madre con occhi sbarrati, la sentì diventare un
pezzo di marmo, non disse niente, si limitò ad imbronciarsi e cercare la sua
mano per stringerla forte.
Prese un appunto mentale: cosa aveva esattamente detto la dottoressa
Horgan a Melissa? Aveva il vago sospetto che avesse a che fare con lui…
La voce di Jennifer si levò bassa e sconsolata a spezzare la nuova
tensione. «Mi hai dato fino a domani per trovare la soluzione, ma se ci penso
sopra altri trenta secondi mi va in fumo il cervello. Mi arrendo Juna.»
«Juna, dalle la soluzione» disse George. «Non capisco cosa può averti
fatto per meritarsi una cosa del genere.»
«Me lo ha chiesto George.» Si rivolse a Melissa, «Tesoro,
ricordi le costruzioni di plastica colorata che hai in camera? Me le porteresti
per favore?»
Melissa saltò giù dal divano come una cavalletta e sparì fuori dalla
porta.
Riprese, «Avete tutti chiaro il problema? Jennie, hai ancora il
foglio?»
«Ha dormito con me» fu la risposta mentre lo tirava fuori dalla tasca
dei jeans.
Jeans molto carini fra l’altro.
«Juna, non ti senti l’ultimo dei vermi?» chiese Justin con una nota di
sadismo nella voce.
«No» mentì spudoratamente. «Se l’è cercata. E tu a darle retta più di
lei.»
«Su questo hai ragione: non ci si deve imbarcare in discorsi del genere
con te… l’ho imparato a caro prezzo.»
«Adesso mi dirai che non mi parlerai più.»
«Lo farei se ti facessi un dispetto, ma non ti darò mai una
soddisfazione del genere.»
La risata gli salì direttamente dal cuore, «Sei splendida Flalagan, non
ti azzardare a cambiare!»
Il campanellino cominciò a suonare all’istante.
Era impazzito?
Jennifer era già diventata color fragola, sua madre per contro partita
era sbiancata… e non era la sola.
Cosa-dannazione-sto-facendo?
Fu Justin a correre in suo aiuto.
Prese il foglietto dalle mani di Jennifer e lo aprì, «Allora,
ricapitolando!» iniziò, per poi riassumere la situazione nella stanza dei
lingotti d’oro.
Melissa tornò trascinandosi dietro l’intero sacco. Lo portò davanti a
lui e riprese il suo posto.
Cominciò a tirare fuori i pezzi di plastica colorati che gli servivano
e quando ne ebbe la quantità necessaria accantonò il sacco. Li appoggiò sul
tavolino di cristallo davanti a lui.
Automaticamente suo nonno Mansur si alzò per avvicinargli il tavolino.
«Grazie nonno. Allora, parlo a Jennifer ma mi rivolgo a tutti. Usa
l’immaginazione e pensa che ogni pezzo di plastica sia un lingotto. Ne hai
tolti uno verde dal sacco numero uno, due gialli dal sacco numero due, tre
rossi dal sacco numero tre e quattro blu dal sacco numero quattro. Quanti
lingotti hai in totale sulla bilancia?»
«Dieci» rispose cauta.
«Se i lingotti falsi fossero quelli del primo sacco avresti un peso
complessivo di dieci libbre meno un’oncia, se fossero quelli del sacco numero
due, dieci libbre meno due once… e via discorrendo.»
Non riuscì a staccare gli occhi da quelli di Juna.
Dio che incredibile idiota era stata.
«Non ci posso credere…» commentò Patrick da qualche parte della stanza.
Si abbandonò contro la poltrona e le venne davvero voglia di uccidere
quel ragazzo.
Lo sguardo le cadde su Justin che aveva le mani nei capelli, poi tornò
su Juna. «L’ovvio. Dannazione Juna, ora capisco. Non ho neanche preso in
considerazione l’ipotesi di aprire i sacchi.»
Juna le sorrise. Un sorriso che non aveva niente di scherzoso,
altezzoso o Dio solo sa cos’altro. Era semplicemente un sorriso dolcissimo.
«Non lo avevi dimenticato, ne ero certo. Ci saresti arrivata Jennie, hai
sbagliato ad arrenderti.»
«Come ho fatto a non pensare a una cosa simile?! Era così logico!»
esclamò Justin.
«E’ un curioso processo della mente umana che porta a scartare
automaticamente le soluzioni troppo semplici per problemi che sembrano
complicati» gli rispose George. «In genere viene definito complicarsi la
vita.»
Tutta la stanza scoppiò a ridere.
«Dio quanto ha ragione!» esclamò suo padre con le lacrime agli occhi.
«Ciò che porta la gente comune a definire Juna un genio è soprattutto
la sua capacità di semplificare, capacità che lo rende potenzialmente in
grado di arrivare a capo di qualsiasi situazione. Tutte le volte che Juna si
trova davanti un problema o una difficoltà… lo smonta. Lo riduce ai
minimi termini e quindi la soluzione di solito arriva automaticamente.»
Mansur stava annuendo, «Come a dire che quando il complicato diventa
semplice, la strada più breve per la soluzione diventa fosforescente.»
Il professor Cowley annuì nella sua direzione. «Ovviamente, la
differenza sostanziale è che una persona in genere ci può impiegare giorni,
settimane, anche mesi… Juna impiega secondi, minuti o ore, a seconda.»
«Scusate se vi interrompo» disse Madeline, «ma in cucina aspettano
istruzioni per la cena. Professore, cosa preferisce?»
Il professor Cowley si inchinò leggermente, «Non dovete assolutamente
porvi problemi riguardo a questo signora. Fate come se io non ci fossi, ve lo
chiedo come favore.»
«Adora la pasta al forno, le patatine fritte e il pollo» disse serafico
Juna. «George, non ti permetterò di perdere quest’occasione: Majorie, la moglie
di Howard, è una cuoca da cinque stelle e come se non bastasse è affiancata da
Susan. Per una volta puoi fare uno strappo alla regola, no?»
Madeline sorrise sollevata, «Grazie Juna.»
Mentre la donna usciva dalla stanza il professor Cowley guardava Juna
con un sorriso rassegnato, «Sei vergognosamente dispettoso, lo sai?»
Juna sorrise, «Ognuno ha i suoi lati positivi.»
Sembrò ripensare a qualcosa e lo vide cercare con lo sguardo qualcosa,
o qualcuno.
Trovò ciò che stava cercando quando inquadrò Justin. «Ah cugino, prima
che mi dimentichi ancora: l’unica cosa che abbiamo sempre avuto in comune è la
passione per gli scacchi… mi permetterai di infliggerti la più cocente
sconfitta della tua vita questo fine settimana?»
«Per prima cosa, cugino, non sta scritto da nessuna parte che tu debba
battermi!» lo rimbeccò allegro Justin «Possiamo fare la prossima settimana? Ho
già fissato con Diana, ce ne andiamo alla baita. Parto venerdì e torno
domenica… forse anche lunedì. Il nonno mi ha già dato le chiavi.»
«Hai messo in conto di fare un po’ di spesa nipote?» chiese Connor
«Sono mesi che non ci va nessuno.»
«Tranquillo zio. Tutto organizzato.»
«Non mi hai detto nulla» disse sbalordita Lennie, «cos’è questa
novità?»
Justin guardò di sottecchi Juna. Se fosse stata leggermente spostata
verso destra o verso sinistra le sarebbe sfuggito… anzi, con tutta probabilità
era stata l’unica nella stanza a cogliere quel movimento.
Le venne il sospetto che i due cugini stessero architettando qualcosa.
«Oh zia» sbuffò Juna, «sarebbe ora che si staccasse un po’ dalle tue
sottane… lui che può farlo…» aggiunse a mezza voce… e neanche tanto mezza.
La reazione di Manaar fu istantanea, «Cosa ti impedisce di seguire il
suo esempio, di grazia?»
«Il fatto di non avere meritevoli sottane di riserva, mamy» fu la
lapidaria risposta del ragazzo.
Manaar alzò gli occhi al cielo, «Certo hai una notevole faccia tosta,
figlio mio! Devo ricordarti che neanche un mese fa parlavi al telefono con
Drake a proposito di…?»
«Mamma, non ho detto di non avere sottane a portata di mano, ho
detto di non averne di meritevoli» puntualizzò il ragazzo con una faccia
da schiaffi che definirla da manuale non rendeva l’idea della perfezione
con la quale era esibita.
Si trovò a sorridere.
«Questa poi le batte tutte» commentò Connor. «E sentiamo, cosa deve
avere una sottana per essere meritevole?»
«Papà, tu sei l’ultimo che può polemizzare, ok?» ribatté Juna con un
sorriso da delinquente «E’ evidente che io non ho ancora trovato la Manaar Alifahaar
della mia vita.»
Manaar era a bocca aperta, «Sei barricato dietro questo alibi da
anni Juna!» protestò.
«Colpa mia se sei una mammina davanti alla quale nessuna donna al mondo
regge il confronto? Credi che sia facile per me adeguarmi ai tuoi standard?»
Un brivido le percorse la spina dorsale.
Quando parlava con sua madre, dietro a quel tono scanzonato affiorava
una dolcezza, una tenerezza, un amore che non potevano essere celati del tutto…
per quanto Juna si impegnasse a mascherarli con l’ironia e il fascino.
Qualcosa nel profondo le dava la convinzione che questo fosse uno dei
lati più veri di quel ragazzo.
Manaar, inutile dirlo, aveva già abbassato le armi. «Sei veramente
intollerabile figlio mio» disse come si può intonare una ninna nanna.
Connor stava scotendo la testa rassegnato, «Vorrei avere fra le mani
chi ha detto la prima volta che hai ripreso il meglio di me.»
«Nostro padre sostiene addirittura che abbia preso il meglio dei
McGregory, pensa» fu il commento di Paul.
Tutti ridacchiarono.
«Bene» riprese Connor, «farete questi esercizi prima di cena?»
«Io sono pronto a cominciare anche adesso» disse il professor Cowley.
«Ma il regalo?» chiese deluso suo fratello.
«Voglio vederlo anche io!» esclamò Melissa.
Il professor Cowley si toccò il mento, «Mi era completamente passato di
mente, sto perdendo colpi. Allora ragazzo, il mio regalo?»
«Appena mi permettono di ricominciare a vivere, io e te faremo una
visitina all’Omega, così mi potrai presentare agli altri membri.»
Il professor Cowley spalancò la bocca per la sorpresa, «Cosa?»
Praticamente fu un soffio, capì cosa aveva detto dal muoversi delle
labbra più che dal sentirlo.
Seguirono venti secondi di silenzio più assoluto durante i quali
Connor, Manaar, Patrick e Mansur si scambiarono occhiate e mute domande.
«Stai facendo sul serio Juna?» chiese il professor Cowley appena ebbe
di nuovo fiato a sufficienza.
«Certo… sono ancora in tempo per essere il membro più giovane?»
Ci vollero altri quindici secondi prima che il professor Cowley
riuscisse a sollevare una mano per portarsela alla bocca… ancora spalancata per
la sorpresa. «Guarda che ti prendo in parola Juna: appena puoi rimettere il
naso fuori di casa sarà la prima cosa che faremo.»
«Affare fatto.»
«Cos’è l’Omega?» chiese con cautela Justin dopo l’ennesimo silenzio che
seguì.
Il professor Cowley sembrò riscuotersi e concentrò la propria
attenzione su di lui.
In poche parole spiegò cosa fosse l’Omega, aggiungendo che aveva sempre
sognato che Juna ne entrasse a far parte, «Sono anni che aspetto questo
momento» concluse ancora sotto shock. «Juna è come un figlio per me e questa è
la più grande soddisfazione che potesse darmi. Cosa ti ha fatto cambiare idea?»
«Il capire che non mi costa nulla e ti rende felice.»
La semplicità di quella risposta le tolse il respiro e non poté fare a
meno di notare che anche Manaar ebbe un lieve sussulto.
Il professore sprofondò sulla poltrona e respirò profondamente,
«Accetto con immenso piacere questo regalo Juna. Grazie.» Sorrise, «Da quando
sanno che esisti mi hanno chiesto spesso di te sai? Non sono stato l’unico a
rimanere di sasso davanti ai risultati dell’ultimo test… non ti nascondo che
non vedo l’ora che tu sostenga il prossimo.»
Juna dette una leggera scrollatina di spalle, «Ormai non manca molto.
E’ fissato per gli inizi del prossimo anno se non sbaglio.»
Ebbe la netta sensazione che Juna non fosse molto contento di questo.
Dopo un’altra piacevole ora a parlare con gli altri finalmente salirono
in camera sua.
«Devo essere sincero Juna: non riesco a capire perché ostenti un
atteggiamento che non è assolutamente tuo. Non puoi andare contro te stesso
ragazzo, e tu hai un cuore grande come una casa.»
Aprì la porta della sua stanza e si fece da parte per farlo passare,
«Mi faresti un favore grande come una casa se non spargessi la voce, la mia
fama di squalo della finanza ne uscirebbe a pezzi. Cosa ti ha fatto arrivare a
questa conclusione?»
«La certezza è arrivata con la risposta che mi hai dato quando ti ho
chiesto cosa ti ha fatto cambiare idea circa l’Omega.»
«Probabilmente ci sarei arrivato prima se mi fossi fermato a pensare»
ammise accendendo la luce alla scrivania.
«Ragazzo, cosa ti è successo?»
Fortuna volle che dovette voltargli le spalle per prendere l’altra
sedia, «Mi alzo oggi dopo quasi un mese bloccato a letto.»
«Non far finta di non capire. Sei cambiato Juna e purtroppo non è
soltanto perché finalmente qualcuna è riuscita ad arrivare al tuo cuore.»
«E’ troppo sperare che quel femminile sia buttato lì per caso vero? Fra
me e Jennifer non c’è niente.»
«Non ho nominato Jennifer.»
«E’ l’unica single a disposizione.»
«Ti sei già informato riguardo potenziali concorrenti eh?»
Ci voleva impegno per fregare George Cowley… ma lui, lo aveva già
appurato, era in grado di farlo.
«Viviamo sotto lo stesso tetto da settimane George, è la figlia del
migliore amico di mio nonno: se fosse fidanzata non mi sarebbe sfuggito neanche
fossi il più distratto del Sistema Solare… e sappiamo bene che non lo sono.»
«Fantastico. Te lo concedo. Ho capito però che non è solo per questo.
Allora: cosa è successo?» tornò implacabile al punto di partenza.
«Cambieranno molte cose nella mia vita. Ho già dovuto prendere un paio
di decisioni piuttosto drastiche» cominciò cauto.
Non sapeva esattamente cosa dirgli, ma se c’era al mondo una persona
con la quale poteva parlare, questo era George. «Il punto è che ci sono un
sacco di cose che non sai su di me» proseguì evitando di guardarlo in faccia.
Era un bel problema essere l’equivalente di un libro aperto per chi ti
stava davanti…
«Qualcosa mi dice che non c’entra niente il fatto che ti rimetti a
studiare, Jennifer e l’Omega. Questi sono solo gli effetti… la causa è ben
altro.»
Appunto.
«Non posso parlartene per ora.»
«Che Dio mi aiuti Juna, temo di sapere già di cosa si tratta.»
Un sorriso gli piegò le labbra, «No George, credo che neanche tutta la
tua immaginazione potrebbe portarti sulla giusta strada.»
George lo guardò dritto negli occhi e disse soltanto, «Anch’io ho
lavorato per i servizi segreti ragazzo.»
Rimase senza fiato.
Gli dovette leggere in faccia cosa pensava perché lo vide chiudere gli
occhi e mormorare qualcosa di molto simile ad una bestemmia. «Juna, dimmi che
non è vero. Sei appena un adolescente.»
«Quando hai lavorato per loro?» chiese ancora incredulo.
«Avevo appena trent’anni anni quando mi hanno contattato e sono rimasto
attivo per quattordici anni. Di tanto in tanto ancora tornano alla carica,
quelle sanguisughe. Da quanto lavori per loro?»
«Quasi cinque anni.»
George spalancò gli occhi, «Sono impazziti? Eri un ragazzino!
Maledizione, sapevo che sarei dovuto essere più vigile! Già i risultati del
test che hai fatto a dodici anni erano sbalorditivi, figurarsi se si lasciavano
scappare un cervello come il tuo!»
«Drake è con me.»
George sbuffò, «Figurati! Cosa hanno trovato per lui? Ti porta gli
stampati dei satelliti?»
«Siamo sempre andati in missione insieme.»
Il silenzio si protrasse per qualche secondo.
«Juna… ti hanno chiesto di decifrare dei codici vero?» chiese poi
George.
Scosse la testa in segno negativo.
Lo vide appoggiarsi al ripiano della scrivania, la testa sorretta da
una mano.
In un angolo della sua mente George aveva già capito tutto, ce lo aveva
scritto in faccia, ma tutto il resto del suo cervello si ostinava a ignorarlo.
«Juna, parla chiaro per favore.»
Rimase indeciso per qualche secondo, «George, non posso… probabilmente
ho già sbagliato per il semplice fatto che te ne ho parlato. Sei il primo che
lo sa e sarai anche l’ultimo, perché i miei genitori resteranno all’oscuro di
questo lato della mia vita. Io e Drake abbiamo già deciso di mollare tutto…
anche se non sarà così immediato.»
«Juna, cosa ti hanno chiesto di fare?»
Seguirono altri secondi di silenzio.
Davvero aveva pensato di iniziare un discorso del genere con George e
poterlo lasciare a metà?
«Siamo stati addestrati.»
«A fare cosa?»
«Attaccare e difenderci.»
George si coprì gli occhi con una mano ed emise un verso che fu un
gemito. «Dio svegliami che sto sognando. Ti hanno insegnato ad ammazzare la gente. Ti hanno trasformato in un
killer.»
Ok, il danno ormai era fatto.
«In breve le cose sono andate così…» cominciò.
Pensava di essere pronto a tutto, ma questo andava oltre le sue umane
concezioni.
Juna aveva appena quindici anni quando gli avevano messo una pistola in
mano.
Era stato tutto inutile. Erano riusciti ad arrivare anche a lui.
«In nome di Dio, perché non si sono limitati a sfruttare il tuo
cervello?»
«E’ esattamente quello che hanno fatto, solo in maniera diversa da
quella che tu immaginavi.»
Il bel viso di Juna era rilassato, vi era una luce nei suoi occhi che
faticò a riconoscere: più di una volta gli occhi di quel ragazzo gli avevano
dato un assaggio di cosa potesse essere l’infinito vuoto dell’Universo… in quel
momento brillavano di una luce serena.
In quel momento dimostrava tutti i suoi diciannove anni scarsi.
«Non ne hai parlato con nessuno Juna, ne sei certo?»
Al suo cenno affermativo chiuse un attimo gli occhi.
Quel ragazzo si era appena tolto di dosso il più grosso peso della sua
vita. «Non hanno pensato a… ad un appoggio psicologico? Ragazzo, mi rifiuto di
pensare che abbiano messo in mano una pistola a te e a Drake e vi abbiamo
aperto la porta che da sul mondo.»
«Siamo stati sotto addestramento per un mese. Ci hanno insegnato l’auto
controllo, l’arte di sopravvivere e ad aspettarci sempre il peggio. Il resto lo
abbiamo imparato… sul campo.»
«Non farai nomi vero?»
«No George, ci tengo a te.»
«Perché non siete in grado di sganciarvi subito? Vi fanno storie?»
Juna respirò profondamente, «Se fosse per quello sia io che Drake
sapremmo come cavarcela. Purtroppo è ben altro quello che ci impedisce di
ritirarci adesso…»
Iniziò la seconda parte della saga dell’assurdo.
Aveva letteralmente le mani nei capelli alla fine.
«Quel bambino sa che siete agenti?» chiese.
Juna asserì con la testa. «Mi ha riconosciuto subito e ha riconosciuto
anche Drake. Ecco perché non posso mollare adesso. Sarà la nostra ultima
missione George, ma dobbiamo portarla a termine. Fino in fondo.»
«Intendi sterminare gli Estrada?»
«Vedi altre vie d’uscita?»
Per quanto ci riflettesse, no, non ne vedeva altre.
«Juna, sai che se scoprissero la vostra identità i primi ad andarci di
mezzo sarebbero i membri delle vostre famiglie, vero?»
«Ho fiducia nei miei superiori George. Mi hanno dato prova di essere
dalla mia parte. Se devo essere sincero non mi preoccupa che quei delinquenti
scoprano chi siano Darkness e Falcon, mi preoccupa il fatto che rischio di
trovarmi a tu per tu con loro quando decideranno di attaccare ancora i Flalagan
e non avrò altra scelta se non smascherarmi per proteggerli.»
«Dio che casino ragazzo.»
Juna scoppiò a ridere, «Ha il sapore della saggezza detto da te!»
Rimase a fissarlo per qualche istante, ancora incredulo. «Ancora non mi
capacito. Siete dei ragazzi e vi hanno trasformato in degli assassini.»
«Beh… ognuno trova la via che gli è più congeniale. Chi nasce portato
per l’arte diventerà un pittore, chi per le pubbliche relazioni un politico.
Sono propenso a credere che abbiano individuato delle caratteristiche, in me e
in Drake, che neanche noi sapevamo di avere. Forse siamo più cattivi di quanto
puoi immaginare.»
«Lo pensi davvero? No Juna. Per favore, non convincere te stesso di
essere malvagio o roba del genere. Ognuno di noi nasce con inibizioni
comportamentali ben precise: un bambino, da sempre, sa che non deve rubare la
caramella o mentire alla mamma o strangolare il gatto. La gente cattiva,
veramente cattiva, è l’eccezione alla regola o la razza umana si sarebbe
estinta prima dei dinosauri. La gente veramente cattiva nasce cattiva,
non ha bisogno di addestramenti. L’addestramento di cui mi hai parlato ha
sistematicamente abbattuto queste inibizioni naturali, in te e in Drake,
rendendo l’atto di uccidere un altro essere umano qualcosa di perfettamente
lecito, se non automatico… specie se ne va della vostra vita. I tuoi superiori
si sono evidentemente accorti di averti addestrato anche troppo bene, perché
alla fine non hanno avuto il minimo dubbio che tu li avresti uccisi sospettando
un tradimento. Perché non l’hai fatto?»
«Cosa?»
«Perché non li hai ammazzati quella notte?»
«Non avevo prove che fosse davvero uno di loro la talpa, il nome che ci
aveva dato il tirapiedi di Estrada non lo avevo mai sentito prima.»
«Quindi uccidere per te non è poi così automatico.»
La bocca di Juna si piegò in un mezzo sorriso, «Hai capito che ho
ammazzato una decina di persone nel giro di due ore?»
«Quello era l’ordine che avevi ricevuto. E comunque non avevi altra scelta
in quel momento: o loro o te. Quando però la scelta l’hai avuta, non hai
ucciso.»
L’espressione di Juna gli disse che non aveva minimamente preso in
considerazione quel punto di vista.
Non era il caso di insistere nell’argomento, era già un immenso passo avanti
che quel ragazzo gli avesse parlato di quella situazione.
«Non trovo altro da dirti se non che puoi contare su di me. Per
qualsiasi cosa. Anche nascondere i tuoi in caso di pericolo. Ho ancora qualche
aggancio che potrebbe far sparire la tua famiglia dalla faccia della Terra se
ce ne fosse bisogno.»
Juna annuì con un sorriso, «Lo so George e ti ringrazio. Allora, dove
li hai nascosti i ciclostilati?» continuò come se non gli avesse appena
raccontato la storia più assurda della sua vita.
Sharon la chiamò poco prima delle sei e parlarono per qualche minuto
del più e del meno… poi chissà come iniziarono a parlare di Juna.
«Sono quasi due ore che è in camera sua con il professor Cowley a fare
esercizi. Come va con Drake?»
«Direi bene… mi sono convinta che sta aspettando che abbia superato il tornado
esami per sottopormi all’uragano Drake… che carino vero?»
Sorrise, «Ti sento tranquilla.»
«Lo sono. Non ci capisco più niente, ero convinta di avere crisi di
panico, non dormire la notte, smettere di mangiare… invece niente.»
«Le crisi di panico inizieranno nelle quarantotto ore prima
dell’inizio.»
«Oh grazie Flalagan, non so cosa farei senza di te!»
Rise di gusto, «Oh smettila, andrà tutto bene, lo sai!»
«Certo certo… senti un po’, che facciamo per il tuo compleanno?»
«Niente Shasha… ho intenzione di chiedere ai miei di ignorarlo.»
«Cos’è questa novità?»
«Abbiamo già abbastanza a cui pensare. Non mi va proprio di
festeggiare.»
«Il regalo lo vuoi?» chiese dopo qualche secondo di silenzio.
«Ti devi solo provare a non farmelo!»
«L’ho già comprato! Manca meno di una settimana Jennie! Sai che però in
fondo è vero? Siamo sempre uscite a mangiare una pizza, ma adesso… non ti senti
in prigione così?»
La domanda la sorprese, «No… come ti è venuta in mente una cosa simile?»
«Uscivamo sempre, pensavo che…»
«Shasha, sono troppo preoccupata per questa storia. Se riprendessero
Micky impazzirei, se prendessero mia madre so che non ne uscirebbe viva…»
«Se prendessero te impazzirei io, quindi a conti fatti, è meglio così,
hai ragione.»
Sorrise mentre un’ondata di tenerezza la sommerse, «Ti voglio bene
Sharon. Senza di te non sarei sopravvissuta al rapimento di Micky.»
«Tu e Micky siete i fratelli che i miei non hanno messo al mondo
Jennie. Uscirei pazza senza di voi.»
In quei momenti si sentiva circondata e al sicuro, si cullò per qualche
secondo in quella sensazione, poi riprese, «Ah, prima che mi dimentichi: non
parlare al tuo ragazzo del mio compleanno. Nei miei piani Juna non deve saperlo
e Drake è geneticamente incapace di nascondergli qualcosa.»
«Primo: Drake non è il mio ragazzo, non ancora almeno! Secondo:
ciò non toglie che hai ragione! Non gli dirò niente.»
«Parlando di Juna… hai bisogno di aiuto per il ripasso?»
«Cosa c’entra Juna con…? No, non dirmelo.»
«E’ stato Micky, senza saperlo, ad aprirmi la strada e Juna ha detto di
essere dispostissimo a darti una mano.»
«Sarebbe fantastico. Con Drake non riesco a concentrarmi.»
«Chissà perché…»
«Piantala.»
Ridacchiò divertita e Sharon la ignorò. «Quando posso chiamare per
fissare con lui senza rompere?»
«Glielo chiedo stasera e ti so dire.»
«Perfetto. Come sta quel ragazzo?»
«Ho l’impressione che stia dimagrendo a vista d’occhio.»
«Quella febbre avrebbe stroncato chiunque. Menomale ha una costituzione
forte. Anche Drake non riesce a pensare ad altro.»
Corrugò la fronte, qualcosa nel discorso di Sharon le era suonato
stonato… capì cosa fosse con un sussulto.
«Che significa anche?» chiese perplessa.
Sharon rimase qualche secondo in silenzio, poi le sembrò di vederla,
mentre dava una leggera scrollatina di spalle, «Mi sono incredibilmente
affezionata a Juna, ecco la verità. Non ti so spiegare cosa sia… mi verrebbe da
dire che gli voglio bene, ma non è neanche questo esattamente. Drake lo ha
capito quasi subito e sai cosa mi ha detto? Di non lottare contro questa cosa
perché lui è il primo a sapere che Juna è irresistibile.»
«Ma sei innamorata di Drake?» chiese mentre un senso di panico le
attanagliava il petto.
Sharon non poteva innamorarsi di Juna!
«Sono pazza di quel ragazzo e lo sai perfettamente! Oh accidenti,
sapevo che non mi sarei saputa spiegare! Mi conosci: non sono il tipo che si
lascia trasportare… ma per Juna provo qualcosa che… che non so spiegare a
parole. Forse perché è il migliore amico di Drake… e anche per il fatto che tu
sei innamorata di lui, chissà.»
«Io non sono innamorata di Juna!» esplose.
Si rese conto di aver alzato la voce e pregò dentro di sé che in casa
fossero diventati tutti sordi.
«Sì, lo sei» ribatté calma e tranquilla Sharon. «Se non lo fossi non
saresti entrata nel panico alla semplice prospettiva che potessi provare
qualcosa per lui.»
«Era una trappola vero? E io ci sono caduta.»
«No, ti ho detto la verità. Forse stando un po’ più con lui riuscirò a
capire perché quel ragazzo mi fa sentire così.»
«Così come?»
«Protetta. Sicura. Completa. Cristo, le parole non servono a niente.
Drake mi toglie il respiro, quello che provo per lui è attrazione, forse amore.
Juna mi fa l’effetto contrario… da qualche giorno se voglio calmare i nervi
devo pensare a quel ragazzo.»
«Forse comincio a capire.»
«Certo, per te è l’esatto contrario vero? Parli con Drake guardandolo
in faccia, dritto negli occhi e quando scherzi con lui sei tranquilla… come Juna
si staglia all’orizzonte diventi una corda di violino.»
«Juna mi… mi fa paura.»
«Macché paura! E’ quello che provi per lui che ti fa paura Jennie, non
lui. Drake ti ha chiamata occhioni belli una volta e la tua reazione è
stata di menarlo scherzosamente, quando Juna ti guarda diventi viola.»
Le tornò in mente cosa le era piombato addosso solo poche ore prima,
quando Juna le aveva detto che era splendida. Al solo pensiero sentiva
le guance diventare incandescenti.
«Sai perché non vuoi che Juna sappia del tuo compleanno?»
La voce di Sharon la riscosse. «Perché?» chiese.
«Perché se Juna si avvicinasse a te anche solo per darti un bacio sulla
guancia, tu entreresti in orbita. Probabilmente anche un semplice buon
compleanno con un suo sorriso ti farebbe perdere il sonno per una
settimana.»
«Adesso non esagerare.»
«Jennifer, tu sei cotta di Juna da almeno cinque anni. Non ne hai mai
parlato, ma mi è bastato vederti con lui cinque minuti. L’unica cosa che ti ha
salvata fino ad ora è stata la lontananza da lui… ma avevi undici anni quando
gli hai consegnato il tuo cuoricino.»
«Oh per favore…»
«E allora diglielo.»
«Patrick e Madeline organizzerebbero una festa, non ci sarebbe verso di
fermarli.»
«Digli chiaramente che non hai voglia di festeggiare. Sono certa che
capiranno, hanno vissuto in diretta l’inferno che hai passato per il rapimento
di Micky.»
Rimase un attimo in silenzio. «Ci penserò.»
«Immagino.»
«Davvero.»
«Certo.»
«Oh, accidenti.»
Odiò con tutto il cuore la risatina di Sharon.
«Direi che possa bastare ragazzo» disse George quando la sua media di
risposta scese di nuovo sotto i dieci secondi.
Si abbandonò contro la sedia stropicciandosi con calma gli occhi.
Quegli esercizi potevano anche essere stati studiati per far sì che lui
e il suo geniale cervello non impazzissero, ma sembravano fatti apposta per
fargli venire il mal di testa.
«Ti è venuto mal di testa perché era un lasso di tempo vergognosamente
lungo che non facevi un po’ di sana ginnastica mentale.»
«La cosa non mi consola neanche un po’.»
«Sono soddisfatto del tuo tempo di ripresa però. Aggiungendo che fino a
un mese fa avevi la febbre oltre i quaranta sono davvero soddisfatto.»
«Non hai risposto alla mia domanda.»
«Quale?»
«Se sono ancora in tempo per essere il membro più giovane dell’Omega.»
George sorrise, «Sì, sei ancora in tempo con un margine di due anni.»
«Accidenti, chi è il detentore del record attualmente?»
«Io.»
«Ma dai.»
«Giuro. E credimi quando ti dico che non vedo l’ora di mollarti almeno
questo scettro ragazzo. Essere il presidente è già abbastanza rognoso.»
«Cosa si fa di solito?»
«Due o tre volte l’anno una riunione fra di noi, a volte le nostre
discussioni durano ore intere senza venire a capo di nulla. Uno spasso. Poi
siamo spesso chiamati a fare conferenze, in base alle nostre personali
inclinazioni. Le prime volte verrò con te ovviamente: non ti sbarazzerai di me
così facilmente. Immagino che con il fatto che già lavori da anni nella finanza
probabilmente ti chiederanno di scrivere relazioni su vari argomenti per gli
studenti di economia e commercio e di presentare queste relazioni nelle
università. Conoscendoti finirai con il divertirti: finalmente entrerai in
contatto con ragazzi della tua età.»
«Immagino che faranno i salti di gioia quando vedranno salire in
cattedra un loro coetaneo. Quando andavo all’università ero odiato a morte dai
compagni di corso.»
«Beh, probabilmente perché avevi la stessa età del fratellino
rompiscatole. Mi hai mai sentito affermare che essere ciò che siamo sia facile?
Chi non ci teme ci odia. Chi ci rispetta è solo perché immagina che possiamo
essergli utili e in pratica mira allo sfruttamento… e comunque c’è una vena di
invidia che non si esaurisce mai.»
«Beh, tocca ad ognuno di noi costruirsi la propria corazza.»
George lo guardò, riconoscendo le proprie parole. «Chi è il genio che
te lo ha detto?»
Scoppiarono a ridere.
In quel momento un lieve bussare precedette sua madre, «La cena è quasi
pronta.»
«Scendiamo subito mamma.»
«Avete finito?»
«Cinque minuti fa» rispose George.
«Com’è andata?»
«Juna era piuttosto arrugginito, ma c’è voluto meno olio del previsto
per rimetterlo in moto.»
«Ha un debole per i motori, se non te ne fossi accorta.»
Sua madre sorrise deliziata. «Mio figlio è una fuori serie, me lo
dicono tutti.»
Fu George a sorridere.
La cena si svolse tranquillamente, captò solo vaghi segnali da parte di
Jennifer… sembrava che stesse pensando a qualcosa che non riusciva a
convincerla.
George diceva sempre “è come cercare di far entrare un quadrato
dentro a un cerchio grande la metà” e probabilmente la ragazza era alle
prese con qualcosa del genere.
Si accorse due volte di essere oggetto della sua attenzione e divenne
rossa entrambe le volte.
Jennifer.
Se ne erano accorti tutti all’infuori di lui.
Certo, aveva chiuso quella che più si avvicinava ad una relazione un
mese prima, ma…
«Juna?»
«Dimmi Jennie.»
«Sharon mi ha chiesto quando può telefonarti per fissare.»
«Possiamo chiamarla dopo cena, che ne dici? Si vedeva con Drake?»
«Non credo. Comunque va bene dopo cena.»
«Drake si è fidanzato?» chiese George sbalordito.
La sua voce e quella di Jennifer si sovrapposero perfettamente.
«Non ancora professore.»
«Non esattamente George.»
Un coro di risate si levò all’istante.
«Almeno si trovano d’accordo!» commentò suo zio Ryan.
«Cosa significa non esattamente?» chiese sua madre sorpresa «Due
persone o stanno insieme o non ci stanno.»
Guardò Jennifer e la ragazza, dopo avergli reso l’occhiata, disse
semplicemente, «Sharon per prima cosa deve sostenere e superare l’esame. Drake
lo ha capito e… beh, fanno coppia fissa, mettiamola così.»
«Tu non hai sentito niente, intesi mamma? Scordati che stiamo parlando
del pargolo di Jessica» aggiunse per solidarietà verso l’amico.
Sua madre lo guardò di traverso, poi sospirò, cosa che per lei
equivaleva ad una resa.
«Jennie, volevo chiederti cosa vuoi fare per il tuo compleanno» disse
improvvisamente sua nonna Madeline. «Ne parlavo oggi con tua madre, manca meno
di una settimana.»
Jennifer ebbe un sussulto.
«E’ vero!» esplose Michael «Oh Jennie, mi stavo per dimenticare!»
aggiunse poi con un tale sconforto che avrebbe scosso un pilastro di ferro.
Nel frattempo la ragazza aveva abbassato lo sguardo sulla tavola e
rimase in silenzio per qualche secondo prima di mormorare, «Vorrei che lo
ignoraste. Non penso sia il caso di festeggiare.»
Jeremy divenne il ritratto della sorpresa, «Non è il caso di festeggiare?»
ripeté «Principessa, trovo che ci sia un sacco di cose da festeggiare. In
primis la tua promozione!»
«E poi il fatto che sono qui con voi!» continuò Michael gelando
l’intera stanza.
George sfoggiò la reazione che ci si aspetta da uno che non sa niente
dei retroscena e guardò il bambino perplesso, il problema ovviamente era che
sapeva bene il significato di quella frase e detta da un bambino di quattro
anni era sconvolgente.
Il silenzio che ne seguì fu interrotto da suo nonno Patrick, «Propongo
di accantonare l’argomento fino al dopo cena.»
Jeremy si abbandonò contro lo schienale e Sarah fu veloce a prendergli
una mano sotto il tavolo.
Jennifer non rialzò lo sguardo dalla tavola fino al dolce, quando
Michael scese dalla sedia per andarle in collo.
Cominciarono a parlottare a bassa voce.
Si sentì tirare una manica del maglione e abbassò lo sguardo su
Melissa, la quale tese le braccia verso di lui. Con una sola mossa la tirò
sulle sue gambe. «Come stai?» chiese la piccina.
«Bene.»
«Sei stanco?»
«Un po’.»
«Ti fa male la testa?»
Sorrise «No. Stai tranquilla.»
«E’ per questo??» esplose all’improvviso la voce di Michael.
«Jen, che c’è?»
«Niente cucciolo.»
«Shasha che ne pensa che non vuoi festeggiare il compleanno?»
«E’ d’accordo con me.»
«Non capisco.»
«Non c’è niente da capire. Quest’anno preferisco così.»
«Non posso neanche venire a dormire con te la sera del tuo compleanno?»
Si sentì stringere il cuore, «Ma certo che puoi.»
«Perché sei così triste?»
«Non sono triste Micky.»
«Perché sei così?»
Un sorriso le curvò le labbra contro il suo volere, «Piccolo Flalagan,
sai essere tremendo quando vuoi.»
«Grande Flalagan, mi hai sempre detto che non si dicono le bugie.»
Michael non sarebbe più tornato il bambino che prendeva per oro colato
tutto quello che gli veniva detto. Aveva imparato a caro prezzo come si vive
lontani dalla bambagia domestica.
«Non è ancora finita fratellino. Siamo ancora in pericolo. Non riesco a
non pensarci.»
Michael sgranò gli occhi, «E’ per questo??» esplose alzando la
voce.
Rimase talmente scioccata dal repentino cambiamento che non reagì.
Si guardò intorno e si rese conto che li stavano guardando tutti.
«Micky, chiedi subito scusa: non si alza la voce» disse sua madre con
calma.
Michael non staccò gli occhi da lei, «Scusa» disse semplicemente.
«Michael, non a me, alla…» sua madre fu fermata a metà frase…
probabilmente da suo padre.
Sentì una mano sulla sua spalla e alzò lo sguardo per incontrare gli
occhi di Juna. «Io e te abbiamo una telefonata da fare» disse.
Ed era un tono che non ammetteva repliche di
sorta.
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NOTE:
giunigiu95: ok, lo riconosco… non ho messo Drake in una
situazione facile… ma ad ognuno i suoi problemi, ti pare?
Zarah: visto? La soluzione è arrivata subito! Non mi perdonerei mai se non
dormissi per colpa mia! XD
Grazie a chi mi ha aggiunto di recente fra i preferiti *inchino*.