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Autore: CrisBo    09/03/2015    4 recensioni
Il tavolo era imbandito di pietanze di ogni tipo. Una varietà di legumi e ortaggi erano stati disposti sopra i piatti, s'affollavano i formaggi e le piante verdi del vecchio contadino del decumano ovest, colui che coltivava le migliori carote di Hobbivile (il più quotato tra le hobbittesse, perbacco!)
Volavano i piatti e s'infrangevano nel fumo dell'erba pipa di Gandalf, spargendo i vapori di quell'odore per tutta la sala da pranzo. Bofur e Dwalin suonavano allegri, seguiti da Dori, i loro busti ondeggiavano a ritmo e con le braccia facevano saltare le stoviglie. C'erano tutti i nani chiamati per la spedizione di Scudodiquercia, persino quelli che non discendevano dai Durin. [ Dal prologo ]
***
- 2941, T.E. Partono in sedici dalla casa di Bilbo per la spedizione verso Erebor e ciò che l'avventura comporta cambierà le sorti dei discendenti di Durin. Il sedicesimo compagno è una nana, Berit, del quale si sa poco e niente. Mangia tanto, beve tanto, è chiassosa ed ha un rapporto particolare con Bofur. - Prima ff, c'è dell'autocritica in me.
[ IN REVISIONE! ]
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bilbo, Bofur, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 41.
Ritrova ciò che hai perso




Thorin stava camminando lento lungo la lastra dorata che ricopriva il pavimento e la notte imperversava irrequieta, fischiando e ululando contro la roccia.
La percepiva come un frastuono interno, si sentiva freddo nelle ossa e nel cuore.
Se chiudeva gli occhi ogni pensiero s'avvolgeva in un turbine infinito e solo la magnificenza dell'Oro lasciato covare troppo tempo sotto la spira di un Drago sembrava mantenerlo a galla, senza capirne il motivo. Il suo cuore pompava qualcosa di frastagliato e martellante, il pensiero di quel giorno era stato un evento troppo profondo da lasciar passare.
Non ricordava alcun ché di ciò che disse ai suoi Compagni durante il suo peregrinare nelle Sale del Tesoro, la sua stessa presenza intorno a loro gli sembrava vana, intangibile, immerso in un mondo senza sogni col solo riflesso della sua anima malata.
Continuava a camminare, con i pugni chiusi, avvolto nel suo mantello di pelo e trapuntato che strusciava nell'immensità di quelle Sale.
Il suo riflesso ondeggiato che oltrepassava l'Oro e i rimbombi dei suoi passi che si innalzavano fino alle pareti.
C'era qualcosa che stava emergendo, qualcosa che – impercettibile come il battito d'un usignolo – aveva fatto breccia così in profondità da farlo tremare dentro a ciò che stava diventando. Che era diventato.
Vedeva Bilbo.
Lo Scassinatore era stato furbo e scaltro, era stato silenzioso e aveva agito nell'ombra.
Come poteva aspettarsi qualcosa di diverso da un'anima sveglia?
Gli hobbit non erano come i nani, loro non giocavano secondo un calcolo studiato, loro non erano attratti dall'immensità.
Quel tradimento aveva uno scopo diverso ma la sua mente non tollerava che vi ci arpionasse. Aveva trafitto quel piccolo mezz'uomo con parole velenose, dimenticandosi della lealtà che la sua razza vantava sopra ogni cosa.
Fai un torto ad un nano e saprai che quello se lo ricorderà fino a che la sua anima non verrà richiamata da Aule – fai a taluno un favore e il ricordo subirà la stessa sorte.
Bilbo lo aveva salvato tante volte. Troppe volte.
Aveva ritrovato la sua Chiave e quel segreto non era stato sperduto nell'aria.
Lo aveva scoperto quando i suoi Compagni gli si erano rivoltati contro, con durezza, sopra il bastione della roccia. Non riconosceva più i loro volti ma – se smetteva di marcire sotto quella malattia – sapeva che era il suo sguardo ad essere annebbiato e confuso.
Vedeva Fili vergognarsi di lui e Kili trattenere quel suo sguardo giovane e ancora intatto senza riuscire a proferir parola.
Il suo stesso sangue che s'allontanava in silenzio, sotto la divisione impellente che lui stesso aveva originato. Avrebbe voluto urlare, dire loro qualcosa, graffiare l'aria con tutto quello che l'Oro gli stava facendo. L'Arkengemma aveva sopito una piccola stilla di quel male e poi l'aveva innalzata fino ad un apice estremo.
Stava per uccidere Bilbo senza alcun ripensamento. Stava per torcergli il collo senza pietà.
E il suo cuore, dentro, urlava di disperazione. Si disperava e il suo corpo continuava a tormentarsi sotto la mente deviata.
Nel calmarsi erano giunte due piccole note positive. Due pensieri improvvisi, senza freni, che lo avevano fatto respirare di nuovo.
Non il fetido odore del Drago, ma l'aria della sua Montagna. Quella vera. Quella rocciosa. Quella di casa.


Aveva visto due piccoli nani dall'aria paffuta e curiosa, uno biondo e un altro moro, gironzolare con passo malfermo lungo un antro scavato nella roccia.
Indossavano armature grosse, due elmi pesanti, erano riusciti a imbracciare uno scudo.
Il biondo si destreggiava in affondi scomposti con un pugnale grezzo. Il moro agitava un arco di noce, duro e resistente.
Si rincorrevano e tra le pareti si espandeva la loro voce ancora fanciullesca, ancora lontana dalla raucedine. 

Il moro aveva lanciato in testa l'arco al biondo e gli era saltato sulla schiena, placcandolo. Entrambi erano precipitati a terra con un frastuono sordo.
Avevano riso senza rancore, rotolando in una lotta giocosa.
Thorin aveva permesso loro di utilizzare il suo vestiario da battaglia e s'era soffermato a guardarli giocare, placato dalla spensieratezza che ancora aleggiava sui loro volti giovani. Era sicuro che Dìs, questa volta, lo avrebbe rimproverato per questo. Era pronto a correre questo rischio, per quello ne valeva la pena.
«O muori, ora tu, schifoso Elfo!» Pungolò Kili con un ringhio. Stritolò la cotta pesante che indossava Fili con violenza e quello lo spintonò via con uno slancio del corpo. Kili era stato abbastanza rapido da evitare di farsi male, levandosi da lì.
Thorin sapeva che era Kili quello più sciolto nei movimenti, dalla mira più sottile e dai riflessi più scattanti.
Ma Fili era bravo nel corpo a corpo e, per un corpo più lento, erano assai dolori quando veniva colpito.

«Avevamo detto che l'Elfo, questa volta, lo impersonavi tu.» Squittì il biondo, rialzandosi con un broncio.
Aveva ancora in mano il pugnale; era smussato e per niente tagliente.

«Fino a prova contraria sei tu quello biondo, qui.» Disse l'altro con un sorriso spavaldo e dovette fare uno scatto veloce per non essere placcato con irruenza dal fratello. Thorin aveva riso per quella scena, non gli capitava che di rado ormai, dove si beava di quelle piccole scene di pace quotidiana insieme alla sua discendenza di sangue. Rivedeva Frerin in quel quadretto distinto, il giovane fratello perduto nella battaglia di Azanulbizar, perito sotto i mille colpi degli Orchi. Nonostante avesse l'aspetto simile a Fili era a Kili che assomigliava; giovane, spensierato, scaltro. Sospirò pesantemente e si ritrovò spintonato all'indietro dalla corsa dei due giovani nani, ancora intenti a rincorrersi fra le minacce naniche. 
«Ehi piano, giovanotti, se vi fate del male vostra madre non me la perdona.»
Entrambi si volsero verso Thorin, rialzando le loro braccia armate quando si bloccarono di colpo.
Thorin corrugò la fronte e una voce – dietro di lui – si innalzò dall'ombra.

«Vostra madre adesso farà due paroline con Thorin, vi spiace piccoli?» Sibilò Dìs, apparendo con un sorriso curvo sul volto.


Thorin aprì gli occhi di colpo e riprese a respirare a pieni polmoni, ritrovandosi ripiegato sulle ginocchia e le mani aperte sul pavimento dorato.
Sentiva gli occhi bruciare e la gola ardeva e aveva il sapore del metallo.
Del... fuoco.
Strizzò gli occhi riprovando a rialzarsi ma un potente frastuono lo invase, facendolo ripiegare ulteriormente.
Ogni voce era penetrata dentro la sua mente e stava martellando senza sosta. Ogni volto dei suoi Compagni. Ogni luce del profondo cammino. Ogni corsa per la salvezza. Ogni anfratto nel buio. Erano lì, con la loro luce negli occhi, a seguirlo in quel tortuoso viaggio verso la riconquista di Erebor.
Avevano rischiato la vita per quello e l'avevano colorata di risate scomposte – si erano fidati di lui e lui si era fidato di loro – e l'ultimo sguardo verso il loro Re gli aveva stretto il cuore fino a spezzarlo.
Cosa stava perdendo, donando loro le spalle?
Perchè i loro canti erano Nebbiosi come lo era stata la cima della Montagna?
Strizzò gli occhi ancora e portò le mani a pressare le tempie fino a stringere i capelli scuri tra gli spazi di esse. Vide Dwalin piangere in silenzio e Balin alzare i palmi e guardarlo con paura e tormento. Non potrai mai deluderci, Thorin, questo aveva detto sulla chiatta il nano anziano e lui si era sentito così fiero e motivato in quel momento.
Fili e Kili non erano più piccoli eredi, pronti a giocare a ridere senza rancore. E gli altri... Berit gli aveva detto di ricordare il suo discorso. 
Noi siamo Compagni e lo saremo per sempre.
Ma il per sempre non dura per una stirpe mortale e lui lo sapeva mentre guardava le sue pareti e le statue dei suoi avi e dei Re, che avevano governato quelle terre in tempi in cui l'inverno era meno rigido e il Drago era ancora lontano.
Poteva sentire la loro forza attraverso quei secoli e lasciarsi sopraffare dal flusso del sangue dei Durin che era la sua stessa essenza.
Lui era mortale ma il suo nome avrebbe continuato a vivere nelle canzoni e nelle ballate. Sarebbe giunto ai piedi dei Colli Ferrosi e avrebbe oltrepassato le Montagne, si sarebbe trascinato sul Fiume Flutti fino a raggiungere i popoli degli Uomini e lì – allora – sarebbe bruciato come un vile e codardo traditore.
Non avrebbe raggiunto gli Ered Mithrin senza che ciò che aveva compiuto quel giorno non si sarebbe espanso sotto le stelle estranee e la luna pallida.
Fu invaso da un moto di nausea e si ritrovò a rialzarsi con uno slancio ciondolante, perdendo l'equilibrio.
La schiena cozzò contro un pilastro ruvido e lì si blocco, stringendo i pugni fino a indurire le nocche, sotto gli anelli preziosi.
Il secondo pensiero dalla quale la sua mente fu invasa tornò a stuzzicare il suo cuore e sentì la pelle ribollire di rabbia e delusione. Ma questa volta non era verso di lui.
Gli aveva donato il mithril come pegno della sua lealtà, in un momento di chiarezza in un giorno che neanche rimembrava, pur sapendo quanto fosse raro e prezioso l'Argento di Moria. Un metallo talmente resistente da non poter essere scalfito, leggero come i piumaggi delle allodole ma duro come la corazza del Drago.
Era tutto ciò che era in grado di potergli offrire, una protezione perenne, temendo per lui qualcosa che già la sua mente stava programmando.
Cominciava a dubitare delle sue amicizie, persino del suo stesso sangue, ma – per quanto fosse insolito – non era riuscito a scorgere in Bilbo una minaccia.
Aspettava la contromossa del Governatore di Esgaroth, pronto come una faina a puntare il naso verso il suo Oro, ma ancor peggio era stato scoprire che Bard s'era palesato davanti alla sua Porta, chiedendo la sua parte.
Bard.
Quel nome gli procurava rabbia e indignazione. Non riusciva a pensare lucidamente in quelle circostanze e ancor peggio era stato nel vederlo tornare insieme a quel penoso sgorbio dai capelli biondi e fluenti. Osare mettersi contro di lui e giudicare le sue gesta senza timore né vergogna quando nessuno di loro poteva vantare un'anima giusta e senza peccati.
Avrebbero accordato se fossero giunti e avessero trovato lui e i suoi Compagni deceduti sotto al fuoco?
Nessuno voleva etichettarli come ladri ma lui ben sapeva che, nel loro cuore, l'Oro era onnipresente.
Sottoforma di buona condotta o solamente per riparare ad un vecchio torto ma – lui sapeva – che non vi sarebbe stata trattativa se l'Oro fosse stato incustodito.
Nessuno della sua famiglia avrebbe visto una sola minuscola moneta. Sarebbero stati deviati, mangiati dall'avidità e dall'ingordigia della ricchezza, perché gli Uomini erano deboli.
E gli Elfi non vantavano di un ferreo autocontrollo, per lui – detto schiettamente – erano tutti degli stupidi grulli.
Quando vide l'Arkengemma nelle mani di quel testardo di un Uomo la sua anima subì uno schianto e le parole di Bilbo diedero il finale e traumatico colpo di grazia.
La rabbia accecante era stata invasiva ma era riuscito a pensare per un solo secondo, mentre la consapevolezza del tradimento si faceva strada in lui.
Aveva pensato ad un semplice ricordo – un piccolo barlume di luce - di quando lo aveva trovato con la ghianda in mano.
La ghianda del giardino di Beorn.
In quel momento aveva colto nel suo sguardo l'improvvisa tenerezza di un semplice hobbit a cui mancava casa propria e che non era per nulla abituato a tutta quella roccia.
Uno hobbit che aveva preferito seguirli fino alla fine rinunciando al calore del proprio camino e dell'erba sotto i piedi.
In quel momento, ricordò Thorin mentre veniva placato nonostante le sue urla di ira, s'era reso conto di provare affetto per Bilbo.
Un affetto fraterno e pieno, fu in quel momento che capì che avrebbe fatto di tutto pur di permettergli di rivedere di nuovo casa e fargli piantare la ghianda, davanti al suo giardino, mentre avrebbe fumato ripensando al lungo viaggio per cui era stato spinto fuori dalla porta verde.
Perchè non riusciva più a sentire quella sensazione, ora?
«Thorin?»
Doveva cercare un modo per tornare con i piedi per terra e fermare la sua mente.
Doveva reagire per il bene dei suoi Compagni, per il nome che avrebbe vissuto per sempre ricordando quel viaggio.
«...Thorin?»
Non doveva permettere di affondare l'intera missione per una colpa dettata dalla malattia sprezzante, era tempo di afferrare le armi e combattere, era tempo di liberarsi dalla fornace interna che lo dilaniava.
«Thorin, stai...bene?»
Quando aprì gli occhi si rese conto della figura di Dwalin, davanti a lui, intento a guardarlo con occhi preoccupati.
Uno dei suoi più cari amici, in piedi di fronte a lui, ancora una volta e senza timore.
Thorin si staccò dal pilastro con passo malfermo e, dopo interi giorni di buio, le sue labbra riuscirono a curvarsi in un mesto sorriso.


 


 


Quella mattina, attraverso il rialzo della roccia, il sole illuminava la figura di Fili e lo avvolgeva completamente nonostante ai suoi piedi serpeggiava l'ombra.
Era un sole freddo e per niente abbagliante, l'aria filtrava appena tra i suoi capelli biondi e li smuoveva in fili scarmigliati facendoli scivolare sul volto stanco e serioso.
Erano tutti intorno a lui, in silenzio, dove si percepivano solo i loro respiri, aspettando di sentire il riverbero del clangore delle lame che avrebbe squarciato l'aria.
Dàin era, infine, giunto ai piedi della Montagna, preceduto dal suono di un corno rombante e subito gli Elfi e gli Uomini si erano prodigati ad accogliere lui e il suo popolo, fronteggiandolo come Guerrieri rigorosi pronti allo scontro. Fili era rimasto attento, pronto a percepire qualsiasi cosa provenisse da dietro la Porta chiusa dalla roccia.
Sentiva Kili fiancheggiarlo con sguardo fermo, spezzando l'aria con profondi sospiri nervosi. Era un fascio di nervi, ogni muscolo proteso, stretto nella sua armatura di ferro.
Il biondo aveva cercato il suo sguardo più volte – in tutto questo – cercando qualsiasi parola che potesse alleggerire quel momento.
Ma sapeva che Kili non ne aveva bisogno; era tutto un insieme di sensazioni frastagliate, avrebbero voluto uscire fuori dalla Montagna e affiancare i loro parenti per fronteggiare i loro nemici e, allo stesso tempo, volevano che la fiamma della battaglia si diramasse in scintille lontane. Tutto sarebbe dovuto sopire perché quei giorni non dovevano essere ricordati con sgomento e rabbia. Avevano riconquistato Erebor e – contro ogni possibile previsione – nessuno era rasserenato di questo.
Sarebbe dovuto rimanere negli Ered Luin, a scolpire la roccia e a lavorare nelle miniere, restando lontano dalla regalità di quella Montagna nebbiosa.
Avrebbe dovuto obbligare Kili a fare altrettanto e lasciargli sognare altre battaglie e altri eventi per confermare il suo coraggio.
Quei pensieri non lasciavano spazio più a niente, ormai. Aveva bisogno di sentire di nuovo qualcuno a cui appoggiarsi, voleva voltare lo sguardo e ritrovare di nuovo Thorin a sorreggere il suo stesso portamento, a indicargli la strada giusta e a incitarlo a combattere sempre, per tutto ciò che riteneva giusto. O che amasse.
Quel pensiero lo riportò, di nuovo, a far emergere qualcosa dal profondo e strinse le dita contro la cinta alla vita, premendo le unghie contro di essa.
La mente lo riportava a ricordi da cui non voleva essere travolto.
Non ora. Non ancora.
Non poteva azzardarsi a chiudere gli occhi o sarebbe stato peggio. V'era qualcosa che voleva uscire dall'interno e farsi strada, fino a palesarsi del tutto; sapeva di star combattendo contro qualcosa di molto forte, come mai aveva fatto prima di allora. Doveva stringere i denti e aspettare.
Doveva aspettare che quel tormento si lenisse e che Thorin tornasse a palesarsi di nuovo fra loro o non ce l'avrebbe più fatta.
Sentì la mano di Kili sopra la propria spalla e quando si voltò a guardarlo si rese conto di non riuscire più a nascondere nulla. Kili gli sorrideva con fermezza e un legame imprescindibile.
«Siamo forti insieme, non è vero fratello?» Disse il moro, stringendo la presa.
Fili abbozzò un altro sorriso e fece un cenno col capo. Fu lieve all'inizio ma non voleva alimentare apprensione nell'animo del fratello e così alzò il braccio, stringendo quello dell'altro con forza.
«Ovvio che sì.» Rispose Fili, prima di avvicinare il volto al suo tanto da sfiorargli la fronte con la propria.  
Lo sguardo si chiuse adesso e – come aveva sospettato – un volto gli apparve fulmineo e meraviglioso. 
«Torneremo a casa come degli eroi e, dopo questa storia, una bella bevuta coi fiocchi non ce la negherà nessuno.» Ironizzò Kili, ampliando il suo sorriso.
Fili gli strinse di nuovo il braccio e poggiò definitivamente la fronte contro quella del fratello, respirando piano. Per quanto fossero stato sfortunati alla fine di quel lungo travaglio, il cuore era colmo di gioia nel constatare che quello sbarbato arciere dai gusti strani non era stato smosso dall'ingordigia della malattia.
Il suo cuore era rimasto conservato perché – Fili lo sapeva – era inattaccabile.
Kili sarebbe sempre stato inattaccabile.
«Oooh ragazzi, se continuate così mi fate commuovere.»
La voce di Berit giunse da dietro le spalle dei due Eredi e quando si volsero rimasero come due pesci lessi a guardare l'amica in groppa a Bofur, artigliata al suo collo. Erano entrambi piuttosto sorridenti e la nana indossava un elmo davvero ridicolo. Era strano che non erano riusciti a cogliere i loro passi mentre giungevano.
«È una nuova tattica di battaglia?» Incalzò Kili snudando un sorriso, indicando i due con un indice. 
Si avvicinò d'un passo giusto per colpire con le dita sull'elmo della nana, facendolo tintinnare.
«Giù quelle manacce.» Squittì lei, tentando di schiaffeggiargli la mano con la propria. «Non c'è tempo per queste domande!»
«Berit quell'elmo è terrificante.» Continuò il moro.
Bofur – rimasto ancora silenzioso – fece solamente spallucce lasciando veleggiare un sorriso inebetito sul volto.
Fili era stato attento a quel leggero cambiamento sul volto di entrambi. Non gli era sfuggito il colorito fin troppo acceso dei loro volti, i capelli un po' scarmigliati, i copricapi – chi il solito e chi no – storti e una luce diversa negli occhi d'entrambi. Vi lesse una speranza nuova e spostò lo sguardo verso Berit fino ad ampliare il proprio sorriso.
«No, ascolta, lasciami in pace Arnught. E pensa al tuo stupido archetto da Elfo.» Continuò Berit imperterrita.
Bofur dovette arpionarle meglio le gambe e issarla con un po' di sforzo, mentre piegava la schiena in avanti.
«Non è un archetto da Elfo.» Si lagnò Kili.
«Un po' da Elfo lo è.» Questa volta s'intromise nel discorso anche Nori, stringendo la spada e guardandoli con aria attenta.
Ori e Dori si stavano avvicinando cauti. Ori non riuscì a guardare più Bofur in volto e – questo piccolo dettaglio – fece ridere Bofur sotto i baffi.
«Adesso che vi siete finalmente mostrati in pubblico avete deciso di non staccarvi più, per caso?» Ori si strinse nelle spalle. «C'è una Guerra alle porte, non c'è tempo da perdere.»
«Che vuoi dire “vi siete finalmente mostrati in pubblico?”» Domandò Kili, sgranando lo sguardo scuro.
«Eddai Kili...sei diventato cieco, per caso?» Fili lo sgomitò, gracchiando una leggera risatina.
«Oh per tutti i numi, ma allora eravate voi stanotte?» Dori allargò gli occhi e spalancò la bocca. Berit e Bofur dovettero convenire che – almeno – Ori aveva tenuto la bocca chiusa.
«No, un secondo, siete stati voi a fare tutto quel casino? C'è stata una battaglia all'interno della Montagna?» Domandò Kili, scostando lo sguardo un po' tra tutti.
Balin e Dwalin si stavano avvicinando quatti-quatti verso di loro. Gloin era rimasto leggermente in disparte mentre Bombur – lì di fianco – stava tentando di legarsi la barba intrecciata per facilitare i movimenti del proprio elmo.
«Oh sì, una battaglia di tordi, di locuste e di pini invernali. Bofur – guarda caso – ha perso tutti i vestiti!» Esclamò Ori, scuotendo il capo.
«Non ho mai parlato di pini invernali.» Incalzò Berit rialzando il capo e per poco Bofur non incespicò in avanti per lo slancio della schiena.
«Non ho perso i vestiti, la mia pelle arieggiava.» Si difese Bofur sprimacciando il volto in una smorfa.
«I tordi ti hanno arieggiato i vestiti?» Domandò Oin, sbucando col volto.
Bifur, dietro di lui, gli diede una pacca sorda sulla testa grigia.
«Mi state dicendo che Bofur era nudo con Berit? Per tutte le asce: questa sì che è una storia interessante!» Kili aveva gli occhi talmente attenti, divertiti e maliziosi che non riuscì a contenersi. Nonostante l'incalzare della battaglia era stato pressapoco facile riuscire a dimenticarsi – per poco tempo – dell'oppressione di quei nefasti pensieri e lasciarsi andare ad una conversazione di questo genere.
«Io non ero nuda comunque.» Disse Berit, allargando lo sguardo.
«Non lo eri?» Bofur alzò gli occhi verso di lei con un sorriso furbo e quella gli diede una botta sul capo.
«Oh per la mia...vi siete...avete...» Dori continuava a tenersi le mani sul volto e gli occhi chiari sgranati. «Ori ma perchè non lo hai detto?»
«Perchè voglio cancellarmi dalla mente tutto questo!» Esclamò quello, picchiandosi due pugni sulle tempie.
«Quindi – mentre incalzava una battaglia – voi due testoni vi siete divertiti a perdere tempo facendo cozzare tutte le armi, probabilmente smussandole e rovinandole, per vostro diletto personale?» Grugnì Dwalin, stringendo in maniera inquietante il manico della sua scia. «Ho sentito male, vero?»
«Hai sentito male!» Esclamarono sia Bofur che Berit con una sincronia perfetta.
Quella risposta non fece rilassare il volto di Dwalin e affilò lo sguardo fisso su di loro, stringendo il manico. «Io vi stacco la testa...»
«Oooh mastro Dwalin, non fare il guastafeste, prima di una battaglia l'eccitazione scorre a fiumi, non lo sai?» Era Kili quello, mentre avvolgeva un braccio intorno al collo di Dwalin con fare affettuoso. Quello se lo levò di dosso con una spinta e – a discapito di tutto – sembrò addirittura arrossire. Poteva anche essere un gioco di luce alquanto insolito.
«Spero vivamente che non stiamo parlando di ciò che io penso di cui stiamo parlando!» Disse burbero, facendo una smorfia.
«State dicendo che non state parlando?» Esclamò Oin sconvolto. «Ma com'è possibile...io vi sento!»
«Oin, per tutti i merli, quella tua tromba ora te l'aggiusto io!» Gloin si palesò con la sua voce giusto per afferrare la tromba del fratello e cominciare a riaprirne la conca appiattita.
«Io sono innocente, se proprio dobbiamo dirla fuori dai denti.» Disse Bofur, issando meglio Berit. Quella si plasmò contro la sua schiena e - lentamente - gli aveva lasciato un dolce bacio sul collo. Bofur aveva rabbrividito, arrossendo su tutto il volto.
«I denti stanno bene, grazie.» Rispose Oin mentre tentava di riprendersi la sua tromba. Gloin stava già defilandosi per sfuggire alla sua presa.
«Ah, ma guardati Bofur, qua si diventa rossi eh?!» Lo prese in giro Nori, sgomitandolo con un sogghigno divertito. «Sei proprio un mandrillone
«Sì, si da il caso che io ho assistito in prima persona al mandrillone e nessuno pensa a questa follia e, del fatto, che io sia rimasto indignato e turbato da tutto ciò!» Ori era ritornanto ad avvampare, gonfiando le guance lentigginose.
«Cosa...?»
Tutti si voltarono a guardarlo con occhi sgranati e Bofur aveva cominciato a ribollire in volto. Berit, intenta a ridere a crepapelle sopra la sua schiena, non aiutava.
«Sta delirando!» Esclamò il cappellaio cercando di dare una pacca sulla fronte al nano biondo. «Qua non c'è nessun mandrillone.»
«Ma non ho capito, avete fatto un banchetto di pesci senza invitarmi?» Bombur ruzzolò lì di lato, stringendo le labbra tra loro e arricciando lo sguardo.
«Dori chiudi quella bocca che ci entrano le mosche!» Kili schernì il nano interessato che - ancora - li fissava con occhi sgomenti. Berit e Kili avevano cominciato a ridere e lei, con poca grazia, annaspava con portentose boccate d'ossigeno per cercare di riprendere fiato. Si era avvinghiata al collo di Bofur per non rischiare di cadere e il suo corpo strusciava sapientemente sulla sua schiena. 
«Per questo dovete ringraziare il sottoscritto, comunque.» Alzò un indice Fili, autoindicandosi con una giusta dose di finta modestia. «Spingo verso le giuste direzioni.»
«Io non ti ringrazio.» Squittì Ori, arricciando il nasone. «Il frastuono di stanotte pareva una squadriglia di gente ubriaca!»
«Fratellino, è così che un nano si concede, non lo sai? Rumore, lotta e sangue.» Spiegò Nori con tono sapiente, abbozzando un sorriso felino.
Dori alzò le braccia con aria scandalizzata, facendo ondeggiare la spada. «Oh santi grappoli, ma che razza di burbero sei?» Dori cominciò a vagare per la Sala, scuotendo la testa. «Oh per la...io non posso credere che....sono indignato da tale...» Parlottava da solo, agitando le mani. Ormai lo avevano perduto.
«Comunque, Bery - passi questo misterioso pesce - ma quell'elmo è proprio brutto, mi chiedo come abbia fatto Bofur a-» Kili ci provò a intromettersi in quelle risate ma Dwalin lo pinzò per il colletto e lo tirò indietro con una spinta.
«La volete piantare?!»
Tutti smisero di parlare ma non riuscirono a smettere di ridere – almeno quelli non intenti a essere traumatizzati nell'animo – restando a guardare Dwalin con la punta di rispetto che sempre riservavano verso di lui.
«Non è il momento per abbandonarsi a queste inutili faccende, c'è una battaglia in atto in questo preciso momento e i nostri consanguinei sono là fuori a lottare una dannata guerra contro quei fetidi Elfi. So che non è stato facile per nessuno, questo momento, ma adesso non c'è rischio peggiore per abbassare la guardia. Siamo inferiori di numero e non siamo nel pieno delle nostre energie e Thorin sta cercando di lottare contro qualcosa che lo sta divorando dall'interno. Quindi piantatela di fare i citrulli e pensate a concentrarvi adesso! Non dobbiamo stare qui a pensare di pettinare le barbe mentre parliamo di...di...»
«...di amore?» Questa volta fu Balin a interromperlo, sorridendo con aria placida mentre posava lo sguardo verso Berit e Bofur. Era rimasto silenzioso per tutto il tempo ma pareva invaso da una luce più calda, aveva lo sguardo pieno e colmo di una gioia che non sentiva da molto tempo. Aveva paura che quel viaggio non avrebbe mai portato nulla di buono in tutto questo, ma forse si sbagliava. Non era difficile notare qualcosa di forte, non dopo anni che ne era stato circondato senza mai poterlo vivere. Aveva osservato sempre ogni cosa, con la giusta minuzia, come quando una nana bella e fiera aveva donato tutta sé stessa all'unico nano che non avrebbe mai potuto accettarla. Il nano che ora gli stava di fianco e grugniva parole a bassavoce.
Guardò suo fratello e quello ricambiò lo sguardo, stringendolo appena.
Bofur e Berit erano rimasti immobili, ancora stretti in quella posa, a fissare Balin con sguardo pieno. Non s'erano azzardati a dire quella parola poco prima nella Sala superiore, non l'avevano pronunciata neanche per sbaglio, nonostante il pensiero era stato impresso a fondo per tutto il tempo in cui - travolti da uno stato di passione e paura insieme - si erano legati ancora un'ultima volta, abbandonandosi ad un piacere più maturo, più graffiante, più disperato. 
«Questa è la nostra battaglia.»
Una voce, dall'ombra, si fece strada nella roccia fino a raggiungere le orecchie di tutti.
E quando i nani si voltarono poterono osservare il Re sotto la Montagna risalire le scale, ergendosi di fronte a loro.
Fu in quel preciso momento che una potente scossa fece tremare il terreno, facendo cadere detriti di roccia.


 


 




 

NA.
Sì ho fatto dei paciughi infernali con l'arrivo di Dàin me ne rendo conto xD anche se nel libro lui arriva e poi parte subito la battaglia con gli Orchi quindi ho un po' preso spunto da quella scena. Thorin e compagnia bella diciamo che non calcolano sta lotta per ore – che stessero combinando lì dietro non se sa – e quindi mi sono presa anche io un po' di tempo prima di far arrivare sti dannati Orchi! ( La cosa divertente è che io...questa scena nel film non ricordo com'è gestita x°D AHAHHA ottimo! ) Spero che il capitolo vi piaccia, l'ho scritto molto di getto e ho paura di essere stata ripetitiva e fin troppo...”demenziale” nell'ultima parte xD ma oggi è domenica e va così, ero in vena di scemagginità (<- sì, parole a caso!) . Sta battaglia che imperversa mi sta martoriando l'anima. Grazie come al solito alle mie donzelle belle e a tutti quelli che mi seguono *_* a presto! 

 

  
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