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Autore: fra_piano for ever    10/03/2015    2 recensioni
La vita a volte può essere complicata e particolarmente difficile. Questo i ragazzi dello Studio On Beat lo sanno bene perchè ciascuno di loro quotidianamente si confronta con una realtà più o meno dura e la affronta nel modo che ritiene più giusto. Quest'anno, però, sembrano tutti intenzionati a raddrizzare un po' le cose e a migliorare la propria situazione. Piano piano i protagonisti impareranno a leggere tra le righe del cuore e comprenderanno che, nascosti nel profondo, tra disperazione e dolore, si trovano ancora amore e speranza.
Pairings: Leonetta, Pangie, Diemilla e altri
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Angie, Leon, Pablo, Un po' tutti, Violetta
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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Violetta si lasciò cadere sul letto distrutta, osservando con aria combattuta il foglietto che stringeva tra le mani. Dalle occhiaie presenti sul volto e dai suoi movimenti pigri e lenti era chiaramente intuibile che fossero giorni che la giovane non dormiva bene. Ormai, da quando i suoi genitori avevano fatto ritorno a Buenos Aires, continui pensieri nient'affatto felici la tormentavano giorno e notte, rendendo inquieto e turbolento il suo sonno. Con le palpebre pesanti e affaticate cercò di mettere a fuoco la serie di numeri sul biglietto davanti a sè e con mani tremanti recuperò il cellulare. Leon non le aveva forse detto di chiamarlo nel caso avesse sentito il bisogno di parlare con qualcuno o di sfogarsi un po'? Ed era proprio quello che lei aveva intenzione di fare. Compose velocemente il numero ma, proprio quando era sul punto di far partire la chiamata, un bussare insistente alla sua porta la fece sobbalzare. Posando il cellulare sulla scrivania, la giovane si alzò infastidita. Chi era adesso? “Violetta, tesoro sono io! Ti prego aprimi: sono giorni che sei chiusa lì dentro e non esci neppure per andare allo Studio! Sono preoccupato per te...” La voce possente di suo padre risuonò per tutta la sua stanza e la Castillo non poté fare a meno di notare quanto le parole di German sembrassero sincere. “Tesoro per favore vogliamo solamente parlare.” rincarò la dose Maria, sperando di poter convincere la figlia ad uscire un po' dalla sua stanza. Sentendo le loro voci supplicanti e quasi disperate, per un istante Violetta pensò quasi di andare addirittura ad aprire, ma poi il ricordo dei troppi giorni spesi ad aspettare invano il ritorno dei genitori le invase la mente. Ricordava ancora distintamente quella sensazione di abbandono, quel vuoto enorme e la paura di non poter contare più su nessuno che aveva provato in quel periodo e sentiva che mai sarebbe riuscita a perdonarli per quello. Fin da quando lei era piccola erano sempre stati una famiglia molto felice, ma ora era come se quel forte legame che un tempo li univa si fosse spezzato. “Non ho nessuna voglia di parlare con voi due, perciò andatevene, é inutile che continuiate a bussare: io non vi aprirò!” Al sentire quelle parole, German perse definitivamente quel poco di pazienza che gli era rimasta e incominciò a picchiare sempre più forte sulla porta. “Violetta sono tuo padre e mi devi ubbidire! Aprimi immediatamente!” strillò l'uomo con un tono di voce irritato. La ragazza sbuffò, ruotando gli occhi con aria infastidita senza però muoversi da dove si trovava. “No, German: non serve a niente urlare e cercare di imporsi in questa maniera. Se Vilu non vuole parlarci dobbiamo rispettare la sua decisione. Dobbiamo darle tempo e lasciare che sbollisca un po' la rabbia che prova verso di noi.” “Ma non può rimanere ancora chiusa in camera! Sono giorni che non esce di lì e che per farla mangiare dobbiamo mandare Olga a portarle il cibo con un vassoio! Ti sembra una cosa normale?!” domandò con stizza il moro. “Stai tranquillo: vedrai che prima o poi ci perdonerà e sarà proprio lei a voler parlare con noi.” Violetta ringraziò mentalmente sua madre per essere riuscita a convincere German a lasciarla un po' un pace e finalmente si rilassò, ritornando alla questione di Leon. Cosa doveva fare? Moriva dalla voglia di chiamarlo, di sentire anche se per poco la sua voce e di sfogarsi con lui, raccontandogli tutto quello che stava succedendo in casa sua, ma poteva fidarsi? Chi le garantiva che lui non sarebbe andato in giro per tutto lo Studio a spifferare tutto? “Vilu ti ho portato il pranzo. Mi apri?” domandó qualcuno da dietro la porta. Riconoscendo la voce della zia, subito la ragazza corse ad aprire. “Vieni, vieni entra pure.” la invitò la giovane per poi richiudere la porta a chiave. Per quanto infatti fosse arrabbiata con i suoi genitori, Violetta era consapevole che la Saramengo non fosse colpevole di nulla e che anzi fosse stata l'unica a starle vicino e a prendersi cura di lei quando German e Maria erano all'estero. “Che diamine ti succede, piccola?” chiese la bionda, poggiando il vassoio con il cibo sulla scrivania e sedendosi sul letto accanto alla nipote. “Niente... é che sono arrabbiata con mamma e papà. Quando erano via non si sono neanche minimamente preoccupati di chiamarmi per sentire come stessi e adesso che sono tornati sono tutti zucchero e miele! Non li sopporto più!” sbottò la ragazza.  “Vilu, loro hanno sbagliato, é vero, ma credimi se ti dico che non volevano ferirti così. Loro pensavano che tu saresti stata felice qui a Buenos Aires con i tuoi amici, altrimenti non sarebbero mai partiti.” Violetta scosse la testa, non condividendo per niente quanto sua zia stava dicendo. “Non é così. La verità é che a loro non importa niente di me.” affermò la giovane, con un'ombra di tristezza sul volto. “Ma no tesoro, non devi neanche pensarlo! Tu non immagini quanto loro siano in pensiero per te per il fatto che ti sei barricata così in camera... Io non so perché siano stati tanto tempo lontani da Buenos Aires, né perché non ti abbiano mai telefonato, forse erano molto impegnati, ma di una cosa sono assolutamente certa: i tuoi genitori ti amano tanto, con tutto il loro cuore.” la rassicurò Angie, accarezzandole dolcemente i capelli. “Ma non é solo questo il motivo della tua aria tanto assorta, non é vero?”
Violetta sospirò profondamente, scuotendo la testa come per darle ragione. “In realtà stavo anche pensando a... a Leon.” ammise alla fine. Un sorriso furbo si dipinse sul volto della Saramengo. “Eh... ti é entrato proprio nel cuore quel ragazzo!” ammiccò la bionda. “Già e questo sentimento che provo verso di lui sta diventando ogni giorno più forte.” confessò con aria seria la giovane. “Non sembri molto contenta di questo...” “E infatti é così, Angie. Io non voglio lasciarmi andare con lui, non voglio soffrire ancora.” affermò la Castillo. “Se non rischierai un po' non potrai mai essere felice, Vilu. Però io non posso decidere per te, sei tu, solo tu, che potrai scegliere cosa fare.” La ragazza rimase piuttosto colpita da quella frase, anche se cercò di non darlo a vedere, e si ripromise di rifletterci un po' sopra. “Anche tu però non sembri esattamente di buon umore.” osservò poi, notando solo in quel momento l'aria leggermente corrucciata della Saramengo. “Ah, lascia perdere: tutta colpa di Pablo. Mi ha mentito su una cosa importante e sono terribilmente arrabbiata e delusa dal suo comportamento.” “Pablo?! Lo stesso Pablo che conosco io? Ma ne sei sicura? Quell'uomo é la persona più corretta e trasparente di questo mondo!” affermò Violetta, sicura che sua zia si stesse sbagliando. “Ti giuro, l'ho colto con le mani nel sacco! Neanche io ci potevo credere. Stanno succedendo parecchie cose strane in questo periodo: prima Federico e Dj sbattuti in carcere, poi le bugie di Pablo...” “Forse si é trattato soltanto di malintesi. Comunque sono certa che se parlerai con lui riuscirai a capire se davvero ti ha mentito, per quanto riguarda i gemelli la situazione é un po' più complicata.” ragionò ad alta voce la castana. “Perché?” domandò la donna, che non essendo presente allo Studio il giorno in cui i due giovani erano stati arrestati, era curiosa di sapere di più della vicenda. “Pare che la polizia abbia delle prove schiaccianti contro di loro, di più non so, non ci hanno detto molto in effetti...” osservò Violetta, osservando la zia recuperare la sua borsa, che aveva poggiato sulla scrivania in malo modo. “Te ne vai già via?” “Sì, devo andare allo Studio, anzi sono già in ritardo... Mi raccomando: mangia tutto.” disse la bionda, indicandole il vassoio che le aveva portato. “A dopo.”
Rimasta sola, la giovane Castillo si soffermò a riflettere sulle parole della Saramengo. Forse avrebbe potuto concedere a Leon una possibilità e magari, in un futuro non poi così lontano, avrebbe potuto anche provare a parlare con i suoi genitori. Forse, forse... Perché era sempre cosi insicura? Cosa c'era di sbagliato in lei che le impediva di pronunciare un sì deciso o un no secco? Si sentiva divisa a metà e non sapeva proprio cosa fare... L'improvviso vibrare del suo cellulare la riportò alla realtà, strappandola dal flusso dei suoi pensieri. Sul display era apparsa l'immagine di una bustina, chiaro segno che qualcuno le aveva appena inviato un messaggio. Aprendolo scoprì che era di Lara, che le chiedeva come stesse e la invitava ad uscire con lei e Thomas la sera successiva per andare in discoteca. La Castillo ignorò completamente la prima domanda e rispose che sarebbe certamente andata con loro la notte dopo. Quel genere di serata era proprio quello che più le sarebbe stato utile per poter dimenticare, almeno momentaneamente, tutti i suoi dubbi e i suoi problemi. L'alcool avrebbe di sicuro ofuscato e messo a tacere quei pensieri contorti e confusi che le riempivano la testa nell'ultimo periodo e quello era tutto ciò di cui in quell'istante sentiva di aver bisogno. Convinta perciò di quello che aveva fatto, ripose il cellulare sulla scrivania e si sdraiò nuovamente sul letto, dimenticando completamente il proposito di chiamare Leon.










Francesca indugió parecchio davanti alla porta del carcere prima di decidersi finalmente ad entrare. Fin da quando qualche giorno prima allo Studio quelle due guardie avevano arrestato i due gemelli Juarez aveva avuto l'intenzione di recarsi in quel luogo, ma non aveva mai trovato il coraggio per farlo. Ora però era lì e non se ne sarebbe andata prima di aver parlato con Federico. Un uomo sulla trentina dall'aspetto gioviale la guidò attraverso vari corridoi per poi chiederle di aspettarlo davanti ad una porta in ferro nero. Dopo una decina di minuti, la Cauviglia poté tirare un sospiro di sollievo, vedendo la guardia carceraria tornare. 
“Vieni, entra pure.” le disse, scortandola in una stanza cupa e debolmente illuminata dove, seduti dietro ad un lungo tavolo in legno, c'erano un paio di giovani detenuti. Subito Francesca individuò il ciuffo castano di Federico e, titubante, gli si avvicinò. Anche se erano passati pochi giorni, il ragazzo era cambiato parecchio dall'ultima volta che l'aveva visto. Gli occhi solitamente vivaci avevano perso quel luccichio furbo che li caratterizzava ed erano ora spenti e marcati da pesanti occhiaie, la barba era sfatta e sul suo volto smunto capeggiava un'espressione distrutta. Non era rimasto niente del giovane allegro e spiritoso che Juarez era solito essere e addirittura sembrava quasi che fosse improvvisamente invecchiato di qualche anno. “Ciao.” mormoró la Cauviglia, sedendosi di fronte a lui. “Se sei qui per accusarmi o per giudicarmi poi anche tornartene da dove sei venuta!” sbottò in risposta il ragazzo. “No, in realtà sono qui semplicemente per parlare un po' con te...” “Tu cosa pensi di me? Credi anche tu come gli altri che io e mio fratello siamo dei criminali?” Francesca rimase decisamente spiazzata da quella domanda così diretta del ragazzo. Cosa doveva rispondere? Non se la sentiva di puntare il dito contro il giovane Juarez, ma allo stesso tempo le prove della sua colpevolezza sembravano cosi schiaccianti... “Io non ho fatto niente, Fran.” sussurrò appena con voce più gentile il castano. Alzando la testa, la Cauviglia incontrò gli occhi castani e leggermente lucidi di Federico, che la fissavano da dietro quel tavolo che li separava. Era uno sguardo intenso quello del Juarez, uno sguardo che esprimeva disperazione e, soprattutto, completa e totale sincerità. Non può star mentendo, si disse mentalmente Francesca. Rimase tuttavia a fissarlo ancora per parecchi secondi prima di decidersi finalmente a rispondere alla tacita domanda che si leggeva chiaramente negli occhi del ragazzo. “Sì, ti credo.” sorrise dolcemente Francesca. A quelle sue parole, Federico tirò un sospiro di sollievo. “Per fortuna almeno tu hai fiducia in me! I miei genitori invece si sono infuriati con me e Dj... Loro credono che noi abbiamo davvero preso parte ad un giro di droga.” Il giovane abbassò il volto con uno sguardo triste e gli occhi umidi. “Ehi! Non ti devi rattristare: probabilmente ora sono un po' scioccati da tutta questa situazione e non sanno neanche loro quello che dicono! Sono sicura che, una volta passato lo shock iniziale, saranno i primi ad aiutarvi a sostenere la vostra innocenza.” “Lo pensi davvero?” Federico alzò gli occhi, speranzoso. “Ne sono certa.” rispose la Cauviglia, sorridendo incoraggiante. Il castano ricambiò il sorriso, dandosi mentalmente dello stupido per aver fatto soffrire una ragazza stupenda come Francesca. Come aveva potuto illuderla così quando lei alla fine era stata l'unica che aveva davvero creduto in lui? “Per quanto riguarda noi due...” cambiò discorso Juarez. “Cosa ne pensi di dimenticare tutti i litigi e le incomprensioni ed essere amici d'ora in poi?” 
“Accetto.” ripose senza esitazioni senza esitazioni la mora. “Come?” domandò incredulo Federico, credendo di aver sentito male. “Ho detto che accetto.” ripeté semplicemente la giovane. “Ammetto di essere stata indecisa per parecchi giorni, ma ora non ho più dubbi: voglio mettere da parte il passato ed essere tua amica.” 
Il suo interlocutore sorrise contento: ora aveva un'amica, la sua prima vera amica e sentiva che niente sarebbe potuto andare male. “Dobbiamo trovare un modo per dimostrare la tua innocenza. Quando é il processo?” domandò la Cauviglia. “Manca ancora un po, tranquilla.” rispose il ragazzo. “Bene, rifletterò su cosa fare ora devo proprio andare.” affermò Francesca, rendendosi conto che era rimasta fin troppo lì in carcere e rischiava di fare tardi allo Studio. “Grazie davvero Fran, per tutto.” “Non c'é di che.” mormorò in risposta la mora, alzandosi dalla sedia. “Dico davvero, mi ha fatto proprio bene parlare con te.” sorrise grato Federico. “Beh, allora magari torneró a trovarti ancora.” “Mi sembra un ottima idea.” Federico seguì la Cauviglia con lo sguardo fino a quando non varcò la porta della sala visite del carcere mentre per la prima volta da quando era entrato in quel maledetto posto un'espressione felice gli illuminava il volto stanco e stressato.










Pablo, lo sguardo perso nel vuoto e le mani infilate tra i capelli, continuava a fare avanti e indietro per l'aula professori con nervosismo. Ancora non riusciva a crederci che Angie avesse scoperto di suo nipote Ángel, aveva fatto di tutto per nascondere quel segreto e adesso la verità era venuta alla luce! Solo ora si rendeva conto che avrebbe dovuto essere sincero fin dall'inizio e parlare con la sua migliore amica. Di sicuro sfogarsi con la Saramengo avrebbe potuto fargli bene e forse lei avrebbe potuto anche aiutarlo e, invece, frenato dalle sue sciocche paure le aveva occultato tutto. Certamente, non appena mi vedrà, vorrà una spiegazione, pensò Galindo. Ebbene gliel'avrebbe data, avrebbe chiarito ogni cosa, anche perché l'appoggio e il sostegno di Angie gli mancavano. Aveva bisogno di tornare a scambiare confidenze con lei, aveva bisogno di rivedere quel suo sorriso speciale che rivolgeva solo a lui, aveva bisogno di lei. Si sorprese non poco del suo ultimo pensiero, certo nell'ultimo periodo doveva riconoscere di aver iniziato a pensare alla Saramengo come qualcosa di più che una semplice amica, ma mai lo aveva ammesso a se stesso in maniera così esplicita. Il rumore della porta che si aprì alle sue spalle lo riportò alla realtà e proprio in quell'istante entrò nella stanza proprio l'insegnante di canto, che, dopo aver posato la borsa, fece per uscire di nuovo, senza neanche degnarlo di uno sguardo. “Angie! Angie aspetta!” Subito Pablo le corse dietro, trattenendola per un braccio e facendola voltare verso di sè. “Lasciami, non ho niente di cui discutere con un bugiardo come te!” sbottò la donna, allontanandolo con stizza. “Senti, permettimi di spiegarti almeno!” insistette il moro. “Non c'é proprio niente da spiegare, é tutto chiarissimo: tu hai un figlio di cui, non so perché, mi hai tenuta nascosta l'esistenza!” esclamò sicura la bionda. “Che ti succede, Pablo? Credevo fossiamo migliori amici e ci raccontassimo tutto... Adesso cos'altro dovrei sapere? Che sei fidanzato o addirittura sposato e non me l'hai detto? Eh?”
Pablo rimase a fissarla attonito per alcuni secondi prima di scoppiare in una fragorosa risata. “Cos'hai da ridere? Ti sembra una cosa divertente?” Angie non avrebbe potuto essere più furiosa e Galindo intuì subito che avrebbe fatto meglio a spiegarle tutto immediatamente se non voleva che quella storia finisse male. “Rido perché tutto questo é incredibile, hai frainteso completamente la situazione!” si affrettò a dirle Pablo, cercando di ricomporsi “Innanzitutto non ho nessuna fidanzata ne tantomeno una moglie e poi Ángel non é mio figlio, é mio nipote, il figlio di mia sorella Jade! Ti ricordi di lei? Te l'ho presentata quando ancora andavamo a scuola.” “Sì, certo che me la ricordo! Ma perché suo figlio vive a casa tua?” domandò Angie, incredula per quanto aveva sentito. Quindi quel bimbo non era di Pablo! Ma perché il suo amico non gliene aveva parlato prima? E, soprattutto, perché quando aveva sentito la verità su quella storia si era sentita così felice, così leggera come liberata da un peso? Se anche Galindo fosse stato padre a lei cosa sarebbe cambiato? Forse davvero stava iniziando a provare più di una semplice amicizia per Pablo... “Se vuoi ti racconto tutto, ma, ti avviso, ci vorrà un po'” iniziò Galindo, interrompendo i pensieri contorti della Saramengo. “Non ti preoccupare: ho appena finito di fare lezione e adesso ho un'ora libera, quindi posso rimanere ad ascoltarti.” lo rassicurò la bionda. “Bene allora mettiti comoda perché é una storia lunga. Sai com'é Jade, no? Ha sempre avuto dei problemi con l'alcool... Solo che, esattamente otto anni fa la situazione é degenerata. Lei ha scoperto di essere incinta e il suo compagno di quel periodo, che, detto tra noi, era un mezzo delinquente, si é rifiutato di farsi carico del bambino. I nostri genitori hanno pensato che sarebbe stato meglio allontanarla per un po' da Buenos Aires e così si sono trasferiti con lei in Francia, dove c'erano già dei nostri parenti, mentre io sono rimasto qui.” Angie pendeva letteralmente dalle sue labbra, concentrata per cercare di vederci chiaro in quella faccenda, porbabilmente per Pablo era faticoso raccontarle tutte quelle cose e di sicuro doveva essere quello il motivo per cui non gliene aveva parlato prima. “E poi cos'é successo?” domandò la bionda, certa che la storia non fosse finita lì. Pablo sospirò sconsolato, portandosi una mano tra i capelli corvini. “Dopo che il bimbo era cresciuto un po' e che Jade aveva smesso di ubriacarsi, all'incirca un anno fa lei, e Ángel sono tornati qui a Buenos Aries, mentre i miei genitori hanno preferito rimanere in Francia. Nel primo periodo é andato tutto bene ma poi...” l'uomo si interruppe, conscio che fosse arrivata la parte più difficoltosa di quel racconto. “Poi mia sorella é ricaduta nel giro dell'alcool. Era da parecchio che non toccava una bottiglia e la tentazione per lei é stata troppo forte tanto che é quasi finita in coma etilico...” Al ricordo di quei momenti Pablo sentì una morsa al cuore, mentre i suoi occhi si facevano lucidi e arrossati. Sapeva che era tutta sua la responsabilità di quello era successo, i suoi genitori in Francia erano riusciti a impedire alla mora anche solo di avvicinarsi alle bevande alcoliche, mentre lui, troppo preso dal lavoro e dalle mille preoccupazione aveva capito che Jade fosse ricaduta nel vecchio vizio solo alla fine. Si sentiva così stupido. “Credevamo tutti che ormai l'incubo fosse finito e invece... É successo tutto per causa mia, non sono riuscito a controllarla, sono stato un pessimo fratello...” La voce di Galindo ora era ridotta ad un sussurro e da quelle parole trasparivano chiaramente tutta la tristezza e il senso di colpa che provava in quel momento. Angie scosse la testa, strofinandogli la mani su e giù per il braccio, come per fargli forza. Le dispiaceva che il suo amico stesse così, forse sarebbe stato meglio se si fosse fatta i fatti suoi e non lo avesse costretto a rivangare quei ricordi tanto brutti per lui. “Ti conosco, so che tipo di persona sei e sono certa che tu abbia fatto di tutto per tua sorella, per vederla felice. Devi smetterla di addossarti sempre colpe che non hai Pablo! Ma poi é cosi grave tua sorella?” “No, alla fine é riuscita ad evitare il coma etilico e ora sta meglio. Adesso, visto che lei é ancora in ospedale, mi sto occupando io di Ángel. É un tipino vivace e sveglio, parecchio sveglio per la sua età.” spiegò Galindo, orgoglioso del suo piccolo nipotino. “Ah, allora ha preso dallo zio!” esclamò ridacchiando la bionda. “Sei troppo buona.” Galindo si lasció sfuggire un sorriso. “E tu sei troppo severo con te stesso, Pablo.” Il moro prese un profondo respiro, niente affatto convinto dall'affermazione dell'amica, ma non replicò. “Dai, vieni con me: andiamo a fare un giro! Mancano ancora quaranta minuti prima della fine dell'ora e tu hai bisogno di distrarti un po'! Basta stare sempre rintanato qui dentro!” Detto questo Angie afferò per un braccio un sorpreso Galindo e lo trascinò fuori dall'aula professori, con l'intenzione di andare a fare una rilassante passeggiata insieme a lui.










Ludmilla scese con molta cautela le scale, appiattendosi contro il muro per non farsi scoprire. Era passata una settimana da quando suo padre l'aveva vista insieme a Diego e da quel giorno l'uomo l'aveva rinchiusa in casa, impedendole di uscire per qualsiasi motivo. Non riusciva più a resistere in quell'inferno: suo padre era sempre più severo con lei e sua madre era totalmente indifferente a tutto quello che accadeva. Era proprio per quello che aveva deciso di andarsene: non ne poteva più di quella situazione insostenibile! Percorse gli ultimi passi che la separavano dalla porta quasi di corsa e, poggiando la mano sulla maniglia, si guardò attorno per l'ultima volta. Le faceva male abbandonare quel luogo dove era cresciuta, ma sapeva che le avrebbe causato molto più dolore rimanere. Era stufa di essere comandata a bacchetta e di non poter prendere decisioni di testa propria. Ma adesso basta! Diego con la sua presenza nell'ultimo mese le aveva dato un po' di coraggio e, per merito suo, ora sentiva di avere finalmente la forza per ribellarsi a quella situazione. “Si può sapere che stai facendo?” tuonò una voce alle sue spalle, facendola sobbalzare per lo spavento. Ecco, per una volta che aveva deciso di dare un taglio netto e di riprendersi la sua libertà era stata scoperta... “Me ne vado.” sussurrò Ludmilla con voce ferma, trovando chissà dove il coraggio per rispondere a suo padre. “Sono stufa marcia della vita che mi obblighi a fare! Non posso e non voglio fare tutto quello che vuoi tu!” 
“Quante cavolate, sei sempre riuscita a fare tutto fino a quando non é arrivato quel ragazzaccio!” sbottò stizzito l'uomo “é stato lui, vero? É stato lui a metterti in testa queste idee assurde!”
Al sentire quelle frasi rivolte verso Diego, il suo Diego, l'unico che l'avesse mai ascoltata e si fosse preso cura di lei, la bionda si sentì ribollire di rabbia. “SMETTILA! Non ti rendi conto di essere ridicolo?! Quel ragazzaccio, come lo chiami tu, é stato la mia ancora di salvezza: lui mi ha fatto comprendere che non devo lasciarmi manipolare come una marionetta! Io non ce la faccio più papà!” Ormai, superata la paura iniziale, le parole scorrevano fuori dalle labbra di Ludmilla con la stessa violenza di un fiume in piena, così come le lacrime che, calde e copiose, le rigavano le guance. Lacrime amare di rabbia e di frustrazione, ma, allo stesso tempo, di infinita tristezza. Perché in fondo le dispiaceva trattare suo padre in quel modo e rifilargli quelle frasi così dure e taglienti, ma non poteva più tenersi tutto dentro, aveva un enorme bisogno di sfogare tutti quei sentimenti che aveva sempre tenuto dentro. “Benissimo e allora vattene! Vattene via di qui!” gridò d'impulso suo padre. Nello stesso istante in cui quelle urla risuonarono nell'aria, l'uomo avrebbe voluto non essersele mai lasciate sfuggire di bocca, ma ormai era troppo tardi. Aveva appena cacciato di casa sua figlia, la sua Ludmilla. “É esattamente quello che avevo intenzione di fare. Fidati, é la cosa migliore per tutti.” Detto questo la giovane si allontanò velocemente, costringendosi ad ignorare le urla del padre, che le ordinava di restare. Scappò via di corsa, con il vento che le sferzava il volto e i capelli, mettendo sempre più distanza tra lei e il luogo in cui aveva sempre vissuto. Sentiva un peso enorme che le opprimeva il cuore e la gola le bruciava per il pianto, non aveva nessuna certezza, non sapeva dove sarebbe andata ma di una cosa era certa: non sarebbe più tornata in quella casa.










Hola! Ed ecco che dopo quasi un mese di assenza sono tornata su EFP con un altro capitolo di questa folle storia! Vi chiedo davvero scusa per il mio solito ritardo ma sono molto presa con la scuola... Ma passiamo un po' a parlare del capitolo. Nel primo blocco troviamo Vilu che é ancora molto arrabbiata con i genitori e che pensa quasi di chiamare Leon! Putroppo però a causa del messaggio di Lara si dimentica del suo proposito... Comunque ormai non manca molto per la Leonetta, anzi già dal prossimo capitolo ci saranno delle scene loro! :3 Nel frattempo Francesca si riconciali con Federico ed i due decidono di restare amici, mentre Angie parla con Pablo e chiarisce la questione di Ángel. Ludmilla trova finalmente il coraggio di ribellarsi al padre e se ne va di casa! O.O Bene, credo di aver detto tutto, cercherò di aggiornare il prima possibile.
Besos
fra_piano for ever



    
  
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