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Autore: Moris_The_Monkey    11/03/2015    2 recensioni
Ok Ok Ok....questa è la prima volta che pubblico qualcosa scritto da me....o meglio, che pubblico l'unica cosa che abbia mai provato a scrivere, perciò sono molto agitata e imbarazzata...
Per quanto riguarda la storia l'ho iniziata diversi anni fa e sto cercando di portarla avanti (moooolto lentamente) e come capirete dal titolo, è basata sul videogioco Oblivion (che amo alla follia) 4°capitolo della saga The Elder Scrolls.
Non tutti i personaggi all'interno della storia sono ripresi dal videogioco, alcuni sono di mia invenzione (un pò perchè non ricordo esattamente i nomi, un pò perchè alcuni di loro mi sono indispensabili per condurre come desidero la storia). Mentre alcuni, ripresi dal videogioco hanno un ruolo completamente diverso da quello originale.
All'inizio del primo capitolo, inoltre, ho inserito un mio disegno (ancora incompleto,purtroppo) raffigurante la protagonista .
Anche nei successivi capitoli inserirò i miei disegni dei personaggi principali. Spero siano di vostro gradimento
Che dire...so che è una sciocchezza ma aspetto comunque i vostri commenti così che io possa migliorarmi.
Grazie per l'attenzione
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 3-L’eco di un incubo. 



Una volta imboccata la piccola strada sterrata tra gli alberi il percorso fu dritto e breve. Arrivò ad una villetta di campagna affiancata da una piccola chiesina con tanto di torre campanaria.
Bussò al grande portone a sesto acuto. Fu fatta accomodare da un anziano monaco: il Priore Marbowrel.
-Accomodatevi, prego di qua.- Disse facendo strada fino al soggiorno illuminato dalla luce del fuoco nel camino.
-Ditemi, cosa siete venuta a fare in questo luogo?.- Chiese versando dell’acqua fresca nel bicchiere che poi porse a Sheratan.
-Sono qui perché sto cercando Jauffre.-
-Il monaco Jauffre?.- Chiese stupito. –Dovrebbe essere nel suo studio…-
-Ho un messaggio molto urgente da riferirgli. Dovrei vederlo subito, se permesso.-
-Certo, certo..Vado ad informarlo del vostro arrivo.- Disse. –Ehm mi sfugge il vostro nome…-
-Sheratan ma non è importante. Potete dirgli che sono qui per conto di Braus.-
A quel nome il Priore cambiò subito sguardo e si fece molto serio. Quindi imboccò deciso le scale ad un angolo del soggiorno, con un energia incredibile per l’età che dimostrava.
Nel frattempo Sheratan estrasse dal piccolo sacchetto di stoffa che portava legato al collo, nascosto dai vestiti, l’Amuleto dei Re il quale sembrava aver perso un po’ della magnifica luce che emanava quando ancora era legato la collo dell’imperatore. Lo rigirò tra le dita e quando sfiorò con il dito il diamante rosso incastonato nella base dorata sentì come una piccola scossa che si diffuse come un formicolio per tutto il braccio.
-Vieni - L’uomo si era affacciato dalla mansarda - Jauffre ti sta aspettando.-
Sheratan ripose velocemente l’amuleto e salì le scale fecendosi guidare fino a una piccola stanzina che comunicava con il resto della mansarda tramite un arco.
Il monaco chiamato Jauffre era seduto dietro ad una scrivania con molti libri aperti. I suoi occhi si staccarono dal libro che aveva di fronte per incontraregli occhi dell’elfa. Avrà avuto una sessantina d’anni, ma i suoi occhi azzurri luminosi come il cielo primaverile trasmetteva un incredibile vitalità.
-Vi lascio discutere.- Si congedò il Priore.
-Sedetevi.- Fece cenno verso una sedia.- Come mai Braus vi manda da me?.- Chiese con una nota di sospetto.
-In realtà signore, non è Braus che mi manda da voi..- ci fu un secondo di pazienza in cui Sheratan abbassò lo sguardo non prima di notare che un folto sopracciglio bianco dell’uomo si alzava in un espressione di sospetto.- L’imperatore, lui mi ha chiesto di venire da voi.- Intanto mostrò a Jauffre l’ Amuleto. L’uomo lo prese e lo osservò incredulo.
-Per i nove!...- Esclamò pieno di sorpresa. -Come l’hai avuto?- Era senza fiato.
-Uriel Septim è morto, assassinato dalla Mitica Alba ed io mi sono trovata coinvolta, per puro caso…-
-Per Alessia! Morto?! come… come è possibile? Gli Spadaccini non….- Balbettò
-Abbiamo subito un’imboscata. Troppi nemici di cui uno è riuscito a passare inosservato ed ha assassinato l’imperatore.-
-Impossibile….- L’uomo era senza parole. Passarono alcuni minuti in silenzio fino a quando non fu lui a prendere nuovamente la parola.
-In tal caso, non possiamo permetterci un attimo di tregua. Il regno…no, che dico, tutto è in pericolo. Le forze che ci minacciamo non siamo neanche in grado di comprenderle.- Si fermò a fissare Sheratan e si passò una mano sul viso.
-Tu hai intrecciato il tuo destino con quello curioso di Uriel… Ciò non può essere un semplice caso, ragazza mia!- -Inoltre non so come, ma se ti ha consegnato quell’oggetto doveva fidarsi molto di te….Anche se non ne capisco il motivo-
Sheratan non sapeva che dire. A malapena comprendeva tutto ciò che stava accadendo .
-Nel momento in cui l’imperatore mi consegnò l’amuleto- Azzardò lei – Mi disse di cercarla, perché lei era l’unico a conoscenza di…-
-Martin.- Concluse lui. Aveva già capito.
-Già. Mi ha chiesto di trovarlo.-
- Oh questo non sarà un compito difficile. Lui serve Akathos  nella cappella a Kvach, la seconda città sulla Costa d’Oro.-
Estrasse una cartina da un cassetto e la mostrò alla ragazza. Era la seconda città a sud-ovest di Cyrodiil, compresa tra Skingard e all’estremo sud-ovest da Anvil, città portuaria affacciata proprio sul Grande Oceano.
-Il problema è: il nemico sa di lui? Perché in tal caso egli corre un grande pericolo. Capisci vero?- Appooggiò i gomiti sul tavolo, intrecciò le dita  e vi appoggiò il mento.
-Ovviamente, signore.-
-Molto bene. Penso che dovresti riposare adesso. Hai fatto molta strada e sei chiaramente molto stanca. Abbiamo posto a sufficienza non devi preoccuparti.- Le disse Jauffre con un sorriso notando le occhiaie di Sheratan.
-In tal caso non faccio complimenti. Tuttavia, c’è un’ultima cosa che vorrei chiederle…-
Lo sguardo di Jauffre si fece curioso e indagatore.- Chiedi pure.-
-Vorrei sapere esattamente qual’è la reale funzione dell’ Amuleto. È chiaro che esso non è solo un semplice cimelio della famiglia reale.- Disse lei sollevando un ciglio come ad evidenziare il suo dubbio.
-Naturale. L’Amuleto dei Re è un antico oggetto magico molto potente. Si narra che esso fu donato alla famiglia dei Septim dalla stessa dea Alessia. Esso racchiude la salvezza per tutta Cyrodiil. L’Amuleto è l’unica cosa in grado di mantenere accesi i Fuochi Del Drago, che, a loro volta mantenengono chiuse le fauci di Oblivion.. Questi fuochi si spengono alla morte dell’imperatore ma si riaccendono subito dopo l’incoronazione del legittimo erede al trono.-
Olbivion. Questa parola risuonò nella mente di Sheratan come un’eco lontano. Come quando la mattina appena destati abbiamo la certezza di aver sognato qualcosa, ma più ci sforziamo ricordare  più esso ci sfugge
-Le fauci di Oblivion?- Ripeté lei confusa.
-Si, il luogo in cui dimora Mehrunes Dagon, il Principe della Distruzione; una creatura ben al di là della nostra comprensione.-
Sheratan era confusa.
Intanto il monaco ripose l’amuleto nel sacchetto di stoffa con un’incredibile delicatezza, come se maneggiasse un oggetto di vetro finissimo
-Questo dovrà rimanere nascoso.- disse sollevandolo leggermente,
-Rimarrà qui al Priorato finché non avrai torvato Martin.-
Lei non aveva nessuna obbiezione.
-Ma adesso basta parlare.- Jauffre ricatturò la sua attenzione –Sono dell’idea che tu domani ti debba mettere in viaggio per Kvach.- concluse con tono severo
Avete ragione.
Sheratan si fece indicare il luogo in cui avrebbe trascorso la notte. Fu accompagnata in una piccola stanza, attigua allo  studio di Jauffre. Qui  sbarazzò dei suoi oggetti che ripose ordinatamente in un angolo della camera dopodiché si sedette a gambe incrociate sul letto e continuò a pensare a quella parola pronunciata poco fa dal monaco: Oblivion.
Oblivion. Non faceva che ripeterla mentalmente come se ciò servisse a farle tornare alla mente qualcosa.
-Oblivion- arrivò addirittura a sussurralo ma nulla, non riuscì a ricordare dove aveva già sentito quella parola. L’unica cosa che sapeva per certo era che le metteva una strana sensazione, sembrava averne paura.
 
Un senso di vuoto percorse il cuore di Sheratan. Il buio la opprimeva.
Improvvisamente vide una debole luce che si avvicinava a lei. Osservò meglio e intravide la figura di Uriel Septim. Le andava in contro sorridendo e non appena le fu abbastanza vicino il suo volto si storpiò in una smorfia terribile di dolore.
In un attimo la debole luce che aleggiava intorno a lui esplose in un bagliore accecante che le ferì gli occhi
Udì molte voci, roche, non sembravano nemmeno umane. Intravide la figura di una donna che indossava una tunica nera. Sheratan si sentì afferrare per le braccia, per le gambe e per il volto. Si dimenava, urlava, ma ciò non serviva a nulla, le strette erano troppo forti.
I suoi occhi indagarono sul volto della donna in nero nascosto dal cappuccio senza riuscire a distinguere i lineamenti e immediatamente il terrore si impossessò di lei.
 
Si svegliò di soprassalto, con un terribile dolore alla spalla. Si alzò e raggiunse il bacile d’acqua dove v’immerse la faccia. Si rinfrescò, era tutta sudata. Sollevò il volto e si guardò al piccolo specchio posto di fronte a lei. Si scostò la camicia dalla spalla sinistra e osservò la cicatrice. Pulsava ed era rossa. Essa aveva la forma di un ovale il quale tuttavia non si chiudeva alla base. Sui lati della parte superione si diramavano quelle che sembravano due corna mentre al centro una cicatrice più piccola aveva la forma di un piccolo cerchio.
Non aveva idea di come se la fosse procurata, tutte le volte che tentava di ricordare veniva colpita da dolorosissime fitte alla spalla e grandi mal di testa. Non riusciva a ricordare la sua infanzia e per quanto avesse insistito, il suo maestro d’armi, l’unica persona, per quanto lei si ricordasse, ad averla accudita e ad averle insegnato tutto quello che sa sul combattimento non le aveva mai rivelato nulla rispondendo alle sue domande con cose del tipo ‘’adesso non è il momento’’ ‘’ c’è una tempo anche per questo, Sheratan’’. Insomma, per quel che le sembrava il tempo non c’era mai.
Si passò una mano sulla cicatrice che ancora le doleva.
 
La mattina seguente si alzò che il sole era già sorto da poco. Si vestì, recuperò i suoi armamenti e si diresse verso il soggiorno dove trovò Jauffre che l’aspettava.
-Dormito bene?- Si informò lui.
-Si, certamente.- Ma il suo tono insicuro diceva il contrario.
- Qualcosa non va?.-
-No non è nulla- Istintivamente sollevò la mano fino alla spalla –E’ è solo un piccolo graffio che mi sono procurata durante il viaggio.-
-Posso chiamare il nostro fratello medico, la sua mistura di erbe fa miracoli….-
-No- Rispose bruscamente lei – Sto già molto meglio.-
La sola idea di mostrare quella strana cicatrice la faceva star male.
Jauffre la osservò stupido per quella reazione ma non insistette.  
Dopo una frugale colazione fu data a Sheratan qualche provvista e dell’acqua sufficiente per alcuni giorni.
-Quando arrivi a Skingard ti consiglio di fare altri rifornimenti. Questo cibo non basterà per tutto il viaggio.-
-Quanto dista la città?- Si informò l’elfa.
-Se viaggi a cavallo sono una decina di giorni. Non c’è tempo da perdere, non puoi andare a piedi.-
Jauffre le fece cenno di seguirlo. La ragazza raccolse la sua roba e uscì insieme la monaco.-
-Ti presterò il mio cavallo.- Disse lui.
Si diressero dietro la villetta passando sotto un arco che collegava quest’ultima con la piccola cappella.
Si fermarono davanti ad una stalla al cui interno Sheratan intravide una grande sagoma.
Jauffre aprì la porta della stalla e ne uscì seguito da un magnifico cavallo nero.
-Questo è  Sink, il mio cavallo, è un animale estremamente intelligente ed è un veterano di guerra. Ha assistito a mole battaglie. È forte e robusto, non ti creerà nessun tipo di problema.- Disse il monaco accarezzando il muso del cavallo.
 
L’elfa sistemò le poche borse alla sella e si issò. Jauffre mise una mano sul collo del cavallo.
-Mi raccomando fa attenzione, la Costa d’Oro è una strada molto pericolosa, vi passano moltissimi briganti; è famosa per le sue aggressioni.-
Sheratan fece un mezzo sorriso e posò la mano sull’elsa della sua spada –Anche io sono pericolosa. So badare a me stessa .-
Lo sguardo di lei colpì l’uomo che le ricambiò un sorriso –Non avevo dubbi su ciò. Adesso vai corri come il vento.- Si allontanò dal cavallo.
Sheratan bisbiglò qualcosa ed il cavallo, dopo una mezza impennata partì al galoppo.
 Ripercorse velocemente la strada a ritroso.
 
Il vento scivolava tra i suoi lunghi capelli ricci, i suoi occhi percorrevano velocemente i bordi della strada per controllare che non vi fossero pericoli in agguato.
Sulla strada si intravide nuovamente il Forte Ash e una strana sensazione la pervase.
Rallentò l’andatura del cavallo e varcò il grande arco. Cercò con lo sguardo il brigante che aveva sconfitto non più di una notte prima. Dove cadde l’uomo adesso c’era soltanto una grande pozza di sangue. Sheratan osservò meglio e vide che la terra era smossa come se l’uomo si fosse trascinato via dal suo giaciglio. Vide anche una striscia di sangue. La seguì con lo sguardo fino a quando non fu ostacolata da un cespuglio. Vide le foglie muoversi e avvertì un fruscio. Pochi attimi dopo da quel cespuglio balzò fuori un lupo dal manto grigio. Digrignò i denti e fece per lanciarsi sull’elfa, ma quest’ultima fu più veloce. Afferrò l’arco, prese una freccia, tese la corda e scoccò un colpo. Centrò il lupo in mezzo alla fronte. Cadde a terra e non si mosse più.
Il cuore le batteva a mille per lo spavento. Ripose le armi e con un’ultima occhiata vide dietro al cespuglio il corpo del brigante straziato, con il ventre completamente svuotato e alcuni arti mozzati.
Fece ripartire velocemente il cavallo, non aveva intenzione di rimanere in quel posto un momento di più.
Passarono due giorni e Sheratan si ritrovò davanti all’incrocio con i cartelli che segnavano verso nord Chorrol e Bruma, a sud la Città Imperiale e a ovest Skingard. Si diresse verso ovest.
Nella sua traversata  notò tra la vegetazione, ai bordi della strada molte rovine di antiche città elfiche; le Rovine Ayleid dal nome dei primi elfi colonizzatori delle terre di Cyrodiil, famosi per i loro grandi poteri e bravura nel dare forma alla materia.
I gironi passavano e Sheratan cavalcava durante il giorno e la notte si accampava.
Dopo sei giorni di viaggio, quando il sole era già a metà del suo cammino, l’elfa giunse a Skingard.
Era una città caotica, quasi più caotica della Città Imperiale. Oltrepassate le possenti mura di mattone grigio la città appariva divisa in due da una grande strada lastricata ai cui bordi si ergevano alte case a molti piani. Passò dalla piazza della chiesa e raggiunse il centro della parte est della città dove trovò un’osteria e vi entrò.
L’interno era piacevolmente riscaldato e l’arredamento era scelto accuratamente. Prenotò una stanza per la notte e fece rifornimenti. Mancavano ancora diverse ore al tramonto perciò Sheratan decise di fare un giro per la città. Camminava senza badare a dove stava andando, si faceva guidare dal vocio della gente. Osservava le persone che compivano i soliti gesti quotidiani: una donna alla finestra che chiamava il figlio, il carrettiere che trasportava la merce, l’uomo che rientrava in casa dopo una lunga giornata di duro lavoro nei campi. Fu riportata con i piedi per terra da un giovane ragazzo che trasportava un carretto carico di fieno. Sheratan proseguì lungo la strada, fino a quando non si trovò ad assistere ad una scena molto strana. Un elfo di bassa statura, ma dall’aspetto adulto, stava furtivamente seguendo una donna, ignara di tutto. L’elfa era indecisa sul da farsi; non sapeva se chiamare una guardia o vedere quali fossero le intenzioni del elfo. ‘’Se do l’allarme probabilmente se ne accorgerà e sarà inutile …’’. Continuò ad osservare il piccolo elfo, che sospettava essere un ladro o peggio. La donna camminò fino a raggiungere la porta di una casa che aprì e richiuse alle sue spalle.
Vide l’elfo scrivere qualcosa su un taccuino nero, dopo di che lui alzò gli occhi e la vide. Ci fu un attimo in cui i due si osservarono. L’elfo sembrava sconvolto, urlò qualcosa e si gettò contro Sheratan. Lei, confusa dalla situazione , per istinto si girò e iniziò a correre. Era molto veloce e riuscì a tenersi a distanza dell’elfo. Lanciò un’occhiata dietro e lo vide estrarre un pugnale. Alla vista della lama la rabbia esplose in lei e con un gesto rapido estrasse le due spade dalla lama leggermente ricurva che portava alla vita, arrestò la corsa e si voltò indietro. Una parte di lei desiderava rimettersi a correre e raggiungere una guardia a cui dare l’allarme, ma una parte di lei, più feroce, desiderava lo scontro. Desiderava sangue. Non riuscì a trattenersi mentre l’elfo le se avvicinava si mise in posizione di attacco. Quando lui fu abbastanza vicino, lei con entrambe le spade caricò un potente colpo dal lato sinistro, opposto al quale l’elfo teneva il pugnale. Una freccia scagliata vicino ai piedi di Sheratan impedì che quest’ultima dividesse in due l’uomo. Lei tornò in sé e il piccolo elfo interruppe la sua scellerata corsa. Due guardie della città erano probabilmente state avvertite dai cittadini della situazione e vi si erano precipitati.
-Non muovetevi!- intimò una guardia con l’acro teso verso i due elfi.
L’altro con la spadone guainato si avvicinò.
-Signori, siete pregati di seguirci fino alla caserma.- Disse osservando il piccolo elfo. La guardia non sembrava stupita di vederlo, a differenza di quando posò gli occhi su Sheratan.
-Siete un viaggiatore?- chiese
-Una specie. Sono arrivata da poche ore…-
-E vi siete già cacciata nei guai. - Concluse la guardia.
- Ad essere sinceri non ho fatto nulla,signore.-
-Bè, questo sarà il capitano a deciderlo.- La guardia fece cenno ai due di seguirlo.
Raggiunsero la caserma che si trovava vicino al grande cancello d’entrata a nord.
Li fece accomodare in una stanza senza porte. Una guardia li teneva sott’occhio mentre l’altra si preoccupava di avvertire il capitano.
-Sei una lurida spia!- Bisbigliò l’elfo. Aveva un viso quadrato, un piccolo naso adunco e degli occhetti piccoli e neri. Sheratan trovò che fosse una persona sgradevole.
-Come prego?- Chiese lei con tono irritato
- Tu! Come tutti gli altri, mi volete morto! Ahaha ma non oggi!- Strabuzzò gli occhi e contorse la sottile bocca in una risata sadica. –SE MI COSTRINGERANNO IO…-
-SILENZIO!- un uomo non troppo alto ma apparentemente molto forte entrò nella stanza interrompendo il delirio dell’elfo.
La scintillante armatura d’acciaio fece capire a Sheratan che dovesse essere il capitano.
- Glarthir, di nuovo tu! Che diavolo hai combinato questa volta?!- chiese furioso.
-Vedete capitano? È lei! È una di loro! Ora che ho le prove mi crederete anche voi!-  
Era folle, pensò la ragazza.
-Scusate…ma non riesco a capire.- Azzardò lei.
Il capitanò la guardò
-Chi siete voi? Non vi ho mai visto. Non siete di Skingard?-
-No, signore. Sono solo di passaggio, per questa notte.-
-Che affari vi portano da queste parti?-
-Sono in viaggio per…-  Si bloccò alcuni istanti. Non poteva dire la verità, doveva trovare una buona scusa e anche velocemente.
-…una delicata questione di famiglia. Sono diretta ad Anvil, signore.- Lo guardò.
-Delicata questione di famiglia?.-Sembrava dubbioso.
Nessuno disse nulla. Il piccolo elfo sembrava confuso.
-Ma io l’ho vista, mi stava seguendo….!-
Il capitano spostò lo sguard su Glarthir.
- Ti avverto- iniziò con tono minaccioso – Infastidisci nuovamente qualcun altro ed è la volta buona che ti sbatto nella cella del castello!- Urlò lui.
Glarthir era sconvolto. Fu dato l’ordine di riaccompagnare il piccolo uomo a casa mentre Sheratan fu trattenuta un altro po’.
-Mi dispiace che sia finita coinvolta in questo malinteso.- Disse il capitano
-Onestamente, non ho ancora ben chiaro il motivo di tutto ciò. Chi era quella persona? Perché mi si è gettato addosso in quel modo?- Domandò lei
- Vedete, Glarthir è considerato l’eccentrico della città. È una persona molto strana, non dà confidenza a nessuno, non parla mai tranne quando deve urlare e imprecare contro chi non gli va a genio. Nell’ ultimo periodo è peggiorato molto. Viene spesso da me affermando che c’è una setta che lo vuole morto e continua a pedinare determinate persone.-
-A me è sembrato un tipo piuttosto pericoloso. Non capisco, perché mai è ancora la fuori? Il posto più adatto sarebbero le segrete..- Chiese lei,un po’ irritata dalla situazione. Quel piccoletto le faceva saltare i nervi.
-Il fatto è che non ha ancora fatto niente per cui possa essere imprigionato. Per quanto riguarda i pedinamenti ormai la gente ci è abituata. Sto aspettando che commetta un errore, solo uno e…-
-Ma a quel punto potrebbe essere troppo tardi.- Lo interruppe lei. Lo fissò.
-Bisogna ringraziare i Nove se oggi ha tentato di aggredire me. So come difendermi, ma se al posto mio ci fosse stato qualcun altro non so se la faccenda si sarebbe risolta allo stesso modo.-  Sheratan aveva pienamente ragione e il capitano lo sapeva.
-Senti- azzardò lui-  ora che Glarthir è a conoscenza del fatto che non sei una ‘spia’ come dice lui è probabile che cerchi un contatto con te. Voglio che mi avverti, immediatamente-.
L’elfa non capiva quel che volesse dire e lui sembrò accorgersene.
-Vorrà sicuramente qualcosa da te: è probabile che ti chieda di fare qualcosa per lui.-
-Che dite? Non penso che abbia cambiato idea e poi domani devo ripartire!- 
-Capisco perfettamente, tuttavia potrebbe essere la volta buona che si tradisca con le sue stesse mani. -
Sheratan sapeva già come sarebbe andata a finire.
- Se entro domani mattina, quando il sole sarà già sorto lui non mi mi avrà contattato io mi rimetterò in viaggio.- Disse con tono secco lei.
-Molto bene.- acconsentì l’uomo.
Lei fece per congedarsi quando lui aggiunse  -In caso contrario chiedete di me, sono il capitano Dion.-
Si diresse velocemente all’uscita, aprì la porta e gli ultimi raggi del sole morente le accarezzarono il bel volto candido. Tutta quell’assurda situazione la irritava moltissimo. Si incamminò verso il piccola locanda dove avrebbe trascorso la notte. Camminò fino alla piazza della chiesa quando ormai il sole era calato e si facevano largo le prime stelle della sera. Stava imboccando  la strada per l’ostello quando dei passi catturarono la sua attenzione, si voltò circospetta e vide un ombra tra le case che l’osservava. La reazione fu immediata: portò la sua mano sinistra dietro la schiena e estrasse il pugnale che indirizzò verso la figura. Esso andò a conficcarsi in una roccia della parete di una casa. L’ombra evidentemente non si aspettava una tale aggressività e cadde all’indietro,spaventata. Tentò di girarsi ma per lo spavento iniziò ad arrancare nel tentativo di rialzarsi ma riuscì solo a strisciare per pochi centimetri. Sheratan si avvicinò alla figura, estrasse il pugnale dalla roccia, e lo puntò verso la figura ancora a terra.
-Tu! alzati! O ti taglio la gola!- Ringhiò lei.
Alla minaccia la figura alzò le mani ed esclamò
-Sono io! Mi riconosci?! Sono Glarthir, l’uomo della caserma.-
Sheranta fu assalita dalla disperazione. Non sopportava quell’individuo.
-Dammi una buona ragione per non sgozzarti, qui, adesso.- Sibilò lei.
-No ti prego! Devo chiederti una cosa! ho bisogno di aiuto, ti prego …- implorò.
 Si trattenne dal maledire qualsiasi cosa le capitasse a tiro e stette al gioco.
-Che genere di cosa? Che vuoi da me? Non mi hai accusato di essere una spia solo poco fa?.-
-Oh..no…è chiaro che mi sono sbagliato! E poi sembri una che sa cavarsela. Ti pagherò, molto! Molto oro, prometto!-
Lei rimase in silenzio.
-C’è una cospirazione contro di me, mi vogliono morto. Io ho tentato di scoprire i loro piani, ho cercato di avvisare le guardie ma a nessuno interessa di me!- disse con disprezzo – Ma tu! Tu sei stata mandata dai Nove in mio soccorso! Si, deve essere per forza così!Ahahahha.-
-Cosa dovrei fare io?.- Cercò di accorciare i tempi.
-Ohoh! indagherai per me. Ho stilato una piccola lista delle persone che dovrai tener d’occhio.-
Estrasse da una tasca dei pantaloni un piccolo pezzetto di pergamena accuratamente piegato. Sopra comparivano tre nomi: una donna e due uomini.
-Devi scoprire cosa stanno tramando! Per chi lavorano e cosa vogliano da me!.-
-E..?- Continuò l’elfa notando l’espressione compiaciuta del piccolo uomo.
-Eee poi li ucciderai tutti!.-
Lei lo osservò, non stava scherzando. Era proprio pazzo.
-Ehi! Ti pagherò bene, prometto! Ecco guarda…- Le porse un piccolo sacchetto tintinnante
-Tieni, un piccolo anticipo, la prima parte. Il resto te lo darò quando avrai svolto i compiti che ti ho assegnato.-
Lei prese il sacchettino.
-Siamo d’accordo, allora. Quando scoprirai qualcosa bussa tre volte alla mia porta. e io saprò che dovrai parlarmi, dopodiché ti dirigerai dietro la cappella, è li che ci incontreremo. Non contattarmi MAI in pubblico o tutta la copertura potrebbe saltare!- Detto ciò indicò una casa sull’angolo della strada. –Quella è la mia porta. Ricorda, tre colpi e fa in modo di non attirare troppa attenzione su di te!.-
-Certo.- Terminò lei senza enfasi.
Glarthir si dileguò velocemente dietro le case e si rintanò nella sua dimora.
Sheratan, ormai sconsolata, si sentiva bloccata: avrebbe dovuto rimandare la partenza per Kvach ancora di un giorno e la cosa la turbava moltissimo. O magari avrebbe trovato un altro modo per uscire da quella fastidiosa situazione
 I morsi della fame cominciarono a farsi sentire perciò decise di entrare in una taverna e si fece servire qualcosa di caldo.  Mentre consumava la sua cena  si guardò attorno e vide che vi erano molte persone la maggior parte erano uomini che bevevano altri che come lei si ristoravano. Il chiasso era insopportabile, tuttavia la aiutava a tener a bada una rabbia che lentamente si prendeva possesso di lei mentre ripensava a ciò che le era appena accaduto. ‘’Uccidere! Mi ha ingaggiata per uccidere! Per i Nove, non sono un sicario!’’. Finita la cena, decise di dare uno sguardo ai nomi sui biglietti. Ovviamente non ne conosceva neanche uno. Pensò che avrebbe potuto chiedere informazione all’oste, in tutto quel caos non avrebbe certo fatto storie. I suoi pensieri furono interrotti da un uomo di giovane età e probabilmente ubriaco che le si sedette a fianco.
-Ehi tesoro! Mi sembri annoiata- disse lui percorrendo con gli occhi il contorno di lei.
-Che ne dici? Ci divertiamo un po’ ?.- si avvicinò sempre di più a lei.
-Sparisci.- Tagliò corto lei  piantando i suoi rossi occhi in quelli del ragazzo.
-Ooh! Ma che bel caratterino.- Lui cercò di allungare il braccio per cingerle la vita.
L’elfa, con volto impassibile e con grande velocità prese il coltello dal tavolino, afferò il braccio del ragazzo e lo immobilizò  infilzando la manica al tavolino. Lui impallidì all’istante e fece per alzarsi ma si strappò un pezzo dell’ indumento che rimase attaccato la coltello.
-Brutta puttana- Biascicò lui
Lei con un sorrisetto privo di divertimento si alzò e si diresse verso il balcone dove pagò l’oste e gli chiese informazioni sui nomi della lista.
 
Poco dopo uscì dall’osteria con le informazioni che desiderava. La donna abitava nella prima porta a destra vicino alla grande statua di Skingard. Avrebbe iniziato con lei.
Entrò nella piccola locanda e si diresse nella sua camera. Si spogliò delle armi, si tolse il farsetto decorato,i guanti, gli stivali e ripose tutto con cura sul mobile di fianco al letto. Dopo di ché si coricò
 
Il buio l’abbracciò di nuovo. Sentì qualcuno che la chiamava, ma le tenebre le impedivano di vedere chi fosse. Improvvisamente nella sua mente si venne a formare l’ immagine di due occhi. Erano profondi e di un azzurro intenso . Erano di un uomo. Ma chi ? Un urlo di donna e delle fiamme divamparono.
 Si vide sdraiata su un tavolo. Delle mani percorrevano la sua pelle nuda fino alla spalla, dove un incredibile dolore l’avvolse. Si divincolava ma non riusciva a muoversi. Voleva urlare ma nessun suono uscì dalla sua bocca.
 
Improvvisamente sentì freddo e si svegliò. Era sdraiata sul pavimento di pietra. La fronte era sudata. Si alzò e si diresse alla finestra che dava sulla strada. Era al quarto piano dell’edificio e si vedeva quasi tutta la Skingard. Vide la Chiesa e dietro di essa,su un’ altura, fuori dalla città circondato a da altre mura, il castello del conte.
L’aria fresca della notte la tranquillizzò mentre la spalla continuava a bruciarle. Si scostò la camicia e quando vide che la cicatrice era di nuovo arrossata si preoccupò. Prese la sua borsa ed estrasse un piccolo mortaio e un piccolo sacchettino con dentro delle erbe mediche. Ne mise un po’ nel mortaio e aggiunse un liquido blu da un’ ampollina e sminuzzò il tutto fino a che non ottenne un impasto appiccicoso, dopo di ché lo cosparse sulla cicatrice. Le bruciava da morire ma si morse un labbro e resistette. Dopo qualche minuto il dolore le passò e anche l’arrossamento le diminuì. Rimise tutto in ordine e si buttò sul letto fissando il soffitto.
Ripensò al sogno e le tornarono alla mente quegli occhi così intensi da procurarle quasi un disagio.
Si sentiva strana, come se si fosse innamorata di uno sguardo. Tale pensiero la fece sorridere
-Che stupidaggine- si disse.
 
La mattina seguente si svegliò pensando alla strana e assurda situazione in cui era finita. Il fatto che Glarthir parlasse di una setta la insospettiva: chissà se c’era qualcosa di vero, o semplicemente anche lei stava impazzendo. La cosa più importante era trovare un modo per risolvere tutto il più velocemente possibile,  essere ancora bloccata a Skingard era imperdonabile.
Mentre osservava la donna segnalata dall’elfo pazzo gironzolare per il mercato pensò che avrebbe potuto dare una sbirciata alla casa di quest’ultimo; dubitava fortemente che quelle persone potessero essere un pericolo per qualcuno, non avvertiva in loro nessuna potenziale minaccia.
Mentre percorreva la via che conduceva alla casa di Glarthir si rese conto che ciò che stava per fare era molto avventato: non aveva neanche avvisato il capitano Dion del contatto e adesso stava anche per entrare nella casa dell’eccentrico elfo, se l’avessero scoperta sarebbe finita in guai molto grossi. Tuttavia, tale pensiero le suscitò un brivido di piacere: nonostante tutto stava cominciando a divertirsi.
-Come se questo fosse un gioco…- mormorò tra sé.
Quando fu davanti al portone batté tre colpi e si rifugiò velocemente nella piccola stradina di fianco alla casa dove Glarthir non l’avrebbe notata.
Pochi secondo dopo l’elfo uscì lanciando occhiate a destra e sinistra come per assicurasi che nessuno lo stesse osservando.  Quando decretò che nessuno lo aveva notato, chiuse la porta alle sue spalle e si avviò, molto furtivamente verso la chiesa al centro della città.
Sheratan aspettò che fosse abbastanza lontano, dopodiché velocemente fece il giro della casa.
Iniziò ad arrampicarsi.
 –Maledette spade!- imprecò tra sé. D’altronde lei non era una ladra e con tutte quelle armi era davvero difficile arrampicarsi furtivamente . Pregò che il chiasso del mercato soffocasse i rumori che provocavano le sue due spade sbattendo sul muro. Arrivata sul balcone riuscì a forzare la finestra ed entrò.
Si stupì nel trovare la casa in perfetto ordine. Si immaginava una casa completamente in disordine, proprio come la mente del proprietario.
Le sue mani si muovevano rapide e precise mentre rovistava tra le carte della scrivania,nei cassetti, dentro gli armadi. Non trovò assolutamente nulla.
Era veramente delusa, non sapeva precisamente cosa avrebbe dovuto aspettarsi, ma trovava che tutta quella precisione era sospetta. Se lo sentiva.
Mentre curiosava nella piccola sala trovò qualcosa che attirò la sua attenzione. Il vecchio e logoro tappeto posto al centro era rialzato, come se fosse stato sistemato in fretta. Lo afferrò per un angolo e con un gesto brusco lo scostò, lasciando spazio ad una botola.
“Cominciamo …” Aprì la botola e si calò al suo interno.
 La stanza aveva spazio a sufficienza per una sola persona ed era provvisto di letto e di una piccola dispensa. All’interno vigeva il caos,come se fosse un piccolo rifugio sotterraneo improvvisato. Rovistò tra le carte sulla scrivania e si rese conto che erano delle cartine di case ed erano realizzate con la massima cura e precisione. Era riportato anche il numero delle persone che vi abitavano.
-‘’Ah.. chi l’avrebbe mai detto, sembri proprio essere un ladro, èh Glarthir ….Ma cos.....?- Qualcosa attirò la sua attenzione. Adesso lo sentiva. Un terribile olezzo. Si voltò e dalla parte opposta della stanza vide possente porta di legno massiccio con giunture di metallo. Si tappò il naso mentre si avvicinava ad essa l’odore diventava sempre più insopportabile per il suo sensibile olfatto da elfo.
Abbassò la maniglia ma la porta era chiusa a chiave. Curiosò ancora sulla scrivania in cerca di una fantomatica chiave , sempre se esisteva. Dopo poco, in un cassetto ben nascosto sotto la scrivania la trovò. La chiave non fu l’unica cosa interessante che scoprì. Essa era nascosta tra le pagine di un libro e quando lo sfogliò si rese conto che quello era un diario, il diario di Glarthir.
Lo sfogliò velocemente e la cosa che la colpì fu una strana ‘Madre Notte’. Compariva ripetutamente in molte pagine. Purtroppo non aveva tempo di leggerlo ma si soffermò sull’ultima pagina scritta.
 
 
"Ho  servito la Gloriosa Madre Notte per molti anni, ho amato i miei fratelli come Lei ha comandato, ho seguito fedelmente le leggi della Gloriosa alla lettera …..per tutti questi anni … e adesso non ha più bisogno di me, non mi ama più. Come può odiarmi dopo tutto il sangue versato in suo nome ? Non posso portare a termine quest’ultimo incarico, nonostante Lucien sostenga che sia il gesto più grande e degno di onore che si possa compiere verso la Gloriosa Madre.
Non riuscirò a commettere questo lento e folle suicidio da solo! Questo va oltre ogni mia immaginazione. Tuttavia  se non lo farò questa caccia all’uomo non avrà fine . Non passerà ancora molto tempo prima che loro possano giungere qui e spedirmi all’inferno. Ma forse c’è ancora speranza! La giovane Bosmer che ho incontrato la sera  scorsa riuscirà a salvarmi! Certo, lo sento!"
 

Più in basso una frase scritta di fretta riportava:
 
"Non avrei dovuto dare ascolto alle suadenti  parole di Lucien, ma come potevo farlo con tutto quello che prometteva!.."


Shetatan cominciò a percepire tutta quanta la situazione molto pericolosa. Prese la chiave e facendosi coraggio andò alla porta e l’aprì. Si portò immediatamente la mano alla bocca e chiuse gli occhi cercando di trattenere i connati di vomito. Più che una stanza sembrava un magazzino degli orrori: al suo interno c’erano molti cadaveri, alcuni di essi in decomposizione. Alcuni erano orribilmente mutilati e giacevano in pozze di sangue
Richiuse immediatamente e si appoggiò con la schiena alla porta cercando di riprendersi, ma l’odore penetrante glielo impediva perciò  si allontanò velocemente e risalì nella sala. Con gran furia tornò al balcone e si calò giù. Come toccò terra si mise a correre in direzione della chiesa. Quando arrivò l’innumerevole folla che circondava il retro dell’edificio le fece pensare il peggio. Si fece largo finché non intravide il cadavere di Glarthir  a terra, supino, in un mare di sangue. Aveva la gola tagliate e il petto era aperto in due come un libro.
-Ehi! Tu!.-
Il capitano Dion le stava facendo segno di raggiungerlo. Oltrepassò la poca folla che la separava dall’uomo e lo raggiunse.
-Capitano! Cos’è successo qui?-
-Assassinato, Come puoi vedere anche da sola. Si tratta del quarto caso.-
-Quarto caso?..-
-Purtroppo… Questi omicidi, come dire, ‘rituali’ sono già stati compiuti e tutti in città diverse. Il primo caso fu scoperto ad Anvil, ma la notizia non causò molto scompiglio, d’altronde stiamo parlando di una città di mare, con un grande numero di forestieri…-
-Dove si sono verificati gli altri omicidi, Capitano?-
-A Chorrol , poco tempo fa nella Città Imperiale. E adesso qui…-
-Neanche un testimone?- Lo incalzò
-Puah! Neanche mezzo! solo un signore che ha avvertito la guardia cittadina e null’altro!.Che disastro …-
Sheratan spostò l’attenzione sul cadavere di Glarthir e notò una cosa che prima non vide: il cuore era sparito.
-Capitano, mi scusi, ma anche alle altre vittime e stato tolto il cuore?-
-Inquietante, non trovi? Già, prima vengono sgozzati come animali, poi strappano loro il cuore  e lasciano il cadavere immerso in un mare di sangue. Luridi assassini!-
-Ma dimmi, ha cercato un contatto con te? Hai scoperto niente?-
-Si, non appena mi avete rilasciata mi ha contattato consegnandomi questo foglio con i nomi delle presunte spie. Avrei dovuto osservarle per un po’ di tempo, per scoprire cosa stessero tramando e poi ucciderle.-
-Mmh, capisco.- Prese il foglietto dalle mani dell’elfa .
 
Sfortunatamente era troppo tardi per poter interrogare Glarthir,  perciò Sheratan decise di proseguire il viaggio verso Kvach. Tutti questi strani avvenimenti la turbavano molto. Mentre con i suoi effetti si dirigeva verso le stalle per recuperare il cavallo le tornò alla mente il diario di Glarthir.
-OH! Il diario!.-  Quel piccolo oggetto sembrava contenere informazione che sarebbero potute risultate molto utili. Ripercorse a gran velocità la strada che conduceva all’abitazione, ma quando giunse sul luogo vi trovò solo un grande falò e degli uomini intenti a spengere le fiamme. Mentre osservava  il grande rogo per qualche istante e il pensiero che forse l’elfo non fosse del tutto pazzo sembrò non essere del tutto errato tuttavia era tardi per qualsiasi cosa e aveva perduto il diario, l’unica cosa che avrebbe potuto fare un po’ di luce sull’accaduto. Che poteva farci? Assolutamente nulla. Quindi si rassegnò e se ne andò.
 



 
 
Seduto sulla grande sedia di pietra con la gamba che faceva oscillare distrattamente, appoggiata al bracciolo, l’uomo con indosso una stretta e lunga tunica nera con tanto di ampio cappuccio calato su gran parte del volto, che lasciava scoperta solo la sottile bocca e il mento, attendeva impaziente. Solitamente era una persona dal sangue freddo in grado di mantenere una calma  assoluta di fronte a qualsiasi situazione, anche quelle più critiche,ma questa volta era diverso, troppe cose dipendevano da quella missione, e lui lo sapeva bene.
-Quanto ci mette….?- borbottò tra sé e sé. Aveva una voce profonda e melodiosa, di quelle che t’incantano e hanno la capacità di farti fare qualsiasi cosa venga chiesta.
 Con la lunga pallida mano si scostò il cappuccio dagli occhi rivelando solo una piccola parte del lungo e fine viso. Appoggiò la testa allo schienale di pietra e tirò un sospiro. Stava seduto lì da diverse ore ormai e cominciava a non sopportare più quell’attesa. La stanza in cui si trovava era priva di finestre ed era completamente spoglia, solo nuda pietra. L’unica fonte di luce erano delle piccole torce appese alle pareti che proiettavano delle spettrali ombre in tutta la stanza.  Mentre tamburellava le dita affusolate sulla gamba sentì un rumore di passi lontani, raddrizzò leggermente la schiena e rimase perfettamente immobile. Quando la pesante porta di legno si aprì cigolando, una figura sottile, dal fisico muscoloso varcò la soglia. Indossava una tuta di cuoio nero molto aderente che metteva in mostra le forme femminili, al fianco alcune piccole cinture sorreggevano delle custodie mentre da quella più grande e spessa  pendeva un  pugnale completamente nero con elaborate decorazione d’oro,la guardia dritta e il pomello dalla base circolare si allungava diramandosi in quattro punte che quasi ricordava una corona. Due cinture erano incrociate sul petto, a cui erano appesi alcuni coltelli da lancio, ed erano fissate sulle spalle da robusti spallini di pelle nera borchiati. Il cappuccio stretto era calato fin sopra gli occhi tuttavia si riusciva a distinguere il volto dell’individuo sulla porta: il viso con un naso che erano due sottili fessure oblique, leggermente allungate  e la bocca priva di labbra, sporgevano notevolmente dal cappuccio.; la pelle, verdognola con delle striature arancioni, era liscia e squamosa  e rifletteva i lievi bagliori delle torce della stanza.
 Era senza dubbio un’argoniana.
L’uomo seduto la fissò per qualche secondo.
-Dunque? spero tu abbia delle notizie interessanti..- Le chiese.
L’argoniana varcò la soglia e chiuse la porta alle sue spalle.
-Ho appurato le informazione che Teinaava ci ha riportato.- La sua voce era bassa e roca.
-Quindi?-
-Il suo informatore non ha mentito. L’imperatore è morto.-
Un lieve sorriso privo di alcun divertimento si fece largo sul viso pallido dell’uomo.
-Perciò ci sono riusciti... Ad essere onesto non me lo sarei proprio aspettato da quel branco di idioti.-
-Tuttavia…- Continuò lei
-…….Ocheeva.-  Disse con tono piatto alzandosi dalla sedia di pietra.
-Non l’abbiamo trovato-
-Che vuol dire ‘non l’avete torvato’?- Ripetè lui con tono severo rimanendo immobile a fissarla come uno spettro –DOVEVA essere lì, lui era l’unico che poteva averlo. Lui. E nessun altro. Quindi, dov’è?-
-Sono dispiaciuta, ma per adesso non l’abbiamo scoperto. Telaendril stà indagando tramite la sua rete di contatti.-
-Certo che sei dispiaciuta.- Si spostò di lato lentamente,percorrendo a piccoli e lenti passi la stanza. –Sai bene quali sono le regole. Sai bene quali sono i punti del contratto.- Si fermò, dandole le spalle – Sai bene cosa accade  se si fallisce.-
Ocheeva trovò che l’uomo mise troppa enfasi nel pronunciare l’ultima frase.
-Ovviamente. Conosco bene le regole e non ho mai fallito. Ho mobilitato tutti i miei fratelli per questo incarico. E lo concluderemo con successo. Così come la Madre desidera.- dopo di chè fece un lieve inchino abbassando gli occhi.
-La tua fedeltà è impressionate, Ocheeva, davvero, e di questo nostra Madre ne è felice. Ti è stata concessa la possibilità di governare sui tuoi fratelli per questo da te mi aspetto molto,molto di più. Voglio un nome. Non per me, non per te, ma  per la NOSTRA famiglia. Per nostra Madre. Trova chi ha l’amuleto- Ruotò leggermente la testa ma continuò a darle le spalle.
Ocheeva fece un altro inchino alla  parola ‘Madre’
-Lo so. E per questo ringrazio l’ Oscura ogni attimo della mia esistenza. Otterrò quel nome- Concluse con tono deciso dopo una piccola pausa.
Proprio mentre Ocheeva stava per richiudere la porta alle sue palle l’uomo le fermò.
-Un’ultima cosa…-
-Si?-
-Come è andata con quel pazzo?- Chiese con tono quasi divertito
-Non credo che sarà più un problema per nessuno.- A questa risposta l’uomo reclinò all'indietro la testa e si abbandonò ad una risata melodica.

 

   
 
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