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Autore: TheNewFrontiersman    12/03/2015    1 recensioni
Una ragazza come tutte le altre, persa nella Grande Mela. Una ragazza pervasa da una curiosità illimitata e un essere misterioso. Entrambi non possono sopportare la propria immagine riflessa nello specchio. Due vite monocromatiche. Ma c'è chi vede grigio e chi vede bianco e nero...
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Rorschach/Walter Kovacs
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Era il 18 di Ottobre e pioveva, di nuovo. Quel giorno, la mia piatta esistenza subì un cambiamento radicale.

 

Finii di mangiare la mia poltiglia di verdure semi-surgelata e accesi la tv: la solita noia. Decisi di uscire. Passai di fianco a un palazzo fatiscente dal quale proveniva un gran frastuono. Incuriosita mi fermai, pensando che con tutta probabilità l'ennesima moglie tradita stesse distruggendo casa lanciando addosso al marito tutto ciò che le capitava a tiro. Avevo proprio bisogno di farmi due risate. Non andò come pensavo, però. Ciò che vidi mi fece subito cambiare idea sulla mia teoria della colluttazione matrimoniale.

 

Improvvisamente un uomo venne scaraventato fuori da una delle finestre dell'edificio, cadendo proprio ai miei piedi. Un uomo robusto e massiccio, una specie di body-builder con la faccia da gangster in evidente stato d'incoscienza. 

 

Woah. Deve avere una moglie in forma questo qui. 

 

Senza darmi il tempo di formulare mentalmente altre idiozie, un altro uomo piombò giù dalla finestra. Questo però l'aveva fatto volutamente, e si vedeva perché era atterrato perfettamente sull'asfalto, come fanno i gatti. Mi accertai dell'identità del tipo agile scrutandolo da lontano per qualche minuto…quando realizzai quel che avevo davanti agli occhi, li sgranai.

 

Rorschach!

 

Era lui. Era la mia occasione. Finalmente.

 

Ora o ma più.

 

Si alzò come se niente fosse, emise una specie di grugnito sordo e profondo, come a schiarirsi la voce e affondò le mani stranamente piccole nelle profonde tasche dell'impermeabile. Tutto taceva e io ero l'unica spettatrice di quello spettacolo impressionante…non potevo credere a quello che avevo appena visto. Il cuore mi batteva all'impazzata mentre realizzavo che un energumeno più che imponente era appena stato lanciato fuori da una finestra da un ometto apparentemente minuto e senza volto. Non c’era tempo da perdere, dovevo seguirlo.

Non avrebbe di certo fatto caso a un essere insignificante come me, quindi non credo avrei rischiato che mi scoprisse. 

 

Cercai di essere il più veloce possibile.

Correvo.

Volevo sapere chi era veramente. 

Dovevo.

 

Lo scorsi sparire dietro un angolo della strada e mi affrettai a seguirlo, ma quando svoltai nella via, di lui non c'era alcuna traccia. Sparito. Era come tentare di afferrare la nebbia. L'irrefrenabile eccitazione che mi scorreva nel petto venne subito estinta dal pensiero di averlo perso di vista un'altra volta. 

 

Adieu, niente più Rorscharch … maledizione. 

 

L'adrenalina era ormai sfumata. Avvilita, rinunciai alla mia missione, almeno per quel momento. 

 

Appurato il fatto che il frigo fosse completamente vuoto, e ormai lo era da almeno due giorni, mi infilai nel letto, ma com'era ovvio non chiusi occhio tutta la notte. Troppo agitata. Stavo pensando di iniziare a scrivere un diario, dato che passavo buona parte delle mie notti in bianco. Forzai le mie palpebre a chiudersi nonostante i mille pensieri che mi affollavano la mente, ma quando riuscii ad addormentarmi era ormai mattina e stanca dopo una notte insonne venni svegliata da quello che lì per lì mi parve il frastuono di un enorme tamburo, come se un bulldozer stesse sfasciandomi la porta. Dato che il martellare stranamente accanito iniziava a diventare davvero insopportabile cercai di schiudere gli occhi incollati dal sonno, per scoprire che ciò che mi trivellava la testa non era una squadra di operai addetti alla demolizione di appartamenti, bensì il mio locatario, venuto a riscattare la somma del mese. Erano appena le sei e io lo stavo maledicendo in tutti i modi possibili e immaginabili, almeno internamente.

 

 “Ehi zucchero! Ti conviene aprire la porta se non vuoi finire in mezzo alla strada nel giro di cinque minuti!  Questa settimana ti sei scordata di pagare e dato che hai ignorato tutti i miei avvisi scritti, sono stato costretto a venire di persona. Apri!"

 

Oh, ma che diavolo! 

 

Maledetto mondo capitalista, la gente ormai pare nutrirsi di denaro. Cercando di apparire educata nonostante la stanchezza, mi scusai, assicurandogli che avrebbe ricevuto immediatamente il denaro che gli dovevo. Mi diressi vero il cassetto dove tenevo nascosti i miei ultimi spiccioli, ma feci una terribile scoperta: i 500 dollari che mi erano rimasti erano scomparsi. 

 

No, No, No… NO! Chi è stato! Mi hanno fottuto alla grande. 

 

La mia mente vagava tra i pensieri e il linguaggio colorito che emerge nei momenti di rabbia e sconforto, incolpando prima la domestica addetta alla pulizia delle camere, poi il locatario stesso, finendo poi col sospettare di qualsiasi sprovveduto avesse avuto la sfortuna di capitare tra miei ricordi. Ma che importava, ormai. Ero stata una stupida a fidarmi della gente corrotta che infesta i bassifondi di New York. Non avevo modo di saldare il mio debito e com'era ovvio, avessi anche fatto lo sforzo di spiegare la situazione al padrone dell'ostello, non sarei stata ascoltata. La paura di finire di nuovo per strada, senza un tetto sopra la testa, superava anche la rabbia che provavo in quel momento.

I pugni dell'uomo tornarono ad abbattersi sull'imposta più forti che mai. Indossai le prime cose che mi capitarono a tiro, presi coraggio e aprii quella dannata porta. Puntai i piedi e provai comunque a spiegare il mio punto di vista all'aguzzino che vi trovai appena fui sull'uscio. Non funzionò. Come da previsione, due minuti dopo mi ritrovai sbattuta fuori.  Reato: mancato pagamento dell'affitto. Pena: morire di freddo e di fame.

 

Mi sedetti sulle scalinate di quella che fino a qualche minuto prima potevo chiamare casa (o quasi) mentre il freddo pungente dell'alba mi penetrava le ossa. Mi guardai attorno: neanche un’anima in giro. La città non era ancora piombata nel solito caos giornaliero.

 

Era ancora assonnata, New York. Solo il giornalaio si apprestava ad aprire la sua edicola nell'attesa di ricevere i quotidiani.

E c'era quell’uomo. Quell'uomo coi capelli rossi. Si portava appresso l’immancabile cartello apocalittico e sembrava impaziente. Ma cosa aspettava? Non avendo niente di meglio fare, iniziai ad osservare il suo comportamento e  capii: l’uomo dai ricci fulvi stava aspettando con impazienza il nuovo numero del New Frontisierman,  quello strano quotidiano che molti definivano un "fogliaccio fascista". Strano, sì. Una strana lettura per un tipo strano. Lo guardava insistentemente, perciò ipotizzai dovesse volere proprio quello.

D'un tratto, l'uomo ruppe il silenzio rivolgendosi al venditore di notizie, che molto probabilmente non si era nemmeno accorto di lui, occupato com'era a catalogare la merce, e potei udire per la prima volta la sua voce: era profonda. Non me lo sarei mai aspettata, che un ometto così potesse avere un timbro di quella portata.

"Giornale".

"Ma certo, eccoti qui come sempre. Come ti va la vita? Vedo che il mondo non è finito ieri", ridacchiò l'edicolante, riferendosi allo strano cartello che il ginger si portava sempre dietro.

"Sei sicuro?"

Quella domanda fece paura anche a me. La guerra si stava avvicinando, riuscivo a percepirlo. Temendo di sprofondare in un abisso di preoccupazione senza fine, decisi che il primo passo era occuparmi dei miei problemi. Non portava a nulla trastullarsi con vaghe e terrificanti teorie apocalittiche.

Direi proprio che non è il momento adatto per star qui a osservare con troppo interesse un senzatetto che chiede un giornale…ma in effetti non ho proprio nulla da fare. Cavolo. Sono senza lavoro, ormai. 

Ho sonno. Ho fame…e non so dove andare. Per di più non ho il becco d'un quattrino. Fantastico. 

 

Senza nemmeno rendermene conto, ero piombata a terra come un sacco di patate. Dall'esterno la scena doveva essere sembrata ridicola, ma posso assicurare che dal mio punto di vista la cosa non era altrettanto divertente. Un dolore lancinante alla testa mi riportò sulla terra. Già, svenire sulle scalinate non è certo una passeggiata. Come avevo previsto, assistere a cretinate del genere alle sei di mattina, quando uno è talmente seccato dal doversi alzare così presto e non aspetta altro che la città gli regali qualcosa di interessante o meglio, esilarante, fa ridere e il giornalaio, non avendo di meglio da fare, si mise a guardarmi divertito. 

 

"Ehi, ragazzina". Ragazzina? Ho 30 anni, accidenti! "non sarà meglio che tu vada a dormire?” 

Ma bravo, che intuizione geniale. 

 

“La mia intenzione era quella, ma poi mi hanno sbattuta fuori e ora come ora il mio unico letto sono queste schifo di scalinate”,  risposi con l’educazione di un gorilla. 

D'un tratto, l'espressione dell'uomo era cambiata: il sorriso ebete di pochi istanti prima era scomparso e al suo posto uno sguardo colmo di rammarico nei miei confronti si era disegnato sul suo volto.

 

Senza dir più nulla aveva ripreso a sistemare la sua merce fresca di stampa. 

 

Perfetto faccio pure pena al giornalaio adesso.

 

Accidenti però, avrei voluto che fosse lui a reagire. Niente. 

Mentre riflettevo sul fatto che non sapevo minimamente perché desiderassi proprio la sua attenzione, iniziai ad avvertire i morsi della fame. Cercai di tossire per celare quel gorgoglìo imbarazzante proveniente dal mio stomaco.

 

Dio, sto proprio cadendo in basso... 

 

Mi accorsi ben presto che cercare di nascondere i suoni provocati dal mio digiuno forzato con qualche colpo di tosse non sarebbe servito a nulla. Feci per andarmene, il mio senso dell'orgoglio mi impediva di far sapere a tutti che non mangiavo nulla da giorni, quando udii un grugnito che mi suonò stranamente familiare venire dalla mia destra e voltai leggermente la testa per scoprirne la fonte. Lui, si trovava proprio al mio fianco e per un attimo mi ero scordata di quanto fosse vicino. Pensai che quella specie di suono profondo assomigliasse molto a quello di Rorschach, ma poi mi convinsi del fatto che no, non poteva essere, probabilmente era solo una coincidenza. Forse l'avevo addirittura immaginato; i morsi della fame potevano dare allucinazioni? Continuai a guardarlo, il suo volto era sempre tuffato tra le pagine del quotidiano. La mia necessità di ingurgitare qualcosa di vagamente commestibile non mi dava tregua, non mi sentivo così in imbarazzo fin dai tempi delle medie, quando Nancy Woodman mi aveva appiccicato una cicca tra i capelli e io per nasconderla ero uscita dalla scuola con la sciarpa avvolta intorno alla testa, cercando di far finta che fosse la cosa più normale del mondo. Decisi di tornare al mio piano originario e andarmene a cercare qualcosa da mangiare. Se fosse stato necessario, avrei potuto anche…diedi una rapida occhiata ai cassonetti che giacevano a bordo strada, ma ritrassi subito lo sguardo, disgustata dall'idea che mi era appena passata per la mente. Provai ad alzarmi, ma la testa prese a girarmi talmente forte che dovetti arrendermi al fatto che per un po' avrei dovuto starmene lì e, forse, cercare almeno di dormire un po', dato che la stanchezza era un problema non così secondario alla fame.

 

Rassegnata dal fatto che lui non mi degnasse di uno sguardo, mi rigirai con lo sguardo rivolto verso il nulla, dormendo a occhi aperti. Il cranio mi doleva e dovevo avere la stessa faccia di un battitore dopo aver mancato l'ennesima palla. 

Stavo per arrendermi a Morfeo quando percepii un leggero frusciare di pagine e una voce graffiante e cupa che mi diceva “Prendi. Tavola calda, laggiù. Il caffè è buono”. 

 

L'uomo dai capelli rossi mi stava porgendo qualche spicciolo, tendendo la sua mano curiosamente minuta verso di me. Doveva essere un grande sacrificio per lui, che sicuramente non era vestito in un modo che la gente per bene avrebbe definito dignitoso, quindi ringraziai e tentai di prenderli con educazione, ma nel compiere il gesto la pelle della mia mano sfiorò leggermente la sua e lui la ritrasse quasi impaurito, sparpagliando il denaro sul marciapiede umido di condensa mattutina. Sorpresa, cercai di sfoggiare l'espressione più neutra che potevo assumere, non dissi niente e mi limitai a raccogliere una per una le monetine sparse per terra, poi, alzai finalmente lo sguardo. Al momento, alche se avrebbero garantito la mia sopravvivenza almeno per un altro po', proprio non mi importava dei soldi; finalmente avevo modo di osservare bene il viso di quell’uomo misterioso…lo esaminai con una perizia maggiore del solito e notai dettagli ai quali prima avevo fatto caso solo superficialmente: la mascella, sottile ma squadrata, era coperta da un sottile strato di barba ramata, mentre nella parte alta del viso spiccava concentrato come le stelle nella via lattea un gruppetto di lentiggini che punteggiavano violentemente gli zigomi troppo prominenti, per poi diradarsi in prossimità dei solchi delle guance che parevano scavargli la faccia. Il contrasto che quei piccoli, incantevoli ovali aranciati creavano su un volto dai lineamenti così duri davano all'uomo un’aria quasi infantile.  Gli occhi, impenetrabili e profondi, erano di un azzurro cangiante che avrebbe impressionato chiunque, tanto che sarebbe stato impossibile assegnar loro una determinata, conosciuta gradazione di colore. A dirla tutta, non si poteva certo affermare che fosse il classico bell’uomo che fa perdere alla testa a qualunque donna, anzi sono sicura che molte donne superficiali, e io avevo esperienza in questo campo dato che avevo vissuto circondata da menti femminili votate alla venerazione dei quattrini, più che alla personalità, avrebbero pensato che fosse  “strano” e  quindi “poco interessante”. Era interessante eccome, invece. Almeno dal mio punto di vista. Mi sembrava assurdo, però: l'avevo sempre guardato  da lontano; incuriosita, certo, ma mai interessata in quel senso. Non aveva fatto niente di che, non aveva detto assolutamente nulla se non quella breve frase composta quasi da monosillabi poco prima di consegnarmi, o meglio, tentare di consegnarmi il denaro… eppure nonostante non fosse un tipo particolarmente eloquente io in quel momento pendevo letteralmente dalle sue labbra. 

 

Sarà sicuramente colpa del mio stato mentale attuale… sarà che ho fame e sonno, e che a dirla tutta mi sento sola e un po' impaurita. Lui è stato gentile con me, a occhio deve avere più o meno la mia età…logico che il mio cervello mi giochi brutti scherzi. Si, di certo è per quello.


Cercavo di dare una spiegazione logica al mio accanito interesse per lui quando mi accorsi che entrambi ci stavamo guardando, esaminando. Vedendomi emergere dal mio "mondo dei sogni", voltò la testa dall’altra parte e grugnì di nuovo. Mi accorsi che si stava spazientendo. Colta alla sprovvista, balbettai un flebile “Grazie di nuovo…per i soldi, intendo”, che fu seguito qualche istante dopo dall'ennesimo brontolio. Si, stavo iniziando a trovare adorabile il fatto che per il novantanove per cento delle risposte utilizzasse quel mugugnare grave. Mi dissi che con tutta probabilità stavo iniziando ad avere seri problemi mentali e, senza aver il coraggio di dire altro, mi alzai e mi avviai verso quella benedetta caffetteria. 

 

Ammetto che dopo qualche metro non riuscii a resistere alla tentazione di voltarmi indietro, seppur cercando di non dare nell'occhio, e scoprire se il suo sguardo mi stesse seguendo o meno. 

La risposta era no. Se ne stava lì fermo, come al solito, con quel suo quotidiano tra le mani. Statuario…accidenti. 

 
   
 
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