LUNAMORA
Luna.
More di rovo.
Labbra e
pelle
profumate, capelli di seta tagliente.
“Seduci
la tua dama.” ordinano
gli occhi di lei.
Sono
maliziosi, lo stanno
sfidando.
Cala la
notte, quando
solleva le palpebre.
…
Ed
è più nera.
Mani candide
e unghie
lucenti…
Pruni di
rovo.
Strappano le
vesti di
dosso al suo signore.
Artigli e
profumo di
more.
Sorride e
compare il
labirinto.
Lui
è perduto.
“Non mi piace.”
Si portò la sigaretta alle labbra e aspirò profondamente
“Non mi piace proprio.”
“Sai, Rodolphus, per tutta la vita ho creduto che tu fossi stato risparmiato dalla maledizione di famiglia.” Rabastan posò il bicchiere vuoto e si lasciò cadere scompostamente sulla panchina di pietra. “Ricordati di questo giorno, fratello, perché è quello in cui hai distrutto l’ultima certezza che mi rimaneva.” piegò le labbra in un sorriso. “Adesso so che sei pazzo, come tutti noi.”
“Pazzo?!” ribatté quello “Lo sarei se acconsentissi a sposarla. E’solo una bambina.” e spense con decisione la sigaretta sul tavolo.
“Ha quindici anni.” precisò l’altro con tono eloquente. “E’di origini nobili ed è bella.”
“E’ scialba.” rispose, fissando la ragazza che suo padre aveva scelto per lui.
Era seduta rigidamente al centro del giardino, di fianco a sua madre. I suoi capelli erano perfettamente acconciati: fiori di stoffa lilla risplendevano tra le ciocche dorate e le pieghe del suo abito, rigorosamente in tinta, ricadevano eleganti ai lati della sedia.
Teneva gli occhi bassi, sulle mani guantate, e parlava sussurrando soltanto se veniva interpellata.
Un’inutile bambola.
“Pensavo che ti piacessero le ragazze dolci e arrendevoli.”
“Solo come passatempo di una notte; mi aspetto qualcosa di più da quella che sarà mia moglie.”
“Malfoy si rode di gelosia, lo sapevi questo? Ti ucciderebbe se potesse.”
“Malfoy è un codardo e suo padre un opportunista. Vuole per suo figlio una delle ragazze Black perché la loro dote supera di duecento galeoni quella di qualsiasi altra fanciulla purosangue.”
“E quali sarebbero, invece, le nobili motivazioni di nostro padre?”
“Vuole una nuora bella e stupida, che dia lustro alla nostra casata durante le serate mondane, ma che non interferisca in alcun modo con le sue decisioni.”
“E tu? Interferirai con le sue decisioni?”
“Non appena avrò al mio fianco una donna che non abbia paura di combattere.”
“E questa donna… esiste già?”
Rodolphus sorrise.
Lunamora.
Esisteva.
Era
stato suo padre ad insistere perché presenziasse
al ricevimento in casa Black; voleva mostrargli la ragazza che aveva
scelto per
lui, prima di cominciare a discutere di patrimonio con il padre di lei.
E
di
certo non dubitava che il maggiore dei suoi figli sarebbe stato
entusiasta
della giovane -aveva avuto premura di dire con slancio, qualche istante
prima
di varcare la soglia-.
Lei
era bionda, raffinata e sottomessa al volere della propria
famiglia; perfetta per diventare sua moglie, a sentir suo padre.
Rodolphus
buttò giù un sorso di whisky e
abbandonò la sala.
Insipida.
A
lui non era piaciuta.
Lo
aveva salutato con la cortesia distaccata e indifferente che si
addiceva ad una signorina di buona famiglia, ma la mano, che lui le
aveva baciato
galantemente, era fredda e leggermente umida di
tensione.
Era
troppo giovane per lui e troppo spaventata.
Composta,
silenziosa e debole.
Non
le aveva chiesto di
danzare, prima di
andarsene.
Il
giardino di casa Black era
esattamente come i suoi
proprietari: compito, artificioso e avvolto dalla penombra quieta della
sera.
Ogni arbusto era stato tagliato in modo che niente potesse rovinare
l’armonia
del luogo; i viali erano puliti e i fiori disposti con grazia, come se
qualcuno
avesse deciso per loro il luogo e il momento esatto in cui sarebbero
dovuti sbocciare.
Narcissa.
Rodolphus
sbuffò di noia e si addentrò nei viali
retrostanti la casa.
Lì
c’erano alberi avvolti da rampicanti, aiuole sommerse da
fiori di
campo ed erbacce, e foglie morte a nascondere i sassolini lucenti dei
sentieri.
Se
i giardini riflettevano i loro proprietari, allora lui si era appena
imbattuto nel vero volto della famiglia Black:
l’oscurità che si cela dietro
alla facciata splendente.
Si
addentrò verso la parte più nascosta e distante;
non c’era
illuminazione che arrivasse fin laggiù, soltanto il debole
riflesso della luna,
a creare ombre tremule sui suoi passi.
Si
voltò seguendo inconsapevolmente il baluginare pallido dei
petali e
scorse un movimento troppo lento e misurato per appartenere alla natura
mossa
dal vento; in mezzo ai fruscii colse un respiro.
Una
ragazza.
Il braccio pallido posato con noncuranza
sulla spalliera della panchina di pietra e l’abito
scintillante e malizioso
sotto la luce della luna.
Lunamora…
I
capelli le ricadevano sciolti sulle spalle e sul seno, lisci e pericolosi come seta tagliente,
neri e lucidi.
“Bellatrix
Black.” constatò
il ragazzo.
“Finalmente ho il piacere di conoscere la primogenita.”
Lei
non rispose, lo fissò soltanto… e lui non
poté ignorarla.
Aveva
uno sguardo accattivante e provocatorio.
< Conquista la tua dama > sembravano
dire i suoi
occhi scuri.
Teneva
in mano un calice di cristallo, pieno a metà e con
l’altra
coglieva distrattamente i piccoli frutti che la pianta più
vicina le offriva.
More
di rovo.
Se
le portava alla bocca con misurata lentezza, una alla volta.
Le
dita che indugiavano sulle labbra piene, sfrontate, seducenti e
talvolta imbronciate, quasi volessero accusarlo di mancanza
d’interesse.
Lui
socchiuse occhi, irritato
e stregato in
ugual misura.
“Sarebbe
questo il tuo modo di rispondere?” la punzecchiò
avvicinandosi
alla panchina e sovrastandola con tutto il suo corpo.
Lei
sorrise porgendogli la mano, lui capì che non avrebbe
rifiutato.
“E’
questo il mio modo di
rispondere.” e
incurante dei rovi lo trascinò con
forza verso di sé.
Artigli
lucenti.
Unghie.
Pruni
di rovo.
Sangue
scuro sulla camicia…
Rodolphus
trattenne una smorfia e osservò la manica lacerata. Poi di
nuovo lei.
Lunamora.
Strappa
le vesti di dosso al suo signore…
La bella dagli occhi neri, circondata dai
rovi, dalle rose irraggiungibili e dalla luce fioca della luna.
Lunamora.
Le
scostò i capelli dal collo con la mano ferita. Aveva
le spalle nude, il seno traboccava sensualmente dal
corpetto stretto e
rigido.
…
Ad ogni respiro.
Si
chinò sulla sua bocca; le labbra rosse profumavano di more
selvatiche.
Lei
si ritrasse, falsamente debole.
“Sei
il promesso sposo di mia sorella.”disse con voce suadente,
lasciando scivolare con noncuranza la mano lungo il braccio
di lui.
Sulle
sue dita, lui vide il proprio sangue.
Nero
e caldo, non solo rosso desiderio…
Stessa
anima.
“Non
ancora.” sussurrò.
Il
vento soffiò più forte, più freddo;
Rodolphus osservò il seno
di lei tendersi sotto la stoffa del vestito.
Era
bella, procace e voluttuosa.
More
di rovo…
Pericolosa
e profumata…
Luna
fredda.
Lunamora.
Avrebbe
voluto distenderla sotto di sé e prenderla con la forza,
proprio lì, sulla pietra gelida della panchina.
“Mi
vorresti?” le chiese invece con voce roca. “Se
chiedessi te in sposa al posto di tua sorella, accetteresti?”
Lei
sorrise e senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi,
rovesciò sul
terreno ciò che rimaneva del suo champagne.
Gocce
di desiderio su un terreno già bagnato…
Lui
deglutì e protese la mano per afferrare l’unica
cosa che lei gli
porgeva.
Il
calice vuoto.
Enigmatica
e seducente.
…
e incurante.
Se
ne stava andando, voltandogli la schiena.
Si
adagiò scompostamente sulla panchina e la osservò
attraverso il
vetro del calice mentre scompariva nell’oscurità.
Lei soddisfatta, lui con le labbra e la gola
arida e un bicchiere vuoto tra le mani.
Sorrise,
nonostante tutto.
Era
la sua dama.
Lunamora.
“Allora, esiste?”
Rodolphus guardò suo fratello.
“Esiste.”
“Cosa farai ora?”
Non rispose, si alzò dirigendosi verso il gruppo di uomini che parlavano a pochi passi da loro. C’era anche loro padre, là in mezzo.
Rabastan lo seguì con lo sguardo.
“Padre” lo sentì chiamare, e increspò le labbra in un sorriso consapevole. “Vorrei parlarvi…”
FINE