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Autore: GiulianaG    16/03/2015    0 recensioni
"Quando ho posato il mio sguardo su di te, tutto sembrava scomparire"
Genere: Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Quando ancora oggi chiudo gli occhi e cerco di dare senso ai miei pensieri, mi ritornano alla mente alcune immagini. Non avrei pensato che ritornassero così spesso. A quel tempo mi sembravano faccende banali, niente che meritasse di essere ricordato, oggi sono le cose più care che ho. Mi ricordano una parte di me che non ha avuto più modo di uscire alla luce, da una parte perchè tutt'oggi io sono una persona molto diversa e , dall' altra, perché penso che sia meglio così, che certe cose rimangano assopite. Ci sono molte cose che vorrei raccontare, ma sono sicuro che se il tempo me lo permette tutto sarà affrontato a tempo debito. Sono qui, con questi vecchi fogli mai usati davanti, sul tavolo della mia piccola stanza, ho una di quelle vecchie penne nere ad inchiostro in mano. Mio padre morrebbe se mi vedesse fare qualcosa del genere, scrivere le proprie memorie, renderle pubbliche a degli estranei, inaccettabile. Non siamo mai stati d'accordo su questo punto anzi, solo il pensiero che qualcosa di me rimarrà in questo mondo da una parte mi riempie di euforia e dall'altra di paura, paura che l'immagine che resterà di me non sarà beh me. Nella mia lunga vita, ho amato soltanto due cose. L'arte e mia moglie. Da giovane, portavo sempre un blocchetto di fogli in giro, prendevo spunto da tutto. Volevo viaggiare e conoscere altre culture, a quei tempi potevi sentir solo parlare della Grande Muraglia Cinese o dei templi antichi greci, una cosa ,però, mi aiutava. Abitavo in una delle più forti e belle nazioni allora esistenti, l'Italia, il sogno di milioni e milioni di persone. Giravo per la città eterna e non riuscivo a staccare gli occhi dall'alto, le costruzioni imponenti occupavano tutta la mia vista. Salivo su scalini e scalini, con un basco nero in testa e una sciarpa rossa al collo, disegnavo e disegnavo, cercavo i segreti di quegli antichi palazzi, che cosa li faceva restare in piedi dopo così tanto tempo? Cosa volevano dire veramente i bassorilievi che trovavo incisi? Tutto ciò mi affascinava. Ero circondato da arte, donne nude danzanti coperte da un velo trasparente, nei miei occhi vorticavano tanti colori e la mia vita era così, colorata. Un giorno, mentre passeggiavo fra le strade della città, vidi da lontano una statua di un angelo. Girai il vicolo e mi trovai davanti un' antica costruzione, potevo scorgervi sopra una scritta, il nome Alexander. Fotografai quel palazzo, scattavo diverse foto, una dietro l'altra, non bastava una foto, il paesaggio stesso cambia sotto i nostri occhi, la luce non è mai la stessa. L'angelo sembrava indicare qualcosa, con la sua mano. Guardai nella direzione indicata, portava ad un altro piccolo vicolo, com'è possibile che quell'antica costruzione fosse ignorata dalla maggior parte della gente? Passava insofferente e andava verso la propria vita. Io non ci riuscivo, stavo lì, con le gambe divaricate e una macchina fotografica in mano. Avevo le foto, ognuna più bella dell' altra ma io cercavo la perfezione. Mi accorsi che nel vicolo di sinistra, proprio quello che indicava l'angelo, partivano delle scale, avrei potuto vedere meglio tutto il complesso. Iniziai a salire ma mi bloccai. Sulla somma delle scale c'era un piazzale, un solo albero c'era e sotto di esso una panchina. Occupata. Sbattei gli occhi diverse volte. C'era una ragazza, portava un vestito a fiori, bianco con rose rosse, i capelli biondi lunghi ricadevano sulle sue spalle a boccoli. Aveva un libro in mano, sembrava fuori dal tempo, era così perfetta in quella giornata di primavera. Il sole splendeva sui sette colli. Mi venne l'impulso di racchiudere tutto in una fotografia. Scattai. La foto era bellissima e dimenticai temporaneamente delle costruzioni, delle trascrizioni, delle pietre e della storia. Questa era la mia storia, il mio memento. La ragazza alzò gli occhi dal libro, sentendosi osservata. Rimase sorpresa a vedermi lì, dove dieci minuti fa non c'era nessuno e mi guardò come a decidersi come doversi comportare. Mi avvicinai, lei posò il libro accanto a sè. -Ciao- dissi sorridendole -Ciao Presi la foto e gliela porsi, le sue mani erano fredde ma delicate. -È per te -Davvero?- disse guardandola.- Questa sono io- -Già, pensavo avresti voluto averla. Mi guardò negli occhi, non so cosa ci vide ma so cosa ci vidi io, i suoi occhi potevano sembrare marroni da lontano ma ,in realtà, era tutta una farsa, diventavano verdi illuminati dal sole. -Beh, grazie allora -Di niente- dissi infilandomi le mani in tasca e sedendomi vicino a lei. -Che leggi? -Il Cavaliere D'Inverno, l'hai mai letto? -No, lo ammetto- dissi ridendo -Ti sta piacendo?- -Non lo so, descrivi "piacere"- -Ah ho capito- dissi ridendo -Però mi sembra familiare- disse guardandomi. -Aspetta- dissi- Dimmi un po' di cosa parla? Lei rise, era ancora più bella quando rideva. -Di un soldato che vede una ragazza che mangia un gelato mentre aspetta l'autobus. -Beh, qui manca il gelato- le feci notare. -Si, e allora?- disse perplessa. -Allora- dissi alzandomi e mettendomi di fronte a lei -dobbiamo andare a prendere questo gelato- -Stai scherzando?- disse sorpresa - No, te lo giuro- dissi facendo la croce sul cuore -Puoi scegliere il gusto che vuoi, tentata? -Un pochino- disse. Risi. -Ok, d'accordo, da questa parte, per favore- dissi facendo finta di essere un maggiordomo. -Ma che galanteria- disse prendendomi il braccio che le avevo offerto. -È di famiglia, non badarci -Ah davvero? -Davvero- dissi girandomi a guardarla. -Beh, a me no- disse pestandomi il piede e iniziando a correre -Chi arriva per ultimo offre- disse urlando. La guardai sorpreso e divertito, il suo vestito bianco ondeggiava al vento. -Ci puoi scommettere- ruggii, lasciandole quel vantaggio che aveva guadagnato. Che vi avevo detto? Sono un gentiluomo.
   
 
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