Ben
ritrovati amici del fantamondo di Efp! Vi
ringrazio per le recensioni
lasciate nel precedente capitolo e per avermi incoraggiato a continuare
questo
delirio Stydia comico e a tratti demenziale, ma penso che questi
battibecchi
siano un toccasana per il progressivo – ahimè
– allontanamento di questi due
paperotti çwç Ribadisco ciò che ho
detto in precedenza ovvero che si ambienta post
3A, circa un anno dopo (senior year),
nessun nogitsune, no Kira
e no Malia –
probabilmente con la partecipazione straordinaria di Aiden,
oltre che di personaggi sporadici disseminati nei capitoli.
Dopo un breve riepilogo, non mi resta che lasciarvi a questo proseguito
invitandovi come sempre –e se lo vogliate – ad
esprimere le vostre
considerazioni in merito. A me non può che fare piacere.
Buona
lettura!
Storyline:
Stiles, bambino
esuberante, adocchia Lydia dal loro primo giorno di scuola insieme. Pur
progettando marachelle di vario genere, Stiles sa bene che ci vuole di
più per
guadagnarsi l’interesse della piccola Martin. Il suo piano
decennale prevede i
più disparati modi per farla innamorare di Stiles Stilinski,
ma se c’era una
cosa che quel piano non menzionava, era il baciare Lydia Martin
– cosa che per
la verità era avvenuta con una dinamica particolare.
[Avvertimenti: AU-ish ; Future!Stydia]
Ten years plan
– come innamorarsi di Stiles Stilinski e
non ucciderlo nel tentativo.
Non
si era saputo con certezza il luogo,
l’ora o la dinamica degli eventi. La notizia si era diffusa
come un cicaleccio
allegro per i corridoi della scuola: Stiles Stilinski era riuscito
finalmente a
baciare Lydia Martin. Per la verità in molti omettevano il
‘per la seconda volta’,
ma probabilmente
ciò accadeva perché in pochi erano a conoscenza
di quel bacio-quasi-bacio i cui
unici testimoni erano stati gli armadietti dello spogliatoio maschile.
Molto probabilmente non contava.
*
Stiles
Stilinski. Lo
scarabocchiò in cima al suo quaderno di appunti mentre in
sottofondo la lezione
di spagnolo continuava a svolgersi. Più che ‘in
sottofondo’, la professoressa
stava starnazzando con accento castigliano, ma a Stiles andava bene
anche così.
Rimarcò
a tratti le due esse e ricalcò i
punti delle i. Anche se non era il suo vero nome, gli piaceva firmarsi
in quel
modo. Onomatopeico lo considerava
lui.
Lydia l’avrebbe definito meglio come cacofonico,
ma non importava.
Stiles
Stilinski. Lo riscrisse di nuovo,
questa volta facendo attenzione che le lettere non sporgessero al di
sotto
della linea retta del rigo.
Lydia
invece aveva un nome e un cognome
lineare, senza montagne russe o giravolte esorbitanti. Era Lydia ed era
Martin,
due diversi suoni ma circa della stessa lunghezza. Mentre il suo
Stilinski
aveva tutte quelle esse sibilanti e quelle curve, più o meno
come la propria
personalità.
“Señor
Stilinski?” lo richiamò l’anatra
spagnola e Stiles rinsavì dai suoi guazzabugli mentali.
Con
la gommina rosa sull’altra estremità
della matita cancellò la grafite che componeva il proprio
nome. Giusto lo spazio,
realizzò il ragazzo
impugnando nuovamente la matita dal lato corretto.
Lydia
Stilinski. Lo riscrisse
di nuovo, questa volta per intero.
Lydia
Stilinski. Suonava proprio bene.
E per
gioia della banshee, non era
cacofonico.
*
Lydia
Martin era strana.
Nonostante
avesse un quoziente
intellettivo di molto superiore alla media dei suoi coetanei, rimaneva
pur
sempre un esponente del genere femminile e, banshee o meno, aveva
quella nota
di isteria sempre a portata di lingua.
“Quindi
la signorina Finch ti ha detto
che non esiste il–?”
“Teorema
di Cauchy-Kovalevskaya. No che
non esiste. Ma che l’ho applicato erroneamente” lo
rimbeccò una volta sedutasi
a mensa nel suo stesso tavolo.
“Ho
ricontrollato la dimostrazione e i
casi in cui si applica e a, rigor di logica, il problema era solvibile anche con quel metodo. Non capisco cosa
intendeva per erroneamente”.
Lydia
si ricoprì il mento con la mano a
sostegno della testa mentre osservava Stiles progettare con gli occhi
quale
pietanza consumare per primo, se tuffarsi sull’insalata di
pollo o al contrario
divorare l’hamburger.
“Ah”
concluse sconfortato lo Stilinksi che di triangoli e ragionamenti
matematici
conosceva solo quelli utilizzati in centrale per la risoluzione di
omicidi. Non
che la sua indole matematica si fermasse solo a questo, ma non arrivava
neanche
lontanamente ad eguagliare le conoscenze della Martin.
Lydia
apparve delusa da quella risposta
secca – e stupida.
Stiles
notò che davanti alla camicetta
della banshee non c’era alcun vassoio.
“Vuoi?”
chiese sventolandole sotto il
naso la barretta di riso soffiato al cioccolato che aveva scartato ma
non
ancora addentato. Lydia si concesse quel piccolo peccato di gola
accettandone
metà e restituendo il resto al proprietario.
“Grazie”
balbettò Stiles, non sapendo con
esattezza per cosa la stesse ringraziando.
Forse
per avergliene lasciata un pezzo.
Forse per aver accettato.
*
“Non
c’era bisogno di farci compagnia
fino a quest’ora per una ricerca di storia”
Stiles
comprese l’occhiata di scuse
scoccata da Allison per il tono – acido era un eufemismo
– piccato con il quale
l’amica aveva esordito per l’ennesima volta,
percorrendo il corridoio buio e silenzioso della scuola.
I due
faticavano a tenere il passo della
Martin la quale, sebbene i notevoli centimetri sotto i piedi, si
ostinava a non
rallentare l’andatura.
“Lydia,
hai presente quante volte questa
scuola di notte è diventata il covo di esseri sovrannaturali
assetati di sangue
e di vendetta?” chiese ironico Stiles, affiancandola con
un’ampia falcata e
lasciando a malincuore la Argent alle sue spalle.
Lydia
sembrò non badare a quelle
giustificazioni – a detta di Stiles ragionevolissime.
“No,
dico: ti rendi conto dell’alta
percentuale di cadaveri che hanno rinvenuto in questa
scuola?” continuò
imperterrito lo Stilinski, lanciando di tanto in tanto segnali
d’aiuto alla
cacciatrice, la quale, di tutta risposta, se la rideva sotto i baffi.
“Conta
più defunti che studenti!”.
“Stiles?!”
Lo
Stilinski si arrestò e quasi non finì
addosso alla banshee. Per la verità avrebbe tanto voluto
finirle addosso, ma
meglio non peggiorare ulteriormente la situazione.
“Si?”
le balbettò ad un palmo di naso.
“Non
è morto nessuno oggi” sentenziò
soddisfatta regalando una pacca sulla spalla a Stiles e invitando
l’amica a
seguirla nel parcheggio retrostante.
“Credo
che ti abbia appena ringraziato”
spiegò Allison ad uno Stiles incredibilmente sbigottito.
“Perché
lo credi?”. “Perché quando lo fa,
dimentica qualcosa” concluse la Argent sventolandogli davanti
il quaderno che
Lydia aveva scordato tra le mani di lei.
In
qualche modo Stiles le fu riconoscente
per quella delucidazione.
*
“Tanya”
Stiles
alzò lo sguardo dal settimo
quesito di una comprensione del testo e lo rivolse alla ragazza distesa
prona
sul suo letto. Tanya, chi era Tanya?
Lo Stilinski cercò di elaborare il nome.
“O
forse Melanie”
incalzò Lydia ispezionando le punte dei suoi capelli. Il
quaderno davanti a lei già riempito con il saggio per il
giorno dopo. “Decisamente
non Paula”.
Stiles
fu sul punto di girarsi e lasciar
perdere l’interessantissima
spiegazione su ‘l’eterogenesi dei fini’,
ma non
era curioso. Davvero. Diversamente disinteressato, forse. Ecco, sì.
“Di
chi stai parlando?” chiese ruotando
con la sedia girevole e finendo con il cozzare con il proprio letto a
tre palme
di naso dalla banshee. Okay, forse curioso
era il termine più corretto.
“Della
ragazza che esultava per te durante
gli allenamenti di lacrosse” insinuò la Martin
retrocedendo sul letto e
mantenendo le giuste distanze. Dannate
distanze, convenne Stiles.
“Ho
fatto schifo agli allenamenti di
lacrosse” obiettò lo Stilinski aprendosi nelle
spalle. La verità aveva un gusto
amaro in bocca.
“Appunto.
Ottimo modo per capire che le
piaci davvero” cantilenò Lydia sorniona cosciente
dell’elevato tasso di
imbranataggine di Stiles, il quale non seppe se immusonirsi o esultare.
“Lo
credi davvero?” le domandò,
speranzoso di ottenere una risposta compiuta e non una delle solite
occhiatacce. Ma stava parlando con Lydia Martin e, ahimè, le
occhiatacce erano
il suo pane quotidiano.
“Che
fine ha fatto la povera Bethany?” lo
interpellò, rigirando la frittata già sul punto
di bruciarsi.
Questa
volta fu Stiles a non rispondere.
*
Alcuni
avevano giurato di averli visti
rinchiudersi in uno sgabuzzino. Altri ancora avevano insistito col dire
che era
stata tutta colpa di una stampante. Ma quasi tutti concordavano nel
dire che
fosse stato merito del Coach.
Finnstock,
dal canto suo, non diede mai
la sua versione dei fatti.
Il
caso rimase irrisolto.
*
“Più
su”
Era
da circa quarantacinque minuti che
Lydia lo vezzeggiava cantilenando quelle parole sino allo sfinimento.
Stiles,
che in quei quarantacinque minuti aveva metabolizzato rassegnato
l’evento, si
era promesso di tradurre il linguaggio della Martin ad uno
più confacente alla
sua statura. Per esempio aveva
appreso che il suo ‘continua’ voleva dire
‘solo una volta’ e i suoi
‘basta’
erano ‘ancora un altro po’’. Era quel
‘più su’ che rimaneva intraducibile
rapportato ai suoi centosettantadue centimetri.
“Va
bene?” chiese uno Stiles sulla
sommità di una scala, in procinto di spalmarsi sulla parete,
con le braccia
stese a lisciare un lenzuolo che puzzava di colori acrilici.
Attività
ricreative le chiamavano.
“A
destra” avanzò la banshee, non del
tutto convinta della perpendicolarità dell’opera
in questione.
“La
mia
destra” puntualizzò.
“Così?”
Stiles
aveva acquisito da madre natura
diversi doni, ma sicuramente nella lista non erano compresi i riflessi
pronti.
Per cui, spingendosi oltre l’inverosimile per raggiungere la
famigerata destra
indicata da Lydia, non poté quindi impedire quando, con un
gesto maldestro, si
sporse così tanto dalla scala da spintonare il barattolo
semivuoto di vernice.
Per
fortuna, pensò
riacquistando nuovamente l’equilibrio, ma dovette rimangiarsi
in fretta quelle
parole quando si rese conto del danno appena commesso.
“Stilinski,
non so se sia più irritante
la tua presenza o la vernice che mi è finita negli
occhi” esordì laconico Bob
Finnstock ricoperto in viso da una mistura blu brillantata.
“E’
idropittura” tentò di minimizzare ma Lydia
lo fulminò con lo sguardo.
“Rimarrete
qui a compilare questi moduli
in sala informatica!” li apostrofò entrambi non
sapendo bene dove guardare per
via della pittura negli occhi. “Alla vostra età ci
verniciavano i culi delle
scimmie con questa” borbottò infine.
“Coach,
non ha senso quello che ha detto”.
“Zitto, Stilinski!”
Greenberg,
non ho bisogno di un asciugamano! riuscì
solo a sentire poco dopo che Lydia lo ebbe trascinato in aula
informatica.
Quel
suo ‘ti uccido’ non aveva alcuna
possibilità di essere tradotto – o frainteso.
*
Non
erano soliti andare d’accordo. Per la
verità era Lydia che stracciava ogni sillaba pronunciata
dallo Stilinski mentre
il suddetto si limitava per lo più a cacciar le mosche
dall’entrata della
propria bocca ogni qual volta che la Martin si infervorava –
umettandosi
continuamente quelle labbra
– per dimostrare
che, sì, la sua tesi era corretta. Discutevano. Eccome.
Su di
una cosa però furono per la prima
volta fermamente concordi: era stata tutta colpa di Danny!
*
“Qual
è il problema?” sputò Lydia Martin
dalla postazione numero ventisei dietro uno dei tanti computer della
scuola.
Stiles passò in rassegna l’alternativa di risposte
da poter propinare alla
banshee mentre l’ennesimo
trillo
d’allarme proveniente dalle casse audio segnalava l’ennesimo errore del sistema. Lo Stilinski
scoccò un’occhiata
interrogativa all’esperto Danny, seduto accanto a lui, come a
chiedergli se ciò
che avevano combinato era effettivamente così grave come
appariva.
L’espressione di Danny non prometteva nulla di buono.
“Non
è un problema,” esordì Stiles con
tono pressoché convincente – per la
verità tentava di convincere più se stesso
che Lydia. “E’ quello che scaturisce da questo
ad essere un problema. Uno di quelli grossi”
ribadì ricevendo in cambio un’occhiata furiosa
dalla ragazza in fondo all’aula.
“Me
ne intendo” intervenne prontamente
Danny a risposta delle parole di Stiles, il quale peraltro fraintese.
“Di
problemi – non di…” tentò di
rimediare di fronte ad uno Stilinski boccheggiante, ma il velo di
leggero
imbarazzo venne interrotto dal tacchettio dei passi della Martin.
“Mi
dispiace interrompere il vostro
flirt, ma gradirei risolvere il problema e alla svelta”
Dopo
peregrinazioni cibernetiche varie,
ingarbugliamenti di fili e non, il problema era stato individuato
dall’acume di
Lydia in una minuscola spia gialla lampeggiante.
“La
carta per la stampante?” si interrogò
uno Danny imbronciato ammettendo che sì, forse stava in
quello il problema. Una raggiante
Lydia si offrì
volontaria per andare a recuperare la carta così da
completare l’opera e Stiles
non ebbe bisogno di congedarsi da Danny che già era
attaccato alla sua gonna –
figurativamente parlando.
“Come
hai fatto?”
“Non
era così grosso come pensavate”
cinguettò Lydia sorpassando lo Stilinski.
Il
problema, si ripeteva
Stiles mentalmente. Il problema.
Non
gliel’aveva ancora detto, ma aveva la
gonna sgualcita. Lydia Martin odiava essere in disordine e quella era
una delle
poche e rare volte in cui lo era. Saranno state forse le otto ore
trascorse a
scuola – o, meglio, in compagnia di Stiles Stilinski. Il
ragazzo la osservava
mentre, tutta trafelata, cercava di estrarre una risma di fogli da
stampante da
una mensola dello stanzino del bidello. Chissà in quanti
avevano avuto il
privilegio di vederla in quello stato – senza contare
ovviamente quella volta
del ripasso notturno di chimica organica.
“Stiles
potresti pure renderti utile”
sentenziò la Martin facendo ricascare le braccia troppo
corte lungo i fianchi e
incitando lo Stilinski a fare qualcosa. Del resto Stiles non se lo fece
ripetere due volte. Nonostante lo sgabello adoperato poco prima dalla
banshee e
l’essersi messo in punta di piedi, tanto da far vergognare
una ballerina di
danza classica, quella maledettissima
risma di carta non ne voleva proprio sapere di farsi prendere.
Avranno
assunto l’uomo più alto del mondo
per bidello, non c’era altra risposta logica, continuava a
pensare.
“Ci
provo io” propose nuovamente Lydia
notando uno Stiles sfiancato e dal colorito pressoché
cianotico in viso. Lo
Stilinski non si privò di riservarle un’occhiata
che aveva tutta l’aria di
dirle come quell’idea fosse tutto fuorché intelligente.
Lydia
Martin era un genio. Non tanto
perché il sistema sinaptico dei suoi neuroni aveva partorito
infine una
soluzione a quel cruccio – cosa che per la verità
era stata ben apprezzata da
Stiles – piuttosto per l’aver implicitamente
realizzato una delle fantasie più
recondite del ragazzo in questione il quale non poté far
altro che arrossire.
“Ci
arrivi?” balbettò a capo chino,
cercando di spostare col pensiero l’orlo della gonna che gli
solleticava la
fronte. Perché sì, Lydia Martin aveva elaborato
la stupenda idea di salire sulle
spalle dello Stilinski, idea che era
stata gradevolmente accettata dal
suddetto con tanto di due chiazze rosse a far comparsa sulle guance.
“Quasi”
rispose a denti stretti la
banshee mentre si ergeva, serrando le proprie cosce attorno la testa di
Stiles
per paura di cadere.
Guarda
in basso Stiles. Guarda. Basso.
“Presa!”
esultò assestando un calcio al
torace dello Stilinski il quale, vuoi per la frenesia causata dagli
ormoni,
vuoi per il dolore data la sua gracilità innata, fece
capitombolare a terra
banshee e fogli.
Non
lo aveva progettato nel suo piano.
Non l’aveva fatto neanche quando aveva avuto
l’occasione – da intendersi una
Lydia Martin stesa sul suo letto a due spanne dalle sue labbra. Eppure
era
accaduto.
Lydia
si era alzata ancora tutta d’un
pezzo recuperando la risma di carta con i pochi fogli che erano
fuoriusciti;
Stiles si era lamentato per aver picchiato la testa e nel mentre
chiedeva
preoccupato alla banshee di eventuali ferite
mortali che le erano state inferte durante la caduta sugli
scatoloni e
prodotti detergenti; lo Stilinski aveva poggiato le mani attorno alle
tempie
per assicurarsi che non avesse sbattuto la testa.
Le
guance arrossate di lei, gli occhi
verdi lucidi per la stanchezza, il fiato corto per lo spavento.
Ed
era successo.
Stiles
si era chinato quanto bastava per
far incontrare le sue labbra a quelle di lei le quali, per istinto, si
schiusero.
*
Quando
Scott Mccall quella sera invitò il
proprio migliore amico a casa sua a mangiare una pizza insieme non
riuscì
neanche a fiutare la sorprendente notizia che Stiles non
riuscì a tenere per
sé. “Ho baciato Lydia”. No, il suo udito
da lupo mannaro non l’aveva affatto
tradito. Non c’erano stati mezzi termini o frasi ambigue. Era
tutto chiaro come
alla luce del sole.
Scott
non lo confessò, ma quando Stiles
scese giù a recuperare la pizza dal fattorino fuori dalla
porta, rovistò tutti
i cassetti per ritrovare il suo vecchio inalatore. Inspirò
solo una volta e
notò con suo disappunto che nel suo corpo da licantropo non
faceva nessun
effetto.
Lydia
dovette calmare Prada per quella
sua reazione esagerata a quella confessione. Era stata davvero una cosa
così
brutta? A pensarla come il suo animaletto domestico era stata una catastrofe. Avrebbe dovuto dichiarare lo
stato di allerta per almeno le prossime due settimane.
Stiles
l’aveva baciata. Non si
era avvicinato-accidentalmente-alle-sue-labbra.
L’aveva proprio baciata. E questa volta non era stata lei a
baciare lui. Lei
non aveva fatto proprio niente. O no?
Dopo
una lunga telefonata con Allison la
conclusione era la seguente: Stiles l’aveva baciata. La cosa
peggiore era che
lei lo aveva lasciato fare.
*
“Wow”
Wow. Aveva appena baciato Lydia Martin e
l’unica parola che il suo cervello riusciva a formulare era
un wow. Anni e anni di sproloqui e
parlantina sempiterna sin da quando aveva imparato a gorgheggiare e
tutto
quello che riusciva a dire era un misero e stupido wow.
“Oh”
esordì di tutta risposta la banshee
ancora in punta di piedi e con i fogli da stampante a coprire la
scollatura del
seno.
Stiles
si meravigliò: non era una
risposta da Lydia. Si sarebbe
aspettato un ‘e questo cosa sarebbe? ’ oppure
‘provaci di nuovo e sei morto’.
Non si sarebbe mai immaginato un semplice, sciocco, vuoto e,
soprattutto,
monosillabico oh.
Lo
Stilinski osservò di sottecchi la
ragazza in evidente stato confusionale. Un brivido di paura gli
percorse la
schiena.
Giurò
su sua madre: se Lydia Martin fosse
rincretinita per quel suo bacio, non se lo sarebbe mai perdonato.
*
*
*
Note
d’Autore:
Sarà
insensato forse, ma nutro la paura
che questa continuazione sia stata al di sotto delle vostre
aspettative. Non vi
nascondo che io per prima l’avevo immaginata leggermente
più seria quindi mi scuso in anticipo per quei lettori
che non avevano tenuto in considerazione il ‘fattore
demenziale’. Tuttavia per
quel che mi riguarda, continuo ad essere soddisfatta di questo
progetto: è un
modo per alleggerire anche il destino incerto che aleggia attorno
questa coppia
e che quindi permette di non pensare solo agli eventi dello show
televisivo, ma
rifugiarsi in questo universo parallelo in cui tutti – pur
avendo a che fare
con il soprannaturale – si comportano da studenti e da
ragazzi come è giusto
che sia.
Detto questo, è stata finalmente svelata
la leggendaria dinamica del bacio! Spero di non averla resa troppo
cliché,
della serie ‘la donzella cade
addosso
alle labbra del giovin belloccio’: Lydia cade,
è vero, pure Stiles, povero,
ma il bacio non è affatto dovuto a scherzi del destino o a
cadute, è frutto
della pura volontà di Stiles – che poi sia stato
in uno stanzino, dopo una
caduta è un’altra storia.
Forse starete pensando ‘adesso si sarà
conclusa la storia, ci ha già raccontato del
bacio’, ebbene non è proprio così:
sto progettando di dilatare la storia e di raggiungere i
quattro capitoli,
cercando sempre di non renderla monotona.
Perché se è vero che il bacio
c’è stato,
è anche vero che il cervellino iperattivo di Stiles
dovrà pur tirare in ballo
questo famigerato piano decennale per raggiungere il suo obiettivo.
Ringrazio tutti coloro che hanno lasciato di loro spontanea
volontà una recensione e prometto quanto prima di rispondere
accuratamente.
Alla prossima!
Un bacio,
Sil <3