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Autore: Jessy Pax    17/03/2015    2 recensioni
Quando Oliver e Felicity sembrano poter vivere le loro vite da eroi e amanti senza alcun problema, ecco che il destino si intromette con prepotenza.
Una tempesta sta per arrivare, e una epica collaborazione sta per nascere tra gli eroi di Starling City e Gotham.
Arrow e Batman uniranno le loro forze per sconfiggere i criminali che assediano la città del Cavaliere Oscuro. Ogni eroi avrà il suo nemico e ogni eroe sarà costretto a sconfiggere i propri demoni.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, John Diggle, Nuovo personaggio, Oliver Queen
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Eccoci qui con l'ultimo capitolo di questa mia fan fiction!
È stato un piacere scrivere questa storia perché era da troppo tempo che desideravo far incontrare Oliver e Bruce e finalmente ce l'ho fatta.
Sono disfatta di iò che ho scritto ma sicuramente ho molto da imparare e posso fare sempre meglio.

Grazie anche a voi che avete seguito tutti i capitoli e li avete recensiti.
Questo 6° capitolo è conclusivo, quindi non ci sarà alcuna battaglia ma una bella, grossa, porzione di Olicity!  
E per rimanere in tema, quando incontrerete 
* se potete ascoltate questa canzone perché è esattamente quella che sentivo mentre scrivevo: https://www.youtube.com/watch?v=rtOvBOTyX00 baci ♥ Jessy.

E chissà... magari in futuro scriverò il continuo!
 



Sorgere dell’alba

 
 
 
 
Un semplice uomo non poteva sopportare così tante tragedie nella propria vita.
Doveva esistere un limite naturale che non permetteva ad un essere umano di andare avanti e vivere anche se tutto ciò che lo circondava non era altro che dispiacere e morte. Perché mai un uomo avrebbe dovuto continuare a vivere anche se sentiva di morire? Oliver Queen era attraversato proprio da queste emozioni.
Aveva appena portato in salvo Bruce nel suo covo, le condizioni fisiche di Batman non erano delle migliori, la probabilità che non riuscisse più a camminare incombeva sulla sua testa e, al momento, il signor Wayne non era abbastanza lucido da comprendere la gravità della situazione. Era dolorante e non faceva altro che ripetere al suo fidato amico maggiordomo, di rimetterlo in sesto; di farlo tornare in piedi.
Il volto di Alfred era talmente bianco che Selina temette di doverlo sorreggere per non farlo cadere. Avevano appena vinto una guerra eppure Felicity non era lì presente. Oliver non faceva altro che guardarsi intorno e chiedere spiegazioni all’anziano signore.
Alfred sapere che non sarebbe stata una buona idea quella di mandare la ragazza a detonare quella bomba, aveva avuto il sesto senso che si sarebbe trasformata in una tragedia.
Oliver aveva ormai perso il controllo di se. Diede un pugno al tavolo lì accanto e da quel momento in poi la sua esistenza divenne solamente una punizione.

Oliver non perse tempo a togliersi quell’odioso cappuccio verde da dosso per montare in sella alla sua moto per raggiungere il più in fretta possibile l’ospedale di Gotham. Felicity era ricoverata nel reparto intensivo, il ragazzo non aveva idea di cose fosse successo realmente, non riusciva a sentire nemmeno le voci insistenti degli infermieri e medici che gli ordinavano di restare fuori dalla sala operatoria. Ruggiva e si dimenava e nemmeno la forza di Selina riuscivano a farlo stare fermo.
Oliver non si era nemmeno reso conto che con lui c’era Catwoman, era troppo impegnato a logorarsi nell’animo e a prendere a pugni il muro di quell’ospedale freddo e spento.
Gli girava la testa e iniziò ad avvertire un forte dolore alle tempie.
Non vi era più tratta dell’Oliver razionale e composto. Non esisteva più quel ragazzo che aveva imparato ad essere un soldato, un combattente e un vincitore.
Era semplicemente un colpevole che abitava nel corpo di un uomo.
Si accasciò a terra stremato da quel suo sfogo ininterrotto e infilò il capo tra le ginocchia; prese a dondolare come un bambino terrorizzato e aveva perso la capacità di formulare qualsiasi frase di senso compiuto o qualsiasi parola logica e appropriata ad una situazione delicata come quella che stava vivendo.



 
 
 
Villa Wayne
Il mattino seguente



 
 
Bruce era rintanato nella sua stanza.
La luce fioca del sorgere dell’alba illuminava debolmente le quattro mura del Cavaliere Oscuro.
Si avvicinò alla finestra ma dovette ricordarsi che non poteva farlo con le proprie gambe, ma doveva affidarsi all’aiuto freddo e ferroso di quella stupida sedia a rotelle.
Guardò l’orizzonte, notò che Gotham era ancora coinvolta nelle fiamme della notte. Il fumo grigio e nero si alzava in celo come un segnale d’aiuto.
La città aveva bisogno dell’eroe mascherato. Aveva bisogno di qualcuno che infondesse speranza e giustizia. Qualcuno che combattesse il crimine come nessuno era riuscito mai a fare.
Bruce venne a questa conclusione con un terribile peso al cuore. Le persone, gli innocenti là fuori, avevano bisogno di lui, ma non poteva più essere colui che gli altri chiamavano a gran voce.
Strinse la mano così forte sul bracciolo della sedia che non sentì più il sangue scorrergli nelle vene.
«Signorino Wayne…» Alfred entrò nella camera in silenzio. Bruce trasalì e venne risucchiato da quel suo vortice di rabbia e depressione come un pesce che viene pescato con violenza dalle profondità dell’oceano. «Le ho portato la colazione, Bruce.» il maggiordomo posò il vassoio d’argento sul tavolo affianco al letto. Bruce continuava a guardare oltre la finestra e non riusciva a proferire parola, così l’anziano cercò di spazzare via quel terribile silenzio.
«Sembra essersi ripreso da ieri, il suo colorito è più vivo.» Alfred si sedette sul grande materasso e con un sospiro abbassò il capo, non aveva la forza di guardare quel giovane che aveva cresciuto fin quando era un bambino. Vederlo in quelle condizioni era una tortura. «Sa… la signorina Smoak si è svegliata. Selina ha chiamato poco fa per dare la buona notizia.»
Bruce girò lentamente il viso a quella informazione; sorrise e annuì, ancora avvolto nell’ombra del suo stato d’animo «Alfred, non fingiamo tra noi. Sappiamo tutti quanto è grave la mia situazione. Non potrò più camminare…» Bruce portò le mani sulle grandi ruote d’acciaio e, ruotandole, si allontanò dall’alta vetrata.
«Questo non è sicuro. Non lo sappiamo, signorino Wayne! Le sue condizioni sono solo temporanee. Ha sentito cosa ha detto il medico che l’ha visitato questa notte!» Alfred era ottimista e anche il dottore che era stato chiamato da lui stesso la scorsa notte, aveva dato il suo parere professionale. Bruce sarebbe tornato a camminare, non ora… forse un giorno. Ma doveva crederci.
«Alfred, apprezzo il tuo ottimismo ma guardiamo in faccia la realtà. Io non posso camminare, non posso più essere il Cavaliere Oscuro. Chi proteggerà Gotham? Chi farà giustizia?! Sono inutile, ormai!»
«Oh per l’amor del cielo! Ci penserà qualcun altro, ci penserà la legge!»
«Legge, Alfred? Quale legge? Quella dei corrotti e dei mafiosi? Quella della polizia di Gotham che vende la propria anima terrorizzata dal pensiero di combattere come dovrebbero? Io sono solo. Sono solo con le mie stupide gambe che non camminano. Devo contare solo su me stesso ma come posso farlo se ora non mi è più concesso? Le mie gambe non funzionano più e non sarai certo tu a farle tornare in moto con i tuoi discorsi di speranza!»
Bruce ed Alfred non avevano mai litigato così furiosamente nel corso della loro vita e il maggiordomo fu visibilmente provato da questa discussione. Bruce era come un figlio per lui e odiava sentirlo parlare in questo modo, senza alcuna più speranza.
Il vecchio sospirò alzandosi per avvicinarsi alla porta. Si fermò prima di uscire e andarsene «Bruce, ti ho cresciuto come se fossi mio figlio. Ti ho visto commettere errori e nonostante ciò, è divenuto un uomo e un eroe. Ma…» aprì la porta e fece un passo avanti «Il più grande errore che adesso stai commettendo è quello di allontanare tutti noi. Tu non sei solo, Bruce. Hai me e anche Selina. Non renda la sua crociata più solitaria e devastante di quella che già è.» Alfred non si era mai permesso di rivolgersi al suo padrone in prima persona, gli riservava sempre quel rispetto che credeva fosse giusto. Ma dopo ciò, questa regola, questo principio non valse più.



 
 
 
 
Ospedale di Gotham
 



 
Era la seconda volta che si trovava in uno ospedale aspettando che Felicity si risvegliasse dal suo coma. La prima volta fu mesi prima, quando evitò che un pazzo sparasse a Laurel. Fu talmente coraggioso che si scagliò sul criminale ma quell’uomo la colpì con un coltello e per poco non la uccise. Adesso, invece, era a causa di uno psicopatico o forse due. Che avevano deciso di far saltare in aria una bomba qualsiasi cosa fosse accaduta.
Oliver, appoggiato con la fronte sul pugno attaccato al vetro esterno della stanza di Felicity, la osservava contemplandola da lontano. Sembrava così fragile e innocente, non vi era più traccia di quella sua tenacia, testardaggine e impertinenza che solitamente la caratterizzavano.
«Oliver? Come sta la signorina Felicity?» Ollie si girò, e alla sua sinistra apparve Alfred.
Oliver sorrise allunga il braccio per stringere cordialmente la mano dell’anziano «Dorme ancora, ma è ufficialmente fuori pericolo.» Oliver aveva passato tutta la notte a pensare a quanto accaduto. Sapeva che non doveva permettere a Fel di restare con lui.
«Cosa ha fatto alla mano, signore?» il maggiordomo stringeva ancora la mano del ragazzo, ma vide che era avvolta da delle garze mediche.
Oliver scostò la mano dalla presa di Alfred e la tenne al petto come imbarazzato «Niente, Alfred. Un incidente.» non disse la verità. Quella brutta ferita se l’era procurata con i pugni che aveva scaricato al muro.
Alfred strinse gli occhi credendo poco alla sua scusa e, portando le braccia dietro la schiena, prese ad osservare Felicity attraverso il vetro. «È così bella, quella ragazza…»
Oliver sorrise e concordò con il vecchio. Rimasero in silenzio fino a quando decise di parlare per primo «Immagino che Bruce non se la stia passando bene.»
«Bruce sta vivendo un momento di profonda depressione. Non sarà facile farlo uscire dal suo stato d’animo così perturbato. Ma ce la metterò tutta.»
«Lo capisco. Mi sento un po’ come lui.» rispose Oliver a bassa voce.
Alfred ruotò il busto e lo guardò severamente «Se mi permette, Oliver. Voglio darle un consiglio.» fece una pausa aspettando di ricevere il permesso di Ollie, quando lo ottenne proseguì «Ho visto in prima persona le conseguenze di questa vita da eroe su Bruce. Lo sta devastando, facendolo cadere in un abisso senza ritorno. Il signorino continua a chinare il capo e chiudersi nel suo guscio. Mi allontana. Allontana chiunque provi a stargli intorno. Il suo cuore è ormai una piccola pietra dura e fredda e non ho idea di come fare per farlo tornare a battere.»
Oliver ascoltava pazientemente ma non riusciva a capire dove volesse andare a parare Alfred.
«Quello che sto cercando di dirle, Oliver, è che non deve permettere a se stesso di rifugiarsi in quel guscio freddo e lontano. Preservi la sua umanità. Combatta per la sua umanità. Non si lasci sprofondare nel comodo oblio della colpevolezza e depressione.» Alfred si aggiustò la giacca dando un’ultima occhiata alla ragazza bionda «Quella ragazza ha tirato fuori tutto il suo coraggio la scorsa notte, a testa alta ha combattuto e lottato non solo per la sua umanità ma per quella di tutto il popolo di Gotham. Quando aprirà gli occhi, Felicity vorrà vivere, vorrà sorridere e gioire con lei per la sua vittoria. Non creda che sia stata colpa sua se ha permesso alla sua ragazza di starle accanto.» Alfred sorrise e diede una pacca amichevole e paterna ad Oliver prima di andarsene «L’amore è il veleno e la cura al tempo stesso. Ma dipende da lei cosa vuole che sia per il suo cuore.»
Oliver sentiva una morsa ferrea stringergli il torace, come se le parole di Alfred lo avessero colpito come un treno in corsa. Era riuscito a leggergli l’anima e il pensiero tanto da farlo sentire completamente nudo. Lo guardò allontanarsi fino a quando un’infermiera gli si avvicinò avvisandolo che Felicity si era appena svegliata.

*Oliver entrò nella stanza in punta di piedi e appena Felicity lo vide, stese le sue labbra screpolate in un sorriso raggiante. Ollie prese la sedia e si sedette accanto al letto della giovane.
«Ehi, chiederti se stai bene, non mi sembra il caso ma… stai bene?»
Felicity tentò di ridere ma si limitò a fare una espressione di dolore e provò ad alzare un braccio per intimare ad Oliver di avvicinarsi ancora di più «Sto… bene.» la voce era secca e roca. Non era quella limpida e allegra di Felicity, era semplicemente diversa.
Oliver le prese la mano nella sua e la strinse formando dei ghirigori sul dorso liscio e diafano «Mi hai fatto prendere un bello spavento.» il sorriso non lo abbandonò mai. Stava seguendo il consiglio di Alfred e a tal proposito… «Alfred è stato qui. Anche Selina. Mi ha fatto compagnia tutta la notte. Credo che non ero molto in me.»
Felicity corrugò la fronte e fissò la mano fasciata di Oliver; il ragazzo si affrettò a dare una spiegazione «Non è niente, ho solo tentato di abbattere l’ospedale a suon di pugni!» rise goffamente e si perse nelle iridi chiare di Felicity. Non poteva credere che era lì, sveglia e cosciente. Aveva temuto davvero il peggio.
«Cosa mi è successo?» domandò Fel.
Oliver prese un profondo respiro «Costole rotte e un polmone perforato. Ti è andata comunque meglio di Bruce. Forse dovresti prendere il suo posto ora!» Oliver non parlava in questa maniera. Oliver era sempre musone e poco simpatico, e per niente cinico. Ma essere accanto alla donna che amava, dopo aver creduto di perderla per davvero, lo stava rendendo diverso. Stava facendo emergere quel lato di se che nascondeva a chiunque, persino a se stesso.
Nello sguardo di Felicity si lesse la preoccupazione, la paura e la curiosità di sapere molto ancora «Cosa è successo a… Bruce?» non si preoccupò minimamente per se, il suo pensiero volse a Bruce.
Oliver scosse la testa per tranquillizzarla «Non riesce a camminare, ma sono sicuro che si riprenderà. Non preoccuparti.»
Felicity sospirò rilassandosi. Riprese a guardare Oliver e tutto ciò che voleva fare era di portarlo a se e baciarlo fin quando non sentiva dolore ovunque. Le gote si arrossirono e distolse lo sguardo imbarazzata ma quel suo stato di eccitazione non durò molto, perché le tornarono in mente le conseguenze che da li a poco sarebbero sorte a causa della sua bravata fatta la notte passata. «Immagino che adesso tornerai a fuggire. Ti allontanerai di nuovo da me. Scapperai via perché ti senti in colpa a causa mia. Per aver scelto di arrampicarmi su quel traliccio e…» Felicity prese a tossire per l’affaticamento e Oliver tentò di zittirla.
Le posò un dito sulle labbra e spalancò gli occhi «Felicity… shh.» Liberò le sue labbra una volta che si accertò che fosse tornata calma «Sì, mi sento in colpa per quello che ti è accaduto. E non sai quanto ti odio. Ti odio perché hai messo in pericolo la tua vita senza pensare alle conseguenze. Ti odio perché hai voluto fare l’eroina e fregartene di tutto il resto. Ti odio perché sei talmente testarda che nessuno riuscirebbe a farti cambiare idea. Ti odio perché hai fatto una scelta e purtroppo era una tua scelta ed io non ero lì con te e ti odio anche per questo, perché non sono stato io a prenderti di peso e portarti in salvo.» Oliver si sfogò, liberandosi di quel grosso fardello che aveva sullo stomaco e gli occhi di Felicity erano colmi di lacrime e le narici rosse per quel pianto che sarebbe scoppiato a breve. Stava soffrendo più di tutto quel dolore che avvertiva alle costole.
«Ti odio, Felicity, perché ti amo troppo. Ti amo per la tua testardaggine, ti amo perché sei coraggiosa. Ti amo perché mi sfuggi sempre e non so mai come prenderti o riconquistarti. Ti amo perché mi fai sentire vivo e sei l’unica persona che può farmi sentire morto al tempo stesso. Ti amo perché sei pericolosa, per me, per la mia sanità mentale. Ti amo perché…» Oliver strinse le labbra e guardò in alto con gli occhi lucidi «Sul serio, Felicity. Io ti amo e non c’è nessun’altra spiegazione. Quello che sento… non so più come dirtelo. Voglio stare con te e questa volta non fuggirò. Combatterò per te, per noi.»
Felicity chiuse le palpebre e due grosse lacrime caddero sulle guance. La mano delicata di Oliver le raccolse asciugandole con dolcezza. Questa volta Felicity aveva terminato le parole, aveva perso la sua loquacità, aveva preferito lasciar parlare Oliver e si limitò semplicemente a stringergli la mano e tirarlo verso il suo viso.
Oliver posò le labbra su quelle della ragazza e suggellò la promessa fatta.
Non sarebbe fuggito da lei, non se ne sarebbe andato perdendola di nuovo. Alfred aveva ragione, e per la prima volta sapeva con certezza che stava facendo la cosa giusta.
Le dita di Felicity scivolarono nei capelli di Oliver, sentendo tirare l’ago della flebo infilzato nella vena del braccio. Pizzicava, ma non le importava. C’erano solo loro due in quella stanza e il suono delle loro labbra che schioccavano e danzavano in quel bacio d’amore, era l’unica melodia che li accompagnava.
   
 
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