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Autore: Sam27    18/03/2015    7 recensioni
Ci sono alcune cose che ho imparato da brava fan girl:
1. “Asjdnbvfuhuj” riassume tutto. E con tutto intendo qualsiasi cosa talmente pucciosa da poter essere riassunta.
2. La nutella è la tua migliore amica. Nonché la soluzione a qualsiasi tuo problema.
3. Si può sopravvivere dormendo solo tre ore. E mangiando molta Nutella, mi sembra sottointeso.
4. Libri e computer sono l’ingresso per il paradiso. Potete anche sostituire il computer con uno Smartphone, un Iphone o un tablet. Ed ovviamente aggiungete la Nutella.
5. Quale marca di fazzoletti è più resistente. I fazzoletti Tempo sono eccezionali, me ne servono solo cinque pacchetti a libro.
6. I personaggi immaginari sono migliori di quelli reali. Infatti sembra che il mio ragazzo ideale non esista. Io vorrei solo che avesse la dolcezza di Peeta Mellark, l’umorismo di Fred Weasley, il coraggio di Peter Pevensie, la bellezza di Finnick Odair, il sarcasmo di Jace Shadowhunters e l’intelligenza di Caleb Prior. Forse chiedo troppo?
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Potremmo Volare'
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11. Milano, modelli senza maglietta e insoliti amanti.
 
 
 
Tutti gli uomini sanno dare consigli e conforto al dolore
che non provano.”
 William Shakespeare
 
Mi sistemo meglio sullo scomodo sedile, allungando i piedi davanti a me e cercando di leggere in pace mentre il bambino al mio fianco continua a punzecchiarmi con i suoi stupidi soldatini.
Questa mattina papà ha avuto la bell’idea di svegliarmi presto e di decidere di partire per Milano, in modo da ottenere dal capo un permesso per mamma e passare con lei almeno il giorno del suo compleanno.
Ora mi sembra un’idea fantastica –più o meno- mentre quando me l’ha detto, verso le sei, avrei tanto voluto saltargli addosso e mangiarmelo.
In fondo lo amo, il mio piccolo papà peloso!
Molto in fondo.
Ivan ha portato in bagno Elena circa quindici minuti fa e comincio a sperare che l’abbia buttata giù dal treno: da quando siamo partiti non ha fatto altro che lamentarsi, certo, ormai non dovrei più stupirmi visto che lo fa da quand’è nata eppure io ci spero ancora.
Ho fatto le valigie in fretta e furia riempiendo lo zaino con un cambio, due libri, un paio di cuffiette, l’inseparabile mp3 e una macchina fotografica vecchissima.
Quando finalmente arriviamo a Milano sono più eccitata che mai ed ho già deciso che è una fantastica occasione per andare all’Abercrombie –non amo lo shopping ma farei di tutto per avere una foto con quei figaccioni-, non pensare ad Alessandro e riuscire a comprare qualche libro.
-Ti è passato il malumore?- mi domanda Ivan riferendosi a quando gli ho sputato il cappuccino addosso, questa mattina.
-Ho deciso che probabilmente non mi capiterà mai più di andare a Milano!- esclamo iniziando a fotografare qualsiasi cosa mi capiti a tiro.
-Sbrighiamoci ragazzi!- ci incalza papà sistemandosi gli occhiali sul naso appuntito –Sono le nove e sono sicuro che a Milano è ora di punta, vostra madre sarà già al lavoro perciò dobbiamo sbrigarci se vogliamo andare insieme a pranzo-
Prendiamo un taxi ed è inutile dire che è il primo taxi che prendo in vita e che, appena lo vedo, rimango delusa dal suo colore bianco e sbiadito invece che del giallo folgorante; tengo per tutto il viaggio il naso incollato al finestrino scoprendo di amare Milano e i palazzi altissimi. Arriviamo all’ufficio del giornale in cui lavora mamma e scopriamo che è quasi quattro volte il nostro condominio.
Raccogliamo lemmi lemmi i nostri zaini e paghiamo il nostro simpatico tassista obeso.
-Sei sicuro che possiamo salire papà?- gli domandò titubante.
-Non molto- dice lui nervoso lanciando un’occhiata a Elena che sta giocando con la sua barbie e il suo unicorno.
-Forse è meglio se tu stai qui a badare ad Elena, saremo di ritorno tra una manciata di minuti- mi dice papà tentando di sorridere.
-E’ più facile che sia il contrario- ridacchia Ivan.
-Infatti non se ne parla!- ribatto io –E’ la prima volta nella mia vita che vengo a Milano è forse anche l’ultima! Non mi perdo l’occasione di visitare gli uffici di un giornale così importante!-
-Okay, okay- dice papà scambiandosi un’occhiata d’intesa con Ivan.
Io faccio la linguaccia al mio simpatico fratello maggiore e seguo papà, timorosa e titubante, attraversiamo una hall enorme e ,mentre mio padre parla con due o tre persone, io osservo qualsiasi cosa mi capiti a tiro rischiando di rompere un vaso e rovesciando un porta ombrelli.
Ad un certo punto incontriamo una simpatica signorina dagli occhi grigi che sembra voler ascoltarci e che ci accompagna su per l’ascensore di vetro fino all’ultimo piano.
-Aspettami qui, Nora- mi dice mio padre, seguendo la segretaria dietro ad una grossa porta di mogano su cui sta scritto, a caratteri squadrati: “Capo redattore, Alberto Volumetti”. Deglutisco e faccio un passo indietro, posizionandomi accanto alla finestra e osservando Milano a bocca aperta.
Sto ancora cercando di capire dove finisca questa città gigantesca - in confronto al mio paesino sperduto in Umbria s’intende- quando mio padre esce dall’ufficio, raggiante: -Il signor Alberto è stato molto comprensivo, la signorina ci accompagnerà all’ufficio di mamma e potremo passare il pomeriggio con lei-
Io esulto, mostrandogli un sorriso a trentadue denti.
La segretaria ci accompagna nuovamente in ascensore, fino ad un lungo corridoio e ad un’altra porta in mogano con la scritta: “Redattrice ospite, Beatrice Olga, in Lorenzetti”.
-Grazie mille- dice mio padre rivolgendo un bel sorriso alla donna dagli occhi grigi, lei ricambia e ci lascia soli.
Papà mi fa un piccolo cenno, io annuisco e metto su il miglior sorriso in mio possesso poi apre la porta e, ancor prima di vedere all’interno della stanza, mi si chiude lo stomaco e ho un brutto presentimento.
Esclamiamo: -Sorpresa!- ma la ‘a’ si smorza nelle nostre bocche spalancate mentre vedo ciò che non avrei mai voluto vedere: mia madre è seduta sulla scrivania, le gambe appena spalancate, la camicia sbottonata, la donna davanti a lei –Michela- ha una mano nella sua coppa di reggiseno, la bocca sulla sua e la maglia a qualche metro di distanza.
Mi blocco, qualsiasi pensiero si incastra con quello precedente e qualsiasi impulso si ghiaccia, restando immobile. Non riesco a pensare a nulla, vedo a malapena mio padre stringere i pugni, mia madre cercare di coprirsi e venire verso di noi, percepisco come in un sogno mio padre trascinarmi fino all’ascensore e poi nella hall mentre mia madre ci rincorre, inciampando due o tre volte.
E’ solo quando un colpo d’aria fredda del nord Italia mi sferza il viso che il peso di tutto quello che è appena successo mi colpisce come un pugno in pieno sterno o meglio un camion mentre sto attraversando sulle strisce.
-Dov’è papà? Non vogliono dare il permesso a mamma ed è rimasto a salutarla?- mi domanda Ivan appoggiandomi una mano sulla spalla.
-Possiamo venire anche noi?- domanda Elena ingenua.
Ingenuo, già, sfido uno solo di noi a non esserlo stato.
Guardo Ivan con occhi e bocca spalancati e lui capisce subito che c’è qualcosa che non va.
-Nora cos’è successo?- domanda piegandosi per arrivare alla mia altezza e guardarmi negli occhi.
Io sento che gli occhi mi bruciano e le lacrime iniziano a scendere.
-Nora…- mormora ancora lui.
-M-mamma- balbetto mentre lui mi guarda in attesa. -Mamma ha tradito papà con Michela-
-Cosa?!- mi fa eco lui, sconvolto.
Mi guarda ancora per qualche secondo poi non mi dà il tempo di rispondere alla sua domanda retorica e mi abbraccia, stringendomi tra le sue forti braccia. Io scaccio via le lacrime, sbattendo le palpebre diverse volte.
Qualche minuto più tardi papà ci raggiunge, con la faccia di chi ha appena visto la propria vita andare in frantumi.
-Andiamo a mangiare?- domanda cercando di sembrare allegro.
Io annuisco, Ivan mi imita continuando a tenermi forte tra le sue braccia, Elena invece fa un sacco di storie: lei rivuole la sua mamma.
-Anche io, Elena, anche io rivoglio la mia mamma- mormoro a mezza voce facendo bene attenzione che nessun altro mi senta.
 
Arrivati al ristorante capiamo al volo che nessuno di noi riuscirà a mangiare alcunché ma facciamo lo stesso finta di ordinare qualcosa con aria deliziata e sorridiamo, fingendo, Elena sembra felice e prende la sua maxi porzione di patatine fritte che –come di regola- non le farà mettere su neanche mezzo chilo.
-Prendiamo il primo treno di questo pomeriggio?- domanda papà con voce atona.
Io mi riscuoto dal torpore e scambio una breve occhiata con Ivan.
-Io non voglio tornare da zia Anna senza aver visto la mamma!-
-Tesoro, forse non vedrai la mamma per un po’- le dice papà delicatamente.
-Allora voglio un nuovo pony! Non me ne vado senza il mio pony!-
-Papà Elena ha ragione- dico dopo essermi schiarita la voce e tentando di non farla tremare in modo eccessivo –Inoltre hai già prenotato l’albergo, andiamo a fare un giro e partiamo domani mattina come programmato-
Papà mi guarda, io tento di sorridergli con scarso successo e infine lui annuisce.
Ivan decide di portarmi all’Abercormbie mentre papà accompagna Elena a prendersi il milionesimo pupazzo pony.
C’è una fila interminabile e nessuno di noi due riesce a rompere il silenzio, mi compra un vestito blu con un motivo a fiori e un fiocco in vita e facciamo un’altra fila interminabile per fare la foto con il modello.
Mentre aspettiamo che la ventina di persone davanti a noi evapori dal caldo ho l’improvvisa voglia di dirgli che non importa e di andarmene spintonando nella calca ma poi mi blocco mentre sto per aprire bocca: non sarà un gran che starsene qua, schiacciati, sudati e impazienti ma è l’unica distrazione che possiamo permetterci. Perciò continuo ad aspettare e schiacciare i piedi fino a quando non mi trovo davanti al ragazzo più bello che io abbia mai visto: ha i capelli biondi e scompigliati, i jeans attillati ed a vita bassa, i muscoli più belli che madre natura avrebbe potuto dargli e il viso di un angelo, come se tutto ciò non bastasse le piccole gocce di sudore agli angoli della fronte gli conferiscono un’aria terribilmente sexy.
Credo di svenire mentre mi mette una mano sul fianco e sorride alla fotocamera.
C’è da dire che se io fossi una persona normale in questo momento starei saltando dalla gioia, dimenticando tutti i miei problemi. Invece l’eccitazione e l’entusiasmo si scontrano pericolosamente con il senso di smarrimento e la depressione creando un unico risultato: per poco non scoppio a piangere.
Il modello se ne accorge e mi lancia uno sguardo stranito, io mi asciugo l’unica lacrima che è sfuggita al mio perfetto –si fa per dire- autocontrollo e mormoro qualche scusa sul fatto che non è una bella giornata.
Il modello fa un cenno a qualcuno e viene subito rimpiazzato da un collega mentre, sotto gli occhi sbalorditi di mio fratello e della folla, chiede il permesso a mio fratello di portarmi al bar poco distante e lo fa.
Lo seguo scioccata senza riuscire a spiaccicare mezza parola.
Quando ci sediamo al tavolino più appartato –la barista non ha protestato per il suo petto nudo ma, d’altronde, non credo le dispiaccia- lui mi sorride e mi chiede cosa voglio.
-Una limonata-
-Perfetto: una limonata e un’aranciata, grazie-
La barista indugia ancora un attimo sul mio accompagnatore poi se ne va, solo dopo avermi squadrata dall’alto in basso.
-Come mai mi hai portata qui?- riesco finalmente a dire dopo aver bevuto il bicchiere di limonata ed aver ricominciato a respirare.
-Nessuna ragazza dovrebbe avere quello sguardo così triste e quel sorriso senza allegria- dice guardandomi, serio.
E sinceramente non mi interessa se mi sta prendendo in giro purché continui a guardarmi in quel modo per i prossimi vent-… ma che dico? Cent’anni!
-E’ solo una brutta giornata, non dovevi preoccuparti-
Ecco, questa è la prima cazzata che mi esce dalla bocca: doveva eccome!
-Mi ha fatto piacere uscire un po’ da là dentro- dice scrollando le spalle.
-Comunque io sono Matteo- aggiunge tendendomi la mano.
-Eleonora- dico stringendogliela e deglutendo.
Quando stacca la mano dalla mia ha almeno la decenza di non pulirsela nei pantaloni visto quanto sudore sto emanando.
-E’ per un ragazzo?-
Annuisco, dicendo la cazzata numero due.
-E’ fidanzato?-
Annuisco di nuovo.
-Ti va di parlarne?-
Ogni persona sana di mente avrebbe risposto di no, ringraziando ed uscendo, gridando per la gioia invece io inizio a raccontare, parlando a vanvera e catapultandomi nella scena più strana che mi sia mai capitata: ergo, il ragazzo più fico che io abbia mai conosciuto che mi consola, accarezzandomi i capelli e che mi dice che sono una bella ragazza.
-Come?-
-E’ inutile fare la modesta, sei davvero una bella ragazza e lui prima o poi se ne accorgerà e lascerà quell’altra. Altrimenti guardati intorno-
E detto questo mi fa l’occhiolino.
Se non continuassi a sentire quell’opprimente senso di voglia di vomitare o sparire dalla faccia della terra potrei quasi credere che sia tutto un sogno.
E per commemorare il tutto e dar ulteriormente prova dei miei problemi mentali. mentre usciamo, invece di ringraziarlo per aver pagato e tutto il resto, mi giro verso di lui e gli domando: -Ti piace Harry Potter?-
-E’ il mio libro preferito-
Concludo, mentre avvampo di nuovo, che se non sono svenuta dopo aver sentito queste parole credo che non sverrò mai più.
-Allora sei davvero il ragazzo perfetto!-
Quando sento la sua risata che è come una ventata d’aria fresca in questo giorno afoso capisco di averlo detto ad alta voce ed arrossisco.
Non riesco più a dire alcuna parola e lui mi riporta da Ivan che mi aspetta, guardandoci a bocca aperta.
-Nora, dimmi che ho visto male e la mia sorellina non è appena uscita con un modello di Abercormbie-
-Sono appena uscita con un modello di Abercrombie!- grido eccitata.
Lui scuote la testa, perplesso.
La mia gioia svanisce passo dopo passo mentre avanziamo verso la figura ingobbita e grigia di mio padre che, seduto in un angolo, ci aspetta per ordinare la cena nell’hotel.
Improvvisamente tutta la rabbia, lo sconforto e il miscuglio di sentimenti che ero riuscita a sopprimere in un angolino sbucano fuori e mi bloccano lo stomaco, sbatto più volte le palpebre mentre Elena chiede: -Ma come mai siete tutti arrabbiati con mamma?-
Ivan si irrigidisce mentre gli squilla il telefono e deve rispondere a Ludovica, io abbasso gli occhi e papà si schiarisce la gola.
-Io e mamma abbiamo dei problemi, tesoro-
-La mamma ha cambiato gusti- dico io fredda.
-Nora..- mi ammonisce mio padre.
-Non le piace più il cioccolato?- domanda Elena preoccupata.
-No, la mamma non mi ama più-
-E chi ama adesso?-
-Questo dovresti chiederlo a lei-
Elena ci pensa un attimo poi tende le manine verso di me.
-Mi dai il tuo telefono così la chiamo?-
Io annuisco e glielo porgo.
-Nora, non sono sicuro fosse il momento più adatto per dirglielo. Potremmo traumatizzarla o rovinare la sua infanzia-
-E la mia infanzia?- gemo io, accasciandomi sulla sedia –Nessuno dovrebbe vedere la propria madre che scopa con una donna-
La gravità della situazione è palpabile dal fatto che mio padre non mi ha ripreso per la parolaccia: siamo messi piuttosto male.
Più tardi mi giro e rigiro nel letto, cercando inutilmente di dormire e di bloccare il flusso di lacrime che mi inonda il viso.
Improvvisamente mi blocco mentre sento che Ivan, dal letto affianco al mio, si muove. Trattengo il respiro, sperando non mi abbia sentita piangere ma le mie speranze vengono infrante quando sento le sue braccia che mi stringono mentre si stende affianco a me.
-Nora, va tutto bene- mi sussurra all’orecchio.
-No, non va tutto bene- mormoro in risposta –Lo sai benissimo che niente va bene. Tu non le hai viste! La mamma e..-
-Shhhh- dice piano, cullandomi tra le braccia.
Gli piango sulla spalla e quando sento una sua lacrima bagnarmi la nuca non dico nulla, mi limito a stringermi ancora a lui.
-Vedrai che domani andrà meglio-
Io annuisco, anche se non ci credo fino in fondo.
Rimane a cullarmi tra le braccia fino a quando il sonno non mi accoglie tra le sue braccia.
 
 
Ho l’aspetto più spaventoso della storia e se non avessi saputo che mi stavo guardando nello specchio mi sarei spaventata e avrei chiamato aiuto.
Ho due occhiaie da far paura, una chioma di capelli più indomabile che mai e l’energia che aveva il canarino di zia Anna prima di morire –soffriva di asma, poverino, era tutto bianco e passava le sue giornate a cercare di respirare ancora qualche secondo-.
Ora, però, mi sento meglio. Siamo quasi arrivati a Rimini ed ho finito il libro che papà mi ha comprato ieri: “Will ti presento Will”. L’ho letto tutto d’un fiato ed ho smesso di tremare, ora il mio cervello e più rilassato e la morsa in petto si è allentata un poco.
Quando scendiamo ordiniamo un taxi ed alle 10 e 35 precise siamo davanti a casa di zia Anna con gli zaini in spalla e le facce più brutte che nonna abbia mai visto, che è esattamente ciò che ci dice appena ci vede.
Non è questo, però, a preoccuparmi, né il fatto che zio ci accoglie senza una delle sue solite battute piuttosto l’assenza della famiglia di Alessandro.
-Dov’è Sofia?- domanda subito Elena.
Okay, in questo momento potrei quasi sentirmi in colpa per aver sperato che cadesse giù dal treno.
-Hanno ridato loro le camere in albergo, comunque hanno detto che ci vedremo questo pomeriggio in spiaggia-
-Perfetto, ciao a tutti, ci vediamo dopo- dico secca e, senza ulteriori indugi, mi fiondo in camera a leggere qualche altro bel libro.
Nel pomeriggio ci incamminiamo, di malavoglia, verso la spiaggia. Ludovica, Elena e Aurora tentano di tenere alto il morale, invano. Io sarei stata volentieri a casa a leggere ma l’idea di leggere sdraiata in spiaggia –e magari con Alessandro- mi alletta decisamente di più.
Incontriamo la famiglia Sinistro poco prima di arrivare al bagno e subito uno strano presentimento mi occlude il petto. Appena ci avviciniamo ancora di qualche passo capisco il perché: sono cinque.
E la quinta è niente popò di meno che una bella bionda, snella, alta e dagli occhi più blu della storia del blu.
La ragazza di Alessandro.

 
  
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