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Autore: talinasomerhalder_    23/03/2015    4 recensioni
Evangeline Anderson,una comune ragazza al quarto anno del liceo artistico di Roma. Da sempre cresciuta con la madre,la ragazza ha quasi dimentico cosa significa aver accanto a se una figura parterna. Ovviamente questo fino a quando Josh Anderson non gli si presentò davanti alla porta,rivelando alla figlia la sua vera natura:era una cacciatrice di vampiri,proprio come lui.
Il suo scopo? Salvare il mondo dal Male. Non solo si ritroverà a combattere con i vampiri,ma anche con i Diavoli mandati in Terra da Lucifero,per avere il potere sull'umanità.
E' giustizia uccidere per vendetta?
Non sarà una battaglia facile,la loro. Aggiungiamoci Alisia,una malattia che porta alla pazzia;aggiugiamoci Allison,una vecchia antenata che si vendica contro chi non sa amare;aggiungiamoci una profezia;aggiungamoci infine un vampiro,Derek.
Derek che sarà la rovina di Evangeline. Derek che è un vampiro,che è spietato,che è cattivo.
Un'amore che va oltre contro ogni natura;un'amore che non può funzionare.
Ora..chi sono i cattivi? Chi sono i buoni?
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO DICIOTTO

Mi sorrise, allargando le braccia ed invitandomi a darle un forte abbraccio.

Non me lo lasciai ripetere due volte che già le fui al collo, lasciandomi avvolgere da quel calore che tanto mi era mancato e quel profumo che sapeva di vaniglia.

«  Tesoro... » Mi sussurrò tra i capelli, lasciandomi qualche bacio sulla tempia e poi sulle guance.

Stavo piangendo, lacrime di gioia, lacrime che avrei lasciato scendere solo se la causa fosse stata la mia mamma.

Avevo molte volte fantasticato su come sarebbe stato rivedere la persona che più amavo al mondo, avevo più volte immaginato le sue carezze, i suoi baci caldi e il suo amore.

Ma mai avevo pensato che rivederla mi avrebbe fatto arrivare alle lacrime, mai avrei pensato che mi potesse mancare così tanto. La mamma che preghiamo sempre di uscire dalla camera perché invade la nostra privacy, la mamma che ti sgrida perché non mangi o mangi troppo, o quella che ti rimprovera per i voti a scuola. Ma la mamma è la mamma, anche se ci fa arrabbiare come pochi, sarà l'unica su cui puoi sempre contare, e che non ti abbandonerà mai, qualsiasi cosa accada.

« Mi sei mancata così tanto, ti prego, non lasciarmi mai più! » La stritolai quasi, tra i singhiozzi.

Nessuna risata ci fu da parte di Derek, che invece avrei pensato potesse ridere della mia infantilità. Semplicemente, se ne rimase lì, in silenzio, sul ciglio della strada, a guardarci.

« Auguri, Evangeline. » Risi, dandomi della stupida per aver solo pensato che si fosse scordata del mio compleanno... un'entrata in scena di questo tipo era tipico di mia madre.

« Grazie... » La lasciai andare, ma continuai a guardarla come se fosse la cosa più preziosa al mondo, come se non esistesse cosa più bella.

Ed era proprio vero quando si diceva che non ci si accorge di quanto sia importante una persona prima di perderla.

In un attimo i suoi occhi saettarono su Derek, il quale ricambiò lo sguardo, irrigidendosi.

« Ciao. » Il vampiro al contrario, rispose con un cenno del capo, limitandosi a quello. Tutto ad un tratto notai la freddezza del ragazzo e la dolcezza negli occhi di Elizabeth, quasi volesse corrergli incontro per abbracciarlo o per riempirlo di schiaffi. Persi il conto degli anni passati dall'ultima volta in cui si videro.

Mi mancò l'aria quando capii che c'era qualcosa che nessuno dei due mi aveva detto; nell'aria si sentiva la tensione che aleggiava.

« Auguri anche a te. » Gli sorrise dolce mia madre, forse neanche sperando di essere ricambiata.

« Sarà meglio che vada. » Il ragazzo scrollò le spalle invece, volendo andarsene il prima possibile da quella situazione imbarazzante o per lasciare me e la donna sole, in modo che potessimo parlare.

Perché se la mamma era venuta fino a Chicago solo per farmi gli auguri, era una balla. C'era qualcosa di molto più importante di cui voleva parlarmi... ma ben presto capii che non volesse parlare solo con me.

Ben presto capii che non si parlava più di me, ma di noi, di me e Derek.

« Ho bisogno di parlare con te, Derek. »

« Io invece non ho alcuna intenzione di parlare con te, Morelli. » Risoluto e freddo, mi fece venire i brividi. Il fatto che si rivolgesse a qualcuno per cognome di per sé era abbastanza inquietante.

« Insisto... Ti prego. »

Ghignò, sfoggiando il suo sorriso strafottente, « Ti consiglio di non insistere, ho chiuso con te anni fa. »

Elizabeth fece un passo avanti, lasciandomi indietro, sorridendogli dolcemente, quel sorriso che solo alla persona che ami puoi regalare. Mi irrigidii così, provando quel pizzico di invidia che mi fece un tantino odiare il vampiro.

Non ci fu bisogno di parlare, gli occhi di lei lo pregarono di restare, gli occhi di lui... erano vuoti. Si era perso, nell'azzurro del suo mare. Vidi passargli nello sguardo mille emozioni, tante parole non dette, tante saette che avrebbero potuto incenerire la donna davanti, tanti insulti che avrebbero potuto rovinare mia madre; ma non lo fece.

Non lo fece perché le voleva bene.

Si vedeva da come la guardava, da come aveva indietreggiato quando lei gli era andata vicino per non toccarla e farle del male, da come si era astenuto dall'offenderla con la sua lingua tagliente per non ferirla.

Non lo fece non perché io glielo avevo chiesto, ma perché lei lo aveva cresciuto. Per quanto un vampiro possa crescere, aveva imparato molto da Elizabeth. E lei lo aveva cresciuto come fosse un secondo figlio.

Lei sapeva il suo segreto, sapeva che avrebbe potuto farle del male, sapeva che avrebbe potuto farmi del male, nonostante ciò si era fidato di lui.

Capii tutto.

« La prima volta che mi hai vista a scuola, ti ho incuriosito. » Parlai molto lentamente, con gli occhi rivolti verso il basso per non guardare nessuno, cosciente però di avere lo sguardo di entrambi puntato addosso.

« Cosa? » Il vampiro parlò e la sua spina dorsale fu attraversata da un brivido strano, lo stesso che attraversò la mia. Fu più spaventato dall'effetto che ci fece guardarci negli occhi, che dalla mia affermazione.

« Quando mi hai vista... quando mi hai conosciuta... per questo mi odiavi. Non perché ero una cacciatrice, ma perché ero figlia di Elizabeth. E le somigliavo così tanto, che ti ricordavo lei. Ma lei ti ha ferito, perché era la moglie di un cacciatore di vampiri, ma non ti disse niente. Le volevi bene e poi spezzò il tuo cuore e la lasciasti sola. E con te la abbandonò anche suo marito, che la tradì con un'altra. » Presi fiato, alzando finalmente le mie iridi, per posarle su quelle del vampiro che mi guardò estere fatto. Non ero poi così stupida, riuscivo ancora a fare due più due. Poi continuai, questa volta rivolgendomi a mia madre, « E tu, invece, mi hai mandata qui senza esitare un momento, senza contrattare con mio padre per farmi restare, solo perché sapevi che c'era Derek ad aspettarmi. Sapevi che mi sarei fidata di lui... perché ti somiglio. »

« Tesoro... »

« No, mamma. Tutte le storie che mi raccontavi, sui vampiri, di quanto sono cattivi... perché? » Strinsi i pugni, non capendo. C'erano ancora alcuni che pezzi che mancavano nel puzzle.

« Perché sei intelligente, Evangeline. Se ti avessi imparato a trattare i vampiri come gli esseri umani, saresti morta il secondo giorno, qui. Invece ho lasciato che fossi diffidente, che dovessi conoscerli nel profondo per capire di che pasta sono fatti, ho lasciato che li amassi per ciò che erano, non per ciò che ti avevo insegnato. » Agitò le mani, con tutta la fronte impregnata di sudore, in procinto di piangere da un momento all'altro. Aveva paura che la potessi odiare per tutte la fandonie che mi aveva raccontato, ma la amavo, al contrario, perché mi aveva resa più forte.

« Grazie. » La ringraziai, sorridendo e poi guardando il vampiro, che dal canto suo, rilassò le spalle continuando però a mantenere la mandibola contratta.

« Derek... » Lo chiamai allungando un braccio per afferrarlo, ma si scostò bruscamente, sentendosi manipolato. Odiava quando qualcuno architettava qualcosa alle sue spalle, soprattutto se nel piano era incluso anche lui. E odiava molto di più il fatto che non se ne fosse accorto prima.

Sogghignò, « Voi umani siete così imprevedibili. E tu Elizabeth... non saresti dovuta venire. » La sfidò con gli occhi e lei quasi ringhiò, parandosi davanti a me. Come se da un momento all'altro Derek mi sarebbe potuto saltare addosso, per aggredirmi.

« Sei molto più furbo di quello che credevo. »

Continuai a distogliere lo sguardo dal ragazzo alla donna, sempre confusa, continuando a non capire. Forse, c'erano ancora tante cose che non sapevo.

« Ti ricordo che il territorio è mio e sono in dovere, se voglio, di cacciare qualsiasi intruso. »

« Stai minacciando mia madre? » Chiesi retoricamente, strabuzzando gli occhi, che per poco non mi uscirono dalle orbite.

« Ti avevo chiesto solo una cosa, avevo riposto in te la speranza di salvarla, invece la stai portando alla morte. La stai consegnando in un piatto d'argento ad Alex! » Urlò mia madre, con tutta la rabbia ed il fiato che aveva in corpo. Ebbi come l'impressione che stesse parlando di me... ma non ne fui sicura.

« Non è questo il luogo per poter parlare. » Il vampiro cercò di mantenere la calma, ma ringhiò, facendomi fare un passo indietro.

« Invece è questo, Derek! » Mi sorprese ancora di più mia madre, che ebbe il coraggio di contraddire il ragazzo, facendomi tremare. L'unica cosa che avevo imparato in questi due mesi era che non bisognava far incazzare Derek, anche se d'altra parte lo istigavo lo stesso. « Non stai facendo niente per impedire che la portino via... »

« Ci sto provando, okay? Lo sto già facendo io, tu non servi, vattene. »

« E' la cosa più cara che ho... non lasciare che Alex le faccia del male, ti prego. » Elizabeth si buttò ai suoi piedi, inginocchiandosi, e pregandolo di proteggere qualcuno... che capii essere io. Una scena al quanto disgustosa, nessuno si sarebbe dovuto abbassare a questi livelli, anche se non conoscevo il motivo della loro discussione, mi affiancai a mia madre e la tirai per un braccio, per farla alzare.

« Mamma, alzati! » Scosse la testa, alzandosi, e guardando con gli occhi lucidi il vampiro, che forse provò un po' di compassione e le raccolse il copri spalle che le era caduto a terra.

Glielo porse e io lo afferrai con rabbia, disgustata dalla scena di poco prima.

« Dovete smetterla di architettare tutto alle mie spalle, da cosa dovrei essere salvata? » Strinsi i pugni e camminai verso Derek, arrabbiata.

« Zitta. »

Sgranai gli occhi, incredula. Nonostante ciò cercai di mantenere la calma, « Invece ora me lo dici, sono stanca di rimanere all'oscuro di tutto! »

« Tu devi solo fare la tua parte e io farò la mia. Il patto era questo, Elizabeth. Tu sei ancora al punto di partenza, perché io dovrei fare il massimo per aiutare Evangeline? » Ancora una volta parlarono di qualcosa che io evidentemente non sapevo, l'unica cosa però che forse avevo imparato era che i vampiri non facevano mai patti con gli umani.

E perché si sarebbe dovuto abbassare ai livelli di mia madre, per qualcosa che voleva, se aveva Alex che poteva dargli tutto?

Perciò capii.

« Alex ha qualcosa che ti appartiene. » Affermai sicura, lasciando il tempo a Derek di formulare ciò che avessi detto, in modo che dopo mi prendesse per il collo e mi guardasse indemoniato.

Bingo!

« Derek, lasciala andare! » Mia madre iniziò a prenderlo a schiaffi e pugni, ma il vampiro ancora non ebbe l'intenzione di posarmi a terra, nonostante io fossi rimasta senza fiato.

« Non sono così stupida come credi, eh? » Sussurrai, con quel poco di voce che ancora riuscivo a tirar fuori. « E sai che aiutando Alex, lui non ti darà ciò che vuoi. Ma ti ha in pugno e tu non puoi disobbedirgli... perciò stai architettando qualcosa alle sue spalle... già da tempo. Ma non capisco... quando hai avuto l'occasione di uccidere Alex non l'hai fatto, quindi perché tradire ora la tua famiglia per qualcosa che hai sempre voluto così tanto? »

Mi lasciò finalmente andare, buttandomi a terra e guardandomi in cagnesco. Sorrisi sornione, non perché gli volevo male, ma perché quel puzzle che prima mancava di così tanti pezzi importanti, ora stava iniziando a completarsi.

« Vedi di farti gli affari tuoi, Evangeline. » Ringhiò, facendola suonare come una minaccia.

« Mi dispiace, non volevo farti arrabbiare. Solo... » Solo cosa? Ero contenta che fossi l'unica che era venuta a conoscenza di un suo segreto? Non avrei potuto dirglielo.

« Avresti dovuto proteggerla, io mi fidavo di te. »

« Mamma, se sono ancora viva è solo grazie a lui! » La rimbeccai, cercando in tutti i modi di farle cambiare idea su Derek. Era rimasto sempre il ragazzo che conosceva, non era cambiato.

Derek era sempre stato così, solo che a volte tendeva a mascherarlo.

« Scusate se mi intrometto, ma non vorrei mai trovarmi in mezzo a queste discussioni tanto... amorose, tra madre e figlia. Preferirei togliermi dai piedi, prima che la cosa degeneri. » Guardò Elizabeth e con un cenno del capo indicò in mia direzione, « E voglio solo che tu sappia che ho fatto tutto il possibile per proteggerla e voglio che tu mantenga fede al nostro patto, perché se non manterrai la promessa... non mi farò scrupoli, con nessuno. » Mi passò accanto e quando ci trovammo spalla contro spalla, si girò verso di me e mi guardò dall'alto, con la fronte aggrottata. Io sorrisi semplicemente e gli sussurrai un ciao, che ricambiò con un ciao petite, che mi fece avvampare.

Sparì e mi trovai a sperare che mia madre non avesse visto quel momento che per quanto possa sembrare futile, era stato per me intimo. Quegli occhi che zampillavano di odio che poi si addolcivano appena incontravano i miei, erano come due innamorati che nelle coperte facevano l'amore solo guardandosi.

Con l'eccezione che noi non eravamo innamorati... e con l'eccezione che noi non ci saremmo mai rotolati nelle coperte per fare l'amore, ma bensì solo per prenderci a pugni e morsi.

 

 

« Evangeline! Dove diavolo sei stata? Sono tutti lì fuori a cercarti! » Josh mi travolse come una furia, appena bussai alla porta di casa. Non si accorse della donna alle mie spalle, fu più preoccupato a chiedermi dove fossi stata per tutte quelle ore.

« Era il mio compleanno, non volevo di certo passarlo a casa. » Mugugnai soltanto, facendolo da parte ed entrando in quella reggia, che dopo tutto questo tempo ancora non sentivo mia.

Fu allora che mio padre imprecò sotto voce, notando mia madre.

« Ciao Josh. » Lo salutò come si salutano gli amici di lunga data, con un bacio sulla guancia e una stretta di mano, non decidendosi però a varcare la soglia di quella casa che era stata sua tempo prima.

« Elizabeth... cosa ci fai in città? » L'uomo stentò a crederci e le fece spazio per farla passare. Non mi sfuggii lo scambio di sguardi tra i due adulti, che fecero attenzione a non sfiorarsi minimamente, quasi ciò potesse innescare una bomba.

Guardai mio padre, con la barba incolta, i capelli bianchi, scorbutico e gli occhi stanchi, di uno che dalla vita non si aspettava più niente.

E poi c'era la mamma, elegante, graziosa, bella, dolce, gentile, ma spenta. Mai quanto allora mi accorsi di quanto fosse spenta. Mai prima di allora mi accorsi di quanto Derek avesse ragione... I miei avevano smesso di vivere, quando ognuno era andato per la sua strada. Elizabeth era il riflesso di Josh, e io non me ne accorsi mai. Troppo piccola e troppo stupida per capire.

Indietreggiai fino ad arrivare con le spalle al muro, sentendomi subito inghiottita da quella verità che non avevo mai voluto accettare.

Lo capii da come mio padre la guardò, come se esistesse solo lei, come se avesse visto la Madonna.

Il cuore mi tremò, se possibile.

Perché lo capii, le anime gemelle si ritroveranno, prima o poi si riconosceranno, e quando lo faranno non potranno più staccarsi.

Il cuore mi tremò.

Lo capii da come lei guardava lui, con quello sguardo da donna rassegnata, che amava ma non era più ricambiata.

Mi chiesi da quando avevo iniziato a comprendere così tanto l'animo delle persone, a leggerle così in fondo, spogliandole di ogni indumento e per sbatter loro in faccia la verità. Ma questa volta non lo feci e mi sedetti comodamente sul divano, sentendomi poco a disagio.

Incrociai le gambe e poggiai il mento sulle ginocchia, sbuffando.

Era una situazione abbastanza patetica, mi ricordò qualche anno fa, quando eravamo ancora una famigliola felice. Yuppii!

Sapere che i miei si amavano, in quel momento, mi provocò ancora più rabbia.

Perché inizi a capire cose che prima ti erano ignote. Capisci dettagli, sfumature; comprendi che non è tutto nero e bianco, e che spesso tra l'uno e l'altro ci sono « sfumature » dovute a tanti comportamenti e a tanti silenzi.

Elizabeth prese posto di fronte a me e a debita distanza Josh, che preferì tenersi lontano da entrambe, per il momento.

Saggia scelta.

« Mi dispiace essere arrivata senza preavviso e soprattutto senza regalo, » mi guardò dispiaciuta, ma io sorrisi per rassicurarla. « ma non era niente di programmato. »

« Non saresti dovuta venire. Evangeline stava per partire giusto domani per Roma. » La voce autoritaria dell'uomo, mi fece assottigliare lo sguardo.

Sogghignai, « Non me ne sarei comunque andata, papà. »

« Perché sarebbe dovuta tornare? » Prese una pausa e poi strabuzzò gli occhi. « Oh tesoro, ma tuo padre ha ragione! Guarda come sei sciupata, guarda le tue braccine e il tuo visino. » La donna si sporse a toccarmi il volto, quasi dispiaciuta. Serrai la mascella e le spostai la mano, stanca di sentirmi dire che non ero all'altezza.

« Io a Roma non ci torno, mamma. »

Ci fu uno scambio di sguardi tra i due, e poi fu mamma a parlare, sospirando. « Josh, cos'ha fatto? »

Sgranai gli occhi e alzai le braccia al cielo, facendo per ribattere. Ma non feci in tempo, che qualcun altro mi prese la parola.

« E' scappata ieri notte, in preda alla tempesta! La stavamo cercando da tutt'oggi, Austin è disperato. Siamo tutti stanchi di starle dietro e cercare di curarla, se lei non si impegna. Le cure costano e noi non possiamo di certo permetterci questo lusso, per nessuna ragione. Sono mesi che è qui e non ha ancora fatto niente di niente, perché dovrebbe restare? » Le parole di mio padre mi toccarono per l'ennesima volta, e mi diedi della stupida per esserci rimasta di nuovo male.

« Josh, non permetterti di parlarle così! » Elizabeth si alzò in piedi, iniziando a gesticolare cose che non riuscivo neanche a capire; l'unica cosa di cui ero certa era che la clinica mi facesse tutt'altro che bene.

Lo sapeva mio padre, cosa mi facevano là dentro?

Decisi di non aprire bocca e di allontanarmi, a pugni serrati. Raggiunsi lentamente la « mia » camera, così buia, spoglia, fredda e immonda di polvere, che sembrava uno scantinato.

C'era il giusto necessario, un armadio ed un letto ad una piazza e mezzo.

Mi sedetti a terra, a gambe incrociate, con i gomiti sulle ginocchia e la testa inclinata a novanta, in una posizione, verrebbe da pensare, scomoda. Resta il fatto che restai così per almeno trenta minuti, cercando di calmare il nervoso, cercando di placare i mille confusi pensieri che mi vorticavano in testa, senza cessare.

Era più o meno così che mi trattavano in clinica.

Era una tortura, incessante, per controllare la mia malattia.

Frequentavo la clinica di riabilitazione, ogni mercoledì, giovedì e sabato, e ci restavo giornate intere, per poi tornare a casa esausta e mancare i giorni successivi a scuola.

Da quel giorno non ebbi più notizie di mia madre, non tornai più a Roma, non sentii più Derek e soprattutto non ricordai cosa successe quella sera del mio compleanno, quando salii in camera.

Immaginai per questo, sotto ordine di Josh, gli esperimenti dei dottori, iniziarono ad essere sempre più intensi, sempre più aggressivi.

Non fui più in possesso di un telefono, che mio padre mi levò appositamente, ed iniziai ad andare in clinica tutti i giorni, per due settimane, frequentando i corsi serali a scuola, così per avere tutto il tempo per riprendermi da ciò che esperimentavano su di me al mattino.

Inizialmente non mi resi conto di quanto fosse grave la situazione, pensai che Josh avesse ragione, pensai che fosse giusto frequentare di più il centro per guarire, mi avevano inculcato così tante cose, che non avevo più la capacità di pensare con la mia testa.

Mi accorsi che tutto fosse un'esagerazione, quando smisi di andare a scuola, quando mi chiusero in laboratorio giorno e notte, per ulteriori esami da accertare.

I professori chiamarono a casa, per informarsi delle mie continue assenze ed innanzitutto delle mie insufficienze gravi, e mio padre fu sempre pronto a dir loro che ero malata ed avevo bisogno di riposo.

Eppure io stavo bene, i letti della mia nuova camera, dopo la prima settimana, iniziai a sentirli anche più comodi e le pasticche, iniziarono a piacermi anche quelle. Forse erano dei tranquillanti, sapevo solo che dovevo prenderne tre al giorni e che mi facevano sentire bene, rilassata.

Josh non veniva mai a farmi visita e neanche Derek.

 

 

Quella nuova casa mi piaceva, mi sentivo a mio agio, mi ero fatta amici i dottori.

Avevo perso la cognizione del tempo già dopo la terza settimana, quindi non ricordai che ore fossero, sapevo solo che Amalia dovesse venirmi a portare la pillola. Ed io, come sempre, l'aspettavo impaziente.

Dondolai le gambe sul letto ancora un po', giocai con il camicie bianco che mi facevano indossare e poi la donna entrò, sorridendo, o forse no.

« Buongiorno, Evangeline. Oggi come va? » Me lo ripeteva ogni giorno e non mi soffermai neanche a pensare quanto fosse tenera a preoccuparsi delle mie condizioni, e quindi a preoccuparsi per me, che presi il tranquillante accompagnandolo con l'acqua. Reclinai il capo all'indietro e ricaddi sul letto a braccia aperte e chiusi gli occhi.

Non stavo dormendo... stavo facendo qualcos'altro. Stavo evadendo dalla realtà che provoca dolore e senso di inadeguatezza; mi sentivo bene.

Da quando prendevo quelle pasticche, mi sentivo bella. La mia autostima era cresciuta in così poco tempo, che non me ne resi neanche conto.

Ogni volta che mi guardavo allo specchio, guardavo il mio fisico, che anche con i lividi, mi chiesi come non potesse piacermi prima. Risi da sola, ad occhi chiusi, fino alle lacrime.

Ogni tanto, quelle cose, smettevano di darmele per qualche giorno, tornavo alla realtà e tutto ciò era devastante. Quando non prendevo i calmanti, iniziavo a pensare a Derek e giurai di poterne sentire la mancanza. Pensavo che non gliene fregasse niente di me, pensavo che mi odiasse, pensavo che il mondo intero mi odiasse.

In quei momenti mi mettevo in ginocchio ed iniziavo a graffiare il tappeto, presa dalla rabbia e forse anche dalla schizofrenia. Piangevo per il dolore ed imprecavo, pregando i medici di darmi un'altra dose.

Non mi ascoltavano e mi lasciavano lì, nella mia agonia, sola, come ero sempre stata.

Nel buio, perché era lì che meritavo di essere.

A volte, nei pochi momenti di lucidità, prendevo in considerazione l'idea che cercassero in qualche modo di annullarmi, ma lo negai a me stessa, perché non pensavo potessero esistere persone così cattive a questo mondo.

 

 

Un mese dopo, smisi di mangiare e ogni volta che ingerivo la pasticca, vomitavo anima e corpo. Ero sottopeso di quasi otto chili.

Non avevo più la forza di formulare una frase o ancor meno, un pensiero, o un ragionamento.

Parlavo piano, trascinavo le parole e la pelle mi prudeva. Avevo sempre la sensazione che mi cadessero i capelli e che sarei diventata pelata.

Mi stavano mangiando viva. Avevano preso anche la mia anima, ed io glielo avevo permesso così facilmente.

Il culmine arrivò quando, un venerdì pomeriggio, mi bucarono venti volte, per prelevare un po' del mio sangue. Non proferii parola e li lasciai fare, come avevo sempre fatto.

Mi misero su una carrozzina, essendo le mie gambe troppo deboli per reggere il mio corpo, e poi mi trasferirono su un'altra sedia e mi ci legarono, con dei cinturini strani ai polsi, al busto e alle caviglie.

Cosa mi ci legavano a fare lì, se ero solo ossa?

Mi cadde la testa di lato, senza volerlo, e non riuscii a rialzarla.

Fecero partire uno strano aggeggio sotto di me e sentii subito delle scariche elettriche percorrermi il corpo. Strabuzzai gli occhi e gonfiai il petto, attraversata da una scarica di 20.000 volt. Urlai, mentre i medici estasiati, rimasero estere fatti dalla mia resistenza.

Qualsiasi altra persona sarebbe morta, mi dissero.

Ma io ero già morta. Ed ero morta dentro, che era peggio.

E con me era morta anche Allison, che non si manifestò più, grazie a quei farmaci che mi prescrivevano.

Mi chiesi se la mia vita avesse senso, ormai.

 

POV DEREK

« Ancora non vuoi dirmi cosa ti succede? » Adrian si buttò a catapulta sul mio letto, non volendo arrendersi ancora al mio silenzio.

Guardai il soffitto, chiudendo gli occhi.

« Hai la mascella contratta, i tuoi lineamenti sono più marcati e... non parli con nessuno, da settimane ormai. Vuoi dirmi che... il fatto che Evangeline non sia più in città, sia solo una coincidenza? »

« Tu credi davvero che lei se ne sia andata? » Chiesi retoricamente, girandomi a guardarlo.

Si passò la lingua sui canini, « Io dico proprio di sì. Se ne è andata, nessuno l'ha più vista. »

« Io so che è qui. Non so dove, ma è qui. »

Da quando la piccola cacciatrice era sparita senza lasciare più tracce di sé, ero diventato... qualunque cosa di più simile a un morto. I miei nervi erano tesi la maggior parte del tempo, ed inoltre mi sentivo... sballato, in tutti i sensi. Mi nutrivo una volta al giorno e la voglia di uscire di casa si esauriva a poco a poco. Il mio volto era pallido e le cicatrici più marcate.

Ogni giorno che passava era sempre peggio.

E ciò non era dovuto alla mancanza di Evangeline, ne ero sicuro, c'era qualcos'altro.

« Sembri così sicuro... non sei contento che se ne sia andata, vero? »

« Smettila di parlarmi come se fossi un umano, Adrian. » Ringhiai.

« Hai solo dei sentimenti, Derek. »

« E quali sarebbero? »

Il vampiro scese dal letto lentamente ed intimorito probabilmente dal mio sguardo, alzò le mani al cielo, tacendo. Ma non scappò.

Mi ero sempre chiesto per quale motivo Adrian non mi avesse mai fronteggiato... sapendo che non gli avrei potuto mai torcere un capello, per il semplice fatto perché non avesse paura di me, lo rispettavo.

« Lei ti ama. »

Il mio sguardo saettò sul vampiro, mentre scossi il capo.

« Lei mi odia. » Scoppiai a ridere, sentendo la gola secca. Mi resi conto solo all'ora di quanto fossi diventato debole.

« Il contrario dell'amore non è l'odio, ma l'indifferenza. Odiare significare provare qualcosa. »

« E non pensi che lei lo faccia già? »

Sorrise, mettendo a dura prova la mia calma. « La conosci meglio di me, sai che non è così. »

« Cos'è? Pensi che l'abbiano rapita? Josh a me sembra tanto tranquillo, senza sua figlia. » Tossii, mentre un giramento di testa mi annebbiò la vista. L'essere vampiro non comportava i comuni sintomi da essere umani, quindi non capii cosa mi stesse succedendo.

« Devi nutrirti, Derek. »

« Vattene. »

« Derek... » Si avvicinò per cercare di poggiarmi una mano sulla spalla, ma per poco non gliela azzannai.

Questa era tutta colpa di Evangeline.

Quella ragazzina era come una droga.

 

 

« Petite! »

Mi resi quasi ridicolo davanti a tutta la scuola, quando a passo accelerato, la raggiunsi nel cortile, quel lunedì mattina. Mascherai la sorpresa, e quasi non ci credetti, a guardarla, neanche si riconosceva più.

Era in sottopeso, la pelle era bianca e gli occhi stanchi.

Si girò, perdendo l'equilibrio e cadendo a terra, rischiando di battere la testa sugli scalini dell'entrata. Non c'era bisogno che sbattesse per rintontirla ancora di più.

Non l'aiutai ad alzarsi, me ne restai lì, a spalle dritte, a guardarla rendersi ridicola davanti a tutti gli studenti. Sentivo le voci, alcuni dicevano che era ubriaca.

Le volevo così male, che la lasciai a terra per molto, perché non dava segni di volersi rialzare.

O almeno ci provava, ma non ci riusciva.

Inarcai un sopracciglio, « Mi prendi in giro? » le chiesi.

Mi sorrise ebete, biasbicando in non so quale lingua un 'ciao'.

« Alzati. »

« Non ci riesco. » Reclinò la testa indietro, sul punto di scoppiare a ridere da un momento all'altro.

Le porsi una mano, giusto perché mi faceva pena, e la feci alzare. Non riuscì a reggersi in piedi, così mi strinse il bracco, ficcandoci le unghia dentro. Qualunque altro umano avrebbe sussultato da così tanta potenza.

« Lo sapevo che non te ne eri andata. » Le sussurrai all'orecchio, facendola rabbrividire.

« Lasciala, Derek. » Austin ci raggiunse e ringhiò, cercando di togliermi la ragazza dalle mani. Lo guardai in cagnesco, dando spettacolo a tutti gli studenti. Ma sinceramente, non me ne fotteva un cazzo.

« E tu, se ti dico di starmi vicino, non devi allontanarti per nessun motivo. » Questa volta si riferì ad Evangeline ed il tono che usò non mi piacque per niente. Mi chiesi da quando in qua il cane dasse ordini a petite, e mi sorpresi ancora di più quando quest'ultima annuì, sorridendo ebete.

Continuai a non lasciare la presa sul braccio esile di Evangeline, anzi, strinsi di più, facendola mugugnare.

« Devi lasciarla, o non risponderò delle mie azioni. »

Ghignai, reclinando il capo di lato.

« Pensi che abbia paura di te, lupo? Non minacciarmi, la ragazza ora sta con me. »

In un attimo spostò la ragazza e si aggrappò con entrambe le mani sul mio giubbotto in pelle, avvicinandomi al suo volto. Scattai, e gli afferrai la spalla con la mano, scollandomelo di dosso. Non mollai la presa, fino a quando non gli tirai un pugno sul naso. Scostò il capo, ma non barcollò. Guardò a terra e quasi giurai vedergli spuntare i canini. Si stava trasformando.

Non ricordai avessero così poco controllo sul loro corpo, da farsi scoprire così facilmente in un luogo affollato.

« Io ti ammazzo. » Sussurrò, in modo che lo sentissi soltanto io, cercando di mantenere il controllo.

« Tu non provocarmi, testa di cazzo. » Risposi, serrando la mascella.

« Cos'è? Ti importa così tanto di Evangeline perché ti sei stancato di scoparti quella bionda, e ora vuoi lei? »

Mi sarebbe bastato fare uno scatto per raggiungerlo, e staccargli il collo a morsi.

Ma non lo feci, non ora.

« Ma non la vedi? Solo se le metti una mano addosso, si rompe. Ma un pensierino, potrei anche farlo. » Lo provocai, sorridendo sghembo. 

Quando si calmò ed ebbe il controllo sul suo corpo, si pulì il naso e rialzò il capo, incenerendomi con lo sguardo.

Sputò a terra e sorrise furbo, « Ora capisco perché David ti odia tanto e non vuole farsi trovare... nessuno ti ama, neanche tuo fratello. »

Mi si annebbiò la vista, i pensieri si annullarono e non ci vidi più.

Scattai in avanti e non gli diedi neanche il tempo di prepararsi al colpo, che lo buttai a terra, iniziando a prenderlo a pugni e calci. Gli sferrai un colpo alla costola e lo beccai più volte in viso, e continuai a picchiarlo, senza dargli l'opportunità di respirare. Gli inferii colpi sempre più potenti, ed il solo pensiero che poi le ferite si sarebbero rie marginate, mi dava ancora più rabbia.

« Figlio di puttana, lui non lo devi neanche nominare! » Mi macchiai il pugno di sangue, ma non mi fermai. Continuai, mentre nella mia mente c'era spazio solo per quel « nessuno ti ama, neanche tuo fratello », che mi stava facendo perdere il controllo.

Mi ero lasciato il passato alle spalle, ma ora ne sentivo ancora l'odore.

Quel profumo che sa di occasioni mancate, tempo forse sprecato, di attimi oramai perduti. Quel profumo che ha la nostalgica fragranza di ricordai ormai perduti, ricordi che riescono ancora a stringerti il cuore.

« Tu non devi neanche nominarlo! » Ripetei con più forza, che qualcuno o forse erano anche di più, mi staccarono dal corpo del lupo, cercando di farmi stare fermo.

« Derek, calmati! » Continuarono a tenermi per le spalle e se avessi voluto, mi sarei liberato, ma mi bastò guardare Evangeline per arrestarmi sul colpo.

Non mi accorsi dei professori che si coprirono con le mani il viso per non vedere quell'orrore, non mi accorsi del branco di Austin che lo aiutarono a rialzarsi, non mi accorsi di Brianna, né di Adrian, né di qualunque altro.

Si annullarono le voci intorno a me, e si annullò anche lei.

Non gridava, non era spaventata, non si era intromessa a separarci o a gridare, si era eclissata a tal punto che mi chiesi se avesse assistito alla scena. Stava sognando ad occhi aperti, con lo sguardo nel vuoto, quasi a non voler sentir nessuno, quasi non le importasse più di niente.

Guardami, dannazione.

Non glielo dissi, ma lo pensai.

E lei, come se mi avesse sentito, mi guardò, sussultando.

Qualcosa in lei si era rotto, come un vaso di cristallo che butti a terra e dopo non potrà mai diventare come prima.

Poi distolsi lo sguardo, sentendomi minacciare dal branco di lupi. Assottigliai lo sguardo, mentre la mia famiglia si parò davanti a me, con il petto in fuori. Si fronteggiarono, minacciandosi solo con lo sguardo.

Non dovevamo infastidirci, questo era il patto.

Ed io avevo appena violato il patto, rischiando di uccidere l'alfa. Risi, cercando di non saltare pure addosso alla preside che mi sbraiatava parole di difficile comprendonio, e scoccando la lingua sul palato, guardai Austin, « Un giorno morirai per mano mia, è una promessa. »

 

 

 

 

In casa non parlammo più dell'accaduto, i presenti di quel giorno furono soggiogati ed il branco di lupi iniziò a darmi la caccia.

I cacciatori si stavano preparando alla battaglia, li vedevamo allenarsi nel bosco, avventarsi furtivi sui compagni, che fingevano di essere il nemico, noi.

Sentivamo le loro urla, sentivamo gli ululati e soltanto in seguito scoprii della loro alleanza.

Avevano invaso il nostro territorio, per sfidarci.

Cibarsi, in quelle condizioni, era diventato quasi impossibile. C'era il rischio di beccarsi un paletto al petto, in qualsiasi momento.

Ma allo stesso tempo, non ci ammazzavano.

Aspettavano.

Ci osservavano.

E sapere che i ruoli si erano invertiti, era del tutto inaccettabile. Loro erano le nostre prede, non il contrario.

« Perché non li uccidiamo? » Brianna si intromise, alzandosi in piedi, barcollando.

Ma doveva voleva andare, proprio lei? Proprio lei che da quando era morto Chris, aveva smesso di esistere?

« Non l'hai ancora capito che stiamo aspettando ordini da Alex? » Le si rivolse il più giovane, guardando fuori dalla finestra. Ciò non fece che infuriare ancora di più la donna.

« Quello per me non è più nessuno, anzi, lo ucciderò io stessa, con le mie mani. » Ringhiò.

« Qui dentro abbiamo la spia, attenta a quello che dici, Brianna. »

Evitarono tutti i miei occhi, appositamente. Daphne, con i suoi riferimenti, non mi toccava minimamente.

Sperai anzi, iniziasse a nutrire un odio nei miei confronti, come tutti avrebbero dovuto odiarmi e come i miei compagni non stavano facendo.

Perché l'odio lo vedi, lo percepisci.

L'odio lo vedevo in Chris.

L'odio che è molto diverso dall'indifferenza.

Significa provare qualcosa, qualcosa di grande, di percepibile, di qualcosa di simile all'amore, ma che amore non era.

L'odio è quell'emozione che ti cresce nel petto e che puoi sfogare solo su qualcuno che ami, con tutto stesso. Perché amare con il cuore, con i polmoni, con il fegato e con il corpo, è più straziante di qualsiasi altra cosa; e per questo odi qualcuno.

Odi perché ami.

Inizia tutto per gioco, per uno scambio di sguardi, oppure inizi ad odiare da subito.

L'odio è una prima forma di amore.

Alzai il capo, e per la prima volta parlai, « Stiamo aspettando i rinforzi. » e tutti ammutolirono.


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Ciao bellezze!

E' quasi un anno che non pubblicavo, ma questa volta non voglio giustificarmi.

Detta sinceramente, non mi andava di scrivere, la storia era passata in secondo piano.

Ma oggi... oggi se sono qui a pubblicare, è solo grazie ad un ragazzo. Lui non lo sa, ma mi ha aiutata e mi ha fatto capire che non tutto è bianco e nero, ma ci sono così tante sfumature che non possiamo e non vogliamo capire.

Evangeline, non per sua scelta, è stata costretta e continuerà ancora per non so quanto, a prendere delle pasticche, che come penso abbiate capito, non sono assolutamente antidolorifici.

Mi sentivo incapace di scrivere questo capitolo, perché non riuscivo a spiegare i sintomi, il punto di vista del “drogato”. Ma oggi ho conosciuto Sasha, un tossico cocainomane di diciannove anni, al parere di molti. I buchi sulle sue braccia, hanno portato anche me a pensarlo, a primo impatto. Il classico ragazzo da evitare, da nemmeno guardare, avete presente?

In viso era pallido, pieno di ematomi sugli zigomi e sulla mascella. La cocaina lo sta mangiando vivo. Mi ha offerto un panino e un succo di frutta, anche se di soldi non ne ha.

Abbiamo parlato, molto, e non ha mai smesso di sorridere.

Mi ha confidato che era contento di avermi offerto qualcosa e di aver finito i soldi, così non poteva comprarsi altra “roba”, perché anche lui ricorda quando era giovane come me e quanto era bella la sua vita prima.

E alla domanda “Perché lo fai?”, lui ha risposto “Dovevo, non ho deciso io, nessuno mi ha aiutato.”

E ho pensato subito a Evangeline...

Questo per dirvi, che lui non è un drogato, è un sopravvissuto.

 

Perciò questo capitolo lo dedico a questo ragazzo... grazie Sasha!

A voi i commenti sul capitolo, sperando che ancora qualcuna aspetti di leggere la mia storia!

Bacioni splendide:*

  
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