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Autore: Eibhlin Rei    25/03/2015    1 recensioni
La C.A.T.T.I.V.O. non si è limitata a seguire gli esprimenti dei gruppi A e B, ma ne ha anche condotto un altro, parallelo ai primi due. Stavolta però, le Variabili sono diverse e si tratta di un unico soggetto.
Lei deve solo osservare...
"Nonostante la sua giovane età credeva di aver smesso di avere paura, ma in quel momento la barriera che si era costruita intorno si incrinò e la realtà le arrivò addosso come una valanga: non provò più solo dolore per tutto ciò che stava abbandonando, ma anche un terrore cieco. Le avevano soltanto detto che avrebbe avuto un ruolo chiave nella cura dell’Eruzione e che avrebbe salvato la razza umana. Ma a quale prezzo? Cosa sarebbe successo a lei?"
Spoiler fino a "La rivelazione" e riferimenti a "La Mutazione".
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Minho, Newt, Nuovo personaggio, Teresa, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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12.
 
Raggiunse l’ufficio della signorina Lichliter senza intoppi e stavolta non udì alcuna voce o rumore quando accostò l’orecchio alla porta. Anche dalla fessura sotto di essa sembrava non filtrare nemmeno una piccola striscia di luce. Con il cuore che le martellava nel petto, avvicinò cautamente una mano al pannello sulla parete lo premette.
Ci fu il solito clic e dopo un attimo l’uscio si aprì. La luce era spenta e l’ufficio era immerso nel buio. Si lasciò andare ad un enorme sospiro di sollievo quando, dopo aver richiuso la porta e acceso la luce, vide confermate le sue supposizioni: non c’era nessuno.
La mezzanotte era passata da un po’ – aveva deciso che valeva la pena rinunciare a qualche ora di sonno pur di non rischiare di incappare di nuovo nella guardia della notte prima – però le sembrava un po’ insolito che in un posto come quello qualcuno potesse ritirarsi senza chiudere la porta a chiave. Magari la signorina Lichliter se n’era semplicemente dimenticata. O magari era uscita solo temporaneamente.
E se è così mi devo dare una mossa.
Si diresse subito alla scrivania, su cui c’era lo stesso disordine che aveva visto quel pomeriggio. Scartoffie su scartoffie, fogli su fogli, documenti su documenti. C’era davvero l’imbarazzo della scelta per iniziare a spulciare.
Decise di cominciare da un fascicolo piuttosto corposo con su scritto “Gruppo A” che sembrava promettere piuttosto bene, ma non fece in tempo nemmeno a sfogliarlo che uno strano scintillio argenteo al margine sinistro del suo campo visivo catturò la sua attenzione. Si voltò per vedere da che cosa provenisse e individuò tra i fogli lo stesso… affare – non sapeva come altro definirlo – con cui quel pomeriggio la signorina Lichliter aveva contattato l’Uomo Ratto per comunicargli di venire a prenderla dopo la fine del loro colloquio.
Lo osservò incuriosita per diversi istanti, lasciando del tutto perdere il fascicolo e chiedendosi cosa sarebbe potuto succedere se avesse allungato una mano per sfiorare quell’apparecchio. Sì immaginò di tutto: dallo scatto di un allarme ad una piccola scossa elettrica, dal niente più assoluto alla fragorosa autodistruzione dell’intero edificio…
Ma sobbalzò quando tutto d’un tratto, senza che lei avesse fatto nulla, vide ricomparire quelle strane lucine rosse che qualche ora prima avevano formato la scritta “C.A.T.T.I.V.O. È BUONO” e che adesso invece si composero in una semplice sigla: “D. M. G.”.
Ci mise un po’ per calmarsi e per convincersi che, no, quello strano affare non le aveva “letto nel pensiero” e che, sì, probabilmente si era attivato da solo ed era una cosa assolutamente normale. Una volta che ci fu riuscita, lo scrutò attentamente.
D. M. G.
Cosa poteva voler significare – oltre al fatto che la C.A.T.T.I.V.O. sembrava avere un’innata passione per gli acronimi?
La scritta si mise a lampeggiare e la tentazione di toccare quell’oggetto tornò a ripresentarsi. Si ritrovò a picchiettare con l’indice sulla gelida superficie argentata, ma non accadde niente. Provò anche a seguire le linee di quelle tre lettere, ma di nuovo il risultato fu nullo. Il dispositivo doveva essere bloccato e forse c’era bisogno di una “sequenza” particolare per sbloccarlo, come accadeva per i tablet o per i cellulari. Provò anche con “C.A.T.T.I.V.O.”, “C.A.T.T.I.V.O. È BUONO” e persino con “LADENA LICHLITER”, ma nessuno di questi tentativi andò a buon fine e quella scritta rossa continuò a lampeggiare, come se avesse voluto beffarsi di lei.
L’unica cosa che aveva scoperto era che sicuramente doveva trattarsi di una parola più corta, dato che la Lichliter ci aveva messo molto meno a digitarla. Dentro di sé, rimpianse di non aver prestato attenzione ai segni che le aveva visto tracciare.
Un improvviso rumore di passi sempre più vicini le fece letteralmente gelare il sangue e si voltò spaesata verso la porta. Era sicura che si trattasse della Lichliter. E, se le sue orecchie non la ingannavano, assieme alla donna doveva esserci qualcun altro.
Si guardò attorno, cercando di mantenere la calma e di capire cosa fare. Sarebbe potuta sgattaiolare fuori approfittando delle zone d’ombra, ma era piuttosto improbabile che nessuna delle persone che stavano arrivando non si accorgesse di lei.
Al suono dei passi si aggiunsero delle voci. Erano due e, anche se non riusciva ancora a capire che cosa si stessero dicendo, suonavano maledettamente familiari alle sue orecchie.
Erano le voci di Jack e di Ladena Lichliter.
Ed erano troppo vicine.
Le sue mani trovarono il bordo della scrivania dietro di lei e vi si aggrapparono, come se questo avesse potuto darle forza. Non le piaceva sentirsi così, si odiava quando succedeva, ma aveva paura. Aveva dannatamente paura. Quasi senza accorgersene, indietreggiò leggermente e la sua gamba urtò qualcosa. E quando lanciò un’occhiata a quel qualcosa le sembrò di vedere il paradiso. La scrivania era fatta in modo da coprire interamente le gambe dell’occupante.
Era una cosa semplice, ma era anche la sua unica possibilità, quindi corse a spegnere la luce e si nascose senza fare troppi complimenti, rannicchiandosi il più possibile in un angolino e sperando con tutta se stessa di avere fortuna. Fece appena in tempo.
Udì di nuovo il clic della porta e subito dopo si accese la luce. Trattenne il respiro e chiuse gli occhi quando sentì i due entrare nella stanza.
Stai calma, stai calma, stai calma…
«Non mi piace questa faccenda, Jack, te lo ripeto», disse la Lichliter e sembrava decisamente preoccupata. «Non mi piaceva prima e non mi piace nemmeno adesso.»
«Ma ci hai parlato, non è stato abbastanza?», fece lui con il suo solito tono scanzonato.
Stai calma, stai calma, stai calma…
«Al contrario, direi che è stato anche troppo», ribatté la donna, lasciando che la sua inquietudine si macchiasse leggermente di acidità. «Ed è esattamente per questo motivo che la faccenda mi piace ancora meno.»
Jack ridacchiò – le sembrò quasi di trovarselo davanti da quante volte gliel’aveva visto fare. «Sai che quello che stai dicendo non ha senso, vero?»
Stai calma, stai calma, stai calma…
«Non ha senso? Jack, ma tu ci hai avuto veramente a che fare? Quella bambina… quella bambina non è normale
Spalancò gli occhi e fu come se qualcosa l’avesse punta all’improvviso, dando il via libera ad una corsa di innumerevoli brividi lungo la sua spina dorsale. Ma non erano brividi di paura. Come non era stata la paura ad averle mozzato il respiro. Aguzzò le orecchie, improvvisamente incuriosita dalla conversazione.
«Oh andiamo, non esagerare», fece lui. Un attimo dopo la scrivania si mosse lievemente. Forse vi si era appoggiato.
A quella semplice frase la donna scattò come una molla, facendola quasi sussultare per la sorpresa. «Io non sto esagerando! Oggi pomeriggio mi è sembrato di trovarmi davanti tutto fuorché una bambina di sette anni. C’è qualcosa di strano in lei e non è una cosa positiva. Non porterà niente di buono, me lo sento.»
Stavano parlando di lei, non aveva dubbi. Il suo “nome” non era stato fatto, ma era piuttosto ovvio, a meno che la signorina Lichliter non avesse avuto un altro caso di odio a prima vista con un’altra bambina di sette anni durante quello stesso pomeriggio.
Aveva capito di non averle suscitato una buona impressione – la cosa non era stata tenuta troppo nascosta – ma il sentirsi descrivere in quel modo la spiazzò: davvero dava l’idea di essere così… insolita? Talmente insolita da riuscire a turbare una donna adulta?
Jack sospirò. «Ladena, ne abbiamo già parlato… sì, è intelligente, parecchio intelligente e per qualche motivo riesce a ragionare in maniera molto adulta e matura per l’età che ha, ma è proprio per queste sue caratteristiche che è qui. Beh, oltre al fatto che…»
«Oh, per favore, Jack!», lo interruppe bruscamente la Lichliter. «Questa è proprio l’ultima cosa che ho bisogno di sentire adesso!»
«Va bene, va bene. Ti chiedo scusa», fece lui pacatamente. «Non volevo farti agitare.»
La donna inspirò profondamente, come per calmarsi. «È che sono a pezzi… tutta questa faccenda… io non credo di poterla reggere.»
«Hai solo bisogno di dormire, tutto qui. Prendo il fascicolo che mi serve e andiamo.»
«D’accordo… è lì sulla scrivania, oggi non ho avuto tempo di rimettere a posto.»
Avvertì un rumore di fogli che venivano spostati proprio sopra la sua testa e si sentì inondare da un misto di diverse sensazioni. Sollievo per il fatto che se ne stessero andando e allo stesso tempo un turbamento che l’avrebbe lasciata solo una volta che quei due fossero definitivamente usciti dalla stanza. Ma soprattutto, c’era l’incredibile curiosità che tutta quella situazione le aveva messo addosso.
«Eccolo, “Gruppo A”. Ah, credo ti sia arrivato un messaggio: è da quando siamo entrati che vedo lampeggiare il Trasmittente.»
«Fa’ vedere.» Dopo qualche attimo la Lichliter schioccò la lingua. «Ci mancava solo questa», commentò stancamente. «Bah, sentiamo che cos’ha da dirmi.»
Una strana voce metallizzata che rendeva impossibile capire l’età del parlante, o se quest’ultimo fosse maschio o femmina, si diffuse nella stanza. «Signorina Lichliter, posso assicurarle che dagli esami effettuati non è stato rilevato alcun dato per cui valga la pena preoccuparsi. Se tuttavia dovessero esserci ancora dei dubbi, la invito a presentarsi domattina al Laboratorio 742 e le fornirò volentieri tutti i chiarimenti di cui ha bisogno. Buonanotte.»
«Sentito?», fece Jack. «È tutto sotto controllo.»
«Beato te che hai questa certezza», mormorò lei, mestamente. «Vieni.»
La scrivania si mosse di nuovo e questo le fece capire che Jack si era alzato.
Una volta che se ne furono andati, finalmente si lasciò andare ad un enorme sospiro di sollievo. Sgattaiolò fuori dal suo nascondiglio ancora incredula per il non essere stata scoperta e si accorse che le gambe le tremavano leggermente. Se non altro, aveva smesso di sudare freddo. Si concesse qualche minuto per riprendersi del tutto, poi si avviò verso la porta.
Quando Jack e Ladena erano andati via avevano sicuramente chiuso la porta dall’esterno, ma non era un problema visto che dall’interno poteva essere aperta lo stesso. Aveva imparato che tutte le porte alla C.A.T.T.I.V.O. funzionavano in quel modo.
Premette il pannello a muro – dopo aver tastato un po’ alla cieca per via del buio – e attese il clic. Ma quando la porta si aprì, per poco non si sentì mancare.
Proprio di fronte a lei, con i capelli raccolti sulla nuca e l’espressione severa, c’era Ellen.
Sentì il sangue defluirle dal viso e strinse le mani a pugno quasi fino a farsi male, cercando di fare in modo che la calma non la abbandonasse definitivamente. Non l’aveva minimamente sentita arrivare e le si seccò la gola quando notò che la donna aveva un’arma tra le mani. Non ne aveva mai vista una simile, ma quella luce azzurra e quegli strani scoppiettii metallici all’interno del tubo trasparente, che sembrava essere il cuore del dispositivo, non avevano un aspetto propriamente rassicurante.
Ellen la guardò in cagnesco e strinse saldamente quella sorta di fucile.
La paura provata poco prima le sembrava uno scherzo in confronto a quella di adesso, ma si impose di rimanere immobile, di farsi forza e di sostenere lo sguardo della donna.
Ironia della sorte, proprio ora che stava per morire davvero, nelle sue orecchie non risuonò l’urlo di alcuna Banshee…
Ma Ellen, contro ogni aspettativa, si spostò da una parte con un sospiro esausto. «Tornatene in camera e vedi di sbrigarti», le disse soltanto, senza la minima inflessione nella voce.
Lei la fissò incredula e per un attimo fu come se il tempo si fosse congelato, con quelle parole che continuavano ad aleggiare sulle loro teste.
Riuscire a parlare sembrava immensamente difficile, ma ci provò comunque. «C-cosa?», farfugliò, sicura di aver capito male.
Invece Ellen sembrava aver detto proprio quello. «Tornatene in camera», ripeté, scandendo bene ogni parola, come se lei fosse stata dura d’orecchio.
L’aveva sorpresa a ficcanasare e adesso la stava lasciando andare senza farle nulla? Le sembrava impossibile. «Ma…»
«Stammi a sentire», la interruppe Ellen, «Hai voluto giocare alla piccola spia e non voglio sapere che cosa speravi di trovare: non mi interessa. Se vuoi fare il tour notturno del Quartier Generale sei liberissima di farlo, per quanto mi riguarda, ma stai lontana dall’area degli uffici. Da domani farò aumentare la sorveglianza e mi assicurerò personalmente che ogni porta venga chiusa a chiave. Se ti becco di nuovo qui…», si fermò per lanciare un significativo sguardo all’arma che imbracciava e lei si ritrovò a deglutire nervosamente.
«Non credere di poter avere la stessa fortuna di stanotte: l’unica cosa positiva che farò sarà riconoscere che hai davvero un bel fegato. Sono stata chiara?»
Affondò le unghie nei palmi e si costrinse ad annuire. «Cristallina», disse soltanto, riuscendo per miracolo a fare in modo che la sua voce non tremasse.
Ellen la osservò a lungo, poi la liquidò con un secco cenno del capo. «Ora vai, ci penso io a chiudere la porta.»
Le obbedì, muovendosi quasi come se fosse stata in trance e sentendosi scioccamente leggera. Era talmente frastornata e tutto sembrava continuare a ripassarle davanti agli occhi che si accorse solo dopo di aver superato di almeno cinque metri la porta della sua stanza.
Soltanto quando si mise sotto le coperte, con il viso rivolto verso il soffitto, riuscì a realizzare cos’era accaduto. E, soprattutto, che era ancora viva.
La stanchezza arrivò tutta insieme subito dopo e il sonno le chiuse gli occhi.
Sono ancora viva, riuscì a pensare appena prima di addormentarsi.
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