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Autore: Lusivia    27/03/2015    2 recensioni
[STORIA IN VIA DI REVISIONE: primi SETTE capitoli aggiornati.]
Un tempo credevo che quelle piccole sferette bianche fossero la sola cosa che mi impedisse di impazzire, quel filo stretto attorno alle rovine della mia mente, e tutto ciò che dovevo fare per evitare il collasso era chiudere gli occhi e buttarle giù.
Per diciotto anni avevo vissuto nella convinzione che fosse giusto così, che non poteva esserci via d'uscita da quella villa nascosta tra le colline, ma spiriti antichi avevano cominciato a sussurrare le loro verità.
Un giorno, da un debole atto di ribellione scoprii che ciò che vi era dentro di me era molto più che il riflesso della malattia; era qualcosa di più antico, l'eco del sangue versato in nome di quell'eterna battaglia che continuava ad emettere i suoi clangori, ma l'umanità era ormai troppo giovane per ricordarne il suono.
Ho dovuto vivere le favole narrate dalle antiche voci nella mia testa per scoprire la verità su di me, sul mondo, sull'autentica faccia dell’umanità, e ancora non sono sicura che sia davvero tutto.
Ma ora dimmi, Laura: quanto indietro vuoi tornare per scoprire che la tua vita è, ed è sempre stata, una bugia?
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Kadar Al-Sayf, Malik Al-Sayf, Nuovo personaggio
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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                                                                                              Capitolo 10
                                                                     
                                                                                    L’ultima lacrima del cielo.





-Io non la voglio nella missione!-sbottò Altaïr, indicandomi con gesto sprezzante a Malik, il quale aveva taciuto davanti alla sua sfuriata bisbigliata nella tromba delle scale con un sopracciglio arcuato.
Io, intanto, mi ero seduta qualche gradino più in basso, con il cappuccio tirato sulle spalle, e giocherellavo nevroticamente con il bracciale di Kadar, mentre i due erano poco più su lungo la torre.                       
A occhio e croce, poteva essere l’una di notte.
-Perfetto, vuoi dirlo tu al Mentore che Nadim non viene con noi? Oh, già, dimenticavo!- bisbigliò tagliente Malik- Nadim è in verità una ragazza!
-E allora la portiamo con noi al tempio?-l’altro indietreggiò, contrariato.
-Non dire assurdità, certo che non la portiamo con noi.
-Perciò?
Malik scosse la testa, guardando fuori dalla stretta feritoia al muro, da cui tirò un vento gelido che gli pietrificò il volto severo, e meditò.
Non c’era nessuna soluzione, lui lo sapeva bene, ma per l’alta considerazione che aveva della sua intelligenza s’intestardì di poter trovare ugualmente una soluzione, di poter salvare tutti con un unico lampo di genio.
Io lo guardai speranzosa fino alla fine ma ogni mia fantasia fu spazzata via dal sospiro che fuoriuscì dalle sue labbra, mentre con la sinistra si stropicciava gli occhi sotto i polpastrelli del pollice e dell’indice in un gesto di resa.
Ormai, ero rassegnata. - Sono fottuta, dunque. - brontolai, tornando a capo chino sui miei piedi.
-No che non sei fottuta!- obbiettò svelto Altaïr- Nessuno di noi è fottuto fino a quando non arriverà domani mattina.
Malik alzò lo sguardo sul suo confratello così cocciutamente raccolto nella riflessione, dicendo con aria assennata- Altaïr, non potremo proteggerla se le cose si metteranno male lì.
-Lo so.
-In altre parole…- ribadii-…fottuta.
I due Assassini mi osservarono, ma questa volta non trovarono una ragione valida per obbiettare.
-Perché…?Perché Al Mualim mi ha chiesto di accompagnarvi in una missione così importante per la Confraternita?
-Che missione?
Kadar era in basso alle scale, un piede sullo scalino successivo e una mano poggiata sul suo ginocchio, che ci stava fissando con l’aria spaesata di chi era stato escluso da qualcosa di molto importante.
La sola vista del suo volto mi scosse completamente, mi alzai in piedi troppo velocemente e nel movimento feci cadere il bracciale, che cascò in un clangore ferroso sul gradino davanti a lui.
Il rumore attirò anche l’attenzione di Malik e Altaïr, che scrutarono di sottecchi il ragazzo mentre questo si chinava a recuperare l’oggetto e poi, con un sorriso gentile, me lo rendeva.
Indossai il bracciale a testa china, dopo di che appiatti le spalle contro il muro e lasciai che Kadar parlasse direttamente con gli altri due dietro di me.
-Di che missione stava parlando Laura?-il ragazzo riformulò il quesito per una risposta più precisa.
Malik esitò-Al Mualim ci ha convocato nel suo ufficio due ore fa per dare disposizioni su una missione.
-D’accordo. E per dove?- incalzò Kadar.
-Non- balbettai- Non devi preoccuparti di questo, Kadar. Non è nulla.
-Si, invece- la voce profonda di Altaïr entrò nella discussione e prese ad agitare l’indice in tocchi secchi nell’aria, puntandolo poi verso il Novizio più in basso mentre rifletteva - Lui potrebbe sostituire Laura, domani, prima di raggiungere le scuderie. Nessuno se ne accorgerebbe, sono alti uguali.
In verità, Kadar era qualche centimetro più alto di me…
-Non se ne parla proprio!-Malik si oppose stizzito.
-Sono d’accordo con lui- mi aggiunsi anch’io- Non voglio coinvolgerlo in questa storia, Kadar rischierebbe troppo se fossimo scoperti…
-Oh, allora è meglio gettarti in pasto alle spade Templari, Laura?- Altaïr parve sdegnato dalla mia codardia.
-No, ma non voglio che Kadar si faccia male.
-Non mi farò male.
Mi voltai a guardare Kadar, che aveva assunto un’espressione risoluta mentre con calma palpabile si avvicinava a Malik e poggiava la mano sulla spalla di quello, il quale guardò preoccupato il suo fratellino, quasi spaventato da quella luce nuova che vedeva nei suoi occhi.
-Non mi farò male, lo sai benissimo fratello mio. Mi hai addestrato tu, ricordi? Abbi fiducia delle mie capacità, di ciò che mi hai insegnato quando eravamo rimasti soli al mondo.
L’Assassino più anziano rimase turbato dalla risolutezza con cui il giovane si propose, così, con maggior premura, disse- Kadar, lo sai che se sarai scoperto rischi di esser punito molto duramente da Al Mualim?
-Ne sono consapevole.
-Potresti anche esser cacciato dall’Ordine- aggiunse distaccato Altaïr.
Kadar esitò, poi annuì.
Malik lo scrutò con la sua solita attenzione medica, cercando, scavando, e riemerse dallo sguardo di quello con un’espressione nuova, di chi aveva visto una luce incredibilmente forte brillare nel baratro più profondo dell’universo, rimanendone abbacinato.
Con un sospiro teso, dunque, egli poggiò entrambi le mani sulle sue spalle e affondò lo sguardo nero in quello limpido del fratello, serio e composto come sempre.
-Sei cambiato, stupido ragazzino- mormorò.
Quello sorrise un poco- Lascia che io la protegga. - disse Kadar.
Nel medesimo momento in cui Malik lasciava cascare le braccia in giù, con aria rassegnata, l’Assassino cui volto era sfregiato a vita dal segno della mia lama si girò per guardarmi, squadrandomi così intensamente che m’imbarazzo.
Altaïr aveva improvvisamente afferrato qualcosa che fino a quel punto gli era completamente sfuggito a causa della sua arroganza, della sua sicurezza d’aver il controllo su ogni cosa, compresa me.
Quello fu il primo segnale che qualcosa stava cominciando a sfuggire al suo controllo.

*     *    *

Altaïr fu il primo ad accomiatarsi verso le sue stanze, mentre Malik mi domandò di lasciare lui e Kadar soli, per parlare meglio della missione al tempio.
In verità, era chiaro dalla sfumatura inqueta dei suoi occhi che l’assennato Assassino era preoccupato per la leggerezza con cui il Novizio aveva preso quella faccenda.
Ma quella di Kadar non era leggerezza, bensì determinazione di proteggere qualcosa che era suo.
E ora che rigiravo il bracciale tra le mie mani, vedendo e immaginando le sue decorazioni e la pietra liscia sotto i polpastrelli, capii che il legame di cui parlava Kadar era di protezione.
Nel silenzio della mia stanza, seppellita sotto le coperte ormai impregnati del mio odore, attendevo in una statica attesa che le ultime ore della notte si consumassero in fretta.
Una risatella soffocata.
-Lasciami in pace…Non ho voglia di ascoltarti ora, stupida mente malata. - mormorai debolmente, ma forse non parlai affatto e quella fu solo la mia immaginazione.
Sorprendentemente, però, quella vocina infida tornò nell’angolino umido del mio cervello da cui era uscita.
Almeno per quella notte, non mi diede altre noie.
Verso l’inizio del giorno, sentii dei passi scorrazzare lungo il corridoio e conclusi che fosse qualche ragazzino di ritorno al villaggio, magari dopo un incontro con una giovinetta sfuggita per un’ora dal controllo di casa.
Lo scalpiccio lì fuori si allontanò velocemente, facendo tornare il silenzio nel pianerottolo.
Sospirai, affondando nel cuscino con un sospiro intenso.
Sei una traditrice, lo sai, vero? Hai tradito l’Ordine che ti ha cresciuto in grembo.
Maledizione era tornata alla carica. -Zitta…-l’ammonii.
Ti sei alleata con i nemici della tua famiglia…
Rabbrividii, affrettandomi a contestare. -Io non ho tradito i Templari, perché non sono una di loro!
Ah! D’accordo, se la metti così, allora…che ne dici del tuo Assassino dagli occhi color del cielo?
Schiusi poco gli occhi. - Kadar?- mormorai.
Lui si è offerto al tuo posto, rischierà il tutto e per tutto in nome di un sentimento che tu neanche ricambi e non hai fatto nulla per impedirlo. Sei un’affarista, Laura…
-Non…non è vero!
Lui si sacrificherà.
E tu sarai responsabile di ciò che gli succederà.
-Non gli succederà nulla!
Menti a te stessa. Tu hai già visto il sangue e la morte nel suo futuro il giorno in cui lo abbandonasti.
Un colpo secco alla porta spezzò il ciarlare insensato della mia mente, facendomi riemergere dal tepore delle lenzuola con una strizzata d’occhi, così gonfi che a stento riuscii a tenerli aperti.
Sebbene il mio metabolismo fosse ancora confuso per quella nottata insonne, tirai fuori le gambe lattiginose dal letto e mi misi in piedi, stiracchiandomi per bene mentre mi dirigevo verso la porta.
Aprii un’apertura nel corridoio e scorsi il profilo di Malik che cercava di risvegliare il suo corpo stropicciandosi furiosamente l’avambraccio contro gli occhi, un po’ gonfi e arrossati.
In principio, Malik mi era sempre sembrato un ragazzo accorto ai suoi movimenti, misurato, ma con il passare del tempo avevo scorto anche barlumi di gentilezza, leggiadra ironia e una lieve mania della perfezione.
In oltre, scoprii con meraviglia che era anche uno squisito racconta storie.
-Buongiorno Malik.- brontolai rauca. - Che ore sono?
-La quinta ora della notte- bofonchio piano- Fai in fretta, dobbiamo recarci alle scuderie prima del custode.
Dopo che ebbe chiuso la pota, m'affrettai a indossare gli usuali abiti, l’armatura e gli stivali, ma calai il cappuccio sulla testa solo quando raggiunsi Malik in corridoio, dove mi attendeva un po’ più sveglio di prima.
Il campo d’allenamento era avvolto dal silenzio celestino delle prime luci del giorno, gli attrezzi di legno usati per l’addestramento giacevano immobili, l’unico suono che si udiva a quell’ora del mattino era e il grido lontano di alcuni uccelli che sorvolavano la fortezza con le loro ali nere.
In prossimità delle mura di cinta, Altaïr ci attendeva, tutto rannicchiato su se stesso mentre strofinava le mani l’una contro l’altra, cercando di riscaldare abbastanza da muovere le dita senza provare dolore.
Gli abitanti di Masyaf non erano abituati a quelle temperature insolitamente rigide.
Quando ci congiungemmo con lui, Altaïr gettò un saluto a denti stretti e a braccia incrociate tornò a guardare il cielo, forse pensando che quella gelata era un chiaro capriccio di una divinità annoiata che aveva deciso di divertirsi un po’.
Lasciammo la fortezza per percorrere il pendio verso il villaggio, ancora immerso nel sonno che tutto ferma, quando, in prossimità delle scuderie, scorgemmo un Novizio che girovagava nervosamente davanti alle porte.
Alla sua sinistra, notai che tre cavalli erano già pronti per partire.
-Buongiorno. - Kadar ci salutò con un sorriso teso.- Siamo pronti?-chiese poi.
Malik annuì- Ti ha notato qualcuno, mentre uscivi dalle tue stanze?
-No.
-Tagliamo corto- Altaïr aveva fretta di chiudere la faccenda il prima possibile, così mi spronò a procede con un colpetto al gomito.- Svelta, dagli la roba.
Io obbedii senza esitazione e consegnai a Kadar le armi che avevo prelevato dall’armeria con Malik, cercando, nel frattanto, di ignorare le occhiate insistenti del ragazzo.
Consegnai la spada e i pugnali da lancio ma, quando arrivò il momento di un pugnaletto dall’elsa tozza e argentata, decisi all’ultimo di tenerlo nascosto nella cintura.
-Siate prudenti. – dissi e mi allontanai di qualche passo.
Kadar sospirò davanti alla mia indifferenza, poi spostò l’attenzione sulla spada che stringeva nella mano e ne calibrò il peso, mentre Malik non mi risparmiò un severo ammonimento prima di partire.
- Non parlare con nessuno. - cominciò con sguardo assente. - Bada a non farti vedere da Al Mualim. Esci dalla stanza solo se necessario. Non fare sciocchezze.
Era sempre così nervosamente tirato quando si sforzava d’esser gentile.
-E tu vedi di non rimanerci secco- risposi tranquilla.
Lui ghignò.
-Malik. Riporta Kadar qui sano e salvo. - aggiunsi seria.
-Ovviamente.
Detto ciò, l’Assassino tirò sui lucidi capelli neri il cappuccio immacolato e raggiunse i cavalli con Kadar, mentre Altaïr era già in sella e pronto per partire.
Quest’ultimo fu il primo a lasciare il villaggio, poi Malik e infine Kadar, che fecero scattare i destrieri con un colpo dei talloni lungo il pendio.
Rimasi immobile davanti all’entrata per un po’.
Dopo non so quanto tempo, marciai verso le scuderie e preparai la cavalla con le bisacce piene di rifornimenti e acqua per il viaggio.
Montai in sella come mi aveva insegnato Malik, strinsi le redini tra le dita e le schioccai nell’aria per condurre il cavallo in prossimità dell’uscita, ma esitai davanti alla distesa di terreno che si apriva aldilà del villaggio.
Era una pazzia, certo, ma non ero mai stata brava a prendere scelte saggie.
Colpii i fianchi della cavalla, quella nitrì infastidita e procedette lungo il sentiero battuto.
Masyaf era ormai alle mie spalle.

*    *    *

Il viaggio durò cinque giorni.
Dopo aver lasciato Masyaf, rincontrai i tre a pochi metri lungo il cammino, così feci decelerare l’andamento della cavalla e procedemmo a passo, prestando massima attenzione a non entrare nel loro raggio visivo per tutto il viaggio.
Quando giungeva la sera, loro si accampavano come meglio potevano e lo stesso facevo anch’io, raggomitolandomi contro il ventre caldo dell’animale e lasciando che la notte passasse il più velocemente possibile.
Alla vigilia del quinto giorno, cominciai a pensare a ciò che stavo facendo, alle motivazioni per cui mi ero gettata al loro inseguimento senza neanche riflettere.
La risposta fu sempre la stessa: perché avevo abbandonato Kadar, tanto tempo fa.
Era stata quella vocina della notte scorsa a ricordarmelo.
Il giorno in cui iniziai ad avere visioni di morte e sangue ero poco più che una bambina, troppo piccola perché capissi cosa mi stava succedendo, e il terrore fu tale che cominciai a mandare giù le compresse come fossero caramelle al gusto di limone nella speranza di far tacere le allucinazioni definitivamente.
E così, molto lentamente, passo dopo passo, le visioni si affievolirono, il sangue diminuì, i periodi in cui rimanevo confinata nel mio delirio sempre più brevi, finché, un giorno, mi alzai senza alcun ricordo di ciò che era stata la mia vita fino a quel momento.
Sparirono le allucinazioni, sparì Kadar, e per un po’ credetti di vivere una vita normale, più o a meno, solo se continuavo ad affidarmi alla scienza.
Almeno, così avevo creduto fino al giorno in cui mi ero ritrovata in un mondo sottosopra, lontana da casa secoli e secoli, sola e spaventata.
Forse, però, quella era la mia punizione per aver ucciso con le medicine l’unico essere che si fosse mai interessato a me, o per lo meno il divertimento perverso di qualche dio che aveva deciso di farmi compiere viaggio senza senso solo per trastullarlo un po’.
Non sapevo dove sarei andata, ma una cosa era certa: non avrei mai più rinnegato me stessa.
Arrivò la fine del viaggio nel pomeriggio del quinto giorno.
Il tempio di Salomone era poco più di un tugurio fatiscente all’esterno, nulla a che fare con le mie aspettative di splendore e antico mistero, che avrebbe dovuto impregnare l’aria di quelle arcane emozioni e leggende sussurrate nelle notti oscure della Mezzaluna fertile.
Ma ora, tutto ciò che rimaneva di quell’antica gloria era il riflesso sbiadito di uno specchio troppo vecchio.
Notai un certo nervosismo nei movimenti di Altaïr quando si fermarono a qualche metro dall’entrata per legare i cavalli, tuttavia dissimulò ogni cosa non appena fu raggiunto da Malik e Kadar.
I più anziani si scambiarono qualche parola veloce, vidi Malik che scuoteva con dissenso la testa e ammoniva Altaïr attorno a qualcosa, ma quest’ultimo si divincolò dalle litanie del confratello con uno scatto snervato delle spalle ed entrò per primo nel tempio.
Kadar alzò il petto in un sospiro, poi diede una pacca di conforto sulla spalla di Malik.
Il fratello maggiore si voltò a guardarlo, sbuffò e avvolse la spalla del fratello con il suo braccio lungo, borbottando una battuta che sembrò sbollentare la tensione per entrambi.
I due risero assieme, come due normalissimi fratelli che commentano il passaggio pavoneggiato di una bella donna al mercato locale, finché quel piccolo scorcio di tranquillità non fu interrotto da Malik, il quale fece scivolare il braccio dalla spalla di Kadar e tornò concentrato sulla missione.
Senza indugiare oltre, i due calarono il cappuccio sui loro visi e si addentrarono nelle viscere della struttura.
Passai qualche minuto nascosta dietro un masso a pochi metro di lì, fissando con gli occhi sgranati l’entrata del tempio, mentre la cavalla brucava libera alle mie spalle.
Una volta raccolto il coraggio, mi alzai dal nascondiglio e corsi verso l’entrata, piantando i piedi in una frenata brusca quando fui a pochi centimetri dall’entrare del tunnel.
Lì dentro l’aria era umida, muffosa, e si sentiva anche l’odore vago di chiuso.
Ma, allo stesso tempo, c’era qualcosa di indescrivibile che trasudava dalle pareti e appestava l’aria circostante in maniera opprimente.
No, decisamente quella non era una delle mie idee più ponderate.
Distesi le dita nei guanti di cuoio e ispirai affondo, soffocai il senso di stanchezza e di fame, poi flettei le gambe e in un movimento scattante fui dentro il tempio.
Man mano che mi addentravo nel buio, calpestando e schivando grosse pozzanghere formatosi tra i valli della sabbia, notai di tanto in tanto delle torce appese e intuii che non fossimo soli.
Giunsi in prossimità di una svolta e attenuai il passo, arrivando poi ad arrestarmi completamente quando estrassi il pugnale dalla cinta e lo portai vicino al petto, esponendomi con circospezione dall’angolo in cui ero nascosta.
Controllai rapidamente che non ci fosse nessuna guardia a sbarrarmi il cammino, udendo soltanto lo scorrere debole di un fiumiciattolo formatosi da una perdita nel muro, finché qualcosa accasciato a terra mi portò a chinare lo sguardo in basso.
Un sacerdote del tempio era riverso al suolo con la gola sgozzata, ritratto in una smorfia di orrida sorpresa e con le dita di una mano contratte verso quel fiumiciattolo, che, adesso, si era mischiato con il sangue vischioso.
L’odore di morte era così forte che lo stomaco mi si ribaltò in gola ma per fortuna non c’era nulla da rigurgitare, perciò gettai indietro il disgusto e superai velocemente il cadavere per riprendere la corsa.
Di sicuro quella firma cupa sulla gola del sacerdote era opera di Altaïr.
Mi chiesi se la morte di quell’uomo era necessaria.
Seguii il percorso fino a giungere nei piani superiori della struttura, in una serie di cunicoli e travi che formavano ciò che un tempo doveva essere una stanza, e mi portai a qualche metro dal pavimento che era crollato per metà.
Così presi a osservare lo spazio sottostante.
Sotto di me si stendevano i resti della gloriosa sala che un tempo era ornata da oro e fregi preziosi, strappati via dalle sue mura per lasciarle spoglie e fredde, ed era illuminata da alcuni bracieri accesi da due soldati di guardia all’altare.
D’un tratto, un gruppo di uomini in armature lucenti entrò nella zona con una cassa sulle spalle ricurve e, sebbene fosse consumata e spoglia di qualsiasi fregio, capii che si trattava dell’Arca.
Davanti al gruppo, un uomo dalla statura colossale e gli abiti da condottiero indicava loro di poggiare l’Arca sull’altare poco più in alto, scrutando severamente i sottoposti con gli occhietti grigi mentre eseguivano l’ordine.
Dal suo aspetto, quell’uomo si sarebbe detto essere nativo di qualche paese Europeo, la corporatura era massiccia e forte, gli occhi piccoli ma intensi, la pelle della cute lucida e segnata da alcune cicatrici e vene azzurre.
Era il Templare più alto di tutti, forse di qualsiasi uomo avessi mai visto, e l’aura che emanava intimoriva tutti quelli he gli erano attorno.
Di sicuro era il capo.
Nel frattanto che i sottoposti Templari riponevano l’Arca, io presi a scrutare tra le travi e i resti attorno a me, cercando le vesti bianche e svolazzanti dei miei confratelli in missione, ma non li vidi.
Dubitavo d’esser nel posto sbagliato.
Dovevano essere lì, da qualche parte, soltanto i miei occhi inesperti non riuscivano a vederli.
-E tu che fai qua?- un Templare giunse alle mie spalle, prendendomi totalmente di sorpresa.
Provai a scappare ma quello mi colpì con il gomito in mezzo alle spalle, facendomi stramazzare al suolo con il respiro bloccato in gola.
Mi rigirò per un piede a pancia in su, io provai a ferirlo al viso con il pugnale ma quello mi bloccò le gambe e lanciò un pugno sulla mia tempia destra, stordendomi il tempo sufficiente per rendermi innocua e strapparmi dalle mani l’arma.
Cominciai a riprendere conoscenza quando ormai ero stata portata nella sala sottostante e gettata a terra, poco distante dai piedi dell’uomo dagli occhi gelidi.
Lui si voltò a guardarmi in un misto di sufficienza e disgusto.
-Dove l’hai trovato?- domandò e notai che aveva un lieve accento francese.
-Era nascosto nel piano superiore, il bastardo- rispose il soldato- Che faccio? Lo ammazzo?
Capendo d’essere spacciata, provai disperatamente a scattare in piedi ma lo stivale del sottoposto si piantò sulla mia schiena e mi spinse con il ventre verso il suolo, sventando qualsiasi piano di fuga.
Il colosso scosse la testa con dissenso, poi fece cenno con il mento al soldato di alzarmi da terra e quello obbedì, sebbene a malincuore, bloccandomi saldamente le braccia dietro la schiena.
-Sai chi sono io?- il comandante fece la sua prima domanda.
Indugiai, poi scossi la testa.
Lui gongolò estasiato. - Di solito, gli Assassini che schiaccio sotto i miei stivali tremano come cani bastardi, con lo sguardo superbo ma il corpo piegato, eppure tu mi sfidi senza neanche sapere chi diavolo stai cercando inutilmente di far fuori.
Poi, senza indugiare oltre con quelle inutili moine, il comandante mi afferrò di malo modo il cappuccio e lo tirò via dalla mia testa, esponendo così il volto delicato e i lunghi capelli castani che cascarono sul mio petto come radici di un albero.
Mentre intorno a noi si levarono bisbigli sorpresi o confusi, io fui immobilizzata per la mandibola tra la cotta pruriginosa dei guanti dell’uomo, che mi scrutò deliziato mentre con fermezza diceva. - O il mio vecchio amico è uscito completamente di senno oppure Al Mualim si diverte a mandarmi in bestia con questa offesa immonda e decisamente crudele. Allora, ragazza, non mi dirai che adesso reclutano anche le donne tra quei cani?
Tacqui.
-D’accordo, taci, se ti va. Tanto non cambierà la sorte dei tuoi compagni quando li troverò e li massacrerò uno a uno.
La codardia delle sue parole m’infiammò gli occhi neri di puro odio, tuttavia lui si crogiolò tra quelle fiamme con indifferenza e, anzi, mi lasciò andare la mandibola con la stessa delicatezza che si riserverebbe a una bambina innocua.
-Mettila in catene!- ordinò al soldato dietro di me- La porteremo con noi, una volta finito qui.
-No!-gridai, ma lui mi aveva già dato le spalle per tornare alle sue faccende.
Il soldato obbedì e cominciò a trascinarmi nell’altra stanza mentre io mi dimenavo come una furia e tentavo di allontanargli la mano pressata sulla mia bocca, finché, ormai rassegnata al mio destino, lo sentii sobbalzare per qualcosa che si era appena piantò tra le sue scapole.
Il soldato stramazzò immediatamente a terra e ciò mi diede la possibilità di appiattirmi contro il muro e riprendere grandi boccate d’ossigeno, realizzando allora che ad ucciderlo era stato un pugnale.
Fu in quel momento, quando di Sable era tutto intento a impartire ordini qua e là con le braccia enormi, che qualcosa di veloce e incolore piombò sul Templare dalle travi sovrastanti e sfoderò in un click la lama retrattile al polso.
Una frazione di secondi e Altaïr gli avrebbe trapassato il cranio.
Ma qualcosa andò storto.
Con un movimento estremamente fluido ma anche implacabile, Di Sable lo afferrò a mezz’aria e gli strinse le mani attorno alla trachea, sballottandolo un po’ mentre l’Assassino ringhiava e cercava di liberarsi da quella presa letale, finché, stanco di quel giochetto, il Templare lo lanciò all’aria.
A stento l’Assassino riuscì ad attenuare la caduta sul terreno, rotolando per qualche metro prima di riacquistare la stabilità e ancorarsi al suolo, ma quando si fermò non poté sopprimere un’espressione di sgomento che gli varcò in un baleno il volto.
Era terrorizzato, anzi, bloccato completamente in quella posizione accovacciata mentre il suo avversario ordinava ai soldati di disporsi per la battaglia.
Di Sable lo aveva appena scaraventato via come una bambola di pezza, come un insetto, come un bambino indifeso che aveva creduto di poter affrontare con una spada di legno il drago nascosto nel castello, e questo lo aveva spaventato.
Nulla gli era mai sfuggito dal suo controllo, nulla.
E adesso, con una sola manata, Altaïr era stato sopraffatto.
Fortunatamente, l’Assassino rinvenne in tempo per reagire all’attacco di un soldato, deviandone il colpo con la sua spada corta e tagliandoli di netto la gola con la lama celata.
Il soldato esalò mentre cadeva ai suoi piedi e quella piccola vittoria lo rincuorò sufficientemente da spingerlo a rialzarsi, con le lame a portata di mano per affrontare lo schieramento davanti a lui.
Nell’esatto momento in cui Altaïr ingaggiò il combattimento contro tre guardie, il clangore di lame alle mie spalle mi portò a voltarmi verso lo scontro in corso qualche metro più in là.
Malik aveva neutralizzato un avversario tagliandogli i tendini della gamba sinistra, costringendo il soldato ad accasciarsi il tempo sufficiente per permettergli di finirlo velocemente e in dolore, e adesso passato al Templare successivo con un cambio di lama, usando il pugnale a molla a posto della spada per forargli i polmoni sotto il costato.
Kadar, invece, aveva una tecnica meno definita della sua: affrontava più nemici alla volta, ferendoli man mano con colpi secchi e precisi nei punti più vitali, e li portava a morire per dissanguamento ancor prima che il duello iniziasse.
Era veloce, aggraziato, ma Malik doveva sempre assicurarsi che i colpi inferti dal fratellino fossero letali al terzo movimento, altrimenti sarebbe intervenuto lui per porre fine al duello.
Notai che Malik stava avanzando nella mia direzione e che Kadar lo stava aiutando a raggiungermi, mentre, al contrario, l’Aquila era stata così presa da quella tremenda offensiva del suo nemico che non si era neanche accordo della mia presenza al tempio.
Capendo d’esser proprio al centro di due fuochi, corsi via dal mezzo della sala e mi portai accanto all’altare, dove potevo avere una visuale completa della scena, e il mio spostamento non sfuggì a un soldato che abbandonò il combattimento con Altaïr per raggiungermi lì.
L’Assassino, però, non si accorse che uno dei suoi bersagli era appena sfuggito al suo controllo perché troppo impegnato a uccidere un soldato che teneva stretto per il collo sotto il suo braccio e poi, una volta gettato il cadavere, ingaggiare finalmente il combattimento con il Gran Maestro dei Templari.
Il soldato era davanti a me, nel panico cercai invano il pugnale perso nel soppalco superiore, e la sua lama mi avrebbe ucciso se Malik non lo avesse afferrato e scagliato al suolo, dando così il tempo a Kadar di finirlo.
-Perché sei qui, Laura?- sbraitò Malik, completamente fuori di se e con i capelli che schizzavano sudore da sotto la cappa grigia, mentre con il gomito mi spingeva al sicuro contro l’angolo.
-Sono qui per aiutarvi!- dissi ma non fui convincente.
-Non sei divertente!-ribatté.- Cazzo, sei una stupida testarda! Devi andartene, adesso!
-Tu non sei più il mio maestro, non decidi per me!
-Ma sono tuo fratello maggiore e ti dico che devi smammare alla svelta!
-Io non…Malik!
L’Assassino si voltò a seguire la direzione indicata dal mio braccio teso e vide che Kadar era caduto a terra e che era stato disarmato proprio quando giungevano i rinforzi Templari.
Senza pensarci due volte, Malik mi lasciò la sua spada e fece scattare il meccanismo al polso, correndo alle spalle di un soldato e gettandolo a terra prima che questo tagliasse di netto il braccio di Kadar.
-Fratello, stai bene?- chiese mentre si parava davanti al minore, respingendo i Templari che avanzavano.
-Sì!-rispose, rialzandosi da terra e recuperando l’arma, poi guardò l’altro e con tono supplichevole disse- Ti prego, Malik, devo portare Laura via di qui!
Il Novizio voltò le spalle al suo superiore per raggiungermi all’altare, dopo di che afferrò la mia mano e mi scortò verso l’uscita nel tunnel.
-Kadar, mi dispiace!- sbottai con il fiato corto.
-Dovevi rimanere a casa, Laura! Che cosa farei se tu dovessi morire qui con noi, oggi?
Nel frattempo, lo scontro si stava spostando a favore dei Templari, che approfittavano del loro numero per soffocare con attacchi coalizzati le fiamme divampanti a ogni attacco scagliato dai due Assassini, tuttavia ciò non avrebbe cambiato l’esito imminente dello scontro.
Ci fermammo davanti all’entrata del tunnel e invece di proseguire bloccai Kadar, che era già pronto a tornare al combattimento, strattonandolo verso di me.
-Tornate a casa con me!- gridai- Morirete se rimarrete qui, quindi lasciate perdere quella stupida Arca e scappate!
I suoi occhi color del cielo mi fissarono impotenti, per un momento fu tentato di farlo davvero.
Ma scosse la testa.
Avvertii il bruciore delle lacrime pizzicarmi gli occhi. -Ti prego…Ho…ho un brutto presentimento.
-Laura…Abbi fiducia nel destino.
E, lentamente, si svincolò dalla mia mano.
Kadar mi guardò, poi si accigliò e mi afferrò la nuca per baciarmi intensamente.
Io non riuscii a ricambiare, perché quel gesto era la prova che nulla sarebbe andato bene.
Come se lui già sapesse come sarebbe finita.
E gli stava bene così.
Ma a me no.
Con la leva di un solo braccio, spinsi contro il petto di Kadar e lo allontanai il tempo sufficiente da lasciarlo perplesso e raggirarlo a destra, prendendo a correre verso l’altare senza curarmi delle lame che mi sfrecciavano accanto e dietro.
-Laura, no!-Kadar mi corse dietro, cominciò a salire le scale, ma io ero già a metà strada.
Giunsi sulla cima con il fiato corto, mi bloccai e osservai la scena che si apriva sotto di me con muto orrore.
C’erano molti cadaveri sparsi a terra e per fortuna sia Malik che Altaïr erano ancora in piedi, quando d’un tratto, proprio sotto i miei occhi, Di Sable schivò il colpo dell’Assassino e , con un solo braccio, lo scaraventò così lontano da farlo finire contro le travi di un’uscita in rovina.
Il colpo di schiena di Altaïr fu tale che le travi cedettero e gli precipitarono addosso, dandogli pochi secondi per strisciare indietro e scampare al crollo dell’entrata.
Il rimbombo improvviso spezzò l’aria in due e allo stesso modo anche la concentrazione di Malik s’incrinò, schivando per un soffio l’offensiva di uno dei suoi tre avversari.
In quei pochi secondi di confusione generale, sentii il grido di un soldato quando questo era già alle mie spalle, tuttavia i riflessi furono incredibilmente pronti e sfilai la spada abbastanza velocemente da far cozzare le lame e rigettare l’uomo a terra.
Kadar era arrivato in cima alle scale, io riposi l’arma ma non lo aspettai, invece mi precipitai verso l’Arca e mi gettai al suo fianco, affondando le dita sui bordi per tirare su il coperchio.
Dovevo recuperare quello stupidissimo manufatto o quei due sarebbero rimasti lì fino alla morte.
Non appena ebbi ricavato spazio sufficiente, infilai il braccio nella cassa e tastai il fondo oscuro, finché le mie dita sfiorarono qualcosa.
Così lo tirai in superficie.
Ma non appena il bagliore lucente di quell’oggetto scappò dal panno che lo ricopriva, un senso indescrivibile di vertigine mi portò a mollare la presa sul manufatto e senza volerlo cominciai  a strillare.
Non potevo chiudere la bocca, non ci riuscivo, ma avrei tanto voluto che quelle grida insensate cessassero, che Malik non si fosse distratto per voltasi nella mia direzione e che Kadar non si fosse precipitato da me senza rendersi conto che il Templare di prima si era rialzato da terra.
Fermatevi.
Fermatevi.
Fermatevi!
La vocina rise: ups!
Un gemito alle mie spalle, la sensazione che qualcosa di estremamente prezioso si era appena versato sul terreno empio.
La bocca, finalmente, tacque, ed io fui libera di voltarmi indietro.
Kadar aveva lo sguardo chino sulla rosa scarlatta che si stava lentamente formando sul suo petto candido, dispiegandosi come ali attorno al ferro crudele della lama del Templare alle sue spalle.
Il ragazzo toccò la ferita, macchiandosi le mani, poi alzò lo sguardo su di me.
In quel momento, qualcosa si frantumò.
O forse, era solo il grido straziato di Malik.
I secondi successivi furono veloci, come il battito d’ali di una farfalla.
Il soldato estrasse la lama dal petto di Kadar, che gemette e gettò le ginocchia a terra, poi si preparò ad affrontarmi con la stessa lama macchiata del sangue di quel giovane che ora era piegato a terra.
Il pulsare doloroso del mio petto fu il generatore collegato direttamente alle mie braccia, che si mossero così velocemente da non permettere al soldato di prevedere la loro direzione.
Rimase del tutto spiazzato quando sentì la mia lama conficcarsi sotto il suo sterno.
Fissai diritto negli occhi l’uomo mentre la spada gli stillava via la vita, e ci godetti.
Lui doveva morire.
Per ripagare il sacrificio di Kadar, quell’uomo doveva morire.
Così, quando alla fine l’emorragia interna lo portò a sanguinare dalle orecchie, estrassi via la lama nella maniera più dolorosa possibile dalla sua carne rossa.
Eppure, non appena quell’uomo spirò sui miei stivali, il dolore incontenibile dovuto alla consapevolezza che quell’uccisione era poco più che una mera vendetta mi soffocò.
Mi voltai verso Kadar, sperando, pregando per la prima volta in vita mia dio indifferente di trovare i suoi occhi a guardarmi vitali.
Ed eccoli lì.
Mi stavano sorridendo, come sempre.
Ma questa volta, era per dirmi addio.
Una lacrima di paura gli riempì l’occhio sinistro, poi cadde dal suo cielo per sempre puro per l’ultima volta.
Passò qualche secondo.
Poi i minuti.
Ormai, c’era solo silenzio.
Qualcuno giunse alle mie spalle, ma non me ne curai.
Quell’uomo si fermò accanto a me, ammutolendosi quando posò lo sguardo scuro sul cadavere del ragazzo.
Degnai di uno sguardo quell’individuo solo perché le mie narici si riempirono di un pungente odore di sangue, misto anche a sudore e lacrime.
Malik era gravemente ferito sul fianco sinistro e il braccio di quel lato era completamente ricoperto di rosso, abbandonato inerme lungo il suo corpo sfatto e sull’orlo del cedimento.
Di Sable era sparito con i pochi uomini rimasti, sotto di noi giacevano molti morti e Altaïr ci aveva abbandonati alla morte.
Malik mantenne il suo animo intatto per qualche secondo.
Poi, rigettò con un grido viscerale le lacrime lungo le sue guance ferite.
Lo guardai impotente mentre si gettava sul sangue del suo fratellino, tremai quando lo vidi accasciarsi disperatamente sul suo cadavere e stringerlo con l’unico braccio che riusciva a muovere, piansi quando capii che tutto per me era taciuto nell’attimo in cui avevo compreso di aver già visto quella scena.
Come un film che era stato già proiettato nel mio personale cinema degli orrori.









Angolo autrice:
Alla fine di questo capitolo ero emotivamente ridotta a uno straccio, quindi, detto tra noi, ho dovuto vedere un video stupido su youtube per risollevarmi un po’ il morale.
Mi scuso se vi ho depresso con questo episodio così triste, ma mi sono resa conto che la morte di Kadar non poteva davvero essere evitata. Non so come spiegarlo, ma è come se risparmiandolo avrei inquinato la verosimiglianza della storia.
Dall’undicesimo capitolo cambieranno molte cose, quindi credo che prenderò una pausa un po’ più lunga per riordinare le idee e distanziare gli avvenimenti finora accaduti con la nuova sezione della storia.
Grazie come sempre per l’incredibile sostegno che date al mio lavoro!
Baci, Lusivia.







 



















 







   
 
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