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Autore: AlfiaH    27/03/2015    4 recensioni
[Destiel/Sabriel/ lievissimi accenni alla DeanXLisa, alla Megstiel e alla SamXRuby - Castiel ispirato alla sua End!Verse - AU]
Dean e Castiel si sono lasciati un anno fa e non si parlano da allora, ma Gabriel ha bisogno d'aiuto e Sam è piuttosto disperato.
Dal testo:
“Vuoi dirmi perché sei qui – perché siamo qui, o devo aspettare che Dio mi conferisca il potere della chiaroveggenza?” sbotta Castiel. È nervoso, nasconde la mano destra in una tasca, spera che smetta di tremare.
“Lo sapresti se ti fossi degnato di rispondere a quel cazzo di telefono!”
[...]
“Ho lasciato anche medicina. Ho mollato tutto quando- Cristo, non sono abbastanza fatto per affrontare questa conversazione”. Castiel preme i palmi sulle tempie, la testa gli sta per scoppiare.
Genere: Angst, Commedia, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Gabriel, Sam Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Gabriel si rese conto di essere spacciato quando il suo rapporto divenne planetare


Avvertenze: possibile (probabile) OCC dei personaggi, incapacità dell'autrice di scrivere fluff,  corde ed olio per motori, cose. Come sempre le parti scritte in corsivo rappresentano i flashback.





Sam non aveva avuto problemi a confidare a suo fratello di avere certe tendenze (insomma, erano quasi due anni che Dean stava con un uomo, quindi non era esattamente nella posizione di poter giudicare), ma era piuttosto restio, per non dire terrorizzato, a confessargli la sua relazione con Gabriel.
Gabriel: il fratello maggiore mentalmente ritardato e con una dipendenza dallo zucchero del perfettissimo fidanzato di suo fratello – lo stesso Gabriel al quale Dean rivolgeva il suo sorriso alla “non ti strangolo soltanto perché Cas ti vuole bene” e che aveva avuto la faccia tosta di appiccicargli le labbra sulla bocca ancor prima di invitarlo ad uscire. Ovviamente Sam aveva rifiutato in malo modo sia l’approccio (anche se non con troppa enfasi) sia l’invito; insomma, essere abbordati in un bar dal tuo vicino poco raccomandabile, che aveva già l’età per bere (e non solo), non era esattamente il massimo che Sam si aspettava dalla vita – ma non si era aspettato neppure che un individuo del genere potesse essere imparentato con una persona così gentile e genuina come Castiel, a dire il vero, aveva soltanto avuto tempo per farci l’abitudine, e Gabriel doveva aver afferrato questo sottile meccanismo del suo cervello (o forse era stato semplicemente fortunato) perché non si era per niente arresto al primo rifiuto, né ai trecentottantasette successivi.
Alla fine gli era bastato sparire per un po’ e Sam aveva semplicemente sentito troppo la sua mancanza – un piano perfetto, Gabe se ne vantava in continuazione. Era sorrisi e battute e miele e lunghe occhiate languide, si sporgeva oltre la sua spalla e gli baciava il collo facendolo rabbrividire; era proposte indecenti, sguardi innocenti e “cosa ho detto di male?” ai “no” perpetuamente categorici di Sam; era tutto messaggi sconci alle tre di notte e beep di cellulari che riempivano i silenzi delle sue notti insonni – era quel pizzico di stranezza, la virgola fuori posto delle sue giornate dalla punteggiatura già così sballata, quella che non ti va di sistemare perché, anche se non hai la minima idea di come sia finita lì, infondo ha qualcosa di artistico e giusto.
Gabriel creava vuoti attorno a sé quando smetteva di blaterare e spariva, spazi di niente in cui Sam annaspava senza speranze (come se l’adolescenza non fosse abbastanza), e, benché il giovane Winchester non avesse mai mentito a suo fratello, si ritrovò ad arrampicarsi sugli specchi spesso e volentieri per non far scappare il suo scopa-amico-senza-impegno allergico alle relazioni (Gabriel avrebbe preferito cambiare sesso e farsi suora piuttosto che etichettarsi come “fidanzato”, e la cosa, in verità, gli spezzava sempre un po’ il cuore).
“Gabe” il suo tono doveva suonare come un rimprovero, ma il biondo non lo prese molto sul serio, si limitò a roteare gli occhi al cielo e gli regalò ancora qualche bacio dolciastro all’angolo della bocca, una mano pericolosamente adagiata sul suo petto ampio. “Dean potrebbe tornare da un momento all’altro”, lo avvertì, “e c’è Bobby che dorme sul divano”. “Allora dovrai tapparmi la bocca, tesoro” e si alzò sulle punte per approfondire quel contatto, al quale, però, il moro fu pronto a negarsi, bloccando con la propria la mano che era scivolata sul suo stomaco – “che bastardo”, sembravano dire le labbra di Gabriel piegate all’ingiù. “Non qui”, disse perentorio stringendo debolmente la presa sulle sue dita, incastrandole tra le proprie, già smisuratamente grandi. Fece per accostarsi alla porta semichiusa del garage, ma l’altro lo trattenne piantando i piedi nel pavimento; portò il loro intreccio alla bocca e ne baciò dolcemente il dorso, sorrise sulla sua pelle, sollevò lo sguardo con una lentezza studiata e quando Sam incontrò quelle iridi ambrate che la luce fioca rendeva scure per metà seppe che non l’avrebbe avuta vinta nemmeno quella volta – spesso si chiedeva perché si ostinasse ancora a combatterlo. Forse era masochista; forse voleva semplicemente sentirsi a posto con la coscienza (non ci riusciva mai). “Qui è perfetto. Adoro il sesso in garage, non sai mai cosa aspettarti. Potresti girarti e, oh, un attrezzo che fa al caso nostro” il suono della sua voce arrivava al suo orecchio come una carezza languida, mentre il biondo si premeva contro il suo corpo per raggiungere la mensola alle sue spalle. Sam quasi si strozzò con la saliva quando l’altro gli mostrò una corda arrotolata e dell’olio per motori con un ghigno per niente rassicurante. “Stai scherzando”, tentò. “Paura di un po’ di bondage?” lo canzonò l’altro riponendo l’olio sul pavimento. Tenne la corda su una spalla. “Ho paura che mio fratello mi trovi legato come un salame e con le mutande calate nel mio garage mentre faccio sesso con suo cognato”. Gabriel stava già armeggiando con la sua cintura, la sfilò come se non avesse mai fatto altro nella vita. “Sembra davvero allettante, sono già eccitato”. Si umettò le labbra, Sam fu costretto a deglutire un paio di volte prima di aprire bocca perché la mano del suo ragazzo (che problema c’era se lo chiamava così solo nella sua testa?) era nelle sue mutande e lui avrebbe voluto fare qualcosa per ricambiare, davvero, ma aveva una domanda. Avrebbe potuto (avrebbe dovuto) tenerla per sé perché infondo conosceva già la risposta, perché, okay, amava Gabriel, ma amava un po’ anche se stesso e non avrebbe dovuto farsi del male in quel modo – c’era qualcosa di tremendamente sbagliato in lui. “Non è la prima volta che lo fai”, dopotutto non era nemmeno una domanda, ma non era davvero quello il punto. I suoi jeans erano già sul pavimento. “Cosa, legare qualcuno o fare sesso in garage? Non che la risposta cambi. Comunque sarebbe carino se non mi lasciassi fare tutto il lavoro, fiocco di neve”. “Non è la prima volta che lo fai da quando stiamo- da quando, voglio dire…” il biondo socchiuse gli occhi, si lasciò spingere alla parete. “No”, mormorò lentamente. “Qualche problema?”
Sam si morse la lingua e gli rubò la corda dalla spalla.
*****
 
Ignorare la sensazione che gli attorciglia lo stomaco ogni volta che mette piede in ospedale non è facile, e non è tanto per il sangue o le malattie (Dean, al contrario, è terrorizzato dagli aghi). Il cuore gli si stringe per le dita strette attorno alle ginocchia e la testa china di un bambino che aspetta fuori dalla sala operatoria e per lo sguardo perso di una donna alla quale hanno appena dato una brutta notizia; per le figure curve in quelle stanze bianche. Sam rivede il se stesso di parecchi anni prima, arricciato su una sedia metallica ed ingobbito dal dolore, ed ha paura di ritornare così (forse lo è già e Dean tenta di raddrizzarlo con le pacche che gli dà sulla schiena per salutarlo, o consolarlo, o qualunque cosa Dean non riesca ad esprimere a parole). Alcune persone non si sollevano mai, alcune, come Dean, ad un certo punto possono solo spezzarsi; quando sono morti i loro genitori, Sam non ci ha nemmeno provato.
Sale a due a due le scale che lo separano dal reparto di oncologia, attento a non rovesciare i caffè che ha appena preso al bar – quattro caffè ed una manciata di caramelle alla fragola, precisamente, perché è comunque il fidanzato di Gabriel – ma rallenta quando intravede la figura accigliata di Ellen in cima alla rampa. “Li hai lasciati da soli?”, le chiede con un sorriso divertito; riesce perfettamente ad immaginare lo sguardo supplicante che Gabe deve averle rivolto prima che lei lo lasciasse con Bobby – perché, okay, Gabriel sarà anche una faccia di bronzo, ma chi è che non avrebbe paura del padre del proprio ragazzo che ti ha minacciato con un fucile da caccia (ripetutamente)?
“Volevo parlare un po’ con te”, dice lei affiancandoglisi. Lui annuisce, serio, le porge il suo caffè. “Suppongo che il caffè fosse una scusa“. “Si e no”, risponde criptica facendo spallucce ed abbozzando un sorrisetto, “hai un aspetto di merda”. Che in casa Singer-Winchester è un modo meno sdolcinato di chiedere “come stai?”. “Non riesco a dormire”, conferma Sam con un sospiro. “Sono stanco e preoccupato, e siamo solo all’inizio. La cosa peggiore è che mi sento inutile. Non so cosa fare, Ellen, io… Voglio lottare, davvero, al fianco di Gabe. Voglio essere forte. Ma ogni volta che metto piede in ospedale, io…” le mani gli si stringono attorno al vassoio di plastica, colme di frustrazione, e si aprono come a voler lasciare andare tutto solo con quel gesto. Ora la donna è seduta accanto a lui e gli posa una mano sul braccio,  pronta ad ascoltarlo, e Sam gliene è grato; è felice che sia toccato a lei e non ad una casa famiglia, che Ellen sia sua madre. Non potrebbe chiedere di meglio, davvero, ma questo non gli impedisce di sentire la mancanza dei suoi genitori ogni sacrosantissimo giorno. “Non posso perdere anche lui, capisci? Vorrei poter fare qualcosa per aiutarlo, per uscire da questa situazione, ma non posso. Cosa potrei fare? Dean si è fatto mezza America in macchina per trovare una soluzione e io me ne sto qui a fare da dama di compagnia. E lo so, so che non è questo il punto, che Gabe ha bisogno di me qui, che non posso fare altro, che le cose accadono. Ma l’idea mi manda in bestia lo stesso- perché lui? Perché mamma e papà? Cristo”, sibila. Si passa le mani sul viso, le dita si incastrano in qualche ciocca sulla fronte, scivolano sulle guance, si incrociano sotto al mento prima di sciogliersi sotto il tocco delicato di Ellen, che rimane ancora un attimo in silenzio e gli lascia spazio per raccogliere i pensieri, riformulare frasi – parlare con Dean non è la stessa cosa. Suo fratello è un brav’uomo e Sam lo ama con tutto se stesso, ma è anche quel genere di persona che fornisce soluzioni (idiote) e sputa consigli (idioti) ancor prima di aver ascoltato il problema per intero. Che sia per la sua indole pragmatica o perché semplicemente è una testa di cazzo, Sam non lo sa. Sa solo che da quando è andato al college Ellen è quella che gli manca più di tutti. “Dovrei prendermi cura di lui”. “Lo fai”, interviene stringendogli la mano con enfasi, per dargli coraggio. Lui amaramente la testa. “Non è vero. Sono un fallito, Ellen. Sto vicino a Gabe, ma è come se non ci stessi veramente perché lui non si apre con me. Non ha detto una parola riguardo la situazione, ci scherza su, non nomina neppure la malattia. Io- lo so come è fatto, okay? So che ha paura. Vorrei solo che me lo dicesse, che la smettesse di comportarsi come se niente fosse. Voglio che pianga sulla mia spalla? Non lo so, forse- non voglio che Gabriel pianga. Vorrei solo che imparasse a farlo. Che non assumesse quell’aria grave solo per farmi IL discorso, che capisse una buona volta che non c’è niente di male a lasciarsi andare e che due zucconi orgogliosi in una vita sola sono troppi”. “Gesù, Sam. Tu non sei un fallito, come puoi anche solo pensarlo? Gabriel non è un tuo fallimento: guardalo. È una persona completamente diversa da quando sei entrato nella sua miserabile vita, l’hai cambiato. Non pensi che sarebbe già fuggito da qualche parte a festeggiare i suoi ultimi giorni se non fosse stato per te? Lui ti vuole vicino perché sei la sua ancora al dovere. Gabe deve vivere, e deve farlo per te”. “Dovrebbe farlo per se stesso”. “Nessuno vive per se stesso”. Il ragazzo non risponde altro, ci riflette per qualche secondo, anche se è superfluo perché Ellen ha ragione, perché il mondo funziona a persone, a legami, a relazioni – perché cosa sarebbe Sam senza Dean, Ellen e Bobby? Senza Gabriel e Jessica? “Ascolta, io non posso sapere se tu e Gabriel rimarrete insieme per sempre o vi lascerete domani, non posso prometterti che sarai l’unico amore della sua vita come non so se lui sarà il tuo. So solo che ora lui ha bisogno di te. Ora, Sam. E non importa che ti parli o meno di come si sente, importa che tu ci sia nel caso volesse farlo. E lo farà. Devi solo dargliene la possibilità, devi dimostrargli di essere forte abbastanza per poterlo sopportare. Puoi farlo?” Sam aggrotta leggermente le sopracciglia, annuisce, mormora un “si” che vorrebbe essere più convincente. Ma per Ellen, che gli scosta i capelli dalla fronte per guardarlo negli occhi, sembra abbastanza. “Allora non puoi continuare ad evitare quel discorso, per quanto sia una merda. Lascialo parlare, ascoltalo se ha bisogno di parlare di questo. Gabriel non sa quello che è successo con tuo padre, per questo scambia la tua reticenza per debolezza. Dimostragli che non è così, che può fare affidamento su di te. È l’unica cosa che puoi fare, ma ti assicuro che non è poco”. “Forse hai ragione”. “Certo che ho ragione”, risponde la donna con un piccolo sorriso contagioso, dandogli un buffetto sulla spalla. “Mi sono comportato da egoista, ho pensato unicamente a come questa situazione faccia sentire me, a come il silenzio di Gabe faccia sentire me; non ho mai pensato, invece, a come il mio faccia stare lui. Sono un idiota”, realizza. Il suo tono, però, non ha niente a che fare con l’autocommiserazione che caratterizza chi si è appena reso conto di aver commesso un errore; è molto più simile a quello di chi è pronto a rimediare, ha poco tempo per farlo e non può aspettare. “Non è mai troppo tardi per rendersene conto”, sogghigna Ellen. Sam finge di non averla sentita. “Pensi che dovrei essere io ad aprire il discorso?” chiede invece. “Penso che dovresti andare a casa a farti una doccia e riposarti un po’. Puzzi”.
“Ma-”, tenta di ribattere qualcosa, invano; alla donna basta alzare una mano per chiudergli la bocca. “Niente “ma”, giovanotto. Restiamo noi con lui, sempre se Bobby non l’ha già fatto fuori”, assicura prima di alzarsi e sorseggiare quello che è rimasto del suo caffè. Cerca con lo sguardo qualcosa che assomigli ad un cestino dell’immondizia  per liberarsi del bicchiere vuoto, ma è costretta a tenerlo in mano. “Non voglio lasciarlo solo proprio ora”, dice. “Non è solo, te l’ho già detto. Restiamo noi qui, non morirà mica! Oh, Dean”. Sam, il vassoio ancora tra le mani, segue il suo sorriso fino ad arrivare al suo destinatario: Dean cammina lentamente e con le mani in tasca, le spalle leggermente ricurve e l’aria di chi gli è appena morto qualcuno – Sam spera vivamente che quel qualcuno non sia Castiel perché l’ultima cosa che gli serve in questo momento è un fratello in prigione. “Ehi”, saluta Ellen con un veloce bacio sulla guancia, il tono così abbattuto che per un attimo Sam pensa davvero che abbia ucciso qualcuno, o che comunque abbia una brutta notizia da dare; è così, lo sente, c’è una brutta notizia. Ed è talmente orribile da spaventare persino Dean – e che speranza c’è per tutti loro se anche Dean ha paura?
“Qualcosa non va?” è Ellen a chiedere. Il biondo annuisce serio: “E’ andato tutto a puttane”.
Sam se lo sentiva.
 
 *****
 
 
Gabriel è fuori di sé.
Stringe tra le mani la stoffa bianca del lenzuolo per non stringere il collo di Castiel – e ne avrebbe tutte le ragioni perché suo fratello si sta comportando da stronzo, dice cose senza senso e non la smette di sorridere come un idiota. È palesemente sotto l’effetto di qualche sostanza e, okay, Gabriel non è un santo e non può giudicarlo, ma neppure può sopportare tutto quello e Cas farebbe meglio a rendersene conto in fretta perché Gabe sta perdendo la pazienza e Sam non è lì per impedirgli di fare una stupidaggine – suo fratello doveva parlargli, hanno detto, come se passare l’ultima mezzora con lo zio Bobby non fosse già abbastanza. Ma andiamo, che razza di cuori di pietra hanno?
“Sapevo che non potevi essere mio fratello”, ride il moro. “Insomma, io ti voglio bene, lo sai, e ti rispetto, ma non potevi essere come me. Infondo l’ho sempre saputo, era così ovvio”. Butta la testa all’indietro, prende fiato, aggrotta le sopracciglia, smette di ridere. “Papà se ne è andato per colpa tua”, aggiunge. “Pensavo di essere io l’ammalato, qui. A quanto pare anche tu non scherzi, Cas, sembri davvero fuori di testa. Dovresti farti ricoverare”, risponde con un sorriso che vuole essere ironico, ma non lo è; spera solo che lo sembri. Castiel però non si lascia zittire, si stacca dal muro e gli punta un dito contro: “tua e di mamma. Potevamo essere una famiglia unita, ma no, lei doveva- doveva avere te. E io ti voglio bene, ti voglio bene davvero, voglio bene a tutti, ma- la vita è così difficile delle volte, non è vero?” sospira sedendoglisi accanto, gli poggia una mano amichevole sulla spalla, gli rivolge un grande sorriso ed il biondo è ad un passo dal prenderlo a pugni, ma si trattiene per il quieto (c’è ancora quella parola nel suo vocabolario?) vivere. “Noi non siamo fratelli, Gabe. Non guardarmi così, accettalo. È una buona notizia”, dice. Gabriel decide che no, non ricorda affatto di aver mai avuto quella parola nel suo vocabolario: se lo scansa di dosso con tutta la forza che ha e lo colpisce in pieno con un pugno, diritto sull’occhio buono (l’altro è stranamente già nero, ma non se ne sorprende; per quanto ne sa Cas è sulla lista nera di Dean da parecchio tempo, ormai). L’altro spalanca la bocca per la sorpresa e geme dal dolore, solo per un momento prima che un sorriso gli riaffiori sulle labbra e sfoci in una risata cupa. Il biondo non ha mai guardato nessuno con tanta rabbia. “Non me lo aspettavo, complimenti. Mi hai colto di sorpresa”, dice il moro sul pavimento, “pensavo che mi avresti guardato dall’alto in basso e te ne saresti andato, come fai sempre. Mi hai davvero colto di sorpresa, bravo”. Castiel non si rialza, si contorce sul pavimento e ci si stende; Gabriel stringe i pugni (vorrebbe davvero stringere la gola di Castiel) ed è sicuro di avere gli occhi lucidi quando marcia verso la porta e la spalanca: “portatelo via da qui”.
 
*****


Forse Castiel aveva ragione, forse avrebbe dovuto chiudere con Sam. Perché Sam lo amava e per Gabriel era solo un gioco, perché Sam era un bravo ragazzo, oltre ad essere suo cognato, e non meritava di essere preso in giro in quel modo; perché Gabriel era una persona orribile, e non era già questo un ottimo motivo per infischiarsene? Castiel dava consigli pessimi, impossibili da seguire – come poteva lasciargli la mano se Sam la stringeva così forte?
“A cosa pensi?” chiese il moro calciando un ciottolo. La sua aria triste gli spezzò il cuore. “A te, fiorellino”, rispose col sorriso più seducente che aveva, allungandogli il braccio attorno alle proprie spalle, senza districare le loro dita. Sam si voltò verso di lui con quell’aria da cucciolo indifeso (alto un metro e una montagna) a cui non riusciva a resistere ed aggrottò la fronte.  “Ma che bugiardo”. Il biondo gli allacciò un braccio alla vita e se lo tirò più vicino, pur continuando a camminare. “Beccato”, fece con tono melodrammatico portandosi una mano al petto, “mi conosci bene, raggio di sole. Facciamo così: ti dico a cosa stavo pensando se tu mi dici perché hai quell’aria da cucciolo bastonato”. Sam abbassò lo sguardo, il sole stava scomparendo nell’oceano, il rumore delle onde, che fino ad allora lo aveva tenuto sospeso in uno stato irreale di pace, ora lo angosciava come mai nulla prima di allora. “Dobbiamo parlare”, fece, e s’arrestò. “Fammi indovinare, “non sei tu, sono io”? Giuro che era solo un amico!”, scherzò il biondo ignorando l’inquietudine che cresceva dentro di sé. Avanzò ancora di qualche passo finché il loro abbraccio non si fu sciolto, congiunto solo tramite le mani; come se Sam, piantato nella sabbia, lo legasse alla terra impedendogli di fuggire. “Gabe”, lo richiamò il giovane alle sue spalle, ma lui non si girò. “Sul serio, devo parlarti. È importante”. “Non trattarmi come se fossi la tua fidanzatina, raggio di sole. Se devi dire qualcosa, dillo, ma parla chiaro. Salta i convenevoli”. “Non voglio parlare al tuo culo, girati. Per favore”, la sua voce era decisa benché somigliasse ad una supplica, ma l’altro puntò i piedi. “E io che pensavo che il culo fosse il mio punto forte”.
“Gabr-”
“Insomma, ho un faccino adorabile, ma ho sempre puntato sul didietro”.
“Okay”, concesse il moro esasperato. “Non vuoi guardarmi? Non guardarmi. Basta che mi ascolti”.
“Possiamo camminare?” si lamentò tirandolo per il braccio; Sam non si spostò di un millimetro. “No”, fu la risposta perentoria, “smettila di comportarti come un moccioso, lasciami parlare!”
“Tu smettila di sprecare il mio tempo”, cantilenò dondolandosi sulle punte. “E’ una così bella giornata-”
“Sono innamorato di te”, disse tutto d’un fiato mentre l’altro ciarlava del tempo. Gabriel si immobilizzò sul posto mentre lentamente terminava una frase sulla romanticismo del tramonto; quando non emise più suono Sam ebbe la certezza di aver catturato la sua attenzione e continuò: “lo sono davvero e non pretendo che tu ricambi quello che provo. So che non è così, che tu- non voglio che tu sia diverso”, la sua voce non si era spezzata neppure per un attimo; Gabriel non era sicuro di riuscire a fare altrettanto bene. “Che vuoi da me, allora?” chiese con rabbia strattonandogli il braccio; Sam non lo lasciò andare e Gabriel non si voltò. “Niente”, mormorò l’altro. “Non voglio niente da te. Ma io non posso andare avanti così, essere il ragazzo del martedì, sapere che il giorno dopo farai sesso con qualcun altro- il solo pensiero basta a farmi impazzire. L’ho accettato finché ho potuto ed è stata una mia scelta, lo è anche questa e…”
“No”, lo interruppe: non voleva sentire altro. “Piantala. Ci stavamo divertendo, ricordi? Si può sapere che c’è che non va, perché ci tieni tanto? Abbiamo un rapporto perfetto!”
“Te l’ho appena spiegato, non fingere di non aver capito. Il nostro rapporto non ha niente che non vada, Gabe, ma manca una cosa fondamentale: l’esclusività. È importante, per me. Come ti sentiresti se io andassi a letto con una ragazza?” il giovane Winchester finalmente lo costrinse a girarsi e Gabriel poté scorgere tutta la frustrazione che tentava di comunicargli a parole. “Non lo faresti”, affermò incerto. “No, non lo farei”, confermò, “perché mi sentirei in colpa nei tuoi confronti, perché provo qualcosa per te. Ed è proprio questo il punto: se devo sentirmi così voglio che ci sia un motivo, non voglio sentirmi male per una persona che non mi ama. Quindi pensaci, riflettici. Se per te conto qualcosa, voglio essere l’unico. Altrimenti, per il bene della mia sanità mentale, lasciami in pace”. C’era qualcosa di terribilmente disperato nel modo in cui Sam si agitava sul posto, come c’era qualcosa di terribilmente disperato nel modo in cui il cuore di Gabriel rimbalzava nel petto; si guardarono a lungo come se la risposta potesse materializzarsi davanti ai loro occhi, inconsapevoli, entrambi, del fatto che la mente di Gabriel fosse al momento completamente vuota (e lo sarebbe stata per i mesi successivi); c’erano solo le loro dita ancora intrecciate – e come poteva, Sam, lasciargli la mano se Gabriel la stringeva così forte?


#Angolo della disperazionZ

E CE L'HO FATTA, OMMAIGOSH. 
Salve a tutti, miei cari involtini primavera, come butta l'esistenza? Non ce' speravate più, eh? Invece ce l'ho fatta, per la gioia mia e vostra, prima dell'infelice domani che, si prevede, sarà una giornata de merda perché /zanzanzazaan/ si ricomincia a studiare. E lo so, quale essere immondo studia nel fine settimana? Sicuramente non io che mi ridurrò a lunedì mattina senza aver fatto una mazza, passando sabato e domenica a sentirmi in colpa per non aver ancora fatto una mazza - non sono queste le giuie della vita?
Btw, tornando alle cose serie /seh/, parliamo un po' di questo capitolo! Dal canto mio, vi dico che è stato un parto perché non avevo la più pallida idea di come gestire la Sabriel; giustamente con la Destiel uno attinge dalla serie /*coffcoff* sono canon *coffcoff*/, con la Sabriel ce se' attacca.
E- niente, la storia non è andata avanti, se non per il fatto che Castiel s'è beccato n'altro cazzottone, stavolta da Gabriel, il nostro fuggiasco. E' per lo più un capitolo introspettivo, ecco, dal momento che fino ad adesso avevo trattato solo superficialmente di Sam e Gabe, relegandoli in un ruolo marginale. Nel prossimo capitolo, comunque, torneremo a concentrarci su Dean e Castiel, i quali, oltre a dover lavorare sulla loro relazione schifosa, dovranno darsi anche un po' da fare (ed era quasi ora) per aiutare Gabriel. Non è ancora previsto il ritorno di Mag, che comunque farà presto la sua comparsa, ma verranno introdotti altri personaggi. Detto ciò, non sapendo cos'altro aggiungere se non un enorme grazie a chi segue questa fanfiction (ve se ama un casino <3), non mi resta che ghivvarmi euei <33

PS: FIRMIAMO UNA PETIZIONE PER IL RITORNO DI GABRIEL NELLA SERIE.

AlfiaH. 

 
  
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