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Autore: Deliquium    30/03/2015    2 recensioni
Una manciata di storie. Fugaci occhiate alle vite di alcuni Specters. Tra presente e passato. L'addio all'umanità. I ricordi. Le cose che non faresti mai. E un solo Dio.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Garuda Aiacos, Harpy Valentine, Wyvern Rhadamanthys
Note: AU, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Sincretismo'
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Save Our Souls


[ Colui che porta un gran peso ]


Il terrazzo era disseminato di vasi e il profumo delle piante d'erica si mescolava all'odore degli incensi che bruciavano da ore e dello zolfo dei fuochi d'artificio.
Gli idoli di cartapesta in onore della dea madre Durga, avanzavano per le strade.
Amrish si era fermato a osservarli: il loro incedere precario, i volti privi di espressioni.
Suo padre lo aveva chiamato e Amrish era corso verso di lui.
Lo aveva fatto sedere sulle sue ginocchia e insieme avevano guardato per un po' le teste degli idoli che spuntavano da sopra la ringhiera del terrazzo.
Sembrava che fossero a portata di mano e che se si fosse sporto oltre la balconata, sarebbe riuscito a  toccarli.
Suo padre aveva fatto quel rumore strano con la bocca, come quando lui aveva la tosse e Mana gli dava quella cosa amara da bere.
«Amrish, sai dirmi quanti tipi di persone esistono al mondo?» gli aveva domandato.
Amrish non aveva risposto. Attorno a lui il cielo era in fiamme.
Il padre aveva continuato a parlare senza aspettare la sua risposta.
«Due tipi: i dominatori e i dominati. I primi sono pochi, detengono il potere e controllano la vita dei secondi. Senza i primi, i secondi non sarebbero in grado di vivere. È una legge della natura, Amrish.»

Dominatori e dominati.

Ricordava bene la domanda del padre: «Tu, a che gruppo vuoi appartenere?»
Amrish non aveva avuto dubbi: lui sarebbe stato un dominatore. Un re del cielo.
L'aria era ormai satura del profumo di erica e dal tè servito sul tondeggiante tavolino di ferro si levavano spirali di fumo. Il sole era riuscito a ritagliarsi uno spazio tra le fronde degli alberi.
Keshika sedeva in silenzio. I lunghi capelli neri erano legati in una coda bassa.
Amrish socchiuse gli occhi e spostò la sedia. Poi tornò a fissare la ragazza.
Lei teneva lo sguardo basso. Si sporse per prendere la tazza di tè. Le sue dita sottili reggevano il piattino con attenzione. Quasi temesse di romperlo. Sfiorò con le labbra il bordo della tazza.
Così delicata, nonostante la forza intrinseca che scaturiva dalla curva decisa della mascella e da quel corpo che sembrava marmo levigato.
«Mio padre mi ha detto che avevate lasciato il Nepal.» disse lei mentre appoggiava il piattino e la tazza sul tavolo.
«Infatti.» confermò lui secco.
Keshika sussultò, come se lui l'avesse colpita.
Amrish si maledisse e, addolcendo un po' il tono, aggiunse: «Sono tornato solo per sistemare una questione.»
Keshika si alzò di scatto, quasi come se si fosse ricordata di dover andare subito in un altro posto.
«Mi spiace,» si scusò, guardandosi intorno alla ricerca della giacca leggera che indossava al suo arrivo. «Vi sto facendo perdere tempo. Ero venuta per salutare vostra madre.»
Amrish, il re Garuda, sospirò. Le sue spalle si afflosciarono un po' mentre si appoggiava contro le schienale.
«Non mi stai disturbando.» disse.
Keshika lo guardò titubante. Non ne era ancora convinta, ma, senza staccare gli occhi da lui, tornò a sedersi.

Quando accadrà?
Hai già cominciato a fare dei sogni come è capitato a me?
Senti già il desiderio di morte scorrerti sotto la pelle?


Le campane del tempio rintoccarono.
«Com'è Berlino?» gli chiese lei.
Amrish aggrottò le sopracciglia, cupo. «Berlino?» ripeté.
Keshika lo guardò confusa. «Vostra madre mi aveva detto che ...»
«Oh, sì, certo. Berlino.» la interruppe lui. «Normale. Una città come un'altra.»

La sedia vuota. Il tramonto davanti a lui.
Amrish guardava il riflesso delle foglie nel tè ormai freddo.
Keshika alla fine era andata via. Lo aveva salutato come fosse stato un vecchio conoscente con il quale si scambiano educati saluti di cortesia privi di calore.
C'era un peso dentro di lui. Un peso che lo trascinava verso il basso. Lui, che era nato per volare, per dominare. Keshika era il suo peso. Il suo ricordo. La tragedia di una vita passata. Più dolorosa della morte, della perdita della Guerra Santa, più dolorosa di ogni cosa.

Alla fine, Suikyo era sopravvissuto con tutti i suoi ricordi.
Il disonore più grande per un guerriero: essere risparmiato dal suo nemico. Vivere come un paria, come un uomo, dominato dai rimorsi.
La rabbia lo aveva divorato a poco a poco, ma non era riuscito a darsi la morte. Si era aggrappato a quella vita d'umano alle porte del XIX secolo.
Non doveva accadere come le altre volte. Questa volta, il giorno che fosse tornato a volare, doveva ricordare tutto. Tutto.

Keshika dormiva profondamente.
La zanzariera era una protezione necessaria nelle umide notti nepalesi.
Amrish era silenzio e oscurità. Un'ombra nascosta da altre ombre.
Allungò una mano verso il suo volto.
Le assomiglia, pensò.
È uguale a lei.
È lei.
I capelli neri, il cipiglio severo, la pelle scurita dal sole, la linea dura della mascella. 
Amrish abbassò lo sguardo.
Le braccia erano nude. Lisce. Nessuna cicatrice. Nemmeno un ricordo d'infanzia.
Scostò la tenda.
Nella storia delle Armate di Hades non esistevano notizie riguardo a uno Specter che avesse impedito a un altro di risvegliarsi – atto questo che sarebbe stato considerato alto tradimento.
Ad Amrish non importava. La punta delle sue dita si illuminò.
Keshika increspò le sopracciglia e si mosse appena mentre la luce penetrava dal centro della sua fronte.
L'Illusione era nata per uccidere sotto lo sguardo di Diecimila Occhi. Il Garuda l'aveva sempre usata contro i suoi nemici nel corso dei secoli, guerra sacra dopo guerra sacra.
Non quella notte. Quella notte i Diecimila Occhi erano restati chiusi e con essi anche gli occhi del Behemoth.
Amrish richiuse la tenda.
Ora il volto di Keshika era rilassato. La piega severa delle sue sopracciglia si era dissolta, le sue labbra si erano distese in un lieve sorriso.


Peux-tu garder
mon secret?
Dans les Ombres
Dans la Nuit
Et encore une fois
Je t'en prie
Peux-tu garder
mon secret?

In the Nursery, Crepuscole


Note dell'Autrice - Per chi fosse interessato, metto il link al brano musicale Crepuscole. Per testo, e musicalità, ho pensato che fosse perfetto per questa storia.
Ebbene sì, io sono sempre stata una fan di Aiacos e Violate.
Qui, il nome umano di Aiacos è Amrish, nome originario del Nepal, che significa "re del cielo". Keshika invece significa "donna con capelli bellissimi", l'unico elemento che in un certo senso poteva far intuire la femminilità di Violate (tenendo conto che sto parlando di Saint Seiya, ho scritto una grande cazzata). "Colui che porta un gran peso" è uno dei significati attribuiti a gara-ul-di, da cui deriverebbe, secondo alcuni studiosi, il termine "Garuda".  L'incipit è una velata (mica troppo) citazione all'ultimo film di Clint Eastwood (che a me non è piaciuto). In American Sniper, il padre spiega ai figli che al mondo esistono tre tipi di persone: le pecore, i pastori e i cani da pastore.
L'erica assume significati diversi a seconda del colore: protezione, ammirazione e speranza, nel colore bianco; solitudine, in quello viola.
Come avrete notato, qui e nelle precedenti, io gestisco gli Specter attribuendo loro maggiore libero arbitrio e considero l'essenza specter (chiamola così) parte di loro stessi, altrimenti mi toccherebbe farli andare in giro sempre con le Surplice è__é. Comunque, sono mie scelta che determineranno tutti gli sviluppi futuri.

   
 
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