Capitolo 34
Il
tizio imparruccato che stavo fissando da mezz’ora si decise finalmente a
parlare, spiegando il foglio che aveva in mano e leggendo ciò che vi era
scritto dopo un leggero colpo di tosse. «Signori, vi comunico che a fronte della disgrazia appena
avvenuta che ha lasciato il nostro esercito temporaneamente senza comandante,
il Consiglio si è riunito urgentemente per nominare un sostituto, il quale
ricoprirà il ruolo seduta stante date le gravi condizioni in cui vertono i
soldati che con coraggio e onore difendono queste terre.» Lanciai un’occhiata a Charles,
che per l’ansia stava torturando la tovaglia di velluto del tavolo cui eravamo
seduti.
Sapevamo tutti a chi sarebbe
passato il comando, ma l’agitazione c’era lo stesso. Temevo quell’un percento
di possibilità che Artemas, o chi per lui, soffiasse
il posto a Lee per l’ennesima volta, ma in cuor mio sapevo che quella sarebbe
stata la volta buona.
Dopo
una breve pausa l’uomo tornò a guardare i presenti. «Il generale Charles Lee, seppur di
origini britanniche, è chiamato al comando poiché ritenuto dall’ottantasei
percento il più idoneo a sostituire George Washington, deceduto per cause
ancora sconosciute, e a guidare l’esercito alla vittoria.» Lo guardai mentre serrava la
mascella in uno scatto istintivo che mi ricordò tanto l’Haytham
Kenway spensierato che viveva a Londra, che reagiva
nello stesso modo quando Edith, una delle mie bambinaie, si accorgeva dei danni
in giardino causati dall’irrefrenabile voglia di esplorare. Lo stesso Haytham il cui unico pensiero era quello di disporre i
soldatini al centro del corridoio, davanti alla stanza dei giochi, nell’attesa
dell’allenamento pomeridiano.
Sorrisi appena. Charles meritava
quel posto più di chiunque altro, aveva le capacità e l’impegno adatti per
poter vincere la guerra e solo Dio sa quanto fossi orgoglioso di lui in quel
momento. C’è forse qualcosa di più bello che vedere il proprio figlio
realizzare un sogno? Mi scoppiava il cuore.
Diedi una lieve gomitata a Lee,
ancora incredulo per ciò che aveva sentito, destandolo e facendolo alzare
scattando come una molla. Con passo deciso si avvicinò all’uomo che l’aveva
appena proclamato comandante in capo, quindi gli strinse la mano con vigore.
«Buona fortuna, comandante.»
Lui
sorrise di rimando. «Grazie,
anche se non credo molto a questo genere di cose.» Già. Charles era un
tipo più pragmatico. Non credeva al fato, al destino o stronzate simili. Ciò che accade è una conseguenza diretta
delle nostre azioni, avevo perso il conto di quante volte gliel’avessi
sentito dire.
Un colpo sordo alla mia destra mi
fece voltare verso il tavolo accanto, scorgendo Connor
e Adams seduti poco distante. Il volto di Samuel era teso ma rassegnato, come
se si aspettasse da un momento all’altro l’ascesa di Charles. Il ragazzo,
invece, tratteneva a stento l’ira. Se avesse potuto uccidere Lee con la sola
forza del pensiero, beh, state pur certi che il mio pupillo sarebbe affogato
nel suo stesso sangue in quel preciso istante.
Scostai lo sguardo da quei due
imbecilli con disinvoltura, tornando a fissare Charles che, a turno, stava
stringendo la mano a chi gli aveva dato fiducia. Con la coda dell’occhio
intravidi Artemas, sulla destra, leggermente più
avanti rispetto a me e Connor, notando un’espressione
poco rassicurante anche sul suo viso. Ci mise qualche secondo per scorgermi tra
gli astanti, interrompendo il discorso, che non riuscii a cogliere, che stava
facendo con il tizio che non conoscevo seduto accanto a lui. Sicuramente si
trattava di pettegolezzi su Charles e sulla misteriosa
morte di Washington, ma poco m’importava. Non avrebbe potuto fare piazzate, non
davanti a tutta quella gente, almeno.
Mi alzai istintivamente quando
vidi Ward e il suo amico allontanarsi dal tavolo e
aspettare che Lee fosse libero da tutte quelle formalità inutili.
L’intenzione era quella di
imitarli e raggiungere Charles insieme a loro, ma Connor
si avvicinò con poche falcate, sbattendo un pugno sul tavolo e attirando
l’attenzione dei pochi lì intorno. «Scommetto che ci siete voi due
dietro a queste cause sconosciute,
non è così?» Sibilò. Ignorai il tono acido e la voce strozzata, concentrandomi più che altro
sul dolore che dovesse provare per aver perso la sua nuova mamma adottiva. E se
avevo sperato di provare un minimo di compassione facendo leva su un dettaglio
del genere, dovetti ricredermi subito.
Adams lo raggiunse con calma, le
braccia lungo i fianchi e la schiena dritta.
«Se ti riferisci alla morte di
George, temo di doverti deludere. Io e Charles non ci siamo mossi da New York
per una settimana» e
nessuna prova può dimostrare il contrario, caro ragazzo mio.
«Potresti aver assoldato qualcuno,
è pieno di gentaglia pronta ad intascare il tuo denaro per fare il lavoro
sporco al posto tuo.»
Risi appena, soffiando aria
attraverso le labbra leggermente dischiuse. «Vero, ma non è questo il caso.» Vidi Lee tornare verso di me e
giunsi le mani dietro la schiena, intenzionato più che mai a stroncare
quell’assurdo discorso.
«Congratulazioni, Charles.» Artemas
e l’altro tizio spuntarono da dietro Samuel, e Ward
gettò un braccio intorno alle spalle del mio pupillo. «Sei contento? Finalmente hai
ottenuto quello che volevi, così non romperai più il cazzo a nessuno.» Lo strinse a sé, intrappolandogli
il collo nell’incavo del gomito e sorridendogli beffardo. I denti scoperti come
un cane affamato, pronto a banchettare al primo passo falso di Lee.
«Già. Ricordati che io non sono
come Washington, non ho bisogno delle tue visite notturne, d’accordo? Preferisco
dormire da solo.» Replicò senza scomporsi e sfoderando
un sorriso di circostanza.
Artemas rise, sorvolando sulla frecciatina
di Charles e scoccando un’occhiata all’amico. «Ma sentilo, Philip, gli piace
scherzare»
tornò quindi a guardare Lee, schioccando la lingua contro il palato. «Beh, buona fortuna. Dopo tanta
fatica goditi il freddo di Valley Forge, ti si congeleranno le palle dopo mezz’ora,
ti avverto.»
«Lo
so, non è la prima volta che ci vado.» Rise di nuovo, poi mi lanciò un’occhiata
divertita e si allontanò non prima di aver lasciato una pacca a mano aperta
sulla schiena di Lee. Li osservai fino a che non sparirono oltre la soglia
della stanza, poi tornai a guardare Connor, che
intanto si era avvicinato al mio allievo con fare minaccioso. Nel giro di un
secondo lo afferrò per il bavero con poca grazia, avvicinandoselo e facendolo
sbattere contro il bordo del tavolo.
«La
pagherete tutti e due, mi sono spiegato?»
Charles
aggrottò le sopracciglia, risentito per l’atteggiamento del ragazzo. «Vedo che
sta diventando un’abitudine» si tolse malamente di dosso la mano di Connor, «è un vizio che dovete togliervi, chiaro? Porta rispetto,
ragazzino, non ci metto niente a darti una lezione.»
Mio
figlio avanzò di mezzo passo, portandosi ad un palmo dal viso di Lee. «Non sfidare
la mia pazienza.» Prontamente afferrai Charles da dietro, infilando quattro
dita all’interno del colletto della giacca e tirandolo verso di me, lontano
dall’Assassino.
«Adesso
basta, state diventando ridicoli. Vedete di darvi una calmata. Tutti e due.» Posai
l’altra mano sulla spalla sinistra di Connor, «qui
nessuno ha ucciso Washington, puoi chiedere a tutte le guardie di Fort George,
non siamo stati noi.»
Con
una manata il ragazzo si liberò dalla mia presa, indietreggiando di un passo e
puntandomi contro un dito accusatore. «Se speri di convincermi sei fuori
strada. Tu, i tuoi compagni e le tue guardie siete gli ultimi uomini di cui mi
fiderei» lanciò un’occhiata a Charles, poi tornò a fissare me. «La collaborazione
finisce qui» e senza aggiungere altro raggiunse la porta senza neanche
aspettare Adams, che a capo chino gli andò dietro.
Una volta
soli sbuffai esasperato, portando due dita alla base del naso per fare il punto
della situazione. Sarei rimasto solo a New York, solo contro Connor, che sicuramente avrebbe scatenato altre rivoluzioni
inutili. Il lato positivo, almeno, era che non avrei più dovuto preoccuparmi
dell’esercito. Con Charles al comando sarebbe filato tutto liscio.
«Chi
era quell’altro tizio?» Domandai di punto in bianco riferendomi all’amico di Artemas. Era rimasto in silenzio per tutto il tempo,
guardando Lee di sottecchi e con aria dubbiosa e senza mai intervenire per
schernirlo.
Charles
si aggiustò il colletto della giacca. «Parlate di Philip Schuyler? È un mio pari. Anzi, era. George Washington
nominò me, lui, Artemas e Israel
Putnam come suoi secondi in comando.» Lo seguii fuori dalla sala ripensando a
Philip. Il suo sguardo non mi era piaciuto per niente.
«Se è simpatico come Ward,
bell’affare.» Rise piano,
godendosi gli ultimi istanti caotici tipici della città.
«Forse un po’ meglio. Non abbiamo mai avuto
modo di conoscerci. Non ce l’ho avuto con nessuno, in verità. Eravamo tutti
impegnati con le truppe, io in particolare, visto che faccio parte anche dell’Ordine.»
Svoltammo
un angolo, e nonostante la folla che ci separava dalla porta, riuscii a
scorgere il cavallo già sellato per Lee, il quale l’avrebbe portato a Valley
Forge.
«Beh,
sarà meglio che vada.» Si aggiustò il cappotto, chiudendo gli ultimi bottoni,
per poi farsi spazio tra le persone per arrivare all’uscita.
Lo seguii
stizzito. «Non si usa più salutare?» Charles si fermò di colpo, come se gli
avessi fatto notare di non avere la pistola. Mi guardò con aria colpevole, poi
mi gettò un braccio oltre la spalla, afferrando il mantello e stringendo forte.
Ricambiai la stretta, passandogli una mano sotto la coda bassa, i capelli
malamente raccolti sotto la nuca.
«Non
sarei partito senza salutarvi» sussurrò contro la mia camicia.
Sorrisi,
la pelle della guancia tirata contro il suo orecchio. «Lo so» gli diedi una
pacca sulla schiena e sciolsi l’abbraccio, guardandolo negli occhi, «su, vai. I
soldati ti aspettano.»
Annuì
con convinzione. «Dite voi a Jennifer che sono a Valley Forge. E tenetela d’occhio
al posto mio.»
Roteai
gli occhi, esasperato. «Non te la ruba nessuno, ti ci metto la firma col
sangue.» Mi guadagnai un’occhiata risentita da parte di Lee e non riuscii a
trattenere una risata. Mi diede un ultimo colpo sul braccio e senza aggiungere
altro raggiunse il cavallo davanti all’entrata, che partì al galoppo verso la
periferia di New York.
Anche oggi ad orari vergognosi, ma ormai va così, lool.
Graaazie come sempre a chi
recensisce e legge soltanto, aaww, a presto :3.