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Autore: eugeal    03/04/2015    0 recensioni
Lo sceriffo è tornato e Nottingham è salva.
Durante l'assedio, Marian ha scoperto un lato di Guy di Gisborne che non conosceva.
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Guy di Gisborne, Marian, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'From Ashes'
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Guy si passò le mani tra i capelli bagnati per scuotere via un po' d'acqua, ma rinunciò ad asciugarli.
L'acqua gelida del fiume che aveva usato per lavarsi lo aveva fatto rabbrividire, ma almeno il freddo attenuava un po' il dolore delle ferite alla schiena. Ormai si erano quasi completamente rimarginate e non c'era più pericolo di infezione, ma facevano ancora male e secondo Tuck ci sarebbe voluto ancora parecchio tempo per guarire completamente.
Si infilò una camicia grigia di tela ruvida che il frate aveva ricavato da uno dei propri sai. Tuck era più robusto di lui e Guy aveva perso peso da quando era stato ferito, perciò fu costretto a stringerla in vita con la cintura di cuoio a cui era attaccato il fodero vuoto della spada.
Il peso familiare dell'arma gli mancava e lo faceva sentire indifeso.
Guy odiava quella sensazione.
Tornò verso l'ingresso della caverna e si fermò prima di entrare, indugiando a grattare il muso dell'asino di Tuck tra le orecchie invece di raggiungere il frate.
Alla fine fu Tuck a uscire dalla grotta portando un fagotto tra le mani.
Il frate lanciò un'occhiata a Guy, chiedendosi ancora una volta cosa potesse essergli successo.
Le ferite fisiche stavano guarendo bene e giorno dopo giorno stava riprendendo le forze, ma passava la maggior parte del tempo in silenzio, perso in un mondo di pensieri che, a giudicare dalla sua espressione, dovevano essere tutt'altro che allegri.
In tutto quel tempo non gli aveva confidato nemmeno il proprio nome e aveva evitato ogni accenno al modo in cui si era procurato le ferite che lo avevano quasi ucciso.
Tuck non aveva insistito, ma avrebbe voluto poter alleviare anche quella pena, così come aveva fatto con il dolore fisico.
Il frate infilò il proprio bagaglio in una delle bisacce legate sul dorso dell'asino e porse un mantello di lana a Guy.
- Sei pronto, figliolo?
L'altro indossò il mantello in silenzio, poi tornò a fissare il muso dell'asino e sospirò.
- Non lo so. Credo di avere paura. - Ammise e Tuck gli mise una mano sul braccio in un gesto di conforto.
Guy si irrigidì leggermente, ma non si sottrasse a quel tocco.
- Per quale motivo?
- Non è stato un caso. Volevano uccidere proprio me e probabilmente ci riproveranno non appena scopriranno che sono ancora vivo. Non so chi fossero, avevano il volto coperto per non farsi riconoscere.
- Temi per la tua vita?
Guy scosse la testa.
- Posso difendermi da un attacco, non mi prenderanno più di sorpresa. Ma non so se riuscirò più a parlare con qualcuno senza chiedermi se è uno di quelli che mi vuole morto.
Tuck lo guardò, comprensivo.
- Posso capirlo, ma non puoi evitare la gente per sempre. La tua famiglia sarà in pena per te, ora stai abbastanza bene per viaggiare, è ora per te di tornare a casa e per me di riprendere il cammino.
Guy non rispose, ma annuì debolmente.
Non disse al frate che lui non aveva una famiglia e che probabilmente nessuno si sarebbe preoccupato della sua sorte, ma Tuck aveva ragione: non poteva restare rintanato in quella grotta per sempre.
Pensò a Marian, al momento in cui l'avrebbe rivista, e scoprì che quel pensiero invece di confortarlo gli faceva male.
Quando lo avevano frustato, Guy aveva sentito tutto l'odio e il disprezzo dei suoi aggressori: per quella gente lui era una specie di demonio, un mostro brutale agli ordini dello sceriffo e un nemico del popolo di Nottingham.
Anche Marian lo vedeva così? Era per quel motivo che l'idea di sposarlo le sembrava così intollerabile? La ragazza lo sopportava per paura di qualche rappresaglia e in realtà provava solo disgusto per lui?
Ripensando a quando aveva appiccato il fuoco a Knighton Hall, Guy si disse che non avrebbe potuto biasimarla.
E ora avrebbe avuto anche un motivo in più per odiarlo.
Guy aveva davvero creduto che lei potesse ricambiare i suoi sentimenti, non aveva mai voluto vedere la verità. A causa di quella stupida illusione le aveva involontariamente rovinato la reputazione e poi era sparito per oltre un mese senza poter nemmeno cercare di sistemare le cose.
Di certo lo sceriffo doveva averle reso la vita difficile in quel periodo e quello era un altro motivo per tornare al castello. Doveva almeno provare a rimediare a quella situazione.
In silenzio prese la briglia dell'asino e seguì Tuck lungo il sentiero che li avrebbe portati fuori dalla foresta.

Robin Hood si appoggiò con la schiena al tronco di un albero e osservò i due uomini che stavano percorrendo il sentiero che seguiva il corso del fiume, qualche metro più in basso rispetto al punto in cui si trovava.
Dalla sua posizione, Robin poteva tenere d'occhio un lungo tratto del sentiero e avrebbe avuto la possibilità di intervenire in caso di agguati.
Gli altri fuorilegge stavano controllando altri punti della foresta, ma erano troppo pochi e per il momento i banditi erano riusciti ad agire indisturbati.
Robin tornò a guardare le due persone che stava controllando: quello che camminava davanti era uno sconosciuto, lui non lo aveva mai visto da quelle parti, ed era vestito da frate, con un saio di tela grezza legato in vita da una corda. L'altro invece indossava un mantello di lana grigia con il cappuccio che gli nascondeva il viso e conduceva un asino tenendolo per una briglia corta.
Robin Hood pensò che il secondo uomo dovesse essere stanco o malato perché ogni tanto si appoggiava all'animale, come per riprendere fiato.
Nel complesso quei due viandanti non sembravano né una minaccia, né possibili vittime dei banditi e Robin si limitò a seguirli con lo sguardo finché non scomparvero dietro una svolta del sentiero.
Tornò a sorvegliare la foresta: non era disposto a tollerare la presenza di assassini tanto brutali e avrebbe fatto di tutto per scoprirne l'identità.

Tuck lanciò un'occhiata furtiva dietro di sé per controllare le condizioni di Guy.
Gli aveva consigliato lui stesso di nascondere il viso col mantello per non rischiare di essere riconosciuto da eventuali banditi, ma quel giorno la temperatura era più alta del solito e, dopo essere usciti dalla foresta, gli alberi non offrivano più riparo dal sole.
- Se sei stanco puoi montare sull'asino. - Suggerì il frate, ma l'altro scosse la testa.
- Sto bene. - Mentì Guy. - E comunque non manca molto, questa è la strada per Locksley, dovremmo giungervi prima del tramonto.
- In ogni caso è ora di fare una sosta per mangiare. Laggiù c'è una casa di contadini, probabilmente potranno venderci un po' di formaggio o della frutta.
Tuck si diresse alla casa per parlare con i suoi abitanti e Guy lo seguì a distanza, fingendo di essere occupato con l'asino per restare in disparte.
La padrona di casa rientrò in cucina e tornò poco dopo con un cestino che porse a Tuck con un sorriso di scusa in cambio della moneta offerta dal frate.
- Non ho molto da offrire, purtroppo, ma questi sono tempi duri, dopo aver sfamato la mia famiglia non avanza molto.
- Il raccolto non è andato bene?
- Oh, quello sì, ma lo sceriffo ha alzato ancora le tasse. L'unica cosa buona è che almeno il suo braccio destro è morto, e senza Gisborne che li controlla, gli esattori a volte arrivano con qualche giorno di ritardo.
- Figliola, non dovresti rallegrarti della morte di una persona.
- Oh, lo so padre, ma Sir Guy non era una persona, era un demonio! Se non riuscivamo a pagare le tasse in tempo, i suoi soldati venivano a prendere i nostri uomini per farli lavorare nelle miniere e se lo sceriffo decideva di punire qualcuno, spesso era Gisborne a eseguire la condanna. Le dico una cosa, padre: quando si è diffusa la voce che lo avevano ucciso, molti di noi hanno festeggiato. Di certo nessuno lo rimpiange!
- Addirittura!
- Ho sentito dire che quelli che lo hanno ammazzato lo chiamavano “cane dello sceriffo” e in effetti è quello che era, nulla di più. E sa una cosa divertente? Al suo funerale lo sceriffo non si è nemmeno presentato! C'erano solo la sua amante e qualche servitore. - Concluse la donna con una specie di soddisfazione maligna, poi sorrise al frate e accennò a una panca di legno appoggiata alla parete esterna della casa. - Se volete potete sedervi lì per mangiare, in quel punto l'ombra è fresca.
Tuck lanciò un'occhiata a Guy che era rimasto immobile accanto all'asino, pietrificato dalle parole della donna, e scosse la testa con un sorriso.
- Ti ringrazio figliola, ma mangeremo lungo il cammino. La nostra strada è ancora lunga e non vogliamo farci sorprendere dalla notte.
Camminarono senza parlare per un po', poi Tuck prese la briglia dell'asino dalle mani di Guy e condusse l'animale fino al tronco di un albero caduto al lato della strada. Lo legò a uno dei rami secchi e sedette sull'erba appoggiandosi con la schiena al tronco, poi fece cenno a Guy di sedere accanto a lui. Prese un pezzo di pane dal cestino della contadina e lo spezzò offrendone una metà a Gisborne, ma l'altro non accennò a prenderlo.
- Non voglio il cibo di quella donna.
- Sir Guy di Gisborne, eh? Era per questo che non volevi dirmi il tuo nome?
- Non sono il cane dello sceriffo! - Ringhiò Guy, ma Tuck non si scompose minimamente davanti alla sua rabbia.
- Te l'ho detto, per me non fa differenza, giudicarti non è compito mio. Ma almeno adesso so come chiamarti. - Concluse il frate con un sorriso.
- Non sono un cane... - Ripeté Guy a bassa voce, in un sussurro gonfio di tristezza e Tuck gli mise una mano sulla spalla senza dire nulla, poi si alzò per andare a frugare nelle bisacce del mulo.
Tornò con in mano un oggetto avvolto in un pezzo di stoffa e delle strisce di carne secca che porse a Gisborne.
- Queste puoi mangiarle. Le ho preparate io quando eravamo nella caverna.
Guy accettò con un cenno di ringraziamento, ma guardò perplesso l'involto che Tuck aveva in mano.
- E quello? Cos'è?
Il frate tornò a sedere e appoggiò il fagotto sull'erba, tra di loro.
- Prima mangiamo.
Guy lo fissò, incerto, poi annuì e decise di obbedire al frate.
Masticò la carne secca in silenzio, cercando di non pensare alle parole della contadina.
Non avrebbero dovuto ferirlo così tanto, in fondo non aveva detto nulla che non avesse già sentito in passato, eppure lo avevano sconvolto.
Gli venne in mente una delle ultime frasi pronunciate dalla donna: aveva detto che al suo funerale era stata presente solo la sua amante...
Marian?
Ora la gente parlava di lei in quel modo solo perché la associavano a lui?
E perché era venuta al suo funerale quando nemmeno lo sceriffo si era presentato?
Guy rabbrividì.
Fino a poco prima non gli era venuto in mente che potessero crederlo morto, pensare che da qualche parte c'era una tomba con sopra il suo nome era agghiacciante.
- Aprilo. - Disse Tuck, strappandolo a quei pensieri morbosi.
- Cosa?
Il frate indicò l'involto e Gisborne obbedì: avvolto nella stoffa c'era un pugnale sporco di sangue secco.
In risposta allo sguardo perplesso di Guy, Tuck gli indicò il petto, nel punto dove era stato pugnalato.
- Quando ti ho trovato, era ancora conficcato nella ferita. Guarda l'impugnatura, è decorata, non è un coltello comune. Apparteneva a te?
- No.
- Allora deve essere di una delle persone che ha tentato di ucciderti. Forse potrebbe esserti utile per trovare i banditi, così almeno non dovrai passare il resto della vita a chiederti di chi non puoi fidarti. Ora mettilo via e riprendiamo il cammino, prima non scherzavo: non ho alcuna voglia di essere ancora per strada quando calerà il sole.

   
 
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