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Autore: Euridice100    04/04/2015    9 recensioni
"Ma l’altra rialza il capo e lo fissa con odio.
È allora che Gold la vede.
Arretra di un passo con la certezza di avere dinanzi a sé un fantasma.
'No, non può essere.'
Ma è allora che il passato torna a essere presente."
(Victorian!AU RumBelle
Seguito di "Cleaning all that I've become" e "All of the stars".)
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Nuovo personaggio, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Your dream is over... Or has it just begun?'
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A M.! Questo capitolo parla anche di amicizia,
perciò non può che essere tuo.
Per l’università e The Lady,
i RumBelle e i RamLeela
(“noi portiamo sfiga alle coppie, mi sa”),
Serpeverde e Dante Gabriel Rossetti,
Dylan Dog e Downton “Dan dan” Abbey,
per gli Hobbit che in primavera fanno gli zozzoni
e perché tu sei semplicemente tu. ♥♥♥
 
 
 
VII - Broken strings
 
 
 
It’s the last chance
to feel again.
 
 
 
Di poche cose Cora Mills era sicura: il sole sorge a oriente e tramonta a occidente, amava il rosso tanto quanto detestava l’azzurro e Regina non aveva segreti per lei.
Per quanto fossero diverse, sin da quando la figlia era in fasce riusciva a prevederne le mosse ben prima che lei le compisse: non si trattava del consueto intuito, bensì di qualcosa che pure gli somigliava, ma che era più profondo e le permetteva di essere sempre un passo avanti alla figlia e di aiutarla a capire dove stesse sbagliando e cosa fare per percorrere sempre la strada migliore – quella che Cora aveva tracciato per lei. I cambiamenti occorsi a Regina negli ultimi tempi non avevano scalfito la capacità: senza dubbio, con la rinnovata vicinanza tutto sarebbe tornato come un tempo.
O meglio, tutto era già tornato come un tempo: perché, per quanto s’impegnasse, Regina non sarebbe mai stata brava quanto lei a seminare le tracce e occultare la verità. Ci sono sempre indizi, se si sa dove cercare; e questa era un’abilità che la contessa Mills padroneggiava al pari, se non meglio, di tante altre.
Non si trattava di grandi azioni, di decisioni eclatanti o proclami rivoluzionari: a essere più evidente è sempre la minima e apparentemente insignificante variazione al corso naturale degli eventi, quella che i tentativi di dissimulare finiscono solo per accentuare.
L’aria distratta di Regina durante i pasti, ad esempio; o la cura con cui si preparava quando usciva per una passeggiata a cavallo, e le volte in cui, illudendosi di non essere osservata, occhieggiava rapida verso le stalle in cui sprecava pomeriggi interi.
- È per Ronzinante, – si giustificava – Approfitto della vacanza forzata per stare con lui.
Perché Regina Mills considerava sua madre tanto stupida da non capire che il morello arabo si era recentemente tramutato in un aitante giovanotto dagli occhi grigi.
Quel dannato Locke. Perché non l’aveva sbattuto fuori cinque anni prima? Avrebbe dovuto immaginare che un servo così indisponente già in tenera età col passare del tempo avrebbe causato sempre più guai; e se l’era ripetuto anche in passato, scorgendolo in qualche occasione scambiare un saluto di troppo con la figlia. Tuttavia, non aveva mai realmente pensato che costituisse un serio pericolo; né, d’altro canto, lo pensava fino in fondo anche allora: era vero, simili frequentazioni avrebbero potuto gettare Regina nel vortice dello scandalo e mandarne in pezzi la reputazione, specie in così giovane età; ma la ragazza sarebbe davvero stata così stupida da accettare di pagare un simile scotto? No, no di certo, se avesse ereditato un briciolo del suo sale in zucca; e Cora voleva pensare che la figlia somigliasse sì molto al padre, ma che non fosse anche altrettanto idiota. Stava semplicemente vivendo la fase romantica che le giovinette venute su tra gli agi e le mollezze erano solite attraversare: sognava il principe azzurro e credeva di averlo trovato nel primo che le aveva sorriso.
Avrebbe lasciato correre una chiacchierata o una capatina alle scuderie fintantoché la vicenda fosse rimasta confinata al sicuro tra le mura di Belgravia; in caso contrario, o se si fosse manifestato dell’altro, non avrebbe avuto remore sul da farsi. Magari, certamente, sulle prime Regina avrebbe protestato – questa sua inedita propensione alla ribellione iniziava ad annoiarla –, ma un domani l’avrebbe ringraziata per averle impedito di gettare alle ortiche la sua intera esistenza. Le passioni tra membri di diverse classi sociali, tra dame e popolani, tra capitalisti e domestiche andavano bene finché restavano custodite tra le pagine di un romanzetto; i problemi sorgevano quando a qualcuno veniva in mente di trasporle nella realtà.
Era inutile ricordarlo: le prime ricerche avevano condotto a un nulla di fatto. Per l’occasione avrebbe voluto impiegare Greg Mendel, perché nulla rende più dell’orgoglio di un uomo ferito; ma, stando alle voci, l’uomo era da tempo emigrato in Australia e si era portato dietro anche quell’intrigante di Tamara Green.
I soliti servi: sempre tra i piedi se inopportuni, si dileguavano al momento del bisogno.
In ogni caso, la questione tutto fuorché chiusa: se la frecciata non fosse stata una misera provocazione e la French era davvero a piede libero per l’Impero, andava fermata al più presto. A questo punto non si trattava più delle mire su un uomo, ma di una questione molto più seria e sottile: nessuno poteva fare un torto alla contessa Mills – figurarsi perpetrare una simile offesa! – e restare impunito.
In tutta onestà, dubitava che quello di Gold fosse stato un bluff: a che pro? Quale ne sarebbe stata l’utilità? Se avesse voluto allontanarla o indispettirla ulteriormente, sarebbe ricorso a meccanismi ben più congegnali. Per esempio avrebbe potuto… O…
No, Cora non sapeva cos’avrebbe potuto escogitare l’ex amante, né d’altro canto la questione stuzzicava la sua curiosità: lui aveva scelto di riportare in auge l’antica diatriba, lui ne avrebbe sopportato le conseguenze. Se davvero Belle French fosse stata viva e intenzionata a tornare all’attacco, la scelta del suo compare di venirlo a spifferare proprio a lei non si sarebbe certo potuta definire saggia. Anzi, ne segnalava un certo sprezzo che per un istante le fece pensare che forse Gold non fosse poi tanto intenzionato a proteggerla come in passato…
Comunque fosse, certo non poteva pretendere che chinasse il capo dinanzi a quella che a tutti gli effetti lei interpretava come una dichiarazione di guerra.
E sai che non sono certo io a temere di scender in campo.
I suoi vecchi contatti potevano anche aver fallito, ma lei avrebbe vinto: avrebbe condotto personalmente le battaglie senza perseverare nei vecchi sbagli, ricorrendo a tutte le armi a sua disposizione e sfruttando anche quelle che cinque anni prima le erano sfilate sotto gli occhi senza che si risolvesse a ricorrervi.
La French aveva lavorato per Gold: possibile che avesse perso i contatti con tutti i colleghi? E che, per quanto benvoluta, non avesse acceso alcuna invidia o antipatia? La situazione creatasi in quella casa non era certo l’ideale per mantenere la pace e l’ordine tra il personale… E se davvero tutti l’amavano – aspetto che mai sarebbe riuscita a comprendere – avrebbe comunque potuto sfruttare l’astio che Gold si era attirato durante il suo impero di tirannia. E lei ricordava molto bene i subalterni più invisi all’ex amante…
Brevi indagini sull’ultimo periodo confermarono senza difficoltà i suoi sospetti: la persona cui rivolgersi era lì, a pochi passi da lei.
La persona più corruttibile.
 
 
 

I can’t even convince myself
when I’m speaking
it’s the voice of someone else.
 

 
 
Il momento della verità.
Mary Margaret gettò una lunga occhiata all’edificio che si ergeva innanzi a loro: almeno all’esterno non aveva affatto un’aria raccomandabile – ma cosa in Whitechapel l’aveva? Con David aveva vissuto verso il porto, in una zona certo non tranquilla, come avevano sperimentato sulla loro stessa pelle nel peggiore dei modi; ma i docks rimastile impressi nella memoria non erano così… Così… Così.
O forse era lei a non ricordare, ad aver rimosso ciò che le incuteva timore ed essersi abituata all’eleganza e al silenzio dei quartieri ricchi. Le vie percorse per arrivare lì le erano parse una discesa agli Inferi, e non avrebbe certo negato di voler tornare quanto prima a casa. Suo marito aveva perso la vita in un posto simile: cosa ci erano andati a fare Emma e Killian? Tutte le raccomandazioni rivolte alla figlia si erano perse come foglie al vento. E perché l’irlandese, che tanto blaterava a destra e a manca il suo affetto per la ragazza, le aveva permesso di metter piede in un postaccio simile? Conosceva la figlia a sufficienza da sapere che un divieto non le avrebbe certo impedito di agire, ciononostante non poteva non restarne indignata. E a lei, lei, come era venuto in mente di dar retta a quei due sconsiderati? Cercare Belle era cosa buona e giusta, ma non potevano spingersi tanto da mettere in pericolo Emma.
Sempre se di Belle si tratta.
Accanto a lei, Ashley si strinse nella mantella che la riparava dal vento.
- Come ci è finita quaggiù? – la sua voce, fioca come il pigolio di un uccellino, risuonò di mille paure che lei per prima un tempo aveva temuto di dover affrontare – Credete che… Che… – balbettò, come se l’eventualità apparisse troppo orribile persino per essere espressa – Che sia caduta?
Un brivido percorse la comitiva, raggelandola.
No, pensò Killian, è impossibile, una come Belle non potrebbe mai, è troppo…
Sì, la Belle di un tempo era stata troppo retta per scendere a compromessi, e mai si sarebbe concessa per denaro o altro: il rispetto che nutriva per se stessa gliel’avrebbe sempre impedito.
Ma il tempo cambia le persone, le modella a proprio piacimento lasciando lo scheletro di ciò che sono state, succhiandone tutta la forza, tutta la grinta che un tempo le ha contraddistinte.
Era un uomo, e aveva viaggiato in lungo e largo per il mondo giungendo a contatto anche con realtà che avrebbe preferito continuare a ignorare; e se il Coccodrillo avesse rovinato Belle a tal punto da precluderle ogni altra via? Se l’avesse ingannata tanto da costringerla a prostituirsi per sopravvivere? Se i suoi sospetti avessero trovato riscontro, non avrebbe avuto alcuna pietà: lui sarebbe finito a Newgate 1, ma quel bastardo l’avrebbe pagata cara.
Emma chinò il capo, succhiando l’aria tra i denti. L’insinuazione dell’amica la ferì, la ferì nel profondo pur avendo già messo in conto quell’eventualità: malgrado tutti continuassero a considerarla la piccola di casa, da proteggere e tutelare, non era né stupida né ingenua e aveva capito subito per quale motivo Killian non l’avesse fatta entrare nel pub pur rischiando di perdere definitivamente di vista Belle. Aveva provato una profonda rabbia per il trattamento, ma l’emozione era stata presto surclassata dalla possibilità fino a quel momento nebulosa, e ora improvvisamente così realistica e angosciante.
Con la French le cose non erano sempre andate bene: più volte c’erano state incomprensioni ed Emma stessa era stata la prima a remarle contro quando si erano diffusi i primi pettegolezzi. L’aveva offesa, accusata di fraternizzare col nemico in spregio alla memoria di Ariel Andersen, e come dimenticare quando erano venute alle mani? Eppure Belle, per quanto risentita, era tornata a parlarle appena lei le aveva offerto un’occasione.
Belle si era dimostrata migliore di lei in ben più di un’occasione; era arrivato il suo turno di dimostrarle di essere maturata.
L’avrebbe aiutata. Qualsiasi cosa fosse successo, lei e chi avesse voluto accompagnarla avrebbero messo da parte le divergenze e unito le forze per risolvere la situazione, e Gold non avrebbe potuto far niente per fermarli. Che ci provasse, la bestia: forse gli altri, forse anche sua madre lo temevano, ma lei no.
Lei era pronta ad affrontarlo.
Lui, e qualsiasi cosa li aspettasse al di là della strada.
Senza controllare se i compagni la seguissero, si fece largo tra la folla.
- C’è solo un modo per scoprirlo, – mormorò più a se stessa che agli altri – Entriamo.
 
 
 

Oh, it tears me up,
I tried to hold on,
but it hurts too much,
I tried to forgive,
but it’s not enough
to make it all okay.

 
 
 
L’incontro le aveva lasciato un senso di meraviglia e d’irrisolto che non accennava a svanire.
Dopo aver accompagnato Robert alla porta, averlo visto montare in carrozza e allontanarsi sotto la pioggia battente, Belle era rientrata in casa e, malgrado fosse presto, era tornata di sopra e si era stesa accanto a Helena. Per fortuna la bambina continuava a dormire alla grossa; solo, percependo il calore del corpo materno accanto a sé si era voltata e le si era stretta con forza, abbracciandola e affondando il volto nel petto.
La donna le aveva carezzato la schiena e posato un bacio leggero in testa: le ultime ore erano state tanto dure che solo un buon sonno ristoratore l’avrebbe aiutata a metabolizzare le emozioni vissute. Si era consolata al pensiero che l’indomani almeno la piccola sarebbe stata meglio; quanto a lei… Vedendo le sue occhiaie, Ruby se ne sarebbe fatta una ragione.
Non aveva intenzione di nascondere alcunché all’amica, tantomeno il bacio che lei e Robert si erano scambiati. Non lo rinnegava, no: se era successo, se per un istante nulla era stato in grado di fermarli c’era un motivo; un motivo che non era difficile individuare, che per cinque anni le aveva fatto compagnia tra un pensiero e l’altro e oggi come ieri le causava un groviglio di sentimenti che combattevano per imporsi.
Riaverlo così vicino, il peso della sua testa sulla spalla che dava un senso diverso a tutto, sentire solo il pulsare incontrollato del sangue nelle vene e le sue labbra posarsi lievi su di lei era stato sogno; e, come da tutti i sogni, anche da quello si era svegliata.
L’avrebbe baciato ancora, con più passione, più impeto, con tutto l’ardore che aveva se fosse stata pronta; e Belle era confusa, arrabbiata, innamorata, ma non pronta. Le veniva da sorridere amara rammentando di essere stata lei stessa a rincuorare Helena poche ore prima: al momento della verità aveva preferito allontanarsi da Robert, fuggire dalla sua bocca e dalla sua proposta nascondendosi fra parole che nulla potevano davvero, i sensi ancora ottusi dall’emozione.
Un bacio, un semplice bacio non aveva fatto male, anzi; il male era venuto dopo.  Perché dopo erano arrivati i pensieri e i dubbi, i “se” e i “forse” che l’avevano tenuta sveglia per l’intera notte. Era stato un bacio così dolce, un bacio in cui aveva riconosciuto se stessa, lui, ciò che un tempo erano stati e il modo in cui i loro istanti sapevano intrappolare la bellezza del mondo; ma in cui aveva riconosciuto anche il male che si erano fatti e la paura – il terrore – che se ne infliggessero ancora, che lo infliggessero alla loro bambina.
Ma se non ci avesse provato per paura di ciò che sarebbe potuto – non – accadere, ci sarebbero state differenze tra il suo agire e quello del Gold di un tempo? Cosa l’avrebbe distinta da lui e dalla sfiducia che alimentava i suoi occhi da lupo?
A un certo punto della notte si era posata la mano sul petto, imponendosi di placare il cuore che le batteva selvaggio. Baciandolo, aveva avvertito una fitta al ventre – e non era stata paura, non era stato terrore, non era stato rimpianto, ma desiderio.
Quando gli aveva risposto di non poterlo ancora seguire, Robert l’aveva guardata con l’espressione impotente di un capitano che vede il proprio vascello affondare: non deluso, non arrabbiato né ferito, quanto piuttosto rassegnato. Mesto – come se sin dal principio avesse saputo che anche quella volta sarebbe andata così, come se in fondo non volesse aspettarsi nulla di diverso e anzi, il semplice averla vista, aver condiviso lo stesso ossigeno e averla potuta toccare ancora fosse stato il dono più grande. Non era la prima volta che la guardava in quel modo, come se non sapesse cosa fare o cosa dire, e volesse solo restare con lei; e quella volta aveva fatto bene, ma aveva fatto anche male, molto male. Perché le aveva rammentato il suo fallimento, il suo non essere stata capace di esorcizzare i demoni, di riempire la sua solitudine.
E l’illusione di esserci riuscita.
Le notti che trascorrevano stretti in un abbraccio antico quanto il mondo, quando lei credeva di essere riuscita a curarlo con tutta la forza che possedeva.
Era stata così giovane Belle, così giovane e ingenua: non sapeva ancora che l’unica medicina si trova all’interno di se stessi. Che lei poteva aiutarlo, non salvarlo; sostenerlo, combattere con lui, non per lui.
Se avesse accettato di andare con lui sarebbe stata la fine. Forse per Robert era più semplice ricominciare dal giorno in cui si erano separati, provare a dimenticare il passato chiedendole scusa nei modi cui era solito ricorrere in casi simili.
Belle, ma lo credi davvero?
I pensieri finivano sempre per sbattere contro di lui.
La violenza delle sue incertezze, il suo viziarla con attenzioni che mascheravano paure segrete.
Ma i timori alla fine avevano trovato la strada per attanagliarli e vincerli.
La ferita non sarebbe diventata cicatrice con un bacio.
Era convinta di ricordare ogni particolare, ogni lineamento e ogni ruga, il dubbio o la sorpresa che gli increspavano la fronte e il tono sardonico con cui motteggiava tanto spesso il prossimo; ma non ricordava di aver dimenticato altro, molto altro.
I movimenti delle sue mani, ad esempio, i gesti fluidi con cui agitava incessante le dita per rimarcare concetti ed eventi – le stesse dita che, se chiudeva gli occhi, poteva ancora sentire viaggiare per il suo corpo.
Il modo in cui arricciava le labbra quando qualcosa non incontrava la sua approvazione, in cui aggrottava le sopracciglia permettendosi di mostrare le sue emozioni a lei e lei sola.
Il modo in cui sorrideva.
Le piacevano i suoi sorrisi.
Anche quelli tristi, quelli che avrebbe voluto cancellare e che ora parevano dominarlo persino più che in passato.
Ecco: aveva dimenticato i suoi sorrisi. Quelli che le occupavano la mente erano solo pallide imitazioni, somiglianti all’originale quanto il sole somiglia a una candela: non contenevano alcuna delle mille sensazioni che sapevano trasmetterle, rapirla e avvincerla ogni volta.
Quando Helena aveva protestato, aveva serrato la mascella e in quel gesto c’era lui. Non se n’era mai accorta, e la realizzazione improvvisa le aveva mozzato il fiato persino più la vista di quegli occhi gemelli puntati su di lei. Era naturale che la bambina somigliasse al padre, non c’era ragione di stupirsene – quando era neonata, lei stessa aveva trascorso ore a cogliere somiglianze e differenze; il problema era che non si era mai resa conto fino a quel punto di quanto Helena fosse anche lui. Di come fossero tessere di un puzzle finalmente tornato a unità, di quanto fosse stata ingiusta la separazione che il destino aveva riservato loro.
Sarebbero potuti essere famiglia.
Belle sospirò. Le fantasticherie non le erano di alcun aiuto; avrebbe fatto meglio a cacciare in un angolo la tristezza e andar di sopra dalla figlia. Era solita svegliarla dopo le otto, quando di solito c’era un primo momento di calma al pianterreno; proprio come non voleva mai andare a letto, allo stesso modo poi la piccina strepitava per non abbandonare il caldo abbraccio della coperta, rotolandosi sulla branda al grido – o meglio, in tal contesto al fioco sussurro – di un “Nooo! Ancora un poco, un pochino!” diametralmente opposto a quello serale.
La donna dubitava che la scena si sarebbe ripetuta quella mattina: vista la cena impegnativa, aveva deciso di esaudire le suppliche quotidiane prima ancora che venissero perorate e di far riposare la figlioletta un po’ di più. Le altre volte in cui era salita da lei più tardi del solito l’aveva sorpresa a gironzolare, silenziosa come un topolino in una dispensa, a piedi scalzi e con indosso ben poco, rischiando di buscarsi un raffreddore; e una mattina l’aveva sorpresa nel bel mezzo di un comico tentativo di vestirsi da sola che l’aveva portata a indossare gli abiti al rovescio.
Ma quel giorno le cose andarono diversamente: nello scostare la porta della camera, Belle si trovò davanti l’immagine di Helena che, seduta sul letto, giocherellava cheta col suo nuovo pupazzo.
- Buongiorno! – la salutò allegra – Già sveglie oggi?
- Sì! – esclamò la bimba – Però non voglio alzarmi. Fa freddo!
- Fa freddo solo perché non sei sotto la coperta e hai le braccia tutte nude, birbante! Ma ora che ti vesti andrà meglio, vedrai.
Mentre osservava la madre raccogliere l’occorrente, Helena si strinse le gambe nella camicina da notte e appoggiò il mento alle ginocchia, il regalo del signore che era il suo papà poco distante da lei.
Alla fine le sue preoccupazioni erano state inutili: Grace aveva ragione quando parlava del suo papà, di quanto le volesse bene e di quanto le mancasse, e ora capiva come mai l’amica fosse tanto felice quando l’uomo andava a trovarla. Malgrado il discorso di mamma, lei all’inizio non era stata brava e coraggiosa come promesso: ritrovandoselo davanti e sapendo chi fosse davvero, aveva avuto paura e per un momento aveva pensato di dire che non voleva proprio vederlo. Era sicura che, se gliel’avesse confidato, la mamma l’avrebbe capita e non l’avrebbe sgridata, pure se se lo meritava. Però il signore non era rimasto male per la sua cattiveria, anzi: le aveva pure regalato Baelfire senza far più cenno al saluto che non gli aveva dato.
Anche il papà di Grace aveva regalato alla figlia un pupazzo, un coniglio che qualche volta Helena aveva invidiato all’amichetta; però ora lei aveva il suo peluche, mille volte più bello di quello là – che a dire il vero aveva le orecchie flosce ed era diventato tutto grigiastro perché la proprietaria se lo trascinava dietro dappertutto. Anche se non era nero, il suo gatto aveva il pelo morbido morbido di un colore che pareva giallino però era più bello, aveva gli occhietti lucidi e verdissimi e portava pure un campanellino al collo. No, non c’era proprio paragone!
E poi, aveva riflettuto, se anche fosse stato brutto sarebbe stato pur sempre un giocattolo; e – anche se la mamma le spiegava che era fortunata perché attorno a loro tanti bambini non avevano di che mangiare e vestirsi, figurarsi di che divertirsi, anche se a lei dispiaceva per i poveretti – a Helena non sembrava poi di possedere molti balocchi, e certo non ne avrebbe rifiutato di nuovi.
Chissà se suo papà gliene avrebbe portato un altro quando si fossero rivisti.
- Mamma, – ne richiamò l’attenzione – Quando viene di nuovo il signore che è mio papà?
Belle si bloccò.
Conoscendo la figlia, avrebbe dovuto aspettarsi presto un interrogativo simile. Si era ammonita durante le elucubrazioni notturne e aveva provato a rinvenire una risposta che risultasse al contempo sincera e rassicurante; ma trovarsi sul punto di darla era tutto un altro paio di maniche.
- Tornerò la settimana prossima, – l’aveva salutata Robert, posandole le labbra all’interno del polso – E ci rivedremo.
Era un semplice dato di fatto, un’affermazione che avrebbe presto trovato conferma; non c’era nulla da temere.
Nulla.
Non doveva pensare alla volta in cui era partito e il suo ritorno aveva portato la fine.
- È fuori città per lavoro, ma sarà di nuovo qui tra pochi giorni. Pochissimi giorni, – s’impose di far suonare la voce quanto più sicura e allegra possibile, ma qualcosa non funzionò: l’ombra che attraversò il volto della figlia ne fu prova.
- Ah, – commentò guardinga la piccola, storcendo appena la bocca – Sta facendo un viaggio, proprio come nella storia, quando dovevo nascere io. Ma non è che poi torna di nuovo dopo tanto tempo?
Era stata lei a trasmetterle quella paura, al tempo in cui erano state una? Gliel’aveva passata col sangue o infusa con gli atteggiamenti, coi gesti pavidi che aveva provato a nasconderle e che pure ella aveva dovuto intuire? Il potere di leggere il prossimo, di interpretare e capire raramente è sinonimo di felicità. Belle se n’era resa conto in svariate occasioni, ma solo in quel momento, dinanzi alla figlia che scopriva temere le novità perché in perenne divenire e quindi sempre incerte, sempre pericolose, ne ebbe conferma.
- No, – asserì seria – Tornerà molto prima, la prossima settimana. Vuol dire che tra sette giorni verrà a trovarci di nuovo, se tu lo vorrai, se… Se ieri è piaciuto.
- Non si è arrabbiato perché non gli parlavo e mi ha dato Bae. Mi fa ridere ed è bravo. Mi diverte… Anche se parla strano, – Helena terminò il resoconto con una risatina cui fece eco una Belle immensamente grata per la rapidità con cui i demoni avevano allentato la loro presa.
- Guarda che potrebbe dire lo stesso anche di te, – rimarcò con un occhiolino spazzolandole i capelli – Comunque, parla strano perché vive a Londra da tanto, ma non è nato qui. Viene da un posto lontano lontano che si chiama Scozia.
- Lontano quanto la Norvegia?
- No, lontano, ma un po’ più vicino della Norvegia. Non c’è bisogno di attraversare il mare per raggiungerlo.
- E com’è questo posto?
Esitò appena prima di rispondere.
- Bello. Ci sono molti castelli, laghi e montagne, ed è tutto molto verde…
Helena si voltò e la fissò di sottecchi per un istante prima di chiedere: – Ma te ci sei mai stata?
Tale padre, tale figlia.
Non ti si può nascondere niente, eh?
Belle fu costretta a scuotere il capo.
- Tu. Purtroppo no. Anche se mi sarebbe piaciuto.
“- Ti piacerebbe sposarti in Scozia?
- Dove, a Gretna? Ho più di ventun anni, sta’ tranquillo!
- Intendevo più a nord. A Glasgow, per la precisione. Vorrei mostrarti dove sono nato, dov’è iniziato tutto… Vorrei farti conoscere Neal.”
Sì, le sarebbe piaciuto lasciarsi tutto alle spalle una mattina di febbraio, condividere la carrozza con un solo altro passeggero e partire verso un futuro che sembrava colmo di luminose promesse. Chissà cosa sarebbe successo se fossero riusciti a sfidare fino in fondo chiunque intendesse dividerli… Non aveva elementi per sostenerlo con certezza, ma Belle sapeva che, se fossero partiti, il loro sarebbe stato un viaggio di sola andata. Non sarebbero più tornati indietro, specialmente lui: quando gli affari avessero imposto la sua presenza altrove sarebbe partito col corpo, ma col cuore sarebbe rimasto lì dov’era la figlia che avrebbe visto crescere passo dopo passo e il figlio cui aveva dovuto dire addio troppo presto.
Lì dove sarebbe stata lei, dove l’avrebbe amato e costruito giorno dopo giorno la loro storia; perché lui e il suo lato migliore sarebbero sempre stati qualcosa che valeva la pena trovare.
Ma quelle erano cose che Helena non doveva sapere.
- Magari poi ci vai, – la piccina sfuggì alla presa e uscì allegra dalla stanza, subito raggiunta dalla madre che si concesse mezzo sorriso.
Amore mio, non immagini cosa mi stai davvero augurando.
- Chissà. Magari un giorno succederà davvero. Ma se sarà, – si chinò per darle un bacio – Ci andremo insieme. O staremo insieme, o niente. E tanto per cominciare, se a pomeriggio non piove… – si bloccò in una pausa ben studiata, finalizzata apposta per tenerla giocosamente sulle spine – …andremo da Tink! Che ne pensi, ti va?
- Sììì! – la bimba le saltò al collo prima di scendere le scale, e Belle la portò in cucina da Granny per riprendere a lavorare.
- È appena entrato un gruppetto, te ne occupi tu? – le chiese Ruby, appena rientrata dalla sala con un pesante vassoio.
Belle annuì e aggirò il bancone, dirigendosi verso gli ultimi arrivati.
Arrivata a pochi passi da loro, si bloccò.
Arretrò d’impeto, fissando incredula quei quattro volti su cui era scolpito tutto lo stupore del mondo.
Mormorò solo un flebile: – Voi… – prima di portarsi le mani alla bocca, lacrime d’emozione che già premevano per essere libere.
Quando Mary Margaret si gettò ad abbracciarla non ci fu più bisogno di trattenerle.
 
 
 

Oh, the truth hurts,
a lie is worse,
I can’t like it anymore.

 
 
 
Degli istanti immediatamente seguenti, in futuro Belle non avrebbe ricordato poi molto. All’improvviso tutto diventò confuso, come un insieme di stelle che non riusciva a far convergere in costellazioni 2: c’era Mary Margaret che la stringeva al petto singhiozzando, c’era Ashley che rideva e piangeva a un tempo, Killian la sollevava da terra esultando ed Emma – la fredda, scontrosa, burbera Emma – le regalava il suo sorriso più bello, quello che solo pochi avevano l’onore e l’onere di conoscere.
All’improvviso, come apparsi dal nulla, erano tornati i suoi migliori amici, le persone con cui aveva condiviso casa, lavoro, segreti, liti e feste; coloro che erano subito andati oltre le naturali e reciproche diffidenze, le avevano voluto bene e fatta sentire parte del gruppo sin dal primo momento assieme e che ora, ora, erano di nuovo attorno a lei, in un carosello di volti e carezze che la facevano sentire amata.
Protetta.
Al sicuro.
La sua personale, indimenticata rete contro le cadute.
- L’avevamo detto, l’avevamo detto che eri davvero tu! – udì Emma gongolare mentre tutti, Belle compresa, prendevano posto al tavolino.
- Sono io, – confermò commossa – Io, proprio io. È passato così tanto tempo…
- Ti credevamo morta, morta! Per tutti questi anni abbiamo pensato che non ci fossi più, e invece… – la voce di Mary s’incrinò mentre le stringeva le mani con più forza – Perdonaci. Non sapevamo nulla.
- Va tutto bene, Mary, davvero, non avete di che scusarvi, – la giovane provò a consolarla, ottenendo come unico risultato lacrime ancora più copiose – Lo so. Non eravate gli unici a pensarlo, anche… – stava per dire Robert, ma almeno per il momento decise di tacere e di concentrarsi sul presente – Non fa nulla, credetemi. Piuttosto, ditemi, come state? Come siete capitati qui, come mi avete trovata?
- No, love. Come stai tu, ecco cos’è importante, – Killian contrasse la mascella, gli occhi chiari che tradivano una profonda inquietudine – Cosa fai qui e come ci sei finita? Questo è davvero un pub, o… – le si avvicinò, quasi come se volesse farsi udire solo da lei – A noi puoi dirlo, sai che non ti giudicheremo. Ti aiuteremo a venirne fuori, bloody hell!
Intuendo l’equivoco, la ragazza scosse il capo.
- È una taverna come mille altre, anzi, più tranquilla di quanto possa sembrare, – memore dei loro trascorsi, occhieggiò rapida verso le Nolan – Non è come pensate, vi assicuro che non è questo il caso. L’altra dipendente è la nipote della proprietaria e credetemi, potrà anche esserci confusione, ma il decoro è garantito, – la compagnia si rilassò di colpo. La Boyle non trattenne un sospiro di sollievo – Lavorate ancora tutti assieme?
- Io non lavoro più, – esordì la stessa Ashley – E puoi immaginare il perché… Io e Sean ci siamo sposati, alla fine. Abbiamo avuto una bambina, Alexandra, e sei mesi fa un maschietto, Thomas. Adesso sono col papà.
- Ed entrambi sono persino più biondi della loro mamma! – scherzò Emma, facendo ridere tutti.
Belle si emozionò per l’ex collega: era contenta che avesse ottenuto il lieto fine tanto agognato. Ashley e Sean si amavano molto e la loro relazione, sebbene clandestina, durava da tempo quando Belle aveva iniziato a lavorare per Gold: un matrimonio e due figlioletti parevano la conclusione ideale. Alexandra sarebbe dovuta essere solo pochi mesi maggiore di Helena, praticamente coetanea: sarebbe stato bello farle incontrare. Chissà, magari anche loro sarebbero diventate amiche.
- Un giorno mi piacerebbe conoscerli. E rivedere Sean, ovviamente. Si occupa sempre di cavalli?
- Sì, e a volte anche di carrozze, – la bionda si guardò bene dal precisare per chi continuasse a lavorare il marito. Non voleva essere lei a riaprire le ferite dell’amica, malgrado sapesse che presto o tardi una frase di troppo, un gesto apparentemente innocuo sarebbe stato sufficiente a riportare alla luce quel nome maledetto.
Nel precedente lustro le Nolan avevano servito i conti di Grantham sia nella loro tenuta nello Yorkshire sia nella capitale 3, mentre Killian aveva momentaneamente dismesso i panni del valletto per realizzare il suo grande sogno di viaggiare per mare. Nel descrivere nei minimi dettagli la vita marinara corredandola di aneddoti ancora incrostati di salsedine, una luce nostalgica gli illuminò lo sguardo; e Belle pensò che il Killian Jones che conosceva era narciso e allegro, sarcastico e romantico, astuto e a suo modo bonario, ma mai, mai era stato così felice. Come se le avventure sull’oceano gli avessero acceso un fuoco in grado di animarlo nel profondo. Non scherzava, l’uomo, quando minacciava di mollare tutto e tutti e imbarcarsi: forse solo col rollio di una nave la sua indole raminga poteva assaggiare la serenità che la terraferma gli negava. Ma allora, perché era tornato?
Il motivo, constatò Belle, era uno e uno solo, chiaro come i capelli della ragazza cui il valletto che era stato marinaio dedicava ancora ogni sguardo.
Fu così la volta delle vicende degli assenti Archie, Aurora e Kathryn, e dei pettegolezzi: questione che Mary liquidò con uno scandalizzato: – Ma ho una certa età, ormai, e sono una donna sposata!; cui Emma grugnì vaga – non avrebbe potuto fare altrimenti in presenza della madre, si disse Belle sperando tuttavia che il tempo non intaccasse la complicità tra lei ed Helena –, e cui Jones commentò con un: – Le indiane mi avrebbero rubato il cuore… Se non l’avessi già donato a un’altra! – che senza dubbio gli sarebbe presto costato un fervorino micidiale.
Non erano cambiati. Sì, magari i corpi portavano nuovi segni, i capelli di Killian erano più corti e Mary ingrassata, ma erano inezie rispetto alla realtà più autentica, quella che non si può vedere, ma solo sentire; e dentro, loro erano sempre gli stessi. Era il gruppo la cui amicizia, nonostante la lontananza, aveva ancora il fulgore di un diamante; il gruppo cui pure mancava un elemento.
Come sarebbe stata la sua vita, se le fosse stata data la possibilità di viverla?
- Alle volte sono andata a far visita ad Ariel, – osservò, pentendosi di aver immalinconito l’atmosfera.
- Anche noi, da quando siamo tornate. Ashley si occupa della sua tomba, ma con due bambini piccoli non è sempre facile… – l’interpellata annuì a conferma di quanto appena detto da Emma.
- No, non era un rimprovero! – Belle si corresse subito – Era solo una riflessione su quanto sarebbe bello averla ancora con noi…
Sul tavolo cadde un silenzio greve. Un silenzio pesante come una spessa coltre, carico di quei ricordi che ci si limita a portar dentro senza mai esporli al mondo; e non perché ci si senta deboli, perché si tema di mostrare al prossimo le proprie fragilità, ma perché certi fardelli, certi frammenti sono troppo privati per esibirli al mondo. Perché tutti hanno vissuto esperienze simili, ma non tutti sono in grado di accettarle; e per non sporcare quelle memorie, per proteggerle dal mondo, si decide di nasconderle, di custodirle nell’angolo più recondito di sé.
- Belle… Tu come stai? – fu Mary a chiederglielo, guardandola con dolcezza materna.
La donna si strinse nelle spalle. Qualunque cosa avesse risposto non sarebbe stata del tutto onesta, ma non per il motivo sospettato dagli interlocutori: erano rimasti fermi a cinque anni prima, e nel frattempo tutto si era rivoluzionato. Come metterli a parte della verità senza sconvolgerli? Che faccia avrebbero fatto scoprendo di Helena?
Se non altro, a questa domanda avrò presto risposta.
Non ha senso omettere ciò che comunque si verrà a sapere.
- Bene, – affermò pacata – Certo, il modo in cui sono finita qui è stato, come dire… rocambolesco. Ormai non h senso negare la natura del mio rapporto con Gold, – sussultarono udendo il cognome, quasi non si capacitassero di averlo davvero udito lasciare le sue labbra. Belle, che pure aveva previsto la reazione, sorrise – È solo un nome, non muoio pronunciandolo. Non sto invocando qualche malvagio signore oscuro o demone.
- Temevano non volessi nemmeno sentirne parlare dopo tutto ciò che ha combinato.
-  Lo sospettavo, – socchiuse appena gli occhi, per poi riprendere subito a parlare – Ma ho retto a cose ben peggiori che sentire il suo nome.
Omise ben poco: raccontò di Cora, dell’anello e del furto di Regina, scoprendo che già conoscevano alcuni aspetti della vicenda; parlò della fuga, dell’inseguimento e del salvataggio da parte di Ruby, del lavoro nella locanda e dei suoi nuovi amici; descrisse la nuova vita che pian piano aveva costruito, fino a giungere alla novità senza dubbio più importante.
Prese un profondo respiro prima di annunciarla; ma non fece in tempo ad aprire bocca che fu preceduta da una vocetta ben nota che la chiamava.
- Maaa’! Dice Granny se ti sei persa!  
- Dille che arrivo tra un minuto! – urlò di tutta risposta prima di voltarsi ed essere raggiunta da un piccolo ciclone dai capelli già scompigliati che le si arrampicò in grembo – E poi c’è lei, – Belle si lasciò gettare le braccia al collo mentre la presentava allo sbigottito gruppo – Helena Ariel. Mia figlia.
Non ci furono subito commenti, né d’altronde li aspettava. Aveva appena dato un’informazione scioccante, che richiedeva tempo per essere assimilata: il silenzio era la reazione più naturale. Mary, Emma e Killian si scambiarono un’occhiata basita; Ashley, al contrario, parve incassare meglio il colpo: si riprese per prima ed esclamò: – Ma che bel nome! Quanti anni hai, angioletto?
- Quattro! Così! – senza mostrar timidezza, la piccola indicò il numero con le dita di una mano – E tu?
- Qualcuno in più, purtroppo… Tanti che le dita di due mani non bastano a mostrarli!
- Non avevi detto di esserti sposata! – Mary sorrise meravigliata a Belle – Chi è il fortunato?
- Infatti non mi sono sposata. Sono sempre la vostra vecchia miss French, nubile ora come allora. Un’arzilla zitella, ormai.
Neanche stavolta si udirono osservazioni. Il gruppo distolse lo sguardo per un istante, come se non sapesse come comportarsi; e Belle quasi poté vedere le supposizioni che tutti stavano escogitando, le possibilità e i pensieri che si susseguivano. La stavano compatendo? Criticavano il suo stato e la sua rovina, gli errori che l’integerrima collega dei loro ricordi aveva evidentemente compiuto e che l’avevano fatta unire alle file delle donne perdute?
Non vi fu il tempo per riflettere: ad Ashley, che non aveva mai smesso di chiacchierare con la bimba, si era aggiunta subito una dolcissima Mary Margaret; e se Emma si manteneva ancora distante da Helena, il sorriso che le aveva rivolto era stato inequivocabile.
Solo Killian, pur tra una battuta e l’altra, continuava a fissare la bambina con attenzione, studiandone i lineamenti come se qualcosa non gli tornasse. Quando ne incontrò gli occhi sobbalzò, un unico pensiero in mente.
- Belle, – avanzò cauto, senza sapere se pregare di star sbagliando o meno – Chi è il padre di Helena?
- Ah, – fece la piccola con un’aria di tale candore che interromperla fu impossibile – Anche tu conosci il mio papà? Io l’ho visto ieri, mi ha portato Bae e una torta buonissimissima! Parla strano perché la mamma ha detto che è nato da una parte tutta verde che si chiama Scozia, però è gentile, e la mamma ha detto che torna tra una settinana, cioè sette giorni, e...
…E menomale che era un segreto.
- Va bene, Helena, credo proprio che Killian abbia capito, – Belle corse ai ripari e la rimise per terra – Ora mi fai un favore? Vai a dire a Granny che tra un secondo sono da lei?
- Però poi posso tornare?
- Certo. Ora va’, però.
E alla fine, si disse la donna, la verità si era imposta nel modo più immediato e indiscutibile: era emersa direttamente dalla bocca della persona più innocente coinvolta nella vicenda.
Allontanarla era la scelta più sensata, dal momento che Dio solo sapeva cosa sarebbe emerso dal prosieguo della conversazione.
Nulla di buono, insinuò una vocina maligna alludendo alle espressioni sgomente e sconvolte di chi le sedeva a fianco.
No. Sono miei amici, la zittì con foga. Se l’era ripetuto fino ad allora, e presto ne avrebbe avuto la dimostrazione: avrebbero capito. Avrebbero accettato. O almeno, si sarebbero sforzati di farlo: non si era mai vergognata di avere avuto una figlia senza essere sposata, e non avrebbe certo iniziato a causa loro.
Helena non peggiorava le cose, le migliorava.
- Non c’è molto da aggiungere, in realtà, – sospirò guardandoli uno a uno – Helena ha detto tutto.
Non ricevette risposta per lunghi, lunghissimi minuti.
Fu Mary Margaret, infine, a rompere il silenzio.
- Belle… Mi porteresti la cosa più forte che avete qui?
 
 
 
“It’s like chasing the very last train
when it’s too late.”
 
 
 
- E quindi Belle sta bene e ha avuto una bambina, – Kathryn rise sollevata – Dobbiamo assolutamente organizzarci per andare a trovarla.
- Certo, love, – Killian le fece l’occhiolino, ma rimase serio – Io sono ancora sconvolto dal modo in cui il Coccodrillo si è comportato con Belle. E per la questione della ragazzina... Dite che quando il gran bastardo tornerà stapperà una bottiglia con noi?
- Effettivamente come dovremmo comportarci? Fargli capire che sappiamo o far finta di nulla?
- Direi la seconda, conoscendolo. A meno che tu non voglia farti cacciare per essere andata a zonzo durante la sua assenza, – Emma rispose alla collega.
- Voi fate come volete, – il valletto si stiracchiò e spense la sigaretta – Conoscendo me stesso, dubito che resisterò alla tentazione. Andrò a congratularmi e poi gli tirerò un cazzotto da parte di Belle. E gli faro presente che può essersi addolorato a volontà quando la credeva morta, ma un uomo che non lotta per ciò che vuole merita ciò che ottiene.
La conversazione fu interrotta dal precipitoso arrivo di Aurora. Trafelata e pallida in volto, la giovane pareva aver fronteggiato una legione di fantasmi, ma quando indicò Killian e aprì bocca la sua voce risuonò dura e chiara.
- Lady Mills è di sopra. E vuole vedere te.
 
 
 
Alla richiesta di un ospite non si può che dar corso, anche se non si ha la benché minima idea di cosa desideri; tanto più se l’ospite è un soggetto di simile peso.
Nei suoi anni a Kensington Killian non aveva mai direttamente interagito con la Mills: sapeva chi fosse, ne conosceva le follie e la crudeltà, confermate quello stesso giorno da Belle, ma per fortuna non aveva mai avuto a che fare con lei né nel bene né nel male. La convocazione improvvisa, giunta proprio allora, non lasciava presagire nulla di buono; e, per quanto si sforzasse, non riusciva a trovarne una ragione.
Malgrado le occhiate dei colleghi, Emma in primis, era uscito dalle cucine a testa alta ed era salito al piano superiore, dove lo attendevano uno sconcertato Archie – liquidato subito con non più di mezza parola – e un’algidissima Contessa.
Nel momento in cui rimase solo con lei, l’uomo ebbe la stranissima sensazione di essere appena stato coinvolto in una battaglia cui avrebbe preferito rimanere estraneo.
- Oh, Jones, – la donna lo salutò melliflua, insospettendolo ancora di più – Non ci vediamo da molto tempo. Come stai?
Perché, ci siamo mai visti prima?
- Molto bene, Milady. Vi ringrazio.
- E come va il lavoro? – incalzò, incurante del tono distaccato e formale dell’interlocutore – Il nostro Robert è uno strazio come al solito? Si sa che con l’età gli uomini diventano irritabili… Su, a me puoi confidarlo, – continuò gaia – Tra i dipendenti le voci circolano, e so di essere spesso e volentieri descritta in modo impietoso, ma ti assicuro che la realtà è ben diversa. So essere molto, molto riconoscente verso chi mi sta simpatico, e lo sarò verso di te, se mi aiuterai con un piccolo dubbio che mi affligge da qualche giorno a questa parte. Un tempo, certo lo ricorderai, – il tono era talmente gaio e spontaneo che fu quasi impossibile non unirsi al suo sorriso malizioso – Questa era la mia seconda casa, e tuttora ne ho nostalgia. Ho nostalgia anche di voi dipendenti, e credimi, non abbiamo parlato spesso, ma tra i tanti tu eri certamente quello che più mi pareva fidato.
- Vi ringrazio, – Killian chinò il capo più per abitudine che in segno di autentico rispetto. Aveva deciso di apparire impeccabile, perfetto: nessuno avrebbe potuto muovere delle rimostranze nei suoi confronti, neanche Cora, qualunque ne fossero i fini – Il lavoro procede bene. Mr Gold è esigente, ma è giusto che lo sia, – far sviolinate al Coccodrillo anche in sua assenza, ci avresti mai creduto se te l’avessero detto? – Non ho di che lamentarmi.
- Anche se sei lontano dalla Jolly Roger?
Trasalì come se si fosse scottato. Si pentì subito della reazione e di aver rivelato uno dei suoi punti deboli a una probabile nemica; ma come trattenersi udendo il nome che aveva deciso di rimuovere dalla sua esistenza?
- Come…?
- Come faccio a saperlo, caro? – se possibile, sulle labbra della donna il vezzeggiativo suonava persino più untuoso di quando era Gold a pronunciarlo – Le voci girano anche tra i padroni. Non riesco a immaginarti con una divisa indosso, ma mai fermarsi alla prima impressione, dico bene? E penso potremo avere anche una seconda, una terza e perché no, una centesima impressione, se tornassi a bordo della tua adorata nave…
Jones non riusciva a seguire il discorso.
- Mi sono licenziato dalla compagnia navale,si limitò a ricordare, dissimulando qualsiasi emozione.
- Una scelta che, a essere onesta, trovo irragionevole. Sarei indiscrete se te ne chiedessi le ragioni?
Non ti lascerò coinvolgere Emma nel tuo gioco, strega.
- Mr Gold era tornato a Londra.
Cora annuì comprensiva.
- Robert è fortunato ad avere dipendenti tanto solerti, pronti a rinunciare al comando di una nave per tornare ad assisterlo…
L’uomo sbattè le palpebre.
- A bordo ero un semplice marinaio. Comandavo ben poco.
- Dici bene, comandavi. Perché, conoscendo l’armatore, sarebbe davvero semplice farti riassumere e attribuirti un ruolo ben più rilevante… il valletto deglutì imponendosi calma. La possibilità di tornare sul mare gli aveva già accelerato il battito cardiaco – Chiaramente, per citare un nostro comune amico, ogni cosa ha un prezzo, ma non temere: come ti ho anticipato, basterà che tu faccia chiarezza su una piccola questione. Una cosa da niente,  si leccò le labra, come un lupo che pregusta la prima lepre di primavera Dov’è Belle French?
In fondo, si sarebbe in seguito rimproverato Killian Jones, avrebbe dovuto saperlo. La coincidenza era troppo sospetta per non risaltare, e quanto raccontatogli da Belle avrebbe dovuto far scattare in lui un campanello d’allarme molto più imperante.
- Belle French, Milady?
- Esattamente, caro. Bassina, mora, occhi celesti… Serviva qui alcuni anni or sono. Ricordarla non dovrebbe essere un’attività estenuante.
- Belle French, Milady, non c’è.
Non si ha idea di quanto sia facile cadere nell’oscurità fino al momento in cui non si gioca sull’orlo del precipizio.
- Questo lo vedo da me, Jones, sta’ calma, Cora, le emozioni sono una debolezza e mostrarle ora sarebbe la fine – Infatti ti ho chiesto dove è. Non se è qui.
La possibilità che si dipanava davanti ai suoi occhi era così labile e al contempo così concreta.
Sarebbe bastato allungare una mano per afferrarla…
- Intendo dire che Belle French è morta.
Non l’avrebbe fatto per il Coccodrillo, figurarsi. Lui non meritava la sua pietà – non meritava la pietà di nessuno, non ne era degno. Ed era triste ammetterlo, ma non l’avrebbe fatto neanche per Belle: perché per quanto fossero amici, per quanto avesse gioito nello scoprirla viva e in salute e per quanto potesse essere tenera la sua bambina, se fosse esistita una rigida bipartizione tra buoni e cattivi probabilmente Killian non sarebbe rientrato tra gli eroi senza macchia e senza paura, pronti a sacrificare se stessi in nome di ciò che era buono e giusto.
Nella realtà Killian Jones ingrossava le fila già affollata di quanti nella vita perseguono come prima cosa il proprio benessere, e solo in un secondo momento ed eventualmente quello altrui.
Chiamarli egoisti o più semplicemente realisti è questione di mera onestà intellettuale.
Killian rimproverava Gold per essere stato codardo e non aver lottato per la persona che pure amava; ebbene, non ne avrebbe imitato gli errori.
- Morta?
- Sì, Milady. Dopo il licenziamento Belle French ha dovuto affrontare delle tristi esperienze. Il dolore e la miseria, purtroppo, l’hanno indotta a un gesto estremo.
Se Killian l’aveva fatto, se aveva ripetuto la menzogna, era stato per Emma.
Per la gioia che le aveva illuminato il volto quando aveva visto confermata ogni sua supposizione.
Per la tenacia con cui era andata avanti fino all’ultimo.
Per il modo in cui, sulla via del ritorno, l’aveva baciato di soppiatto.
Se avesse detto la verità alla Contessa, cosa sarebbe successo? Avrebbero scoperto presto il delatore. I segreti, se oscuri, emergono sempre; e un segreto simile sarebbe venuto alla luce ancor prima, nell’istante in cui Gold non avrebbe trovato Belle ed Helena a Whitechapel, nell’istante in cui lui sarebbe salpato di nuovo.
Nell’istante in cui Emma l’avrebbe guardato negli occhi e il suo potere, come amava definirlo, le avrebbe parlato.
Cora imprecò tra sé e sé. Il dannato ragazzo non collaborava: le stava ripetendo la panzana che lei stessa aveva inventato per umiliare Gold.
- Mi dispiace. Povera piccina, l’avrei rivista volentieri… – un sospiro addolorato prima di riprendere il discorso – Ma non crucciamoci con questi brutti pensieri! Piuttosto, non so se lo sai, la Jolly Roger attraccherà dopodomani, – un fugace balenare di canini tra le labbra – Sarebbe gentile salutare l’equipaggio. Le sue ultime avventure potrebbero farti tornar voglia di viverne di nuove.
- Se durante il mio pomeriggio libero potrò, passerò da loro. Ma sono convinto della scelta fatta.
Aveva sbagliato tutto, la Contessa si rese conto con rabbia. O i suoi informatori avevano confuso persona e Killian Jones non era poi tanto inamorato di quel maledettissimo mercantile – ma stante la sua prima reazione dubitava – o aveva sottovalutato i legami che il suo obiettivo aveva instaurato ed era evidentemente riuscito a mantenere nella casa. Le capacità della French di irretire il prossimo fino a soggiogarlo erano strabilianti. Avrebbe davvero potuto fare strada.
Si alzò dal divano e si diresse verso l’uscita.
Ma la partita è ancora aperta.
- Sai che se Belle French è morta tu non metterai più piede sulla Jolly Roger, vero? – gli fece presente appena prima di lasciare la casa.
Killian si fermò.
- Lo so, Milady. Lo so.
Aveva detto addio al suo grande amore per colei che sapeva essere il suo lieto fine.
Eppure non si pentiva della scelta.
 
 
 

 “Oh, what are we doing?
We are turning into dust
playing house in the ruins of us.

 
 
 
- Ci sei quasi riuscito, – riconobbe la giovane, concedendogli finalmente tregua – Forse tra un anno o due riuscirai a leggere un paragrafo in appena un’ora.
- Sempre più acida, eh?
- Perspicace… Ne sono lieta. Alle volte non sono del tutto sicura tu non sia un po’ imbecille, – smentì le parole con una linguaccia e un’allegra risata che le costò una punizione quanto mai gradita: un bacio.
Se a Daniel Regina piaceva tanto era anche per questo: per il modo in cui rispondeva alle sue provocazioni, o era lei stessa ad accenderle con stoccate taglienti che non risparmiavano niente e nessuno. Era senza dubbio l’influenza della madre, spauracchio della servitù intera; ma ciò che rendeva la Contessa un cerbero, in Regina si mitigava e fondeva con una sorta di sensibilità innata, creando un insieme unico e speciale.
L’insieme che l’aveva colpito già quando l’aveva conosciuta, quando era ancora un uccellino spiumato che gli anni avevano lentamente, quasi inconsapevolmente trasformato in un punto fermo per lui. Già anni prima aveva dato prova di un caratterino grintoso che il tempo non aveva fatto altro che rimarcare; riavendola accanto si era reso conto che, al di là delle blandizie e del rigore che la buona educazione le imponeva, Regina aveva un’ostinazione che sarebbe stato troppo facile giustificare con l’età, che sarebbe rimasta e che, insieme alla forza di cui ancora non aveva piena coscienza, già la rendeva donna.
Daniel sapeva fin troppo bene che se avesse avuto un po’ di buon senso non avrebbe osato tanto: la nobile figlia della padrona, una magnifica Rosa d’Inghilterra destinata a un futuro dorato… e lui. Un ragazzotto senz’arte né parte, a malapena capace di leggere e scrivere, più abituato a trattare con le bestie che con gli umani e che aveva già raggiunto la massima posizione cui avrebbe potuto ambire nella vita.
Già la semplice idea era ridicola, assurda e peggio: pericolosa. Se si fosse scoperto sarebbe finito in guai inimmaginabili di cui il licenziamento in tronco e la piazza pulita attorno a lui sarebbero state solo minima parte.
Eppure Daniel non demordeva. Non sapeva se il suo agire fosse da ricondurre all’immaturità – era uomo da troppo poco tempo per aver perso l’intraprendenza dei ragazzi – o a una forma di coraggio e di masochismo estremo; però accanto a lui Regina rifioriva, e questo era tutto ciò che contava.
Nelle settimane trascorse dal bacio che lei gli aveva scoccato – quando tutto sembrava perduto, quando lo stalliere era arrivato a maledirsi per averle confessato i suoi sentimenti – l’aveva lentamente vista dismettere i panni della ragazzetta impaurita e dimostrare una maggiore energia nell’interagire col prossimo: gli aveva raccontato di come nelle liti con lady Mills avesse finalmente iniziato a rispondere non più col solo scopo di indispettire, e del pomeriggio in cui era andata da Mr Gold a dispetto dell’opinione materna; gesti che, Daniel aveva la presunzione di credere, prima di lui Regina avrebbe compiuto a fatica.
E la felicità della fanciulla che per lui era il mondo valeva bene i pericoli che correva; valeva bene gli incontri rubati, le ore che restavano sempre a metà e i saluti improvvisi e sempre troppo affrettati. Valeva bene star seduti su una biada a leggere il trattato che Miss Mordane le aveva assegnato e allietare a suo modo un’attività tanto noiosa.
Daniel sapeva che in realtà i libri non erano il passatempo prediletto dalla Contessina: la giovane amava troppo la vita attiva per trascorrere di sua sponte ore e ore a sfogliar pagine, ed era troppo realista per concedersi il lusso di perdersi in mondi impossibili. Però sapeva anche che le piaceva studiare, sebbene vivesse il collegio più come una sfida con se stessa che come un’autentica opportunità. Era così convinta di non essere abbastanza da considerare i risultati scolastici come l’unica occasione per smentire l’idea che altri – non era difficile immaginare chi – le avevano inculcato.
Daniel sperava solo che, maturando ancora, Regina  riuscisse a far qualcosa semplicemente per sé.
Perché voleva, non perché doveva farla.
- Sei bella, – il ragazzo le sussurrò all’improvviso.
- Come scusa?
- Hai sentito benissimo. Sei bella.
- E perché me lo dici così?
- Perché non dirtelo così?
- Adulatore, – l’altra sbuffò facendo svolazzare una ciocca scura – Ma ti maltratterò più spesso, se questo è il risultato.
- Non ti sto adulando, – l’uomo si mostrò esageratamente rassegnato e l’attirò a sé – Sono sincero. E tu devi fissartelo bene nella testolina tutta matta che ti ritrovi.
Le arruffò i capelli mentre lei cercava invano di svincolarsi ghignando divertita; ma ben presto tornò seria.
- Dici davvero, Daniel?
- Certo che lo dice davvero, mia cara.
Una frase bastò a far gelare il sangue nelle vene dei due ragazzi.
No, no, no.
Non è possibile.
Si voltarono appena: una ancor più gelida del solito Cora Mills avanzava verso di loro.
- Per convincere un’illusa, Regina cara, ci vuole così poco.
 
 
 

But we’re running
through the fire
when there’s nothing left to say.

 
 
 
Helena significava “sole”.
Quando l’aveva scoperto, Robert Gold non aveva trattenuto un sorriso: Belle non avrebbe potuto scegliere nome più congeniale al frutto del loro amore.
Si era più volte ripromesso di cercarne il significato, ma tra gli affari, la preparazione alla partenza, il pensiero della cena e Belle – Belle che era in fondo a ogni suo gesto, l’ago della bussola senza il quale era stato perduto – l’intenzione gli era sfuggita di mente. Brutto da dirsi, ma tristemente vero.
Se n’era ricordato dagli ospiti: era passato a salutare la padrona di casa, che stava intrattenendo alcune dame nel salottino, e le aveva colte nel bel mezzo di chiacchiere su una baronessa francese di nome Hélène. Non ci aveva pensato più di tanto: si era fermato con loro il tempo necessario per introdurre l’argomento del significato dei nomi, e presto aveva ottenuto la risposta che cercava.
Nessuna aveva prestato attenzione all’interesse con cui Gold aveva condotto la conversazione a proprio vantaggio; nessuna, eccetto la moglie del suo ospite. Ma del resto, cos’altro aspettarsi da Ella Feinberg 4, una delle donne più affascinanti e intuitive avesse mai incontrato?
La conosceva da un decennio abbondante, oramai, da quando aveva sposato Lars Feinberg – o meglio la fortuna che l’uomo aveva fatto fortuna con mezzi non sempre del tutto leciti. La famiglia di Ella era nobile, ma decaduta, e trovandosi sulle soglie del tracollo all’ultima discendente si erano presentate due possibilità: salutare per sempre la vita di pellicce, parure di diamanti e cani di razza cui era abituata o farsi mettere l’anello al dito da qualche buon partito.
Ella, da donna saggia qual era, aveva scelto la seconda opzione.
- Vi siete trovato un’amichetta, Mr Gold? – la donna l’aveva presto canzonato col sarcasmo amaro che la contraddistingueva e che, a suo modo, gliela rendeva gradita.
- Simili illazioni non si confanno a una signora, Dearie, dovreste saperlo.
La nobile gli aveva rivolto un sorrisetto.
- Povera Hélène, chiunque sia.
L’industriale l’aveva ignorata. Se anche avesse dovuto mettersi contro tutti, per sua figlia ne sarebbe valsa la pena. Ingannare una, due, mille altre volte il prossimo per batterlo si poteva fare, certo; deludere Helena no, mai.
Così come un tempo non avrebbe mai voluto deludere Neal.
Era strano: gli mancava il coraggio per permettere al mondo di avvicinarsi a lui, ma quando si trattava dei suoi figli la situazione si ribaltava. Voleva essere diverso. Essere un altro. Essere migliore – il miglior padre che si potesse avere, l’opposto di quello che il Fato aveva assegnato a lui. Perché, per il solo fatto di esser tali, i suoi figli meritavano il meglio.
A Neal non aveva potuto darlo, ma Helena l’avrebbe avuto. Avrebbe offerto tutta la bellezza del mondo a lei e a sua madre. Per loro due avrebbe fatto a pezzi il mondo intero, se se ne fosse presentata la necessità. Le avrebbe riavute con sé: le avrebbe portate via dalla stanza dal camino mezzo otturato in cui viveva tutto ciò cui non sarebbe mai riuscito a sfuggire, la sua colpa, e le avrebbe incoronate regine della sua villa, della sua vita troppo grande e vuota.
Non avrebbero più chinato il capo davanti a nessuno: sono gli altri, sono i sudditi a doversi inchinare dinanzi ai sovrani.
Sarebbe stato lui a inginocchiarsi al loro cospetto, a deporre se stesso e i suoi errori ai loro piedi.
Durante quei giorni trattava e pensava a Belle ed Helena, pensava a Belle ed Helena e trattava; e durante la cena stava facendo lo stesso. Ogni altra attività gli era preclusa: appariva attento e gelidamente cortese come di consueto – Cora aveva pur sempre il merito di essere stata un’ottima insegnante –, ma la sua mente era altrove. Loro lo pensavano? Che idea si era fatta Helena del suo papà? Giocava col pupazzo, le era piaciuto veramente o l’aveva detto solo per non deluderlo? E Belle…
Belle ripensava al bacio, lo sapeva. Poteva quasi vederla, come se l’avesse sotto gli occhi in ogni istante: si dava da fare e si presentava allegra, laboriosa e gentile come al solito, ma c’erano momenti in cui, attorcigliandosi una ciocca attorno a un dito, si bloccava e tornava con la mente alla loro sera, a ciò che era successo e alla risposta che gli aveva dato.
Non era presunzione la sua, ma realtà. Per quanto fossero cambiati, alcune cose restavano immutate nel tempo; e Belle non era persona da dar poco peso ai gesti che compiva.
- Mr Gold ne sarà lieto, nevvero?
Sentendosi citare, tornò alla realtà. Maledizione, l’implacabile mago dei tessuti sorpreso in un momento di distrazione sarebbe passato agli annali, poco ma sicuro.
E destato sospetti.
(Non che di questo importasse più da tanto, a essere sincero. Li aveva in pugno, e non avrebbe esitato a stringere.)
- Mr Gold? Qualche fanciulla dal nome solare vi distrae più del lecito? – Ella non gli concesse tregua – Stavano rivangando le vostre avventure a New York. Pare siate stato avvistato in più di un’occasione in compagnia di mia cugina, Rebecca Zelenyy.
Una statua di marmo sarebbe stata più vitale di Robert Gold.
- La ricordo, – la voce parve risalire dall’Oltretomba, un mormorio cupo che non riuscì a mascherare in alcun modo – Una donna molto… Particolare. Mentirei affermando di conoscerla bene: l’avrò incontrata non più di due o tre volte. Non sapevo fosse vostra cugina, lady Feinberg.
E se l’avessi saputo sarebbe stata una ragione in più per non finirci a letto.
- Mia cugina da parte di madre, sì. Io stessa ero all’oscuro della sua esistenza fino a pochi anni fa. Non starò a ripetervi il mistero che avvolge le sue origini... Sono certo lo conosciate a menadito, – incassò l’insinuazione senza dar prova di coglierla – Sarà qui tra pochissimi giorni. Ha vissuto un brutto periodo, e così ha deciso di cambiare ambiente per un po’. Ho accettato di accoglierla: sono certa che la campagna le farà bene. Sarete contento di poterla salutare, presumo…
Robert Gold bevve un lungo sorso di vino prima di rispondere.
- Certamente. Molto, molto contento.
 
Entro l’indomani avrebbe concluso l’affare.
E sarebbe scappato.
 
 
 

You can’t play on broken strings,
you can’t feel anything
that your heart doesn’t want to feel,
I can’t tell you something that ain’t real.
“Broken strings” - James Morrison ft. Nelly Furtado
 

 
 
1 Newgate è la più antica prigione di Londra – http://en.wikipedia.org/wiki/Newgate_Prison;
2My thoughts are stars I cannot fathom into constellations“Colpa delle stelle” di John “il sadico” Green;
3 I conti di Grantham sono i protagonisti della serie britannica “Downton Abbey”. Se non la conoscete, ve la consiglio: è curatissima, ha un cast stellare ed è molto, molto coinvolgente! ;)
4 Ella è Cruella, naturalmente. Chiamarla così però suonava strano… XD Feinberg è il cognome con cui Rumpel le si rivolge nella 4x12.
 
 
 
N.d.A.: Salve salvino, arcobaleni! ♥
Ecco a voi un nuovo capitolo ricco di eventi: cosa ne pensate? Critiche, osservazioni, consigli? Lo so, non ci sono direttamente i RumBelle e questo è male, ma vi assicuro che nelle prossime settimane sconteremo l’assenza… E con gli interessi. ;) Leggerete – se vorrete, ovviamente!
Sapete che temo sempre l’OOC per tutti, perciò vi prego di segnalarlo, ma nello specifico stavolta lo temo più che mai per Killian. Più o meno sapete che questo personaggio non mi dispiace, ma non apprezzo le “santificazioni retroattive” che pure ho visto: nella serie Hook milita tra i cosiddetti “eroi” ed è migliorato per amore, ma era pur sempre un pirata e secondo me non ce ne si può dimenticare. :) In questa storia cerco di unire il “prima” e il “dopo”, i due aspetti della sua personalità, e proprio per questo nella seconda parte del capitolo ho voluto renderlo combattuto, tentato dalla proposta di Cora e al contempo esitante a causa di Emma –a tal proposito, ho ripreso alcune riflessioni dalla 4x15. Insomma, inutile girarci attorno: temo di essermi contraddetta e di aver combinato un macello, perciò vi prego di darmi il vostro parere anche critico – non mi offendo, anzi, mi aiuterebbe! :)
Non potevo non inserire Cruella, sebbene la sua sia fondamentalmente una comparsata – o almeno credo. Nel migliore stile dello show, ho inventato un’assurda parentela tra lei e la Zelenyy… Spero me la concediate senza bersagliarmi di ortaggi marci! XD
Come s’intuisce, guai all’orizzonte per gli StableQueen: come reagiranno Cora e la coppietta? E soprattutto, qual è ora lo stato dei RumBelle? Per questa e per molte altre belle cose, appuntamento a sabato 18 aprile!
Grazie di vero cuore a chi legge questa fanfiction, a chi la recensisce e/o l’aggiunge alle varie categorie e a chi mi segue sulla pagina Facebook “Euridice’s world”: come farei senza di voi, adorabili creaturine? ♥_♥ E a tutt*, auguri per una Pasqua serena e cioccolatosa e una Pasquetta in allegria! :) :*
Baci baci! ♥
Euridice100
   
 
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