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Autore: imunfjxable    06/04/2015    1 recensioni
Il tatuaggio vero e proprio racconta una storia. Mi piacciono le storie e i tatuaggi, non importa quanto ben fatti, se non raccontano una storia che ti coinvolge emotivamente, e sono lì solo per decorazione, allora non sono un vero tatuaggio.
E se Justin Bieber avesse così tanti tatuaggi solo perché è follemente innamorato della sua tatuatrice?
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3.Third tattoo

 


Pizzicavo le corde della chitarra mentre annotavo gli accordi su un foglio. Era da un po' che non componevo, e ne avevo voglia.
Mi guardai allo specchio e osservai attentamente i miei tatuaggi, sorridendo.
Presi il giubbino e corsi verso il negozio di Joy, ne avrei fatto un altro. Forse ne stavo facendo un po' troppi di seguito, ma sapevo perfettamente che i tatuaggi li facevo più per entrare nel suo negozio che per me. Ma se lei avesse saputo una cosa del genere mi avrebbe ucciso. Chi sa se aveva tatuaggi sulle gambe, indossava sempre pantaloni lunghi. Ah quelle gambe, chi sa che gambe che nasconde li sotto. Ha un corpo bellissimo, francamente me la sbatterei al momento.
Arrivai davanti al negozio e dopo un primo secondo d'esitazione entrai.
Non c'era nessuno, poi sentii delle voci provenire dallo studio.
"Hey Justin. Finisco con Ashley e arrivo" disse salutandomi dalla porta dello studio. Portava i capelli legati a chignon, e la frangetta le ricadeva dolcemente sul viso, incorniciandole quegli adorabili occhioni nocciola.
La salutai semplicemente con la mano. Ashely, chi sa magari è un'amica.
Pochi secondi dopo Joy uscì in tutta la sua bellezza mentre un ragazzo le stringeva la vita. Era alto, magro, capelli neri scomposti, viso pallido e occhi azzurri. Aveva le labbra rosse e si vedevano tantissimi tatuaggi dalla canottiera che portava. Che stupido che ero, avevo dimenticato che Ashley fosse un nome anche da uomo. Li seguii con lo sguardo, fino alla cassa dove lui la pagò e le lasciò un pacchetto di sigarette assieme alle banconote. Le diede un bacio sulla guancia e andò via, mentre lei sorrideva.
Aprì il pacchetto di sigarette e mi avvicinai a lei, non troppo, ma abbastanza per vedere che nel pacchetto c'era anche un foglietto. Lo lesse e rise, scuotendo il capo. Avrei dato oro per leggere che stava scritto li sopra che l'aveva resa così felice.
"Allora Justin che vuoi farti?" chiese risvegliandomi dal mio stato di osservazione.
Mi sentivo così impotente. Per un secondo avevo creduto che davvero potesse esserci qualcosa, ma andiamo. Joy era troppo per me.
"Non lo so, io non...non voglio farlo più. Ci ho ripensato"
"Justin sei sicuro che vada tutto bene? È da ieri che sei così abbattuto"
"Facciamo solo un tatuaggio e basta"
"Cazzo intendi con facciamo un tatuaggio e basta eh?"
La guardai ed ebbi paura. Aveva il pugno chiuso, e la sua voce era altissima, lasciava intravedere dagli occhi un'ombra di rabbia e tristezza assieme.
"Mi sembra di essere stata chiara il primo giorno che sei entrato qui. Io non tatuo per soldi, non ti scarabocchio addosso solo perché non c'hai un cazzo da fare, chiaro?" Battè il pugno sul bancone.
"Chi era?" chiesi.
"Che importanza ha ora?" sbottò arrabbiata. Non risposi e mi avvicinai a lei lentamente, temendo una sua reazione.
"Volevo farmi un altro tatuaggio dietro al collo, solo una chiave di violino, precisamente dietro l'orecchio. Perché se sono ancora qui è per la musica, perché se sono sopravvissuto è per la musica, perché se sono chi sono ora è per la musica" dissi tutto d'un colpo.
"Ti prego" continuai.
"Avviati dentro io ho bisogno di fumare due minuti" rispose evidentemente ancora arrabbiata. Annuii e mi sedetti nello studio, mentre la seguii con la coda dell'occhio che usciva dalla porta. Osservai le foto attaccate alla parete.
Non ci credevo, non poteva essere lei. Ma quanto erano vecchi queste foto? Ritraevano una ragazza con i capelli lunghissimi e mori, che era felice. Nelle foto c'era il tiIo di prima in pose dovertenti, come Joy. Accanto c'era un'altra foto con loro e un'altra coppia di ragazzi, sempre felici.
"Che stai guardando?"
Mi girai di scatto balbettando nel tentativo vano di trovare una risposta valida. Si avvicinò e prese il quadernino mostrandomi le chiavi di violino. Come al solito fece lo stencil velocemente e caricò l'ago.
Rimasi impassibile questa volta, ero troppo pensieroso per concentrarmi sul dolore fisico.
"Chi era quel ragazzo?" chiesi gentilmente. Volevo riprovare a parlarle, poi se non mi avrebbe risposto avrei cambiato argomento.
"Tranquillo non è il mio fidanzato, è gay. È un vecchio amico."
Gay? Urlai compiaciuto dentro di me, e involontariamente sorrisi.
"Ma volevo sapere chi era..." dissi ma mi fermai quando lei mi mandò un'occhiata sarcastica.
"Joy ma i tuoi tatuaggi ce l'hanno un significato?"
"Certo" rispose mentre puliva con la spugnetta l'inchiostro in eccesso.
"Posso saperlo di tutti quanti?"
"Te ne dico uno. Uno ogni volta che verrai. Okay?" Disse sorridendo.
Come posso dirti di no se mi guardi così?
Annuii. Posò l'ago e dopo avermi dato uno specchio per potermi far guardare il tatuaggio, si tolse la maglia, restando solo con il reggiseno nero.
Joy cosa fai? Già sei eccitante normalmente, non puoi toglierti la maglia di punto in bianco.
"Scegline uno" disse "e te ne parlo"
Avrei voluto guardarla per sempre, era così bella. Le sfiorai la pelle diafana e fredda, poco sotto l'ombelico, dove era posizionato un piccolo disegno tribale con quattro spirali.
"È un disegno tribale che rappresenta la forza interiore, quello che mi mancava quando lo feci. Riassumendo brevemente quello è stato il periodo più brutto della mia vita, non volevo uscire di casa, né mangiare o fare qualsiasi altra cosa. Avevo bisogno di forza per andare avanti. Tutto quello che volevo fare era dormire per cento anni di seguito."
"Quale è la differenza tra voler dormire per cento anni di seguito e voler morire?" chiesi provocandola.
"Non c'è"
Mi alzai a le porsi la maglietta, visto che non l'aveva ancora messa.
La indossò e l'abbracciai. Strinsi il suo corpo esile tra le mie braccia e lei si lasciò andare. Rimanemmo in quella posizione per una manciata di minuti, che a me sembrarono troppo pochi. Il suo odore di fumo mi faceva impazzire, per non parlare del suo profumo alla vaniglia che creava un contrasto perfetto.
"Io continuo a non sapere nulla di te, cara popstar. Voglio sentirti cantare"
"Se vieni con me ti faccio sentire una cosa. Però non devi dirlo a nessuno" le risposi.
Chiuse il negozio e indossò come ieri il giubbino. Le presi la mano, titubante, e lei la strinse. Arrivammo in pochi minuti al centro di New York e la condussi in uno dei grattacieli più alti, dove si trovava il mio studio di registrazione.
Entrammo nell'ascensore e arrivammo nel mio studio.
"Pronta?" Dissi.
Annuì e io alzai il pollice, sorridendo.

   
 
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