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Autore: Deliquium    06/04/2015    4 recensioni
Una manciata di storie. Fugaci occhiate alle vite di alcuni Specters. Tra presente e passato. L'addio all'umanità. I ricordi. Le cose che non faresti mai. E un solo Dio.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Garuda Aiacos, Harpy Valentine, Wyvern Rhadamanthys
Note: AU, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Sincretismo'
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Save Our Souls


[ Colui che porta la morte ]


Meinblut
... sangue del mio sangue...

Eccolo, mio figlio.
Gli occhi troppo grandi in quel viso affilato. Le braccia sottili come rami rinsecchiti. È magrolino il mio Meinblut. Parla poco e preferisce disegnare.
Se ne sta sdraiato a terra per ore e ore, le spalle irrigidite nello sforzo di tenere su la testa. Le gambette che ondeggiano, seguendo un ritmo tutto loro.
Meinblut, gli dico, non ti stanchi a stare tutto quel tempo per terra?
Lui mi guarda per un istante.
Aspetto che mi dica qualcosa.
Ho paura a specchiarmi nei suoi occhi. So che vedrei me stessa come non mi sono mai vista.
Meinblut distoglie lo sguardo in fretta e torna a concentrarsi sul suo disegno.
Mi inginocchio accanto a lui.
La maggior parte dei pastelli è intatta. So che presto questa scatola finirà in cantina con le altre. Una  montagna di gialli, verdi, rosa e azzurri. A Meinblut non piacciono questi colori. A Meinblut piacciono il rosso e il nero, il marrone e il bianco.
Perché il bianco? Gli ho chiesto una volta.
Per le ossa, mi ha risposto.
Una delle poche volte che mi ha parlato.
Sono stata felice. Eccome, se sono stata felice. Ho dimenticato in quel momento e l'ho preso tra le mie braccia. Solo una volta, mi sono detta. Questa volta non lo lascerò andare. Le sue unghie mi hanno graffiato e il suo grido mi ha scaraventata lontano.

Meinblut
... sangue del mio sangue ...

Lo so che il mondo là fuori è cattivo. Siamo qui. Io e te. Protetti dalle mura della nostra casa. Ho installato un nuovo sistema d'allarme. Se verranno, li sentiremo.
Non devi avere paura. Di paura ne ho avuta io e tanta quando sei nato. Credevo di spaccarmi. Credevo che ti saresti portato con te anche una parte di me e, a essere sincera, quando mi sveglio la mattina e vedo la mia immagine allo specchio, so di avere ragione. Che tu ti sei nutrito di me. Ti sei preso i miei capelli biondi e la luce dei miei occhi. Ti sei preso i miei denti forti e lo splendore della pelle.
E lo so, Meinblut, che anche ora hai bisogno di me. Ti ho plasmato io, pezzo dopo pezzo. Attingendo alle mie ossa, al mio sangue e alla mia carne.
Tu credi di essere pronto. Non vuoi che ti abbracci. Non vuoi parlarmi, ma tu non sai che là fuori ci sono persone malvage, che vogliono farti del male.
Lo sai cosa fanno ai bambini come te, Meinblut? Li attirano con caramelle e parole gentili. Poi li portano in un vecchio capanno e fanno loro cose brutte. Molto brutte. Io lo so, Meinblut. Tu potresti pensare che siano buoni e gentili, ma non lo sono.
Lo vedi il vecchio Franz della casa accanto? Guarda sempre da questa parte quando attraversa il viale. Lui crede che io non lo veda, ma lo vedo benissimo.
Se crede che ti lascerò uscire, si sbaglia di grosso.
Noi non abbiamo bisogno di uscire, Meinblut, vero? Abbiamo il mondo qui dentro. Io ho te, tu hai me. Cos'altro serve?

Mi avvicino a te.
Tu sei a terra, come sempre.
Allungo il collo per sbirciare il tuo ultimo disegno.
Una farfalla, dico.
Ha le ali nere e il corpo è un po' sproporzionato.
No, mi dici.
Non è una farfalla, Meinblut?
No, ripeti, ma non aggiungi altro.
Eppure a me sembra una farfalla.

La prima volta che capii che tu non eri un bambino come gli altri avevi tre anni. Urlavi e piangevi. Io ero corsa su per le scale, il cuore che minacciava di esplodermi in petto.
Sentii un rumore assordante fuori dalla tua stanza e spalancai la porta.
Tu eri lì in piedi sul letto e gridavi. Tutto il mondo attorno a te sembrava impazzito. I tuoi giocattoli, i libri, i vestiti, le scarpe vorticavano attorno a te come se nella stanza ci fosse un uragano.
Io gridai.
Tu ti zittisti in un baleno e mi guardasti. Tutto il mondo venne giù e io con esso.
Non ti dissi nulla, ma ebbi la conferma che tu non eri un bambino come gli altri.
Dovevo proteggerti. Chiudere fuori il mondo e salvarti.
Cosa ti avrebbero fatto, se lo avessero scoperto?
Ti avrebbero messo in un posto segreto e ti avrebbero aperto la testa per guardarci dentro, ti avrebbero bucato con gli aghi così tante volte che alla fine non avresti più avuto un pezzetto di pelle intatto e poi ti avrebbero tagliato un dito o una mano o l'intero braccio per vedere se fosse poi ricresciuto. Ti avrebbero portato via da me.

Ho legato il grembiule dietro la schiena e ho messo sul tavolo l'insalata lavata, le zucchine e le carote pelate.
Lo so che sei tu a rovinare le mie piante. Vedo i petali sparsi sul davanzale e niente polline. Lo mangi tutto. Credo ti faccia male, ma non posso impedirtelo. Ci ho provato a non tenere piante, ma tu scappi. E allora è meglio che ti riempi la bocca di polline. Meglio questo piuttosto che qualcuno ti porti via o che una macchina ti investa o che tu perda la strada, finendo chissà dove, o che tu cada e ti spacchi la testa.
È da un po' che non ti vedo. So che non puoi essere in nessun altro posto che non sia la nostra casa. La porta è chiusa a chiave e ci sono le sbarre alla finestra. Sei al sicuro, Meinblut. Quindi affetto le carote. La finestra è aperta. Tra le sbarre vedo il vialetto deserto. Un pezzo di cielo azzurro si insinua tra i tetti delle villette di fronte.
Qualcosa attira il mio sguardo.
Mi sfugge un urlo e arretro, alzando il coltello.
Mio dio, mi lascio sfuggire a bassa voce.
Strizzo gli occhi, per mettere a fuoco le immagini bagnate dal sole.
Quella cosa è enorme.
Non oso muovermi. È la falena più grande che abbia mai visto. Le ali scure ripiegate. Sul dorso una macchia più chiara mi fa venire in mente un teschio.
Sei venuta a prendere il mio Meinblut? Le chiedo ad alta voce.
Ecco perché sei andato via. Lo sapevi che sarebbe venuta.
Metto le mani sui fianchi, senza lasciare andare il manico del coltello.
Lei si gira. Mi guarda. Mi sta guardando. Apre le ali e di colpo un grido, acuto e terribile. Un chiodo  piantato in testa.
Non me ne rendo conto. Forse il movimento brusco.
Il dolore è solo una sensazione secondaria.
È l'umido che mi colpisce e il rumore che fa il mio sangue.
Meinblut, penso.
La vista mi si appanna. La falena si è alzata in volo.
Allungo una mano.
Vorrei prenderla. Schiacciarla tra le dita. Farne una poltiglia.
Scopro i denti in un ringhio mentre cado verso il tavolo. Il tonfo e poi il pavimento.
Il soffitto sopra di me si scurisce.
Il soffitto sopra d



Note dell'Autrice - Non so voi, ma a me, Carry ... no, volevo dire ... Myu di Papillon inquieta (non il mio, quello di Kurumada). Comunque, Meinblut non dovrebbe esistere come nome proprio e non so nemmeno se esista, in quanto parola composta. Il Wörterbuch che ho visionato non me la dà. Comunque è una parola formata da Mein (mio) e Blut (sangue). Dal momento che ci sono diversi nomi propri composti da due parole, di cui la prima è appunto Mein, mi sono detta... che poteva andare bene creare un nome parlante di questo tipo.
L'Acherontia atropos è un lepidottero grosso almeno 7 cm, chiamato così appunto per una macchia più chiara sul dorso che richiama appunto un teschio. Per intenderci, è quella della locandina del Silenzio degli Innocenti. Il suo nome etimologicamene richiama Atropo, una delle tre Moire. Che altro? Ah, il grido... pare che emetta un verso che ricorda un urlo. Io non ho mai avuto il piacere di vederne una, per fortuna... altrimenti credo che avrei battuto il record dei 500 metri. Di solito, anzi, direi sempre, viene fuori al crepuscolo... non di giorno con un bel sole lucente... ed è presagio di morte. Nelle campagne francesi credevano che di notte andasse a mordere i bambini, uccidendoli.

   
 
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