"Quando la verità viene sepolta cresce, soffoca, accumula una tale forza esplosiva
che, il giorno che scoppia, fa saltare ogni cosa con sé"
Émile Zola
Si era scostato da lei con attenzione, cercando di non pesare troppo sul materasso per non farle percepire neanche il suo più piccolo movimento. Messe le pantofole, si era passato una mano sul viso e l’altra tra i capelli scompigliandoli leggermente, ci avrebbe pensato più tardi Kate a sistemarglieli in quel gesto che faceva ormai parte della loro routine. Ogni mattina si svegliavano e puntualmente lei, dopo essersi scambiati il loro buongiorno, ridacchiava divertita iniziando a passargli le dita tra quei ciuffi scombinati.
Arrivato in cucina aprì il rubinetto facendo scorrere l’acqua fresca, riempiendo poi il bicchiere fino all’orlo. L’arsura l’aveva colto già nel mezzo della notte, quell’unica volta in cui si era dimenticato di tenere qualcosa da bere a portata di mano sul comodino. Era ancora troppo assonnato per alzarsi, così si era semplicemente girato avvolgendo Kate in un abbraccio e si era rimesso a dormire.
Bevve avidamente; svuotò il bicchiere in pochi secondi abbandonandolo poi sul bancone della cucina, lasciando che scivolasse sulla superficie in marmo.
Il suo studio lo accolse quando ormai il sole aveva già cominciato a scaldare le strade di New York. Si sedette sulla sedia, accese il portatile picchiettando con le dita sulla scrivania aspettando che il sistema si avviasse. Scarabocchiò un paio di frasi su di un foglio, appuntandosele per il prossimo capitolo del romanzo a cui stava lavorando ma, come sempre più spesso accadeva, se non le avesse trascritte al più presto, certamente quel post-it sarebbe scomparso e le sue idee con lui. Finalmente sul desktop apparve lui, sorridente tra le donne della sua vita, e pian piano le miriadi di cartelle comparvero coprendo lentamente i loro volti, tutti tranne quello di Kate. Fissando il suo sorriso, il modo in cui gli stringeva la mano, la sua testa poggiata sulla sua spalla, qualcosa scattò in lui, un pensiero che aveva cominciato a tormentarlo da qualche giorno ma che si era ripromesso di non lasciar mai libero. Il silenzio, la luce mattutina, il volto di Kate, furono sufficienti per infrangere quel patto con se stesso. Si lasciò andare contro lo schienale della sedia incrociando le braccia dietro la nuca e chiuse gli occhi, cercando di trovare una spiegazione a quelle domande che gli ronzavano in testa. Fu così che lo trovò Kate, pensieroso a girare come un bambino dandosi leggere spinte con la punta dei piedi.
“Spero che tu non abbia già preso il caffè”, mormorò rivelando la sua presenza.
Rick si fermò di colpo aprendo gli occhi. Si sforzò di sorriderle vedendola avanzare verso di lui con le tazze fumanti in mano. Si era già cambiata, infilando un paio di jeans e una maglietta in cotone bianco, mentre lui ancora indossava il pigiama. Andò a sedergli in braccio lasciando le tazze vicino alla targa Captain Castle, oggetto di cui andava molto fiero. “Qualcosa non va? Se il caffè lo hai già preso non fa nulla. Non devi berlo per forza”, scherzò, cominciando poi a sistemargli i capelli.
“No, non è questo. Anzi, un caffè mi ci vuole proprio.” Ignorando l’avvertimento della ceramica ancora bollente, avvicinò il bordo alle labbra ed immediatamente, con il primo sorso, si scottò l’interno della bocca. Gemette appena, mentre Kate cercò di trattenersi dal ridere, per l’ingenuità del marito, arricciando la bocca. Si morse il labbro mentre lo guardava lamentarsi in silenzio, con smorfie strane e curiose, e poi lo baciò con dolcezza. “Va meglio?”, non rispose, limitandosi a guardarla negli occhi. Dio, l’amava così tanto ed erano così felici in quel preciso momento che si domandò se fosse giusto rischiare di rovinare quell’attimo e, perché no, l’intera giornata con i suoi dubbi.
Avevano promesso di essere sinceri l’uno con l’altra, che si sarebbero fidati ricordando cosa, il non farlo, aveva comportato in passato, certe abitudini però erano dure a morire, ma lui non voleva sentirsi responsabile per non averci nemmeno provato.
“Rick, che cosa c’è?”, le portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio carezzandole il viso. Avrebbe voluto baciarla, come aveva fatto lei poco prima, ma sarebbe stato tremendamente ipocrita probabilmente dato quello di cui stavano per parlare. Non era sua intenzione arrivare ad un litigio, sicuramente non lo avrebbe voluto neanche Kate, ma si sa come vanno a finire certe cose, si inizia con una minuscola ed apparentemente insignificante questione e, da lì, una marea di cose che si credevano risolte vengono a galla, mostrando quanto invece ci sia ancora da sistemare.
“Stavo solo pensando ad una cosa...”, lasciò la frase a metà, sospesa come la spada di Damocle sulla testa di Beckett.
“Quando mi sono svegliata il tuo lato era piuttosto freddo... Direi che a questa cosa ci hai più che solo pensato”.
Bizzarro come in ogni occasione importante, prima di parlare, si faccia un respiro profondo. Per un attimo si fermò a pensare a quale fosse il significato di quella sorta di rituale... prendere tempo? Riordinare le idee? Confezionare una bugia plausibile?
Rick non aveva il tempo per fare nessuna di quelle cose, la voce di Kate che lo richiamava riecheggiava attorno a lui impedendogli anche solo di concentrarsi.
“Stavo ripensando al tuo esame per diventare Capitano, io-”, ma Kate lo interruppe prima che potesse proseguire. “Aspetta, credevo fossi d’accordo. Io p-pensavo che fosse un’opzione valida, che anche tu saresti stato felice della cosa.” Aveva raddrizzato la schiena, interrompendo bruscamente quel suo giochicchiare con i capelli corti alla base della nuca di Rick.
“Lo sai come la penso. Sono d’accordo con qualsiasi scelta tu voglia fare. Non è più la tua vita, è la nostra adesso, ma è comunque la tua carriera, non mi opporrò mai alle tue scelte in questo ambito. Io voglio il meglio per te.”
“Allora cosa c’è?”
“Vorrei solo che tu me ne avessi parlato prima”, lo sguardo di Kate si allargò improvvisamente, le pupille dilatate, quasi a coprire totalmente l’iride verde prato.
Non ci aveva pensato, minimamente. Solo in quel momento si rese conto che probabilmente non era ancora entrata nella vera ottica della vita di coppia, della vita matrimoniale o comunque di cosa questa realmente significasse. “Mi dispiace, io non credevo fosse così importante. Si, insomma, non pensavo-”
“È questo il problema Kate!”, aveva urlato all’improvviso, come se non riuscisse a tenersi più dentro quelle parole. E con quel grido i suoi buoni propositi volarono via, foglie sospinte in un turbine dal vento. “Non pensi mai di parlarmi di ciò che ti passa per la testa. Io ci provo, adoro cercare di capirti con un solo sguardo. Amo la sfida, l’osservarti di nascosto, stupirti, arrivare ad avere gli stessi pensieri. Amo poter essere premuroso con te dopo averti sorpresa, poterti consolare senza che ci sia il bisogno che tu mi dica cosa ti affligga. Ma io non ho i super poteri Kate! Mi piacerebbe, ma non è così.” Kate lo fissò immobile, aveva spostato gli occhi freneticamente seguendo ogni movimento delle sue labbra. Non riusciva a dire nulla, non conosceva così bene questo lato di lui. Lo aveva visto arrabbiarsi, ricordava indistintamente almeno un paio di occasioni in cui, da quando avevano dato l’avvio alla loro storia, avevano discusso, ma erano momenti così rari che non aveva avuto il modo di abituarcisi. Non che volesse farlo, ma odiava trovarsi impreparata, specialmente quando non indossava la sua armatura di detective, perché adesso era davanti a lui, senza difese, totalmente vulnerabile. “Hai idea di quanto io abbia provato a capire cosa ti fosse successo il giorno del trasloco? A come poter rimediare a qualcosa che, presumibilmente avevo fatto, senza aver idea di che cosa si trattasse?”
“Il-il giorno del trasloco? Di cosa stai parlando?”
“Andiamo Kate, hai cambiato umore nel giro di cinque minuti. Stava andando tutto bene, inscatolavamo pentole, mettevamo via libri e poi tutt’un tratto ti sei come spenta. So bene quanto sia stato difficile per te lasciare quel posto, a quanti ricordi tu abbia dovuto dire addio, ma avresti potuto dirmelo tu, avrei voluto sentirtelo dire da te. Mi sarebbe persino piaciuto che, di fronte alla mia insistenza, tu mi avessi mandato al diavolo pregandomi di lasciarti elaborare la cosa per conto tuo almeno per un po’. Credi forse che non lo avrei capito?”.
Si era alzata umettandosi le labbra; Rick aveva sentito un leggero formicolio alle gambe, sostituito immediatamente da una sensazione di freddo dopo che il corpo di Kate gli aveva fatto come da coperta.
Kate era rimasta in silenzio a guardare fuori dalla finestra per qualche secondo poi, voltandosi nuovamente verso di lui, aveva incrociato le braccia appena sotto il seno. “Va bene, vogliamo parlare di cose non dette?”, era questo il suo modo di difendersi, l’unico che in quel momento avrebbe potuto usare, ricordargli le volte in cui anche lui aveva agito d’impulso, fargli capire che in quella relazione lei non era la sola a non dire le cose. Nacque così quel botta e risposta, una sorte di gara “al rinfaccio”.
“Sei stato mandato via dal distretto e nel giro di qualche settimana ti ho ritrovato sulla scena del crimine con una licenza da investigatore privato!”. Da quanto tempo se lo teneva dentro? Aveva finto che tutto andasse bene, come al solito, gli aveva persino regalato quel cappello alla Sherlock Holmes. Cosa di cui alla fine non si era pentita, ricordando quel gioco di ruolo tra le lenzuola che l’aveva eccitata più di quanto avrebbe mai immaginato.
“Innanzitutto, non credo che le due cose siano minimamente paragonabili. E in secondo luogo, volevo farti una sorpresa. Avevo trovato un modo per poter lavorare ancora con te. Certo, non era lo stesso che darti fastidio al distretto seduto accanto a te alla scrivania, ma pensavo ti avrebbe resa felice. Cercavo una soluzione per mantenere la nostra routine tale.” Rick aveva riabbassato i toni, cercando invano un modo per rimediare alla maniera in cui le aveva praticamente gettato addosso la sua frustrazione poco prima. Ma lei non sembrava intenzionata a riportare, quella che sarebbe potuta essere una chiacchierata chiarificatrice, a toni civili.
“E Marte? Ti sei iscritto ad un programma per andare su un altro pianeta, Castle! Vorrei farti notare che non è esattamente dietro l’angolo.”
“Sbaglio o lo hai fatto anche tu? Ho detto che mi dispiace, un sacco, e a dimostrarlo ci sono le mie ripetute scuse e l’averci iscritti ad un viaggio di coppia. Ok, detto così suona abbastanza patetico o-o strano, ma mi conosci e sai bene quanto questa cosa sia romantica, almeno dal mio punto di vista.”
“Rick sembra quasi che tu abbia una giustificazione per tutto!”.
Fu nel momento in cui lo disse, in cui lesse lo sgomento nello sguardo di Rick e in quel luccichio umido, che capì che ad aver parlato era la rabbia del momento. La prima a giustificarsi era sempre stata lei, lo sapeva bene, eppure era così difficile ammetterlo, era più facile dare la colpa agli altri e in quel caso gli altri erano lui. L’orgoglio che per anni l’aveva spinta a fingere di non provar nulla per quello che ora poteva chiamare suo marito, quello che non l’aveva mai fatta fermare davanti ad un caso che sembrava irrisolvibile, le impedì di fermarsi. Le parole continuarono ad uscire e come nella teoria del piano inclinato, dove la pallina che vi è posta sopra continua a rotolare, rotolare e rotolare sempre più velocemente, iniziarono a sfuggire al suo controllo. “Vediamo se riesci a trovare una giustificazione per Parigi, Rick”, e quel Rick aveva del tutto il suono di una sfida, lo stesso suono che aveva avuto quattro anni prima mentre litigavano furiosamente nel vecchio appartamento di Kate. Un suono che Castle non aveva mai dimenticato.
“Stai davvero mettendo in mezzo mia figlia, Kate?”.
Erano poche le cose a cui Rick teneva davvero, sua figlia, sua madre e Kate erano tra queste. Non riusciva a trattenersi quando qualcuno se le prendeva con loro, diventava l’uomo che la detective aveva visto in quella stanza durante le indagini per il rapimento di Alexis, l’uomo che per un attimo le aveva fatto paura. Lui amava Kate più della sua stessa vita, ma in questo caso non poteva schierarsi con lei. “Non ho avuto altra scelta. Eravamo ad un punto morto! Se non fossi andato...”
“Avremmo trovato una soluzione, un modo! Diamine Rick, saresti potuto morire laggiù, ho rischiato di non rivederti più e questo solo per la tua cocciutaggine! Se me lo avessi detto io-”.
“Tu cosa?! Saresti forse venuta con me? Mi avresti appoggiato? Se te lo avessi detto non sarei partito, mia figlia probabilmente sarebbe morta in quella gabbia.”
Mentre aveva preparato la borsa per raggiungere la capitale francese e aveva aspettato che l’aereo si alzasse in volo, aveva riflettuto a lungo su quello che stava per fare. Più di una volta era stato tentato di tornare indietro, più di una volta aveva tirato fuori il cellulare dalla tasca e aveva sfiorato il numero di Kate sullo schermo, ma alla fine non l’aveva mai chiamata. Quando l’idea di non partire si faceva largo nella sua testa, questa veniva immediatamente sovrastata dall’idea che se lui non avesse fatto nulla, la sua bambina avrebbe potuto non farcela e lui non si sarebbe mai perdonato per essere stato un codardo e non sarebbe riuscito a perdonare nemmeno Kate.
“Come puoi dire una cosa del genere? Credi così poco in me?”
“È del tuo senso di giustizia in cui in quel momento non riuscivo a credere e non volevo certo mettere a rischio te e il tuo lavoro per qualcosa di cui era mia responsabilità occuparmi”, aveva formulato in tono dolce quell’ultimo pensiero, tendendo poi il braccio verso di lei nel tentativo di afferrare le sue mani per poter far intrecciare le loro dita, ma con un movimento brusco Kate si allontanò lasciandolo appeso al niente. “Dio Kate”, mormorò con voce roca portandosi la testa fra le mani. “Io ti affiderei la mia vita!”
“Ma non quella di Alexis...”
“In quel momento no, in quel momento non riuscivo a ragionare con lucidità. Quando ho avuto paura che potesse accadermi qualcosa, la prima persona a cui ho pensato per potersi occupare di Alexis sei stata tu. Ci conoscevamo da un paio di anni ed ero pronto a consegnarla nelle tue mani. Lo so, in quel momento l’ho detto scherzando, con quel mio solito modo giocoso che non riesco mai a mettere da parte, però sapevi quanto io fossi sincero. Ma quando è scomparsa, quando sono rimasto notti intere a fissare le sue foto incorniciate... in quel caso era solo mia la responsabilità! Sono andato a Parigi per riprendermi mia figlia e non mi sentirò mai in colpa per questo, non potrai mai farmi sentire in colpa per quello, ma tu...”, aveva cercato di non parlarne, aveva fatto di tutto per trattenersi negli anni dal ritirare fuori questa storia, ma ora l’aveva lì, come un nodo in gola. Gli impediva di deglutire, di respirare, aveva disperatamente bisogno di sciogliere quel nodo. “Tu sei andata a Washington senza dirmi nulla e delle volte ancora mi domando, se io non avessi trovato quel biglietto aereo tu me lo avresti mai detto? Prima di accettare il lavoro, mi avresti detto che ci sarebbe stata quella possibilità, me ne avresti parlato?”.
“Non abbiamo già discusso abbastanza di questa storia?”, sbuffò, tornando per un istante a guardare al di là del vetro. Il sole non era ancora alto, stava sorgendo con pigrizia quella mattina, come se anche lui si volesse pendere un giorno libero, quel giorno libero che lei aveva creduto di poter spendere oziando e lasciandosi coccolare da suo marito, ma che era stato rovinato fin dal principio, perché anche il solo svegliarsi senza lui accanto non era mai un buon giorno.
Si sfiorò le cosce, strette nel denim leggermente ruvido, e poi fece scorrere le dita trai capelli, fino alle punte. “Lo sai cos’è successo, lo sai che sono andata nel panico. Non credevo possibile avere sia te che quel lavoro, non credevo di essere pronta a una relazione a distanza. Volevo la certezza di quel posto, volevo essere certa che l’offerta fosse reale prima di parlartene.”
“E mentre io ignoravo tutto, tu pensavi a come sarebbe stato lavorare all’FBI mentre tagliavi i funghi...”, non gli era mai andata giù. Lei stava preparando allegramente la cena, mentre tra le sue mani era capitata quella carta d’imbarco.
“Come se il fatto che io stessi affettando i funghi fosse importante.”
“Certo che non lo è, è la fiducia che conta! Ed ecco che torniamo a quello stupido esame da capitano. Lo avevi detto tu, non avresti dovuto mantenere dei segreti con me, e invece siamo di nuovo al punto di partenza. Quando fai così, quando mi nascondi le cose mi sembra di impazzire, mi fai sentire come, come...”
“Come cosa?”
Si era alzato andandole di fronte, i raggi del sole gli si infransero sul volto illuminandolo a tratti. Le posò una mano sulla spalla, andando ad alzarle il viso con l’altra, prendendole tra l’indice e il pollice il mento. “Come se non ti fidassi di me. Sembra quasi che il nostro matrimonio sia solo un passatempo e, dopo tutto quello che entrambi abbiamo dovuto affrontare, non me lo merito Kate.”
“Io mi fido di te, il fatto che non ti parli di certe cose non significa il contrario”, gli aveva sfiorato la guancia. Un gesto leggero e rapido, riportando poi il braccio lungo il fianco. “Sono cambiata in questi anni, ma una parte di me è ancora l’introversa ed insicura Kate e questo non potrà mai cambiare. Ma quando mi fido di te succede sempre qualcosa e questo di certo non mi aiuta.”
Lo disse con calma quasi innaturale, ma quelle parole suonarono come una nuova accusa alle orecchie di Rick e quell’equilibrio che stavano ritrovando stava per spezzarsi di nuovo senza che nessuno dei due potesse immaginarlo. “Quindi sarebbe colpa mia?”
“Beh, dimmelo tu. L’ultima volta ti ho affidato la nostra relazione, quel nostro piccolo segreto, la nostra bolla personale, e mi sono ritrovata a puntare la pistola contro di te sdraiato sul divano mentre quell’intervistatrice stava per divorarti la faccia!”.
Rick non riuscì a trattenere una risata. Kate lo guardò accigliata, non capendo cosa avesse scatenato in lui quella reazione così puerile. Lo scrittore non riusciva a smettere, e più lui rideva, più i nervi di Kate faticavano a controllarsi.
“Scu-scusami...”, aveva mormorato cercando di soffocare le risa. “Sarebbe questa la mancanza di fiducia che in questi anni ti ha fatto dubitare di me e per la quale hai scelto di non condividere le tue decisioni importanti con me?”, un ultimo risolino uscì dalle sue labbra, nonostante lo sforzo per tenerle chiuse e poi riprese a parlare con serietà e compostezza. “Ero d’accordo nel tenere nascosta la nostra relazione, ma proprio per questo non avevo motivo di rifiutare il suo invito a uscire. Come mi sarei giustificato, cosa avrei potuto dire in diretta tv? Sono stato a debita distanza da lei per tutta la serata. Credi che forse dopo anni passati ad aspettarti, avrei rovinato tutto nel giro di un paio di giorni? Non le ho certo chiesto io di spogliarsi, non l’ho spogliata io, Kate. L’ho respinta in ogni modo possibile, ma mi è praticamente saltata addosso! Invece Vaughn non mi sembra ti abbia costretta a fare nulla...”.
Il viso dell’imprenditore miliardario gli apparve nuovamente davanti agli occhi. Le ultime parole che questi gli aveva rivolto, con quel sorriso ipocrita che gli aveva fatto venire, per la seconda volta in poco tempo, voglia di spaccargli la faccia, giravano intorno a lui come un’eco. Aveva davvero insinuato che lui, Richard Castle, non sapesse quanto straordinaria e speciale fosse Kate? Certo che lo sapeva. Anche ora, mentre stavano litigando al posto di poltrire nel letto l’uno tra le braccia dell’altro o rilassarsi nella vasca da bagno, sapeva che, a discapito dei difetti che poteva avere, lei era la persona migliore che avesse mai avuto l’onore di conoscere e con la quale avrebbe avuto il privilegio di condividere tutta la sua vita.
“Rick, non è successo niente con lui. Io...”
“Me lo sono ripetuto a lungo, Kate, che tu non lo avresti mai fatto, eppure eravate così vicini.”
“Non c’eri, non sai come si sono svolti i fatti!”
“So che se non fosse partito quel proiettile probabilmente qualcosa sarebbe successo... come sono andate realmente le cose, mh? Lui con il suo fascino inglese, belle parole e larghi sorrisi ti ha conquistata?”.
La mano di Kate si ritrovò sulla guancia di Rick, ma questa volta non in una carezza.
Il male era sopportabile, nonostante il rossore sembrasse indicare il contrario. Contrasse appena la mascella, mordendosi il labbro superiore senza però fare movimenti di altro genere. Lei ritrasse la mano, guardandola, poi la chiuse a pugno abbassando con questa anche lo sguardo. Un paio di lacrime caddero finendo direttamente sul tappeto ai loro piedi.
“Mi dispiace Castle”, fece solo una breve pausa, per poi continuare e fargli così capire il vero motivo per cui si stava scusando. “Mi dispiace che Meredith e Gina non si siano rivelate le donne che credevi, mi dispiace che alla prima occasione ti abbiano ferito tradendoti, però io non sono come loro. Ma tu non mi hai mai creduta su questa storia, non è vero?”.
“Certo che ti ho creduto! Con tutto quello che ci siamo detti fino a d’ora... Dio, non ho fatto altro che crederti in tutti questi anni. I-mi-fido-di-te, ma non posso essere l’unico a fidarmi in questa relazione, non voglio essere l’unico. Sono scomparso per due mesi e la prima cosa a cui hai saputo pensare quando ho detto di non ricordare nulla era che stessi mentendo! Hai davvero creduto che l’uomo che stavi per sposare se la sarebbe data a gambe così, dopo aver inseguito quel folle del tuo ex marito senza sosta, solo per fargli firmare i documenti di divorzio?”.
Avrebbe voluto non fosse così, ma la verità, anche se lui lo ignorava, era che quella non era stata la prima volta in cui aveva dubitato della sua parola. Dovette ammettere che quando Tyson aveva fatto di tutto per incolpare Rick, per sbarazzarsene una volta per tutte incastrandolo per omicidio, aveva davvero creduto che un fondo di verità potesse esserci. Era stato così facile dirgli che non aveva mai smesso di credergli, ed in fondo sarebbe stato così se non fosse stato per quel minuto, quei sessanta secondi in cui, mentre piangeva sfogandosi con Lanie e il fazzoletto che teneva tra le mani era diventato più simile ad una pallina antistress, lo aveva davvero creduto capace di tradirla e poi uccidere.
“Questo è ingiusto da parte tua. In quei due mesi mi sono sentita morire, giorno dopo giorno! Ho fatto di tutto per riuscire a ritrovarti, per riaverti con me, non ho mai, e dico mai smesso di sperare che tu fossi vivo. Poi ricompari, ti svegli, scopro che sei stato quasi sempre in città, che non hai mai provato ad avvertire anche solo tua madre o Alexis e mi dici di non ricordare? Io... Lo avevo fatto anche io, mi sono svegliata e ho finto di non ricordare. Avresti potuto fare lo stesso e del resto non sarebbe stata la prima volta in cui avresti deliberatamente deciso di mentirmi.”
Il tempo parve fermarsi, cristallizzato in quelle ultime parole che Kate aveva detto, ed improvvisamente Rick sentì un peso sul petto.
Paura.
Paura che Kate stesse davvero per incolparlo di averla voluta proteggere, paura che non vedendolo reagire avrebbe pronunciato quelle cinque parole.
“Il caso di mia madre...”.
E così era stato, l’aveva detto e da quello non sarebbero più tornati indietro.
L’argomento sembrava essersi risolto anni prima ed invece era ancora un tasto dolente, c’erano molte cose non dette e tutto quello che Kate si era tenuta dentro in merito era venuto fuori in una manciata di secondi. Avevano urlato, avevano entrambi cercato di difendere le loro argomentazioni nonostante tutto risultasse inutile. Entrambi si erano scoperti capaci di dire cose che non pensavano, e così Rick si ritrovò solo in quello studio ad ascoltare il rimbombo della porta di casa che si chiudeva con violenza. Kate era scappata un’altra volta, gli occhi traboccanti di lacrime sentendo Castle dirle che senza di lui non sarebbe mai arrivata a Bracken, che non avrebbe mai dato giustizia a sua madre. La gola in fiamme dopo aver urlato a suo marito che quella era la sua vita, che non si sarebbe dovuto immischiare; dopo avergli praticamente detto, tra le righe, che se il Capitano era stato ucciso da Lockwood, forse un po’ di colpa l’aveva anche lui.
Diletta's coroner:
Torno con una mini, min, mini long, il prossimo sarà già l'ultimo capitolo.
I Caskett avevano un po' di cose in sospeso, o meglio le avevo io. Quindi prendetela un po' come un mio sfogo personale...
Buona serata!
Sbaciotti
*Per la mia compagana di manicomio*
"My name is Diletta.
I'm the fastest girl alive and I kill every character in every fanfiction.
I'm the queen of angst and a totally crazy girl..."