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Autore: Evee    11/04/2015    1 recensioni
Talvolta, può accadere qualcosa d'imprevisto che sconvolge i tuoi piani. Normalmente si tratta di un caso isolato, ma se così straordinario da determinare un cambiamento si ripeterà ancora, fino a trasformare l'eccezione in regola. E, allora, può essere che si inizi a guardarlo con occhi diversi, e che col tempo si arrivi persino ad amarlo.
§ storia partecipante allo “Slice of life contest!” indetto da MistyEye sul forum di EFP § dal testo di ciascun capitolo: Lo conosceva, anche se non riusciva a ricordarsi chi fosse... ~ Aveva bisogno di capire chi fosse davvero quella ragazza, per poter decidere quale ruolo voleva rivestisse nella sua vita. ~ Lui era un panorama di cui non si stancava mai. ~ Quegli occhi, erano talmente meravigliosi che le sarebbe bastato un solo sguardo, per conquistarlo. ~ Assurdo: si era innamorata di un riflesso. ~ Lei, desiderava averla ogni giorno con sé. ~ La sua vera voce suonava calda ed affettuosa, proprio come si era tanto immaginata. ~ La lasciò a malincuore, ma gli sarebbe così piaciuto poter trattenere ancora quella mano nella sua, scaldarla per sempre. ~ “Ci siamo già conosciuti, ricordi?” § blueshipping §
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kisara, Seto Kaiba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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~ da quel giorno in poi ~

 

“È facile capire come nel mondo esista sempre qualcuno che attende sempre qualcun altro,
che ci si trovi in un deserto o in una grande città.
E quando questi due esseri s'incontrano e i loro sguardi s'incrociano
tutto il passato e tutto il futuro non hanno più alcuna importanza.”
Paulo Coehlo

 

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~ by her side

 

My last night here for you
Same old songs, just once more...

 

Alla fine, il suo sogno era diventato realtà.

O meglio, era diventato possibile. Affinché si potesse realizzare per davvero, avrebbe dovuto variare il loro cerimoniale quotidiano, che al momento prevedeva giusto un paio di contatti ma nessuna interazione vera e propria.

Tuttavia, per quanto volesse farlo, e per quanto le occasioni non le mancassero affatto, continuava a tergiversare.

La ragione principe della sua titubanza dipendeva dal fatto che, per quanto fosse innegabile che il giovane impresario stesse mostrando per lei un certo interesse, non disponeva di elementi a sufficienza per capire di che tipo d'interesse si trattasse. Se il suo fosse soltanto un contegno amichevole, o se mirasse invece ad un qualche secondo fine. Se le sorridesse soltanto per simpatia, o se la guardasse perché veramente si sentiva attratto da lei.

Delle due, non poteva che optare per la prima ipotesi.

Era difficile a credersi, perché mai l'aveva visto comportarsi in maniera cordiale con qualcuno, ma almeno non del tutto inverosimile. E poi erano stati compagni di viaggio per oltre due mesi, pertanto si poteva considerare normale che, incontrandosi, si scambiassero un qualche cenno di riconoscimento. In fin dei conti anche all'università le capitava tutti i giorni che ragazzi cui non aveva mai rivolto parola, e di cui non sapeva neppure il nome, la salutassero per la semplice ragione che a lezione soleva prender posto vicino a loro.

Forse, però, come paragone non era molto azzeccato.

Se i loro sguardi si incontravano, non era certo per caso. Accadeva perché si cercavano, e si cercavano sempre. E i sorrisi che si scambiavano, non erano tirati dalla cortesia. Erano aperti, e sinceramente densi di sentimento. Né era mai questione di un attimo, lungo giusto quel che dovuto. Vi si soffermavano, ne prolungavano la durata e lo rendevano un loro momento.

E in quel momento c'era un'intensità tale da rendere superflua ogni parola.

Il saluto non veniva semplicemente lasciato sottinteso, era espresso. Anzi, era comunicato meglio che a voce, trasmesso nel solo modo possibile, perché non una delle formule convenzionalmente utilizzate sarebbe suonata adeguata allo scopo: non si poteva certo dire “ciao” a Seto Kaiba, e sarebbe stato quanto mai fuori luogo dire “salve” ad un proprio coetaneo.

Però, il desiderio di parlargli c'era. E, finché fosse mancato quell'indispensabile incipit, la loro sarebbe rimasta una situazione di stallo. Doveva provare a smuoverla, e doveva farlo in fretta, perché nel giro di un paio di settimane sarebbe arrivato il giorno da lei tanto temuto: l'ultimo giorno di lezione, la conclusione del semestre, e soprattutto la fine dei loro viaggi assieme. Magari non proprio la fine, magari sarebbero ripresi nell'anno nuovo, terminate le festività e la sessione d'esami, ma a lei non piaceva riporre il proprio affidamento nell'aleatorietà. Le opportunità migliori sono quelle presenti, che si possono cogliere con certezza e che dunque si devono cogliere per non rimpiangerle troppo.

Ma proprio non sapeva come fare il primo passo, ed ancor meno aveva il coraggio di compierlo perché, se fosse stato davvero interessato a lei, ci avrebbe già pensato lui ad assumere una qualche iniziativa.

O almeno così supponeva...

In realtà, non ne era poi così sicura. Ormai non era più sicura di nulla, praticamente.

Ma era proprio per questo che aveva bisogno di parlargli, perché solo così avrebbe potuto fare un po' di chiarezza su quali fossero effettivamente le sue intenzioni con lei. Aveva bisogno di fare chiarezza: quantomeno poi avrebbe potuto mettersi il cuore in pace...

Peccato solo che il suo cuore desiderasse così tanto continuare a battere per lui, da non volerne proprio sapere, di correre un simile rischio.

Dunque per non ferirlo finì per assecondarlo, rinviando quel confronto, e per sentirsi a posto con la propria coscienza decise che avrebbe provato a parlargli proprio l'ultimo giorno di lezione. Sapeva che era rischioso, che si sarebbe giocata il tutto e per tutto, ma almeno se non fosse andata come sperato avrebbe poi potuto battere in ritirata a leccarsi le ferite. E nel frattempo poteva approfittare del tempo a disposizione per pensare a cosa dirgli, munirsi di un pretesto, prepararsi qualche frase, trovare un argomento di conversazione...

Ma chiaramente i suoi furono tutti degli sforzi inutili, perché come non era riuscita a farsi venire nessuna idea valida in precedenza, così non ci riuscì neppure dopo.

Di conseguenza, la mattina del giorno fatidico spense la sveglia con la classica sensazione che avvinghia lo stomaco quando bisogna andare a scuola e si è consapevoli di non aver studiato abbastanza per un'interrogazione...

Un terrore davvero ingestibile.

Trascorse il resto della giornata in preda all'agitazione per quando le sarebbe toccato presentarsi alla lavagna, sforzandosi di radunare la concentrazione e le energie necessarie per correre ai ripari con uno studio matto e disperatissimo dell'ultimo minuto. Ma per sua sfortuna le ore precedenti si rivelarono molto più intense del solito, e i professori la costrinsero a mantenere l'attenzione sulle loro spiegazioni anziché, come avrebbe preferito, sul libro che di nascosto teneva appoggiato sotto al banco. Né le riuscì di ripassare qualcosa durante i ricorrenti ma pur sempre brevi intervalli, troppo distratta dalle chiacchiere dei suoi compagni di corso su cui, peraltro, non poteva neppure contare per alcun suggerimento, visto che nessuno di loro era stato altrettanto masochista da inserire una materia talmente complicata nel proprio piano di studi. Comunque, anche senza la loro intromissione non avrebbe concluso nulla in ogni caso, perché non era mai stata in grado di memorizzare nozioni troppo a ridosso di una verifica. Purtroppo il panico aveva sempre la meglio, le annebbiava la mente e le impediva di ragionare a dovere.

Non le restava che confidare in una qualche improvvisa lucidità del momento, come spesso avviene quando l'adrenalina in corpo consente di recuperare dalla memoria informazioni imparate inconsapevolmente a lezione o nella sottolineatura del libro di testo. Oppure sperare che il professore si rivelasse così clemente da farle una domanda a piacere, o da imbeccarla con una traccia da cui poter partire, benché non se la sentisse di riporre particolare affidamento in quest'ultima eventualità. La sua famigerata reputazione lo precedeva, lo sapeva che non era affatto avvezzo a concedere simili indulgenze. Sarebbe rimasto come sempre in silenzio, in attesa delle sue parole, senza offrirle il benché minimo aiuto e, tantomeno, porle una seconda domanda per offrirle l'occasione di rimediare allo sfacelo conseguente ad una sua eventuale, probabilissima scena muta.

Così, a causa del salto d'appello le sarebbe toccato ridare quell'esame il semestre successivo... Il che, sicuramente, le avrebbe offerto l'opportunità di potersi preparare meglio e con più calma, ma che comunque, dal suo punto di vista, non rappresentava affatto un esito auspicabile. Sapeva bene quanto raramente si riesca a riprendere con successo lo studio di un argomento trattato mesi prima, perché si rischia di non comprenderlo più con la stessa immediatezza o, peggio, che nel frattempo intervenga una qualche novità che spinga l'insegnante a cambiare completamente il suo programma.

Sta di fatto che, per la prima volta dall'inizio dell'anno accademico, non accolse con troppo favore lo squillo dell'ultima campanella... Per quanto le piacesse, quel giorno non fremeva proprio dalla voglia di rivedere il suo docente preferito. Comunque, non poteva che rassegnarsi: ormai si era iscritta a quell'appello, e doveva assolutamente presentarsi. Altrimenti lui avrebbe anche potuto risentirsi, offendendosi prima per la sua mancanza, poi per il mancato avviso che, per un po', sarebbe stata costretta ad un'assenza prolungata. Ma soprattutto temeva che, a fronte di una sua sparizione improvvisa, potesse prendersela così tanto da arrivare a sdegnarla al suo ritorno, o da non farsi proprio più rivedere laddove fosse giunto all'erronea conclusione che, per disinteresse, avesse abbandonato definitivamente il suo corso.

Morale, uscì dall'università in una commistione di riluttanza e sollecitudine, cui si aggiunse una buona dose d'ansia quando, una volta all'esterno, si ritrovò rallentata da condizioni climatiche a lei decisamente avverse. Perché non solo quella mattina non aveva affatto controllato alla finestra se si stesse o meno vestendo in maniera adeguata, ma era stata anche fin troppo ottimista, per non dire sprovveduta, nel non rientrare a cambiarsi quando, una volta uscita di casa, aveva avuto modo di scoprire dal vivo il meteo del giorno. Diciamo che aveva ben altro per la testa, ecco... Così non si era per nulla curata dei pochi, innocui fiocchi di neve che avevano iniziato a cadere. Confidava che sarebbero rimasti tali, trattandosi della prima nevicata dell'anno... Ed invece non solo nel corso della giornata non si erano fermati un solo istante, ma erano anche considerevolmente aumentati d'intensità, arrivando così ad accumularsi in giro per parecchi centimetri.

Eventualità cui non era affatto preparata, e che pertanto non tardò a metterla in seria difficoltà.

Il suo primo errore era stato quello di aver deciso d'indossare per l'occasione il suo vestito preferito. Perché, per quanto le stesse bene, non era abbastanza pesante da potersi considerare adatto ad una temperatura inferiore allo zero, e neppure abbastanza coprente da arrivare a proteggerle le gambe, che sbucavano esposte dal suo cappotto e che, con solo un sottile velo di collant, non riusciva certo a difendere dall'aria sferzante. Ed anche per quanto riguardava le scarpe avrebbe potuto fare scelte migliori... Non tanto perché avesse freddo ai piedi, in quanto ormai si era talmente rassegnata a sentirsi sempre le estremità ghiacciate da averci fatto l'abitudine, ed anzi se avesse indossato delle ballerine anziché delle stringate non avrebbe notato una gran differenza, bensì per la loro suola, completamente liscia e, dunque, senza la benché minima aderenza al terreno.

In definitiva, visto che i marciapiedi erano del tutto innevati e si era già fatto così buio da poter vedere a malapena dove stesse poggiando i piedi, si ritrovò costretta a procedere con un'andatura lenta, costantemente traballante, e a sudare freddo proprio come quando, da bambina, aveva provato per la prima volta a pattinare sul ghiaccio e, non potendo tenersi aggrappata alla ringhiera per tutto il tempo, ogni tanto si spingeva ad allontanarsi dal bordo per provare a vedere se riusciva a reggersi sulle sue sole gambe. La minima distrazione ed avrebbe perso l'equilibrio, rovinando a terra, in maniera molto dolorosa, poco dignitosa, e soprattutto con esiti irreversibili. Forse non si sarebbe sporcata i vestiti, ma di certo si sarebbe strappata le calze, e non poteva proprio rovinare l'ultimo paio di collant che le era rimasto... Quantomeno doveva cercare di conservarlo intatto ancora per un po', in vista del suo ormai imminente incontro. Forse, avendo le mani libere, in caso di caduta sarebbe riuscita ad attutire l'impatto appoggiandole per tempo, ma non certo ad evitarlo. E comunque non ci teneva affatto a sbucciarsi i palmi, come di sicuro le sarebbe successo visto che, al solito, si era dimenticata d'indossare i guanti. A dire il vero, si era scordata anche l'ombrello...

O meglio, non si era affatto preoccupata di prenderlo su.

A fronte di quelli che aveva giudicato nient'altro che una manciata di fiocchi inoffensivi, non ne aveva vista la necessità. Le sarebbe stato più d'ingombro che altro, e così aveva preferito confidare sulla protezione della sua sola e ben più comoda cuffia di lana. E poi aveva sempre amato la fresca sensazione della neve sulla pelle, e il suo lieve tocco quando si appoggia sui vestiti...

Benché questa sua predilezione andasse progressivamente scemando ad ogni passo, tramutandosi in una sempre più aperta ostilità.

Dopotutto non stava andando al parco con gli amici, dove poteva giocare senza preoccuparsi troppo delle proprie condizioni perché, tanto, anche loro non ci avrebbero badato affatto, e l'avrebbero comunque bagnata fino al midollo nel fare a pallate. Si stava per recare ad un formale appuntamento con il ragazzo dei suoi sogni, che di certo l'avrebbe accolta rivestito della sua usuale, impeccabile ed incontaminata eleganza quando lei, invece, rischiava di presentarsi al suo cospetto travestita da pupazzo di neve... per poi squagliarsi completamente dalla vergogna.

Sempre se sarebbe mai riuscita ad arrivarci per tempo.

Come le confermò il suo orologio, ormai si erano fatte le fatidiche 19 e 03, e lei non solo era ancora ben distante dalla fermata, ma non poteva proprio procedere più spedita di così. O, almeno, non senza rischiare la vita.

Se già le premesse iniziali per quell'incontro non erano tra le migliori, nelle sue condizioni attuali si erano fatte decisamente pessime.

Però confidava comunque che, a causa del meteo, il suburbano fosse quantomeno un po' in ritardo... Insomma, era sempre in ritardo, non poteva arrivare puntuale proprio quel giorno! Non poteva e basta. La sfortuna prima o poi si sarebbe pur stancata di accanirsi contro di lei...

Si disse, fingendosi ignara di quel famoso e saggio adagio che, invece, ricorda quanto non ci sia mai limite al peggio.

Riuscì infatti ad arrivare illesa fino all'ingresso della metropolitana, ma terribilmente in ritardo. Accelerò il passo, sempre più in ansia. Se quel giorno avesse perso il suburbano, se non l'avesse visto, salutato per un'ultima volta, non se lo sarebbe mai perdonata...

Sollevò affannata lo sguardo sul tabellone affisso all'entrata, cercando nell'elenco in sovrimpressione la sigla del suo treno, ma lo cercò invano. Non lo trovò. E non perché già partito dai binari, bensì perché proprio non ebbe modo d'individuarlo... Troppo distratta, era avanzata frettolosamente senza prestare la dovuta attenzione su dove e come stesse per appoggiare i piedi, e di conseguenza aveva finito per scivolare sul pavimento bagnato.

Le sfuggì dalle labbra un'esclamazione di spavento, e per un orrendo secondo si sentì sprofondare nel vuoto, slittando all'indietro. Fu così improvviso, che neppure ebbe modo di allungare le mani per tempo.

E cadde.

Solo che non cadde affatto a terra, come si era attesa. Era caduta molto prima... e addosso a qualcuno. Qualcuno che era riuscito ad afferrarla con prontezza sotto alle braccia e a trattenerla saldamente per i fianchi, evitandole la caduta.

-Presa appena in tempo.-

Se non fosse già stata interamente appoggiata alla persona che la stava sorreggendo, di certo sarebbe scivolata ancora perché, come sentì quella voce, le gambe le cedettero nuovamente.

Ma no, era impossibile...

Si affrettò a riguadagnare l'equilibrio per staccarsi quanto prima dal suo soccorritore, tuttavia non ci riuscì neppure allora perché, anche dopo averla aiutata a rialzarsi, continuò a stringerla con fermezza, cingendola per la vita. Poi, sempre senza lasciarla, fece un passo in avanti, l'affiancò e le rivolse uno sguardo sfumato d'apprensione.

-Tutto bene?-

No, non stava bene per nulla... Anzi, si sentì quasi sul punto di morire.

Era appena caduta addosso a Seto Kaiba.

Seto Kaiba l'aveva appena soccorsa prendendola tra le sue braccia.

E la stava ancora tenendo tra le braccia.

In tutto questo, le aveva anche fatto una domanda che lei aveva ovviamente sentito ma per nulla ascoltato, ancora troppo sconvolta da quella situazione surreale per poterci prestare la benché minima attenzione. Al momento, era ben più impegnata a chiedersi se gli occhi azzurri che la stavano fissando fossero o meno riusciti a notare quanto era appena arrossita... Da come si sentiva scottare le guance verosimilmente sì, e pure parecchio. Però, se gli avesse risposto con sollecitudine e naturalezza magari gli sarebbe apparso più come il frutto di una semplice agitazione per l'accaduto, che di un eccessivo imbarazzo.

Si sforzò dunque di recuperare dalla memoria a breve termine il suono della sua voce, afferrò finalmente la sua domanda, recuperò il fiato necessario a rispondergli e, dunque, gli rispose.

-Sì... Sì, sto bene, grazie a lei.-

Abbozzò un sorriso di riconoscenza, che venne lievemente ricambiato. Solo dopo, la sciolse dalla sua stretta. Comunque neppure allora la liberò del tutto, perché continuò a guardarla negli occhi, a tenerla avvinta a sé con quello sguardo intenso, irresistibile, a cui il suo non poteva né voleva sottrarsi un solo istante.

-Cerca di prestare più attenzione, la prossima volta...-

Furono parole di rimprovero, quelle che le rivolse, ma le pronunciò con un tono così premuroso che, anziché mortificarla, riuscirono a farla sentire subito molto più tranquillizzata. Non sembrava affatto essersi infastidito per l'accaduto. Anzi, sembrava che l'avesse aiutata persino con piacere, quasi di sua spontanea iniziativa...

Sta di fatto però che era stato anche testimone della sua sbadataggine, come le aveva prontamente rinfacciato, e a lei proprio non andava che per quel solo, incidentale incidente potesse giudicarla come un'imbranata cronica... Doveva appellarsi al suo diritto al contraddittorio per difendersi da quella sua accusa implicita. O quantomeno provare a giustificarsi.

-Ha ragione, ma... ero di fretta, non volevo perdere il treno.-

Che di certo aveva appena perso. Ma non si curò neppure di voltarsi a verificare quel suo presentimento sul tabellone, perché tanto si trovava già dove avrebbe voluto essere in quel momento. Anzi, era estremamente contenta, per non dire sollevata, di non essere riuscita a salire sul suburbano... Se l'avesse fatto, si sarebbe persa l'unica coincidenza che non voleva mancare, la sola che quel giorno le interessasse prendere.

E neppure lui parve granché dispiaciuto per la sua sorte, perché alle sue parole aveva piegato le labbra in uno di quei mezzi sorrisi beffardi che gli riuscivano tanto bene. Tuttavia, non se ne sentì affatto derisa. L'aveva talmente stemperato con lo sguardo che non le parve proprio un sorriso di scherno, ma uno semplicemente divertito. Complice, persino.

-Una preoccupazione inutile, visto che è stato cancellato.-

Socchiuse le labbra, incredula.

-Davvero?-

Lui reclinò appena la testa, inarcando le sopracciglia con aria significativa.

-Non mi troverei qui, altrimenti: ha lasciato a piedi anche me.-

In effetti, si poteva considerare la sua presenza una prova piuttosto tangibile... Socchiuse gli occhi, scuotendo il capo in segno di solidarietà.

-A volte capita... e purtroppo sempre nei momenti peggiori.-

Il suo non fu altro che un commento ironico, privo di alcun rammarico, ma lui la sorprese con un sorriso accattivante e una proposta che non avrebbe mai e poi mai pensato di ricevere... non da parte sua, almeno.

-I momenti si possono sempre migliorare, però... Ad esempio, potrei offrirti un passaggio.-

Questa volta, non ebbe alcun bisogno di ripensare a ciò che le aveva appena detto per afferrarne il senso. L'aveva colto benissimo subito, avvampando con altrettanta rapidità. Per quello che il suo viso poteva ancora avvampare, visto che si sentiva già più che paonazza... Comunque, a dispetto dell'imbarazzo riuscì a mantenersi lucida, e a scuotere la testa in segno di diniego.

-No, si figuri... Non deve sentirsi in obbligo, aspetterò il prossimo treno.-

Come terminò di pronunciare questa frase, si sentì la più stupida degli stupidi per aver rifiutato una simile offerta. Nei suoi panni, chiunque altro avrebbe accettato senza la minima esitazione... Ed infatti anche lei avrebbe voluto accettare. Tantissimo. Ma non poteva proprio farlo, la sua dignità glielo impediva: non le piaceva elemosinare favori e tantomeno approfittare della gentilezza altrui, perché non sarebbe stato affatto rispettoso delle reciproche spettanze. Soprattutto con lui. Il fatto che per un paio di mesi si fosse abbassato al suo livello, accettando di viaggiare assieme a lei come una persona qualunque, non era transitivo, non bastava ad elevarla su un piedistallo su cui non aveva il benché minimo diritto di salire, ad autorizzarla a viaggiare assieme a lui. Sarebbe stato sbagliato forzare la realtà, ignorare le loro differenze, esaudire un desiderio inesprimibile. Purtroppo doveva starsene al proprio posto, quello che le era stato assegnato, l'unico che poteva ambire di occupare...

Ciononostante, le sue rimostranze non valsero a farlo demordere, perché lui le si rivolse di nuovo, con ferma determinazione e uno sguardo che non ammetteva repliche.

-Ma ti ho raggiunto proprio per chiederti di venire con me... Insisto. Non voglio che tu debba attendere al freddo, per chissà quanto tempo.-

Sbatté le palpebre, incredula. Quelle erano parole così insperate, da andare ben al di là di ogni sua possibile attesa... Perché non poteva davvero aspettarsi di riceverle, assolutamente no. Eppure, lui gliele aveva rivolte lo stesso. Incurante di ciò che aveva o meno il permesso di fare, rendendo possibile quello che per lei era del tutto impossibile.

E fu solo allora che lo comprese, il vero motivo per cui era riuscito ad incantarla tanto. Non perché era il più abile dei prestigiatori, ma perché lo era per davvero, un autentico mago. Lui, che era una persona così interiormente complessa da saper filtrare la realtà tra i suoi ingranaggi, rendendo ogni difficoltà, ogni ostacolo, anche quelli in apparenza più ostici ed insormontabili, superabili con istintiva naturalezza, con un semplice schiocco di dita. C'era una spaventosa autenticità dietro tutto questo, una sincerità così spiazzante da potersi rivelare anche scomoda, difficile da accettare...

Tuttavia lei si sentiva pronta, a diventare una sua discepola, perché amava la trasparenza più di ogni altra cosa, e si era così stancata di prestarsi come assistente per inscenare trucchi troppo complessi, artificiosi, capaci di effetti impressionanti, forse, ma che di magico non avevano proprio un bel niente, solo l'apparenza. Non importava se la gente era così superficiale da pagare per assistere soltanto a quelli, non riusciva più a sopportarne la fraudolenza, la loro intrinseca disonestà. Né le importava se nessuno avrebbe approvato la sua scelta di abbandonare il ruolo che convenzionalmente le spettava, e che dunque, secondo loro, avrebbe dovuto continuare a rivestire. Che l'additassero pure come una folle, per aver osato tanto, troppo ad avvicinarsi a lui. Che la prendessero pure per una strega, nella convinzione che si fosse servita di chissà quale artificio per ammaliarlo, per attirare su di sé le sue attenzioni.

Non era affatto un suo problema, quello, né se lo sarebbe più posto. Si era già lasciata trattenere anche troppo, da quegli insensati, arbitrari paletti. Lei, per la magia proibita di quel ragazzo, sentiva una propensione viscerale e un'abilità innata, per cui non si sarebbe tirata indietro davanti alla proposta che le aveva appena fatto... Sarebbe entrata nel circolo invisibile che aveva tracciato, quello che aveva creato tra di loro quell'alchimia così potente, e l'avrebbe praticata insieme a lui. E si sarebbe cimentata entusiasta nel suo esperimento, perché invitandola a raggiungerlo non l'aveva, semplicemente, fatta sentire abbastanza speciale da poterlo tentare. Le aveva confidato che, per lui, lo era realmente, e l'aveva resa tale. Aveva riconosciuto tra la folla il suo potenziale, ed era andato a cercarla appositamente per svelarglielo.

Tra tutti, aveva scelto lei. Aveva voluto lei.

-Se è così, accetto con piacere.-

Lui, al suo assenso, piegò le labbra con aria più che soddisfatta.

-Perfetto. Andiamo, allora.-

Detto questo si voltò, e si chinò a raccogliere da terra un ombrello blu scuro, che doveva essergli scivolato di mano quando l'aveva afferrata. Lo scosse per scrollarlo dalla neve sciolta, battendolo a terra con un solo, deciso colpo del puntale, dunque l'aprì con un movimento fluido, lo sollevò sopra le loro teste, e ne passò l'impugnatura dalla mano destra a quella sinistra affinché potesse coprire anche lei.

Al che gli si avvicinò appena, pronta a seguirlo con discrezione. Eppure, nemmeno allora il suo accompagnatore volle avanzare di un solo passo verso l'esterno. Titubò per un attimo, dunque abbassò lo sguardo su di lei, allungandole un braccio.

-E' meglio se ti aggrappi a me. E tienti stretta: almeno se dovessi scivolare di nuovo eviterai di cadere.-

Sbatté le palpebre, stupita della sua cavalleria... Ma, a ben pensarci, quella che le aveva rivolto non era affatto una frivola, forzata galanteria che, in quanto tale, non le interessava nemmeno ricevere. La sua era solo un'accorta, sentita premura.

Quella, l'accettava più che volentieri.

Dunque raccolse il suo invito, si appoggiò a lui e si lasciò avvolgere dall'intreccio del suo braccio, sia pur cercando di non invadere troppo i suoi spazi e di sdrammatizzare la situazione con una battuta.

-A meno che non faccia cadere anche lei.-

Lui però scacciò subito quella possibilità, scuotendo la testa, e l'avvicinò a sé con fare risoluto.

-Non succederà.-

Ed infatti non accadde. Il suo era davvero un solido, affidabile e confortante sostegno. E, nonostante avessero appena instaurato un contatto forse inopportuno, troppo intimo, lei lo sentì stranamente, incredibilmente... giusto. Così naturale e piacevole, da farle dimenticare ogni imbarazzo.

Si lasciò dunque condurre da lui e guidare dal suo passo sicuro, da quell'andatura così costante e cortese che, nel seguirla, si sentì quasi una damigella d'altri tempi, per la prima volta invitata ad un ballo. Ed anche se non aveva la minima esperienza, non ne conosceva le mosse e non sapeva come fare a seguire il ritmo della musica, il suo fu un debutto davvero eccellente, grazie all'accorto garbo del suo cavaliere. Perché la coinvolse in una danza semplice, ben ritmata, ed anziché sollecitarla, trascinarla con sé, preferì accompagnarla piano, insegnargliela a dovere. E così fu. Era talmente un bravo maestro, che riuscì sin da subito ad imparare la sua lezione con estrema facilità, e a seguirne la falcata con una tale sincronia che, ben presto, arrivò persino a scordare completamente l'incertezza della propria.

Così il suo incedere smise di sprofondare nella neve, si fece ovattato, mentre i fiocchi cessarono di caderle addosso, volteggiandole attorno come se fossero in una pallina di vetro e lei, nell'ammirarne il contenuto, ne stesse offuscando la superficie col proprio respiro. Non le parve neanche più di trovarsi all'aperto, esposta alle intemperie... Ma, se ebbe quest'impressione, non fu tanto grazie alla sua guida, né per la protezione che le aveva offerto. A trasmettergliela fu soprattutto la sua stessa vicinanza. Aveva soltanto unito un braccio al suo, senza che la loro pelle potesse toccarsi, nemmeno sfiorarsi, eppure riusciva anche così non solo a coprirla sul suo lato dalle ventate d'aria gelida, ma persino ad infonderle abbastanza calore da non farle più avvertire alcun freddo, da riscaldarla ovunque prima si sentisse ghiacciata ed intirizzita.

Che fosse soltanto l'effetto che aveva su di lei o una sua magia vera e propria, la trovò una sensazione a dir poco meravigliosa.

Comunque la loro fu una breve passeggiata, giusto della durata necessaria a raggiungere un taxi poco distante dall'ingresso, in attesa sul ciglio della strada. Questo le diede un ulteriore conferma che, se si erano incontrati, non era stato affatto per caso, anche se non era ancora sicura se lui l'avesse solo incrociata di passaggio, o se fosse proprio venuto a prenderla appositamente alla sua fermata.

In entrambi i casi, comunque, non poteva che sentirsene estremamente lusingata.

Una volta davanti alla vettura, lui le aprì la portiera e l'incitò a salire, continuando a reggerle cortesemente l'ombrello sopra la testa. Lei si affrettò a prendervi posto, salutò l'autista e scivolò sul sedile fino a far spazio al suo accompagnatore. Allora lui la raggiunse, richiudendo prima l'ombrello e poi la portiera, e alla richiesta d'indicazioni del tassista l'invitò a fornirgli il suo indirizzo.

Detto, fatto: il taxi si avviò per la sua strada, e lei fu finalmente libera di sfilarsi di dosso la cuffia, allentarsi la sciarpa e provare ad adagiarsi meglio all'interno dell'abitacolo.

Per quanto sia possibile mettersi a proprio agio accanto a Seto Kaiba, ovviamente...

Si sforzò di raddrizzare le spalle che le si erano innaturalmente irrigidite, si ravvivò con una rapida passata i capelli intrisi di neve e arruffati dal vento, ed infine prese un bel respiro per sollevare lo sguardo dal grembo, volgersi a lui e manifestargli un po' di dovuta riconoscenza.

-Non so davvero come ringraziarla per la sua gentilezza, signor Kaiba...-

E in effetti era proprio così. Non aveva con sé abbastanza soldi per potersi dire disponibile a dividere assieme il costo del taxi, e comunque sarebbe suonata come un'offerta davvero ridicola, per non dire quasi offensiva, visto che lui poteva permettersi non solo di pagarle il passaggio, ma persino di acquistare l'intera vettura per puro capriccio. Inoltre si era proposto di farlo volontariamente, ed aveva pure insistito. Dunque, dubitava fortemente che potesse pretendere da parte sua, o anche soltanto attendersi, un qualche tipo di gesto volto a contraccambiare quel favore...

Quanto si sbagliava.

-Potresti iniziare dandomi del tu, non credi?-

Glielo propose con spontaneità e nulla più che un semplice sorriso. Con una punta di malizia, commista ad una fugace nota d'incertezza che gli lesse nello sguardo. Eppure, tanto bastò per abbattere gli ultimi baluardi della barriera che li aveva finora tenuti divisi. O, forse, era solo lei che l'aveva sempre percepita come un ostacolo. Si era così concentrata sui suoi dettagli, su quanto esteriormente apparisse invalicabile, da non essersi mai accorta del ponte levatoio che al suo passaggio soleva abbassare per accoglierla, per permetterle d'entrare in contatto con lui.

Forse arrossì un poco, di certo gli sorrise apertamente.

-Potrebbe essere un buon inizio... A proposito, io sono Kisara.-

Lui sbatté le palpebre e la guardò per un attimo con aria strana, ma poi socchiuse appena gli occhi e scosse la testa divertito.

-Lo so. Ci siamo già conosciuti, ricordi?-

Alla sua replica rimase un po' interdetta, non riuscendo a rammentare in quale occasione potesse aver sentito il suo nome... Però, aveva ragione. Non si erano mai presentati ufficialmente, ma non erano certo due estranei. Avevano trascorso così tanto tempo in presenza l'uno dell'altro, che quasi le sembrava di riuscire a capire più lui di qualunque altra persona di sua conoscenza...

Annuì, pienamente convinta.

-Sì, è vero.-

Ed era proprio così, scoprì durante il tragitto. Perché non appena iniziarono a parlare, le fu subito chiaro quanto lui l'avesse osservata con altrettanta attenzione. Standosene sempre in disparte, con estrema discrezione e dissimulando il proprio interesse, però l'aveva fatto anche lui. L'aveva in parte sospettato, intuito così come si può presagire l'arrivo di un temporale dall'elettricità nell'aria, eppure era riuscita a fidarsi del suo sesto senso solo dopo aver visto coi propri occhi le nuvole addensarsi, sentito il borbottio dei tuoni echeggiare in lontananza, avvertito l'odore pungente dell'umidità, percepito le prime gocce di pioggia caderle inconfutabili sulla pelle. Da parte sua non ci fu nessun annuncio, alcuna confessione vera e propria, tuttavia glielo rivelò lo stesso, indirettamente, con le domande che scelse di porle. Tante, eppure mai di circostanza, per evitare l'imbarazzo di un silenzio che altri avrebbero considerato scomodo, ma che sapeva non l'avrebbe affatto disturbato. Se prese a parlarle, era perché ci teneva per davvero, a conversare con lei. A conoscerla meglio, anziché farle domande di cui conosceva già la risposta.

Non finse di non sapere che si era appena trasferita in città, le chiese se si trovasse bene a Domino e dove abitasse il resto della sua famiglia. Non finse di non sapere che divideva l'affitto con un'altra ragazza, le chiese quando si erano conosciute e come facesse a trovare la pazienza per sopportarla. Non finse di non sapere che studiava Psicologia, le chiese perché avesse scelto proprio quel corso di studi e quale fosse per ora la sua materia preferita. Non finse di non sapere quali fossero i suoi hobby, le chiese se le fosse venuta bene quella torta che aveva provato a fare qualche giorno prima e se fosse riuscita a completare quel videogioco di cui le piaceva tanto ascoltare la canzone.

E l'ascoltò sempre con sincero interesse. Senza mai interromperla, senza mai distogliere gli occhi dai suoi.

Fu una sensazione inusuale, per lei, ricevere tanta attenzione su di sé e sulle proprie parole ma, al contempo, riuscire comunque ad esprimersi con estrema naturalezza. Con confidenzialità, persino. La sua quieta vicinanza, quell'accenno di sorriso che aveva sulle labbra, quello sguardo limpidamente condiviso, bastarono a farle dimenticare ogni timoroso riserbo. A rendere completo ed irreversibile quel mutamento percettivo che già da tempo aveva preso le mosse nel suo cuore, volto a superarne la fredda, controllata apparenza per raggiungerne l'identità più celata e veritiera.

In fondo, nonostante tutto, non era altro che un ragazzo come lei...

Il che l'incoraggiò sia a parlargli liberamente, sia a coinvolgerlo a sua volta nella conversazione. Ponendogli quelle domande che le venivano in mente di riflesso, portando il discorso su quegli argomenti che sapeva essergli più vicini. Per provare anche lei a svelare le tante curiosità ancora irrisolte, per essere messa a parte di quel suo modo peculiare di vedere le cose. Lucidamente cinico nelle proprie idee, intriso di netto sarcasmo nei propri commenti. Sempre fermo, assertivo, privo di mezzi termini. Impossibile da smentire, eppure così facile da contraddire... Perché pur essendo imbattibile nel cogliere la geometria della realtà, nello scorgerne confini ed angolazioni, sembrava incapace di apprezzarne l'essenza più immediata. Quella più ovvia, sotto gli occhi di tutti, eppure altrettanto importante. Per questo, quando gliela faceva presente, ne rimaneva un po' spiazzato. Quasi incredulo. Ed allora ammutoliva a guardarla per qualche secondo, come se la riconosciuta bontà delle sue opinioni sfumate mal si conciliasse con la tonalità delle proprie, e non sapesse in che modo farle convivere assieme senza al contempo rinnegarle. Senza comprendere che non era tanto una questione di chi avesse o meno ragione, ma solo di differenti punti di vista. Ed il suo era così acuto, così brillante, che ne rimase del tutto avvinta, intimamente conquistata. Inoltre parlava come solo gli oratori più coinvolgenti sanno fare, con un'inflessione moderata, cadenzata da brevi pause ponderate, e con una proprietà di linguaggio ammirevole, perché funzionalmente colloquiale, priva di quell'ampollosa saccenza che troppo spesso le persone più colte amano trasudare per rinfacciare agli altri il proprio sapere. Lui era talmente intelligente da non aver affatto bisogno di dimostrarlo a parole, lo manifestava e basta col proprio pensiero.

E quante scoperte, che fece.

Perché quando gli confessò di non amare affatto il caotico e troppo cementificato centro cittadino, lui le ricordò che però la passeggiata sul lungomare era piuttosto gradevole, nella bella stagione. E che non troppo distante da casa sua c'era persino un parco, dove ogni tanto andava a correre, e che era certo sarebbe piaciuto anche lei, specialmente nel periodo delle fioriture.

Perché quando gli spiegò che sì, in effetti la sua coinquilina a volte era un po' petulante, ma le voleva bene lo stesso in quanto ormai era diventata per lei quasi come una sorella, le disse che in quello poteva comprenderla perfettamente. Che nonostante la diversità caratteriale, anche lui era estremamente affezionato a suo fratello. E si vedeva davvero, quanto lo fosse. Dal tono orgoglioso con cui glielo descrisse, e dall'attenzione con cui si premurava di tenerlo il più possibile alla larga dai media. Di garantirgli quell'adolescenza felicemente normale di cui lui, invece, non aveva potuto beneficiare.

Perché quando gli raccontò di quanto si era divertita visitando il suo parco divertimenti, rimase esterrefatta nello scoprire che l'aveva progettato tutto da solo, e che aveva programmato personalmente quel simulatore virtuale incredibile, che l'aveva tanto lasciata a bocca aperta. La sua attrazione preferita, assolutamente. Così realistica... Soprattutto in un'ambientazione, quella sull'Antico Egitto. Non era fantasiosa e scenografica come le altre, ma lei non si sarebbe mai stancata di girovagare tra le sue stradine pittoresche e ricolme di vita. Talmente esotiche, ma al tempo stesso così familiari... Gli domandò come avesse fatto a ricrearle tanto bene, ma lui si limitò a minimizzare con un sorriso, spiegandole di non aver fatto altro che raffigurare un posto visitato tempo addietro. Per poi deviare argomento, chiedendole se avesse provato anche la sua arena per i duelli.

Ci rimase davvero male, quando gli rivelò che non sapeva giocare a Magic and Wizards.

Ma, a parte questo piccolo dissidio, il tempo passato assieme trascorse nella maniera più leggera e piacevole possibile. A causa del traffico e della neve per oltre mezz'ora, che però volò via in un battibaleno. Tanto che non si accorse neppure di quando il taxi prese a rallentare, prossimo alla meta, per poi fermarsi davanti al suo appartamento. Lo comprese solo nel momento in cui lui spostò da lei lo sguardo per volgerlo poca sopra le sue spalle, oltre il finestrino, e la voce dell'autista approfittò di quel breve attimo di silenzio per annunciarle dell'arrivo a destinazione.

Sbatté le palpebre, disorientata dalla vista di un posto che sentiva esserle familiare, ma che i suoi occhi ancora stentavano a riconoscere. Si morse un labbro, gravata dal dispiacere di dover tornare al luogo cui sapeva d'appartenere, ma in cui il suo cuore non dimorava affatto. L'avrebbe abbandonato lì, su quella strada. Lasciato al freddo, e ad una insopportabile solitudine...

Sospirò piano, raccogliendo dal grembo la cuffia e dall'animo la volontà necessaria per salutarlo. Non era difficile, in fondo... Bastava uno sguardo ed un sorriso, come avevano sempre fatto.

Eppure, quella volta volgersi a guardarlo le costò una fatica enorme, e non riuscì proprio a sorridergli, solo a piegare appena le labbra con una dolorosa amarezza. Era abituata a scambiarsi con lui semplici, spensierati arrivederci. Non era pronta ad un addio tanto sofferto...

Non lo era nessuno dei due, comprese subito, come venne preceduta e trattenuta dalla sua voce.

-Ci rivediamo anche domani?-

Questa fu l'unica, di tutte le domande che le aveva posto fino ad allora, che riuscì a spiazzarla. Teoricamente si sarebbe fermata a Domino ancora per un paio di giorni, perché non le andava di lasciare sola in appartamento la sua coinquilina, ma nella pratica non sapeva proprio come rispondergli, se rendersi o meno disponibile ad un altro incontro. Almeno finché non fosse riuscita a capire a che tipo d'incontro si riferisse... Non aveva affatto colto se desiderasse avere da lei solo una noncurante conferma del loro usuale appuntamento, o farle una vera e propria richiesta.

Decise così di temporeggiare, mantenendosi sufficientemente vaga perché le sue parole potessero suonare appropriate per entrambe le interpretazioni.

-Mi piacerebbe...-

Lui le ammiccò con fare d'intesa.

-Stesso posto e stessa ora?-

Si mordicchiò inavvertitamente il labbro inferiore, rammaricata.

-In realtà, oggi era il mio ultimo giorno di lezione...-

La sua rivelazione, però, non parve deluderlo affatto. Anzi, sorrise compiaciuto proprio come se gli avesse appena dato la risposta che più sperava ricevere da lei.

-Ancora meglio: così, anziché ritornare ognuno a casa propria, potremo andare insieme da qualche altra parte...-

A quella proposta talmente sentita il suo cuore ebbe come un sussulto, e lei rimase così senza fiato, così conquistata, da arrivare a chiedersi tra sé se fosse o meno possibile innamorarsi per una seconda volta della stessa persona di cui già si è innamorati.

Razionalmente, sarebbe una contraddizione in termini. Esistenzialmente, rappresenta una condizione irripetibile. Sentimentalmente, però, a lei sembrava non solo possibile, ma quasi un esito inevitabile, con quel ragazzo. Anzi, aveva la netta sensazione che in seguito sarebbe stata capace d'innamorarsi di lui ancora, e che avrebbe potuto farlo per un'infinità di altre volte.

E pensare che quella futura era una prospettiva cui mai si rivolgeva, per la sua troppo incerta indeterminatezza, per il timore di nutrire false speranze... Tuttavia, a ben riflettere, neppure in quel momento si sentiva già proiettata in avanti, verso giorni ancora a venire, prefigurandoseli tutti assieme a lui fino ad un fatidico lieto fine. Se quella storia avesse funzionato per davvero come sembrava promettere, se realmente sarebbero riusciti ad arrivarci in fondo ancora mano nella mano, non se lo voleva affatto immaginare...

Desiderava scoprirlo.

E le scoperte migliori, più belle, sono quelle che giungono inaspettate. Per questo, se più avanti qualcuno le avesse chiesto quale dei loro momenti assieme le sarebbe piaciuto rivivere, lei avrebbe scelto proprio quell'istante. Avrebbe voluto fermare il tempo lì, subito dopo quella frase che chiunque avrebbe pronunciato al condizionale, concluso con un punto interrogativo, ma che lui aveva detto con sicurezza, e lasciata aperta con innumerevoli puntini di sospensione. Ed erano talmente tanti, che non si potevano neppure scorgere tutti, né apprezzare in simultanea. Si poteva guardare per davvero solo quello presente e, con la coda dell'occhio, intuire l'imminente approssimarsi degli altri. Così, quando poi sarebbe giunto anche il loro turno, quell'arrivo avrebbe comunque rappresentato una sorpresa, e lei si sarebbe di nuovo innamorata di lui.

In quel modo, quel sentimento che le aveva acceso dentro non si sarebbe mai spento.

Qualora avesse gettato sin dall'inizio tutta la legna di cui disponeva per l'inverno nel proprio focolare, avrebbe commesso un terribile errore, perché sarebbe arsa completamente in una fiammata improvvisa, che avrebbe persino potuto scottarla. Se, invece, l'avesse saggiamente alimentato poco per volta, curandolo con costanza per individuare e non perdere i momenti giusti per attizzarlo, per impedirgli di estinguersi, allora sarebbe riuscita a far perdurare quello stupendo tepore, e le avrebbe tenuto compagnia per sempre. Dopotutto, era un amore troppo unico e vero per correre il rischio di bruciarselo subito, riducendolo in cenere. Lei voleva permettergli di ardere a lungo, per tutto il tempo che le sarebbe stato concesso di abitare presso quel camino... e magari anche oltre, laddove fosse riuscita a prorogarne l'affitto. L'avrebbe rinnovato più che volentieri, il suo contratto con quel giovane, eppure tanto esperto locatore. Anzi, era già disposta a rendersi disponibile, a rassicurarlo in merito all'accordo preliminare che le stava così cortesemente porgendo. Tanto non aveva bisogno di leggerne le condizioni, per sapere che erano le più vantaggiose che avrebbe mai potuto richiedere: poteva firmarlo subito, e l'avrebbe accettato con entusiasmo.

-Questa è davvero un'idea fantastica.-

E, da quel giorno in poi, il suo vero posto sarebbe stato quello al suo fianco.

 

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by his side ~

 

My last night here with you?
Maybe yes, maybe no...

 

Ce l'aveva fatta, ormai non c'erano più dubbi.

Eppure, non poteva ancora ritenersi del tutto soddisfatto, mettersi a cantare vittoria. Era riuscito a pescare la sfuggevole creatura da lui ambita, che l'aveva tanto ossessionato, ma non sapeva come fare a trasferirla nel suo acquario personale. Però era certo che si dovesse sbrigare a farlo, che non si poteva permettere di limitarsi a guardarla boccheggiare sulla sua barca ancora per molto, sperando che ci saltasse dentro da sola, perché anzi rischiava che, a lungo andare, riuscisse a rituffarsi in acqua...

E lui sarebbe stato punto e accapo.

Era giunto il momento di un'iniziativa più esplicita... in tutti i sensi: aveva controllato sul sito dell'università di Domino, ed il semestre accademico si sarebbe concluso il 21 di dicembre. Aveva dunque a disposizione appena due settimane, per intraprenderla. Ma che, dal suo punto di vista, gli erano comunque più che sufficienti per pianificarla con attenzione ed attuarla con la dovuta cautela.

Ma, forse proprio perché sapeva di poter confidare su una scadenza non particolarmente stringente, peccò di superficialità, rimandandola giorno dopo giorno in attesa della giusta ispirazione, per poi ritrovarsi all'ultimo senza aver ancora concluso un bel niente. Aveva sottovalutato con sufficienza il problema da risolvere, e sopravvalutato con arroganza la sua abilità nel cavarsela in qualunque situazione. Ma, più di tutto, si era lasciato frenare dall'inconscio, irrazionale timore di essersi illuso, di non aver affatto conquistato quella ragazza come tanto si era auspicato. Oggettivamente, la sola circostanza che gli rivolgesse un sorriso prima di saluto, e poi di commiato non provava nulla. Confermava soltanto quanto fosse gentile a contraccambiare quelli che le rivolgeva lui, ed estremamente dolce a farlo sempre con quella sua grazia limpida, disarmante, che lo trafiggeva al petto col solo sguardo e gli scioglieva il cuore... Questione di pochi attimi, però, perché poi glielo strappava via brutalmente non appena si voltava e ritraeva il suo dardo, distogliendo gli occhi altrove. Costringendolo ad abbassare i propri, a raccapezzarsi dal turbamento in cui finiva per abbandonarlo.

In definitiva, tutto ciò che dimostrava era solo quanto fosse ormai innamorato perso di quella ragazza.

Al punto che si ritrovò a chiedersi se l'avesse intrappolata per davvero, o se fosse stata lei ad arretirlo con i suoi occhi blu fino a vincerlo, a catturarlo una volta per tutte. E questa tremenda incertezza, la difficoltà di discernere chi dei due fosse effettivamente in vantaggio e stesse tendendo sotto scacco i sentimenti dell'altro, gli rendeva impossibile ponderare le sue mosse successive. Sarebbe solo andato allo sbaraglio, e a lui non piaceva giocare d'azzardo. Era disposto ad esporsi unicamente a rischi calcolati e, dunque, evitabili con le dovute precauzioni.

Previsione che però in quel caso gli era quanto mai nebulosa, non riuscendo nemmeno a scorgere quali e quanti pezzi disponesse sulla scacchiera, né dove fossero posizionati rispetto a quelli avversari.

Così, quando la mattina del 21 dicembre aprì gli occhi, realizzò per la prima volta nella sua vita quale fosse stata quella sensazione che dicevano tanto di provare i suoi vecchi compagni di classe quando si presentavano a scuola senza aver svolto i compiti a casa...

Un'angoscia davvero tremenda.

Ed il suo stato d'animo non migliorò nelle ore successive... Tutt'altro, perché i suoi numerosi, ripetuti sforzi di correre ai ripari si rivelarono l'uno più fallimentare dell'altro. Confidando troppo nelle sue capacità si era offerto volontario per l'assegnazione dell'esercizio più difficile di tutti, ed il procedimento necessario per risolverlo era talmente articolato e differente da quello a lui abitualmente noto che aveva finito per riempire solo d'infruttuosi tentativi le pagine del suo quaderno. Il più delle volte si bloccava a metà, incapace di proseguire fino alla soluzione, mentre le rimanenti, in cui gli sembrava di aver avuto una buona intuizione, veniva inopportunamente interrotto nel suo ragionamento da qualcuno che lo riprendeva per la sua disattenzione, e lo costringeva a svolgere quelli che gli erano sottoposti come verifica. Così, una volta terminata l'incombenza di turno, che si trattasse di una telefonata, della stipula di un contratto o di una riunione amministrativa, il suo quesito irrisolto continuava a rimanere tale, perché la lampadina che gli si era accesa in testa si era nel frattempo spenta per carenza di alimentazione.

Tuttavia, contrariamente a quanto aveva confidato, neppure quando riuscì ad avere un po' di tranquillità durante la pausa pranzo gli venne la benché minima illuminazione. Ovviamente avrebbe potuto approfittarne per telefonare e chiedere un parere terzo a qualcuno più esperto in materia, ma l'orgoglio gli impediva di rivolgersi all'unica persona con cui si sentiva in confidenza perché, insomma, si trattava pur sempre del suo fratellino. Non se l'augurava affatto, ma casomai si fossero trovati ad affrontare simili discorsi, desiderava essere lui ad offrirgli dei consigli, ad essergli d'esempio, non certo il contrario... Avrebbe reso una conversazione già di per sé scomoda a dir poco imbarazzante. E l'avrebbe costretto a delle confessioni così avvilenti da fargli perdere ogni dignità come fratello maggiore.

Ed ancor meno poteva chiedere un qualsivoglia tipo di suggerimento ad altri conoscenti, neppure in modo noncurante. Dopo anni trascorsi a proclamare la propria superiorità, a trattarli con disprezzo, non solo non gli avrebbero permesso di copiare i loro compiti, ma avrebbero persino potuto dileggiarlo. Non si sarebbe mai fatto umiliare a tal punto, e comunque sarebbe stato avvilente già solo rivolgersi ad altri in cerca d'aiuto, per farsi spiegare in che modo comportarsi da uomo. Né sarebbe ricorso ad altri biechi, disperati sotterfugi come cercare la risposta al proprio problema su Internet, perché allora sì che avrebbe raggiunto il culmine del degrado.

Purtroppo, però, rischiava di fare una figura ancora peggiore con la sua adorata maestra. Nonostante ne fosse diventato il pupillo, se non le avesse consegnato nulla ne sarebbe rimasta infinitamente delusa, l'avrebbe punito con una nota di demerito, mentre se le avesse fatto correggere un elaborato non all'altezza delle attese, pieno d'errori, avrebbe finito per macchiare per sempre la sua reputazione da studente modello. Certo, nei voti non era affatto spietata, ed anzi la sapeva troppo indulgente per attribuire insufficienze irreparabili; inoltre poteva confidare già che, a fronte di una valutazione negativa, gli sarebbe stato concesso un po' di tempo prima di vedersi assegnare nuovi esercizi, di provare a rimediare a quello fallito... Tuttavia, anche se fosse riuscito a salvarsi dalla bocciatura, la sua media finora perfetta sarebbe stata irrimediabilmente rovinata. Rischiava di non ricevere più le lodi della sua insegnante, e soprattutto che iniziasse a preferirgli alunni meno talentuosi ma più ruffiani ed abili di lui nell'accattivarsi le sue simpatie. Ed allora avrebbe anche potuto decidere di ignorare le sue mani alzate, se non addirittura di assegnare ad altri il posto che aveva con così tanta, meritata e faticosa costanza conquistato alla sua cattedra, relegandolo nelle ultime file.

Perciò, si risolse ad avviarsi con maggior anticipo del solito verso la sua aula, augurandosi di riuscire a trovare nell'attesa una qualche idea confacente ai propri scopi. Mai aveva mancato una scadenza, e tantomeno l'avrebbe fatto con quella più importante di tutte.

Ancora non poteva sapere quanto quelle sue speranze fossero mal riposte, del tutto ignaro della serie di imprevisti che gli si sarebbero frapposti lungo il tragitto, scombinandogli le carte e costringendolo a ripiegare su un quanto mai improvvisato piano di riserva.

Quantomeno la prima non gli giunse completamente inaspettata, perché aveva già avuto modo di apprezzare dalle finestre del proprio ufficio gli svariati centimetri di neve che nel corso della giornata erano andati ad imbiancare la città. Spettacolo suggestivo e gradevole alla vista, ma che per lui non rappresentavano altro che un'intollerabile seccatura. Il maltempo in generale, lo era: si rifletteva automaticamente sul suo umore, purtroppo. E non certo per meteoropatia, ma per una ben più lucida reazione alla desolante incapacità del resto del mondo nel gestirne gli inconvenienti. Se bastava un po' di pioggia per creare ingorghi nelle strade e, con essi, intollerabili ritardi generalizzati, figurarsi nelle rare occasioni in cui nevicava... Il panico nelle strade, quando invece sarebbe bastato dotarsi di gomme adeguate per poter circolare senza troppe difficoltà anche nei tratti meno trafficabili. Ormai era giunto alla conclusione che la gente non facesse uso di quello come di nessun altro accorgimento apposta, in modo da poter poi utilizzare il tempo quale pretesto per timbrare il cartellino fuori orario, o non timbrarlo affatto.

Comunque, per una volta non doveva affatto preoccuparsi del traffico, ma solo di raggiungere asciutto la fermata sottostante alla sede della sua società. Si trattava semplicemente di attraversare la strada e percorrere un centinaio di metri, ciononostante si munì di ombrello e si incamminò lungo quel breve percorso con la massima cautela, per impedire alla neve in cui ogni tanto sprofondava di bagnargli i vestiti. Uno sforzo inutile, però, perché quella riuscì comunque ad infilarsi dentro ai suoi mocassini che, per lo meno, erano impermeabili, fino ad inzuppargli le calze e l'orlo troppo chiaro dei pantaloni. Disagio fastidiosissimo ed irrimediabile: non si sarebbe mai asciugato per tempo, per cui sperava solo che non si notasse più di tanto... E che il vento non gli spettinasse troppo i capelli. O che non si increspassero troppo per l'umidità.

Che diamine, proprio il giorno in cui avrebbe dovuto apparirle al meglio delle sue possibilità, rischiava di presentarsi conciato peggio di un vagabondo.

E, per non accentuare troppo quell'orrenda immagine di sé, aveva deciso di abbandonare la valigetta in ufficio. Non aveva affatto bisogno di altra roba in mano ad ingombrarlo e a rendergli impacciati i movimenti. E comunque era meglio così, o avrebbe di certo finito per cedere vigliaccamente alla tentazione di accendere il portatile sul treno. Quel giorno, doveva concentrarsi su di lei soltanto, non nascondersi come al suo solito dietro ad uno schermo LCD.

Un paio di minuti, comunque, gli furono sufficienti per giungere alla sua meta. Leggermente scocciato dal fatto che, a causa del maltempo, ci fossero ben più persone del normale intente a formicolare nei pressi della fermata. Si augurò di non ritrovarsi tutta quella gente sul suo stesso mezzo, perché sarebbe stato davvero arduo, allora, riuscire a sedersi al solito posto e a tener libero quello corrispondente per la sua compagna di viaggio preferita... Ma smise presto di pensarla così non appena iniziò a ponderare la possibilità che, anziché cercare di contrastarla, poteva sfruttare quella situazione a suo vantaggio. Lasciare che altri ne occupassero uno, per poi proporle di sedersi accanto a lui...

Ma tutti i suoi progetti andarono in fumo non appena giunse in prossimità del proprio binario, ed ebbe modo di notare un'anomalia che lo mise subito in allarme.

La banchina era deserta.

Il respiro gli si bloccò in gola. Perché non era possibile, non poteva aver perso il treno... Si era premurato di arrivare in abbondante anticipo proprio per evitare una simile eventualità, e comunque il suburbano faticava già quotidianamente ad essere puntuale, che fosse riuscito a batterlo sul tempo in un giorno in cui tutto il mondo pareva muoversi al rallentatore era fuori da ogni logica.

Si appellò al tabellone in cerca di una rassicurazione e, com'era ovvio, scoprì di avere ragione: non aveva affatto perso il treno. Se non ce l'aveva davanti non era per colpa sua, ma dell'inetta incompetenza dei servizi pubblici cittadini che gliel'aveva del tutto cancellato.

Rimase fisso, sconcertato davanti a quella scritta inaccettabile, finché dagli altoparlanti della stazione non giunse il suono di una voce sintetizzata, che gli fece persino l'affronto di rinfacciargli che, per quanto potesse indignarsi, nulla avrebbe potuto cambiare il fatto che tanto il suo treno ormai era già stato soppresso. Men che meno lui.

Vero, le riconobbe. Ma solo per il momento... Perché era altrettanto certo che, ben presto, avrebbe fatto causa per danni morali all'idiota che gestiva quella linea e trovato il modo per vendicarsi di lui, mandandolo miseramente in bancarotta.

Ma evitò di gridare quella sua minaccia all'indirizzo dell'altoparlante, tenendosela per sé. Sarebbe stato tutto fiato sprecato, e non sarebbe mai andata a segno. L'avrebbero sentita solo i pochi passanti presenti nei paraggi e che, verosimilmente, l'avrebbero preso per matto. Né sarebbe valsa a sollevarlo dall'unico, vero cruccio che a quella scoperta aveva iniziato a mandarlo nel panico...

Non l'avrebbe più rivista.

Nella sua mente, però, risuonarono “no” a ripetizione, e sempre più perentori. Perché no, non accettava che finisse così. Sarebbe finita come voleva lui, e se il resto del mondo non era d'accordo allora poteva rassegnarsi, perché a suo parere quell'opinione non contava proprio nulla, né intendeva farsene un problema. Intendeva risolverlo, e trovare all'istante una soluzione alternativa che potesse comunque condurlo al risultato che voleva ottenere. E l'avrebbe raggiunto, punto. A qualunque costo e con qualunque mezzo.

Pertanto, non perse altro tempo prezioso con quello, ritornò rapidamente sui propri passi e, una volta in strada, fermò imperiosamente il primo taxi di passaggio per farsi portare subito all'università di Domino.

Di certo se ci fosse arrivato in limousine avrebbe fatto tutt'altra scena, ma ormai aveva già dispensato il proprio autista e non poteva certo permettersi di attendere oltre. Doveva riuscire ad intercettarla lungo il tragitto, prima che riuscisse ad arrivare alla sua fermata e decidesse di tornare a casa in altro modo.

Cascasse il cielo, quel giorno l'avrebbero fatto insieme.

Purtroppo, però, anche se l'università non distava molto dalla sede della KC, il taxi non poteva comunque volare, e ben presto fu costretto a realizzare che non sarebbe mai arrivato in tempo per andare a prenderla all'uscita... Abbassò lo sguardo sulle lancette del suo orologio, trovando conferma del proprio presentimento: erano le 19 passate. A quell'ora, doveva aver già raggiunto i binari...

Non gli restava che fare altrettanto.

Ma, prima ancora che potesse dare alcuna istruzione all'autista, lo sguardo gli cadde su una persona che, proprio in quel momento, stava procedendo sul marciapiede in senso opposto al suo. Fu un caso, proprio come la prima volta che l'aveva vista. E, come allora, fu questione di un secondo riconoscerla, e questione di un attimo perché svanisse dalla sua vista, in quel battito di ciglia che gli fece inavvertitamente chiudere gli occhi. Quando li riaprì, il taxi l'aveva ormai superata, lasciandola alle sue spalle, diretta verso l'ingresso della metropolitana.

Il secondo dopo, si voltò all'indietro, ordinò all'autista di accostare all'istante, e si scaraventò fuori dall'abitacolo per rincorrerla.

Metaforicamente parlando. Non poteva certo mettersi a correre sulla neve... Però aveva un passo ben più lungo, rapido e sicuro del suo, per cui confidava di accorciare entro breve le loro distanze abbastanza da poterla acciuffare. Era talmente determinato a riuscirci, che si dimenticò persino dell'ombrello che aveva tenuto stretto tra le mani fino a quel momento, se non quando alcuni fiocchi di neve gli bagnarono fastidiosi il viso. Ma non l'aprì comunque, l'avrebbe solo rallentato e lui non aveva davvero bisogno di altri inconvenienti. Tutte quelle barriere, quegli ostacoli fisici e mentali che li avevano continuamente tenuti separati l'avevano ormai esasperato. Quella volta, non avrebbe titubato davanti a delle porte scorrevoli, né si sarebbe fatto bloccare dalle sue insicurezze. Non poteva mancare quell'occasione imperdibile, né attendere certezze che mai avrebbe potuto acquisire... Non restando inerte, almeno. Ad aspettare troppo, rischiava solo d'aspettare in eterno.

E per lui 3000 anni erano già stati anche fin troppi.

Come sperava, la raggiunse appena varcato l'ingresso della metropolitana. Tuttavia, quando si ritrovò alle sue spalle, a pochi passi da lei, si rese conto di non saper affatto come fare per fermarla. Di non essere riuscito, in oltre due mesi, a scoprire un'informazione di primaria importanza, il nome della sua ragazza dagli occhi blu. L'aveva sempre pensata in quel modo, ma non poteva certo chiamarla così...

Provò ad attirare la sua attenzione con un “aspetta”, che però non venne per nulla sentito, o comunque considerato nella sua indeterminatezza. Serrò le labbra contrariato, e si allungò verso di lei per provare con un secondo tentativo, magari sfiorandola con un lieve tocco, giusto il necessario per indurla a voltarsi...

Ma non riuscì a dirle nulla, né a completare il suo gesto.

La ragazza che aveva davanti scivolò sul pavimento, e cadde all'indietro con un'esclamazione improvvisa. A quel punto, nel giro di un secondo lui riuscì contemporaneamente a sbattere le palpebre dalla sorpresa, lasciar cadere l'ombrello, afferrarla prontamente per la vita, arretrare con una gamba per frenare l'urto, stringerla a sé ed esibirsi in un sorriso vittorioso.

Aveva pescato il jolly.

Inaspettatamente quello strano corso degli eventi, quell'assurda successione di sfortune e di coincidenze gli avevano permesso di ritrovarsi infine con la mano migliore possibile, proprio con la combinazione di carte che aveva tanto desiderato.

Non gli restava che giocarle a dovere.

-Presa appena in tempo.-

La sua frase ad effetto non parve però riscuotere grande successo, perché neppure questa volta gli giunse da lei la benché minima risposta. Anzi, la sentì irrigidirsi tra le sue braccia e tentare di allontanarsi dalla sua stretta. Ma ovviamente lui non intendeva più permetterle di sfuggirgli, non senza opporre almeno un po' di resistenza. Dunque rinsaldò ostinato la presa, e le si affiancò per guardarla dritto, per trattenerla una volta per tutte con una domanda ineludibile.

-Tutto bene?-

E non fu neppure troppo una frase di circostanza, perché lei lo stava guardando con degli occhi sgranati, un'espressione shockata, il volto sbiancato dallo spavento e gote che si fecero improvvisamente paonazze.

Non era esattamente quello, l'effetto che avrebbe voluto farle...

Poi però la ragazza tra le sue braccia si riscosse, e parve ritrovare il dono della parola.

-Sì... Sì, sto bene, grazie a lei.-

Allora lui accennò un sorriso gratificato, e fu costretto a scioglierla dalla sua stretta. Privarsi della fresca delicatezza del suo profumo, e del soffice, intenso tepore avvertito nell'aderire a lei...

Una sensazione davvero strana, quella. Inspiegabile.

Tra i loro corpi non c'era stato alcun contatto che potesse aver dato adito ad una trasmissione di calore, eppure lui l'aveva provato lo stesso. Gli aveva infuocato il petto come in una vampata improvvisa, che ancora lo lambiva dentro, languida d'essere nuovamente rinfocolata da lei. Ma non per conduzione, tra loro non c'era stato alcun processo termodinamico... Era stato un moto interno, una reazione chimica che chissà come era riuscita ad innescare. Ma non gli sarebbe affatto dispiaciuto ripeterlo, come esperimento. Provare a verificare la sua tesi, poter apprezzare una seconda volta quel misterioso, ma così attraente fenomeno...

Preferibilmente, in una maniera un po' meno burrascosa.

-Cerca di prestare più attenzione, la prossima volta...-

Quell'ammonimento gli scappò involontario dalle labbra, e per un attimo temette di aver appena fatto un'uscita davvero pessima, di esser stato un po' troppo sgarbato... Ma lei non abbassò lo guardo con fare mortificato, né strinse le labbra dal risentimento. Anzi, gli replicò a testa alta, risoluta a difendere il proprio onore.

-Ha ragione, ma... ero di fretta, non volevo perdere il treno.-

A quella rivelazione, non poté proprio evitare di rivolgerle un sorriso denso di sarcasmo.

-Una preoccupazione inutile, visto che è stato cancellato.-

Lei socchiuse le labbra, incredula.

-Davvero?-

Inarcò un sopracciglio con ovvietà.

-Non mi troverei qui, altrimenti: ha lasciato a piedi anche me.-

Al che la ragazza davanti a lui abbassò un attimo i suoi occhi blu, scuotendo la testa con fare sconsolato.

-A volte capita... e purtroppo sempre nei momenti peggiori.-

Ma non sempre tutto il male viene per nuocere, considerò tra sé.

-I momenti si possono sempre migliorare, però... Ad esempio, potrei offrirti un passaggio.-

E glielo propose con il suo miglior tono accattivante, con le sue parole più invitanti... Un'offerta che nessuno, neppure lei, avrebbe mai potuto rifiutare.

Quanto si sbagliava.

-No, si figuri... Non deve sentirsi in obbligo, aspetterò il prossimo treno.-

Sbatté le palpebre, disorientato da quella risposta così opposta al suo volere, ad ogni sua aspettativa. Tuttavia, non se ne offese, né rimase deluso. C'era stata una nota di doloroso rammarico nella voce di lei, ed intravide l'ombra del dispiacere in quello sguardo che abbassò umilmente, tanto che le sue parole suonarono più come un disfattista, inaccettabile “vorrei ma non posso”.

Non riusciva a capire che razza di problemi si stesse facendo, ma visto che non era capace di liberarsene da sola ci avrebbe pensato lui, a risolverglieli. Una volta per tutte, e che diamine!

-Ma ti ho raggiunto proprio per chiederti di venire con me... Insisto. Non voglio che tu debba attendere al freddo, per chissà quanto tempo.-

Lei allora aprì i suoi grandi occhi blu su di lui, guardandolo come se l'avesse riconosciuto solo in quel momento. Come se fosse la prima volta che riusciva a vederlo per davvero... Poi, dopo quell'attimo d'intima contemplazione, aprì le labbra in un sorriso gioioso, e gli diede finalmente l'unica risposta che desiderava ricevere, e la sola che fosse disposto ad accettare.

-Se è così, accetto con piacere.-

Annuì soddisfatto.

-Perfetto. Andiamo, allora.-

Detto questo si voltò, e si piegò per recuperare l'ombrello che aveva lasciato abbandonato sul pavimento, ma che ora gli tornava quanto mai utile. Lo liberò con un moto di disgusto da quel miscuglio acquoso con cui si era impregnato, dunque lo aprì per proteggere quella sconsiderata di una ragazza. Tanto per cambiare era vestita come se non avesse nemmeno guardato fuori dalla finestra prima di uscire di casa. Senza guanti, senza ombrello, con i vestiti ormai fradici per la neve, e per il freddo le mani cianotiche, il naso arrossato, le gambe mezze scoperte che le tremavano leggermente, attraversate dai fremiti. Sembrava sul punto di morire assiderata... e di certo, con quelle scarpe da passeggio non sarebbe andata molto lontano.

-E' meglio se ti aggrappi a me. E tienti stretta: almeno se dovessi scivolare di nuovo eviterai di cadere.-

Lei sollevò sorpresa lo sguardo, arrossendo un poco. Ma poi gli si avvicinò ed accettò il braccio che gli stava porgendo con fare incoraggiante, passandovi sopra il proprio, piegandolo appena, appoggiando delicata la mano sul suo avambraccio. Un dito dopo l'altro, che picchiettarono in una lenta, ben distinta successione quasi sulla sua stessa pelle.

Ed avvertì per una seconda volta quella sensazione stupenda...

-A meno che non faccia cadere anche lei.-

Quel commento ironico giunse alle sue orecchie stonato, una prospettiva sgradevole che scacciò subito dalla sua mente scuotendo il capo. Nulla, nulla avrebbe rotto quell'incanto.

-Non succederà.-

Ed in via precauzionale l'assicurò a sé, portandola ben vicina al suo fianco, sigillando indissolubilmente il loro intreccio.

Anche quello fu strano.

Era come se quell'esile braccio sottile fosse stato fatto apposta per incastrarsi col suo alla perfezione, allungandosi senza tirare, sovrapponendosi senza stringere, e a lui fosse estremamente naturale offrirle l'accogliente conforto di cui aveva bisogno. Ed anche quando mosse i primi passi, indeciso sull'ampiezza della falcata da compiere e sul ritmo dell'andatura da tenere, fu una sorpresa notare che lei non tendeva a rimanergli indietro, ma a coordinarsi ai suoi movimenti, a camminargli al fianco quasi per automatismo. Fidandosi subito, ciecamente, della sua guida. Con un'espressione di assoluta serenità, senza neppure guardare dove stesse poggiando i piedi.

Fu persino spiazzante, sulle prime. Poi, però, quella sua spensieratezza gli si diffuse nell'animo, e dismise anche lui ogni disagio, ogni rigidità, ogni pensiero. Distolse gli occhi dalla strada, e li volse intorno a sé. Su quei fiocchi che volteggiavano lievi, e che danzavano leggiadri assieme ai capelli argentati della ragazza accanto a lui, mossi dal vento, confusi nel candore loro circostante, illuminati dal baluginio degli addobbi che scintillavano ad intermittenza lungo la strada.

Non li aveva neanche notati, prima.

Si accorse di non aver notato un sacco di cose, in realtà... ma che grazie a lei, di riflesso, riusciva a percepire in tutta la loro essenza. Si ritrovò a guardare la neve proprio come quando, da bambino, accorreva assieme a suo fratello alla finestra, ed appoggiava estasiato le mani sul vetro, il cuore in fermento per quella sorpresa inaspettata, la mente tutta intenta a prefigurarsi il momento in cui ne fosse scesa abbastanza per poter uscire in giardino a giocare. A sperare che continuasse a cadere ancora per molto, sempre di più, tanta da sprofondarci dentro, abbastanza da poter costruire assieme il più grande, enorme pupazzo di neve possibile.

A quel ricordo così vivido, a quelle schegge di una vita a lui ormai lontana, al sapore amaro di emozioni più provate si ritrovò turbato, scosso dall'incomprensione. Non riuscendo a rammentare quando avesse smesso di considerare la neve uno spettacolo quasi magico, anziché della semplice acqua cristallizzata. Di accoglierne l'arrivo entusiasta, animato di progetti e dalla voglia di fare, anziché irritato, scocciato da quell'ostacolo inopportuno. Ne intuiva la ragione, quel demone che aveva esiliato per sempre nella sua cantina, ma non capiva perché, anche dopo la sua dipartita, il suo spirito fosse rimasto spento, oppresso dalle limitazioni con cui l'aveva tormentato...

Era padrone di sé, ora. Poteva decidere della sua vita.

Non era più costretto all'isolamento. Poteva uscire dalla sua solitudine.

Le persone con cui condividere il suo futuro non gli mancavano, dopotutto. Non doveva far altro che socchiudersi, prestar loro la sua stilografica e lasciare che riscrivessero nel suo cuore parole dimenticate, recuperassero attimi perduti, ritrovassero desideri inespressi. Raccontandogli quanto fosse appagante quella genuina semplicità a loro così familiare, ma a lui così inedita. Provandogli che sarebbe riuscito ad apprezzarla a sua volta se si fosse rivolto al mondo con occhi diversi, se l'avesse guardato sotto la luce giusta. Mostrandogli come poteva essere con loro, e come voleva essere per loro.

Ma fu questione di pochi attimi, quell'epifania.

Gli era apparsa come un miraggio nel deserto, baluginando in lontananza, ma non riuscì a concentrarsi abbastanza su di essa, a capire se quella fosse proprio la proiezione della meta che il suo cuore aspirava raggiungere, perché in breve arrivò alle porte della sua vera destinazione. Ed il vento spazzò via con sé quella visione, privandolo delle sue suggestioni.

Si riscosse all'improvviso, e si affrettò ad interrompere quel silenzio che aveva lasciato cadere per aprire la portiera posteriore ed invitare la ragazza a salire sul taxi. Lei allora scivolò via dal suo braccio, e si separò da lui con suo estremo rammarico. Nonostante il tempo avverso, nonostante il freddo pungente, avrebbe davvero preferito proseguirla, quella loro passeggiata. Proseguirla e basta.

Sospirò appena tra sé, e la raggiunse nell'abitacolo. Un po' straniato. Era davvero una novità, per lui, accompagnare qualcuno all'interno di una vettura, anziché essere accompagnato da altri per obbligo di servizio. E farlo con tanto piacere.

Quando furono entrambi a bordo, l'autista si voltò a chieder loro indicazioni. Sollecitò la ragazza accanto a lui a fornirgli il suo indirizzo, e si premurò di fissarselo per bene anche nella propria memoria.

Ottenuta quell'informazione, il taxi ripartì sollecito, e solo allora, volgendosi verso di lei, si accorse di averla seduta alla sua destra, al posto accanto al suo. Proprio come aveva tanto desiderato. Vicina abbastanza da poter sentir rallentare il soffio del suo respiro, da poter distinguere i fiocchi di neve che le si erano posati sui capelli, imperlandoli come la rugiada lungo i fili di una ragnatela. Ma, essendo altrettanto fragili, le bastò una rapida passata per disperderli, privarlo di quell'immagine di lei così poetica.

Eppure, trovò quella seguente, più concreta, altrettanto incantevole...

Forse fu perché per la prima volta si scoprì il capo, lasciando libera quella chioma che aveva tenuto sempre, ingiustamente nascosta. Oppure perché si allentò la sciarpa in cui aveva sprofondato il viso, o perché si aprì il suo cappotto blu cobalto abbastanza da svelare quell'abito color panna che portava indosso, e che tanto le donava.

Diamine. Era quanto di più grazioso i suoi occhi avessero mai visto... Tanto che il suo cuore ebbe per un attimo un sussulto, quando lei sollevò cauta lo sguardo su di lui, e si strinse imbarazzata le mani in grembo, e si mordicchiò incerta il labbro inferiore, per poi parlargli sommessamente.

-Non so davvero come ringraziarla per la sua gentilezza, signor Kaiba...-

Sbatté le palpebre, preso in contropiede. Era davvero raro che qualcuno diverso da suo fratello mostrasse dell'autentica riconoscenza nei suoi confronti, ed ancor più che arrivasse a definirlo gentile con una tale, sentita sincerità. Non gli sembrava di aver fatto nulla di speciale, in fondo. Non gli era costato nessuno sforzo, nessun sacrificio... Si era solo limitato ad assecondare i suoi desideri, e deciso a realizzarli. E, se alla fine li aveva esauditi, era stato solo per merito suo, perché anche lei li aveva sentiti come propri. Idealisticamente, era più lui ad essere in obbligo nei suoi confronti...

Perciò, tutta questa sua gratitudine gli parve decisamente fuori luogo. Però, visto che ci teneva così tanto a sdebitarsi con lui, a ricambiare in qualche modo per non sentirsi più in una posizione di difficoltà, forse poteva spingersi ad offrirle un suggerimento in merito.

-Potresti iniziare dandomi del tu, non credi?-

Di certo l'avrebbe reso meno a disagio, anziché sentirsi appellare in una maniera tanto fredda, formale e distaccata da una persona a lui ormai così vicina, sia fisicamente che in senso affettivo...

E fu con piacere che notò quanto la sua idea fosse stata ben accolta, fosse bastata a mettere anche lei più a proprio agio. Sollevò convinta il viso, e gli rivolse uno di quei sorrisi spontanei che le venivano tanto bene.

-Potrebbe essere un buon inizio... A proposito, io sono Kisara.-

Socchiuse appena le labbra, stupito da quella rivelazione così inaspettata, ed ancor più costernato da quanto, ciononostante, fosse suonata alle sue orecchie come la conferma di un'informazione a lui già nota. Non necessaria. Perché nonostante l'avesse sempre, razionalmente, tenuta ben distinta dalla sua versione passata, la luce che tanto la caratterizzava era rimasta immutata nel tempo. E lui l'aveva riconosciuta subito, sin dalla prima volta che l'aveva vista, con la stessa immediatezza con cui lei era riuscita ad attraversare lo spazio infinito che per un tempo millenario li aveva tenuti separati. Rendendo relativo ciò che per chiunque sarebbe stato oggettivamente insuperabile. Riattivando con una semplice scintilla quella passione immensa, sempiterna, che era rimasta sopita nei meandri del suo cuore...

Non poteva proprio chiamarsi in altro modo, comprese.

-Lo so. Ci siamo già conosciuti, ricordi?-

Gli era sfuggita.

Quella confessione così autentica e pericolosa era emersa dai suoi pensieri più reconditi fino a prender voce, trasformandosi in un'affermazione illogica e in una domanda incomprensibile.

Ci fu per un secondo un silenzioso scambio di sguardi: il proprio timore incrociò a mezza strada la sua perplessità. Tuttavia, in quel punto d'incontro lui riuscì comunque a trovare una rassicurazione, e lei un significato alle sue parole.

-Sì, è vero.-

Ecco, era successo di nuovo. L'aveva frainteso, eppure l'aveva compreso alla perfezione. Gli aveva risposto nello stesso, esatto modo che si era auspicato... E lui si chiese ancora, stupefatto, come caspita facesse ad utilizzare tanto bene quel loro linguaggio a lei del tutto segreto. Lui aveva avuto bisogno di sentirlo innumerevoli volte, prima che gli entrasse in testa, ed anche dopo aveva fatto così tanta fatica, prima di riuscire ad impararlo a dovere. Lei, invece, ne era inconsapevole, però lo comprendeva e lo parlava con la più completa padronanza, proprio come lui trovava istintivo riuscire a decifrare i simboli dei geroglifici.

Vite passate che ancora gli appartenevano, sentimenti incondizionati che mai li avevano abbandonati.

Ed allora una morsa tremenda lo avvinghiò allo stomaco, lo fece vacillare ad un dubbio indistricabile. Che lo costrinse a chiedersi se fosse giusto, approfittarsi della sua ingenua ignoranza per riuscire ad ammaliarla. Se non avesse anche lei il diritto di conoscere la vera ragione della loro intesa. Perché, per quanto sinceramente le potesse parlare, finché gliel'avesse tenuta nascosta avrebbe continuato a sentirsi schiacciato dai sensi di colpa come un bugiardo.

Però, svelarglielo avrebbe significato anche esporre i suoi sentimenti. Rivelarle che dei due era lei a vantare la forza gravitazionale maggiore, ad averlo attratto con l'influenza che riusciva ad esercitare su di lui. E, più di tutto, avrebbe significato narrarle una storia che lui stesso ancora non aveva compreso appieno, e forse mai ci sarebbe riuscito. Che andava così al di là della comune immaginazione da poterla anche spaventare, gravare del peso di una consapevolezza improvvisa che ne avrebbe di certo scosso la serenità con la violenza di un maremoto.

Così capì che sì, era una confessione che doveva farle, ma che andava fatta al momento giusto. Coltivata nel tempo, gradualmente, finché il loro rapporto non fosse divenuto maturo abbastanza da poter sbocciare confidando in un valido, incrollabile sostegno. Quando le sue radici si fossero sviluppate a sufficienza per poter accogliere tutta quell'acqua non come un'inondazione, ma come il nutrimento necessario a rinsaldarlo fin nelle sue profondità. Solo lui ne aveva avuto bisogno subito, per rendere di nuovo fertile un cuore inaridito, per poter germogliare alla sua luce. Senza, non l'avrebbe mai riconosciuta tra la folla. Non avrebbe mai deciso di cercarla di nuovo, il giorno seguente. Non avrebbe mai scelto di raggiungerla ancora, per tutti quelli a venire.

Non si sarebbe mai innamorato di lei.

Quando lei, invece, sembrava essersi innamorata di lui lo stesso.

Non di un sacerdote vissuto millenni prima, né di una celebrità intravista in foto sui tabloid. Quelle, d'altronde, erano immagini di lui che non gli appartenevano più, o che lo riguardavano soltanto superficialmente. E lei non era rimasta banalmente colpita da una sua mistificazione, si era sinceramente interessata a quel ragazzo che per tanto tempo l'aveva accompagnata a casa, e ne aveva fatta la conoscenza proprio come lui aveva fatto la sua. In modo lento e taciturno, costante ed essenziale. Ed era proprio quello che voleva, tutto ciò che davvero contava.

Il passato, ormai, aveva esaurito la sua funzione. Ora, non doveva fare altro che vivere il suo presente, ed impegnarsi a trasformarlo nel loro futuro.

Dunque, rinfrancato da questa sua determinazione, iniziò a parlarle. A sfruttare ciò che di lei sapeva per scoprire tutti quegli aspetti della sua vita che, da solo, non era riuscito a svelare. E ad ogni domanda riceveva una risposta così pronta e schietta, che ben presto i suoi lanci iniziarono a farsi sempre più precisi, andando in profondità, e non appena anche lei prese confidenza col suo gioco non esitò a ribattere con altrettanta destrezza ai tiri che le rivolgeva. Senza finire fuori campo una sola volta, senza mai cercare di metterlo in difficoltà mirando in punti a lui poco agevoli.

Si protrasse per oltre mezz'ora, quella loro partita.

Ed anche se non ci fu nessun vincitore, fu assolutamente meraviglioso, poterla giocare con lei. Neppure avrebbe avuto un senso mettersi a contare i rispettivi punti, perché la conclusero in assoluto pareggio, ancora sullo zero a zero. Non ci furono attacchi, animosità, colpi mandati a segno. Fu uno scambio amichevole, e sempre più intenso man mano che entrambi imparavano a vicenda qualcosa dell'altro, miglioravano le proprie tecniche, le adattavano fino a raggiungere una perfetta sincronia. Ad ogni punto interrogativo seguiva un'affermazione, ad ogni frase un commento, ad ogni argomento una nuova curiosità. E se all'inizio fu piacevole ricevere le sue parole, fu ancora più gratificante vedersi rivolgere quel sorriso aperto e disponibile quando rispondeva alle sue domande, come quello sguardo ammirato e denso d'interesse con cui l'ascoltava quando esprimeva un'opinione. Ed il modo con cui si adagiava sul fianco, appoggiando la testa al sedile, e veniva presa da qualunque suo racconto. Tanto che presto si sentì così sicuro di poterle dire tutto ciò che pensava, di poterlo esprimere prima ancora di riuscire a prefigurarselo, da lasciarsi andare ai commenti più viscerali e alle esclamazioni più improvvise.

Al che, puntualmente, lei scoppiava a ridere divertita, e lui altrettanto puntualmente rimaneva interdetto. Non riuscendo bene a capire che cosa avesse fatto scatenare questa sua reazione, né come la dovesse valutare. Non aveva fatto nessuna battuta, per cui non stava ridendo con lui. Ma non gli sembrava neppure di aver detto nulla di ridicolo, quindi non stava neppure ridendo di lui...

Si stava, semplicemente, divertendo assieme a lui.

Dunque, forse, poteva valutarlo come un fatto positivo. Incomprensibilmente, immensamente positivo. Sembrava riuscirgli proprio bene, dopotutto... Anzi, gli era riuscito prima ancora di poter fare la sua conoscenza, sin già da quando lei aveva messo piede a Domino, realizzò. Perché una delle prime confessioni che gli fece fu proprio quanto non sopportasse vivere in una città tanto grigia e caotica, così diversa dal suo tranquillo paese verdeggiante, e che se infine era riuscita ad apprezzarla un po', a sentirsi felice del luogo in cui si trovava, era stato solo grazie a quel pomeriggio che aveva trascorso a Kaiba Land. E glielo raccontò con un tale entusiasmo, e lo ringraziò con un tale accoramento, che i suoi gli parvero come i complimenti più lusinghieri ed appaganti che gli avessero mai fatto.

Né riuscì a trattenere un sorriso, quando gli rivelò quanto trovasse fantastico il suo Blue-Eyes White Dragon.

Perché non poteva essere altrimenti. Perché sapeva dal più profondo del cuore che lo pensava per davvero, e che non glielo stava dicendo solo per accattivarsi la sua simpatia. Fu limpidamente onesta, così come non finse di amare il Magic and Wizards giusto per compiacerlo. Anzi, non gli nascose di non averci mai giocato, di non conoscerne neppure le regole.

Ed il sorriso gli si spense, sopraffatto dallo sconcerto.

Inconcepibile. Inaccettabile. Inammissibile.

Se solo avesse avuto con sé la sua ventiquattrore, non avrebbe esitato ad estrarre all'istante il suo deck, metterle in mano delle carte ed iniziare a spiegarle come fare ad utilizzarle. Perché doveva assolutamente provvedere a colmare questa sua lacuna, trasmetterle la sua stessa passione per un gioco di cui lei era per vocazione la regina. Desiderava così tanto insegnarglielo, renderla abbastanza abile da poter duellare assieme. Mostrarle fiero gli ologrammi dei suoi draghi, che aveva programmato con così tanto amore. Portarla con sé ad assistere ai suoi scontri, perché potesse essere orgogliosa di lui, tifare per lui insieme a suo fratello.

C'erano così tante cose che avrebbe voluto fare con lei, si rese conto.

Nel parlare assieme quei desideri gli erano sbocciati nell'animo in una sequenza continua, e così potenzialmente infinita che non sapeva nemmeno se una sola vita gli sarebbe bastata, per esaudirli tutti. Tanto che quando il taxi terminò la sua corsa, si fermò davanti al piccolo, modesto condominio in cui abitava, ammutolì a guardarlo con enorme delusione.

Di già?

Insolitamente, si ritrovò a dispiacersi di essere riuscito a superare senza troppe difficoltà il traffico generato dal maltempo e dall'ora di punta. A rammaricarsi di non esser finito intrappolato in un qualche ingorgo. Che l'autista non avesse sbagliato strada. Che la vettura non avesse forato alcuna gomma. Che la sua compagna di viaggio dovesse scendere lì, anziché proseguire con lui. Che entrambi fossero costretti a tornare alle rispettive abitazioni, quando invece avrebbe preferito che in uno slancio d'incoscienza si lasciassero tutto alle spalle, s'imbarcassero sul suo aereo e partissero in volo verso mete più entusiasmanti. Liberandosi delle proprie costrizioni soffocanti, ampliando i suoi avvilenti confini. Sapeva che al momento non era proprio possibile, che al loro stato attuale era fuori da ogni logica persino immaginarlo, però...

Un domani, forse...

-Ci rivediamo anche domani?-

La voce gli annaspò improvvisa dalle labbra, prima ancora che lei potesse dire o fare nulla per accomiatarsi da lui. Non era disposto a salutarla, a permetterle di lasciarlo, non senza quella certezza. Voleva che le sue ultime parole fossero una conferma, suonassero come quella rassicurazione che gli aveva rivolto quando l'aveva incrociata di sfuggita, nel loro tempo passato. Ne aveva bisogno, assolutamente. E se non era in grado di dargliela, se doveva già ritornare dalla famiglia per le feste, allora le avrebbe chiesto quando avrebbero potuto incontrarsi di nuovo. Sperando che fosse il prima possibile, e in ogni caso non appena disponibile...

Ma quando lei gli rispose, capì che non c'era alcun bisogno di rinviare tanto.

-Mi piacerebbe...-

Titubò, lasciando sospese quelle sue parole, ma furono abbastanza possibiliste perché lui potesse spingersi a definirle.

-Stesso posto e stessa ora?-

Lei però abbassò lo sguardo, visibilmente abbattuta.

-In realtà, oggi era il mio ultimo giorno di lezione...-

Sorrise divertito. Lo sapeva benissimo, ed era proprio per quello se ci teneva così tanto a strapparle la promessa di un appuntamento... Ancora una volta, ingenuamente, aveva frainteso quello che intendeva dirle per davvero. Ma, questa volta, era proprio il caso di svelarglielo subito.

-Ancora meglio: così, anziché ritornare ognuno a casa propria, potremo andare insieme da qualche altra parte...-

La ragazza davanti a lui sollevò allora sorpresa i suoi occhi blu, ne fece svanire presto lo stupore con un battito di ciglia ed infine brillò dall'entusiasmo, fulgida come non mai.

-Questa è davvero un'idea fantastica.-

Tanto bastò, per infiammarlo di gioia. Rassicurato che anche dopo quel tramonto avrebbe scorto ed adorato ancora la sua luce all'orizzonte. Che anche l'indomani le fiamme che gli aveva acceso nel cuore non si sarebbero affatto sopite, ma avrebbero continuato a divampargli dentro. Tanto intense, da sentirle oramai inestinguibili.

E, da quel giorno in poi, l'avrebbe sempre invitata a stare al suo fianco.

 


 

N/A - H^o^la!

Ed eccoci arrivati al capolinea. O al vero inizio, a seconda di come la si vede.

Per l'occasione ho voluto unire entrambi i PoV in un capitolo dalla lunghezza a dir poco illegale per chiudere in bellezza... spero, di aver chiuso in bellezza. Quello è un giudizio che spetta a voi soltanto, dopotutto.

Comunque, anche questa volta mi sono lasciata andare a più di una metafora, specialmente nella parte di Seto. Ne chiarisco giusto un paio, quelle secondo me più ermetiche... Innanzitutto, l'immagine delle porte scorrevoli che si chiudono, usata anche nel secondo capitolo, mi è venuta pensando a quel carinissimo film che è “Sliding Doors”, tutto incentrato su come, appunto, basti un secondo, un'occasione colta o mancata, a cambiare il corso degli eventi. Poi, quella del pescare Kisara come un jolly mi è venuta invece ricordando di quando, nella saga di Battle City, Seto estrae una carta dal deck per colpire un Ghoul, e nello scoprire che si trattava del Blue-Eyes commenta a malincuore “unlikely, my draw was too good”.

Inoltre, finalmente ho svelato il nome di Kisara che, appunto, non si poteva chiamare altrimenti. E questo non solo per l'identità della sua anima, ma anche per una ragione nomofilattica: il suo è un nome inventato, per cui sul vero significato si può discutere, ma a mio parere ne ha ben tre: se si scompone abbiamo “ki”, che nella filosofia cinese è l'energia vitale, “sa” che nell'Antico Egitto era il simbolo della protezione, e “ra” è una chiara allusione alla luce del dio Sole. Insomma, assieme esprimono così bene la sua personalità, che non potevo proprio permettermi di modificarla.

Non ho invece, volutamente, offerto alcuna risposta al quesito sul come Kisara possa essersi reincarnata. Io ho una mia personale teoria, ma ne ho già fatto uso nella “Dark Blue Saga” e non mi andava di essere ripetitiva. Inoltre, alla fine quello che in questa storia importa non è perché lei e Seto si siano rincontrati, ma il come abbiano fatto ad innamorarsi di nuovo. Senza contare che, nella versione giapponese dell'anime, l'ultima frase che Kisara gli dice prima di salutarlo è “I have to go now, but I believe that one day we can meet again” (almeno a detta di chi ha subbato la scena), contro la deludente ed apocrifa versione inglese dove invece gli dice solo “farewell, stranger”, ripresa paro paro in quella italiana come “addio, straniero”. Ma noi ci atteniamo al Verbo, nevvero?

Poi, ci tengo a fare una menzione speciale ad Achernar, alla sua raccolta di drabble mizushipping e a tutte le suggestioni che ha saputo trasmettermi, arricchendo in maniera a dir poco maieutica il mio headcanon di ciò che rappresenta Kisara, e come si ripercuote nella sua luce salvifica sul cuore di chi le sta attorno, svelando l'essenziale, infiammandolo di sentimento. E' ufficialmente diventata la mia musa intellettuale, per cui dovevo e volevo renderle onore come merita.

Approfitto poi di quest'angolino per ringraziare uno per uno tutti quelli che hanno avuto il tempo e la voglia di recensirmi, o che mi hanno aggiunto ai seguiti se non, addirittura, già ai preferiti. In ordine cronologico, special thanks to: Mavis; Alexis_K; Francine_Irish; daiya.

Ma ovviamente grazie anche a tutti voi che avete letto o leggerete la mia storia. Vi voglio bene.

XOXO

- Evee

   
 
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