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Autore: papavero radioattivo    15/04/2015    4 recensioni
― DAL CAPITOLO PRIMO. ―
«Sascake?» ripeté Itachi, quasi confuso.
«Sascake» gli fece eco Asami, «Sasuke è un piccolo cupcake, non vedi?» continuò, indicando il più giovane, «ha la faccia da cupcake. Non esistono i cupcake in Giappone?» continuò.
«E tu dai nomignoli alle persone appena le conosci?» domandò Itachi, particolarmente divertito
.

Itachi ha ottenuto l'affido di suo fratello minore e si è trasferito a Londra per lavoro. In questa nuova città, completamente diversa da Konoha, Sasuke si porta dietro i suoi quindici anni appena compiuti ed una grande rabbia nei confronti del maggiore, che lo ha costretto a lasciare i suoi amici e la sua vita senza dargli nemmeno tante spiegazioni in merito.
Frustrato e spaesato, Itachi dovrà fare i conti con Sasuke e con una città che non conosce. Il mutismo del fratello, inoltre, non aiuta la situazione, facendo diventare il clima in casa pesante ed invivibile.
È nel marasma quotidiano che Itachi incontra Asami, una ragazza dai tratti orientali che non conosce una sola parola di giapponese ma si definisce inglese al cento per cento.
Senza volervo, il più grande degli Uchiha è finito sulla strada che lo condurrà al suo Ikigai, alla sua ragione per vivere.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Itachi, Nuovo Personaggio, Sasuke Uchiha
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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capitolo

T E R Z O

 

Tutto per il bene di Sasuke.

 

 

 

Quando mise il piede in quella scuola, il primo desiderio di Sasuke fu quello di ritornare a casa e abbandonarsi sul letto fino a quando non sarebbe morto di fame o di sete.

La sua prospettiva di vita, mentre avanzava lungo quei corridoi caotici e puzzolenti, era quella di diventare un NEET, un né-né, un madao… gli sembrava geniale. Tornare a casa e chiudersi in camera giocando con il cellulare e leggendo libri fino a fondersi con il pavimento. Arrivare a sessantacinque anni e venire definito «vecchio completamente inutile» – appunto, un madao – gli sembrava cento volte migliore che rimanere in quelle quattro mura.

Se fosse diventato un NEET, di certo Itachi si sarebbe dimenticato di lui e magari si sarebbe sposato con quella certa Asami, avrebbe fatto la sua bella vita da inglese e lo avrebbe condannato a vivere in uno sgabuzzino senza luce lontano dai suoi amici.

Sospirò, andando in segreteria per chiedere dove andare e che cosa fare, ripetendo continuamente alla vecchiaccia con un improbabile color giallo canarino in testa di parlare più lentamente: era nuovo e straniero e non riusciva a seguire quella parlantina. Aveva già deciso di odiarla, e niente avrebbe potuto fargli cambiare idea.

Sto pensando come un vecchio, borbottò tra sé e sé, mentre si dirigeva verso la sua classe. Arrivando prima della campanella forse nessuno si sarebbe accorto di lui e quindi non si sarebbe dovuto presentare. In caso contrario, stava già pensando ad una presentazione sufficientemente esauriente, in modo che nessuno potesse fargli delle domande.

Mi chiamo Sa-su-ke Uchiha e vengo dal Giappone. Si disse, scandendo bene il suo nome per pronunciarlo nel modo più inglese possibile. Sa-su-ke… Sa-s-ke. No! Aveva sbagliato, e se non riusciva a dirlo nella sua testa, era impossibile che potesse far uscire quelle sillabe anche dalla propria bocca. Mi chiamo Saske Uchiha e vengo dal Giappone, no, non sono nato a Tokyo, ma da una città più piccola che si chiama Konoha. Mi piacciono i gatti e i pomodori, e odio questo posto.

Forse sarebbe stato meglio cancellare quell’ultima frase…

Immerso nei suoi pensieri, Sasuke non si accorse del mormorio che aveva iniziato ad occupare l’aria attorno a lui, e per un momento pensò di essere l’argomento di quel chiacchiericcio che si era creato. Si guardò le mani e poi il petto, cercando un qualche difetto nella divisa che indossava, per un momento pensò persino di essere andato a scuola con le pantofole, per cui si controllò anche i piedi. Niente: era perfetto. Sospirò ancora più profondamente di prima, appoggiando i gomiti sul banco e massaggiandosi gli occhi stanchi, gli sarebbero venute le occhiaie come quelle di Itachi, ne era certo.

«Sei nuovo?» domandò una voce da ragazza. Disattento e nemmeno così incline allo scambio di battute com’era, Sasuke ci mise qualche secondo per elaborare che stavano parlando con lui e che cosa gli avevano detto. Si girò verso la sconosciuta, ritrovandosi rosso in viso per l’imbarazzo del momento (perché doveva parlare con una ragazza, eh, Kami?), annuì nascondendo le mani sotto il banco, prima di alzarsi e chinare piano la testa, «Sono Saske Uchiha e vengo dal Giappone» disse frettolosamente, sentendo altre persone ridacchiare.

«Io sono Emily…» rispose lei, prendendolo per le spalle per metterlo dritto, «Non so se nel vostro paese siete così rispettosi, ma qui non c’è bisogno di inchinarsi…».

Sasuke non capì perché lo aveva fatto, in effetti, dato che sapeva che in Inghilterra il massimo del rispetto era stringersi la mano, neanche si chiamavano per cognome! Avrebbe dovuto riferirsi ad una totale sconosciuta chiamandola per nome? Neanche se lo avessero pagato. Borbottò tra sé e sé, tornando seduto al suo posto mentre chiudeva il quaderno su cui aveva scarabocchiato minacce di morte verso il fratello.

In realtà, Sasuke non capì nemmeno perché aveva risposto a quella domanda, cercando praticamente di fare amicizia con una persona.

Lui fare amicizia con qualcuno di quel posto? Non stava né in cielo né in terra.

Kami, fulminami adesso. Neanche Naruto era così cretino.

«Questo tipo è strano…» mormorò una ragazza dietro “Emily”, vicino all’orecchio di lei. Sasuke capì perfettamente – mannaggia  a lui – quello che le aveva detto, e quelle parole non fecero altro che stressarlo ulteriormente, spingendolo a chiudersi nel suo guscio.

La campa suonò, aumentando il casino attorno a lui mentre i ragazzi prendevano posto. Emily lo salutò con un mezzo sorriso dicendo che sarebbe tornata dopo.

Il resto della giornata fu noioso come solo un primo giorno di scuola poteva essere. Emily, di fatto, era tornata a parlare con lui, appoggiandosi al suo banco come se si trattasse di casa propria, facendogli domande a caso su di lui e sul Giappone. Presto, un gruppetto di curiosi di cui Sasuke non conosceva nemmeno il nome si erano messi attorno a lui come per soffocarlo.

Rispose a tutte le domande come se fosse un interrogatorio, ricordandosi le chiacchierate che si faceva con l’assistente sociale di tanto in tanto. Non era molto diverso da quella situazione, alla fine: in entrambi i casi doveva sorridere ed annuire.

«Ti manca casa tua Sasuke?». Un po’.

«Ti sei abituato alla pioggia?». Non tanto.

«Ma i tuoi genitori sono inglesi o giapponesi?». Alzò lo sguardo, cercando quella voce che gli aveva fatto quella domanda sfrontata e, alle sue orecchie, stupida: aveva la faccia di un inglese? Di uno abituato alle stupide maniere inglesi? Aveva un cognome inglese o una parlata inglese? Era evidente che odiasse quel posto, che non avesse niente a che fare con quella stupida isola (anche il Giappone era un’isola, ma non era stupida come l’Inghilterra) e allora per quale motivo i suoi genitori dovevano essere inglesi.

«Sono giapponesi» borbottò, «Però vivo qui a Londra con mio fratello, i miei genitori sono…» ingoiò qualcosa che gli bloccava la gola, impedendogli di respirare, «sono spesso via, quindi sono stato affidato a lui».

Aveva la scritta “bugiardo” sulla fronte, ma nessuno se ne accorse.

«CHE FIGATA!» urlò uno,  «Anche io vorrei vivere con mio fratello e basta! Giocheremmo alla Playstation tutto il tempo!».

«Tuo fratello è un cretino!» gli disse un altro in risposta, picchiandolo sulla spalla.

«EHI! Non dire che mio fratello è un cretino, tu sei un cretino!» ribeccò.

«Come si dice “cretino” in giapponese, Sasuke?» domandò Emily, facendo zittire tutti e due che, assieme agli altri, sembravano aspettare una risposta.

Prima che partisse Shisui gli aveva detto che le parolacce sono le prime parole che una persona impara di un’altra lingua.

«Cretino?» ripeté Sasuke, cercando di comprendere appieno il significato di quel sostantivo. Ci pensò su, scarabocchiando linee senza senso sul quaderno, «Teme, immagino» concluse.       

 

  -――-

 

Sasuke aprì la porta di casa senza proferire parola, sfilandosi la giacca e trascinando lo zaino sul pavimento.

«Ciao, Saske!» la voce di Itachi arrivò dal tavolo della cucina, dove lui ed uno strano uomo palestrato stavano in piedi, davanti a delle tazze di caffè.

Fu indeciso sul da farsi, se rispondere oppure fiondarsi in camera senza parlare, ma il ricordo della voce dello zio Kagami che diceva “Saluta, Saske! Non essere maleducato” gli impose di ricambiare.

«Ciao…» era tutto quello che aveva da dire, non si sarebbe sprecato più di tanto.

Itachi si girò verso di lui, «Questo è Kisame Hoshigaki, un mio collega» sorrideva, e che diavolo avesse da sorridere Sasuke non lo aveva ancora capito. Solo a lui piaceva stare a Londra, e non bastava la presenza di Asami ad ossessionarli, ora ci si metteva pure quel tizio strano e francamente brutto.

«Piacere» aggiunse allora, tanto per far contento suo fratello e non essere totalmente sgarbato, e poi continuò a camminare verso la sua stanza.

Odiava Londra, odiava dover andare a scuola in quel posto, e detestava pure che in quell’equilibrio familiare che avevano creato si venissero ad inserire degli estranei.

Itachi sospirò guardando Kisame con un’espressione che sembrava chiedere scusa, «Com’è andata a scuola?» domandò poi, quasi urlando, ma nessuna risposta arrivò dal corridoio, soltanto la porta della stanza che sbatteva.

Perfetto.

Kisame lo guardò con un sorriso, «Ed io che stavo per dirti che hai almeno lui che ti tiene allegro!» scherzò e Itachi scosse il capo, accompagnandolo alla porta.

«Non si trova bene, solitamente non è così» ammise con l’ennesimo sospiro preoccupato.

Erano a Londra da un bel po’, oramai, ma Sasuke non voleva ancora saperne di uscire dal suo mutismo, nemmeno andare al dojo, da Asami, l’aveva aiutato a rimettersi in carreggiata. Anzi, lo aveva pure accusato di aver macchinato tutto solo per vedere più spesso la ragazza.

Un altro rumore arrivò dal fondo del corridoio, seguito da un’imprecazione, «Non vado a karatè!» affermò Sasuke dal bagno, probabilmente, dove era inciampato nella cesta dei panni sporchi, ed Itachi non rispose. Non era il momento di litigare, non con ospiti in casa.

«Ne parliamo quando ho finito qui» gli rispose, e poi salutò Kisame, dandosi appuntamento per il giorno dopo.

Itachi chiuse la porta tornando poi a sistemare le scartoffie che aveva lasciato sul tavolo, le impilò e le ripose nella ventiquattrore, pensando a cosa diavolo passasse per la testa di suo fratello in quel periodo. Sciacquò le tazze del caffè e le infilò nella lavapiatti, e poi sospirò, raggiungendo Sasuke in camera.

«Ehi…» lo chiamò socchiudendo la porta, guardandolo mentre trafficava con il cellulare. Non uno sguardo, nemmeno mezzo.

Si sedette ai piedi del letto, prendendogli la caviglia, aspettando che lui lo considerasse con scarsi risultati, «Perché non ci vuoi andare?» chiese, e Sasuke si strinse nelle spalle, poggiandosi il telefono sulla pancia.

«Perché non mi va» rispose, guardandolo con quell’aria di sfida, mista ad una certa superiorità. Era chiaro che non fosse per quello, quanto per il mero piacere di dargli contro in qualsiasi cosa.

Itachi gli lasciò il piede, «Va bene, allora non andarci» era tutto quello che aveva da dirgli, fine. Che facesse quello che voleva, lui era sull’orlo dell’esasperazione, non gli andava di discutere. Si alzò in piedi, deciso a lasciarlo nella sua depressione, ma il più piccolo lo fermò, mettendosi seduto con uno scatto.

«Non mi piace stare qui» gli disse, bloccandolo a metà della stanza, «Ma tanto a te non importa, ti importa solo del tuo lavoro, di Asami e di fare bella figura con l’assistente sociale» si lamentò, inginocchiandosi sul materasso. «Non mi hai nemmeno chiesto se ci volevo venire, in questo posto di merda!» continuò, esprimendo quello che da settimane si teneva dentro, «Quindi te lo dico adesso: voglio tornare a casa!». Parlava con lo sguardo basso e le mani strette alle lenzuola, il cellulare mostrava la scritta “GAME OVER” sullo schermo.

«Sei arrabbiato perché ho chiesto il tuo affido?» domandò Itachi, cercando di mantenere la calma, «Preferivi stare con gli zii?».

Sasuke immaginò per un momento Itachi partire senza di lui, abbandonandolo a Konoha tra le grinfie di Kagami. Certo, lui voleva bene agli zii, ma quando aveva un problema cercava suo fratello, prima dello zio. Alzò il viso, asciugandosi quei due infantili lacrimoni che lo rendevano così bambino che ebbe paura che Itachi ridesse di lui, «Non ho detto questo!» pigolò, schiacciandosi contro la testiera del letto, «Ho detto che non ci volevo venire, qui a Londra, e che tu mi hai costretto, e che fai finta di niente e…» si fermò lasciando perdere un attimo quella lunga lista di “e” che stava dicendo, e poi respirò mentre Itachi si sedeva di fianco a lui, riprendendogli la caviglia, «E non mi piace Asami, e andare a karatè da lei, e la scuola, il cibo, la lingua…».

«Ti mancano i tuoi amici?» chiese apprensivo lui, sforzandosi di nascondere tutto il dolore che provava nel vedere il fratello così. Almeno parla, si consolò in un sospiro, «Sei arrabbiato perché non ti ho chiesto se ti andava di trasferirti a Londra con me?».

Simile ad un cucciolo ferito, Sasuke annuì.

«Ed è imperdonabile!» riprese il più piccolo, «Non si tratta così un fratello minore!  Non sono un animale domestico che ti porti dove vuoi…».

«Beh, allora avrei fatto meglio a lasciarti a Konoha con Kagami» concluse lui.

«No!» ribatté, mettendosi sulle ginocchia, «Non ho detto che volevo rimanere a Konoha con lo zio».

Si stava sentendo? Okay che nell’adolescenza una persona cambia decisione spesso, ma qua si stava superando il limite della decenza… «E allora che volevi, Saske?» domandò, ormai spazientito Itachi, «Io sarei venuto comunque a Londra per lavoro, non potevo fare diversamente, lo capisci?» domandò, senza ottenere risposta, «Non potevo partire sapendo che eri a Konoha con Kagami, non mi piaceva l’idea di essere così lontano» proferì.

Sasuke tirò su con il naso, annuendo un poco, «Ma io odio comunque questo posto…» borbottò.

«Non è che a me piaccia più di tanto, stupido» rise Itachi, avvicinandosi a lui per scompigliargli i capelli, «Però ci posso fare qualcosa? Mi hanno spostato qui a Londra e se dicevo di no mi licenziavano… in più mi pagano molto più di prima, è grazie a questo che mi sono potuto permettere di chiedere il tuo affido».

Sasuke ricordava, in aereo, che Itachi gli aveva detto qualcosa in proposito. Il fatto che fosse così giovane e single non erano buone notizie, ma era pur sempre suo fratello e grazie al lavoro fisso e ben pagato aveva ottenuto l’affido. Alla fine era tutto per il bene di Sasuke.

Che bene del cavolo.

«E comunque non voglio più sentire certe parole uscire dalla tua bocca, altrimenti te la faccio lavare con il sapone!» scherzò poi, stringendogli la guancia in un odioso e dolorosissimo choppy-choppy di cui Sasuke si liberò non facilmente.

«Parli come la zia, adesso» rispose Sasuke, massaggiandosi le labbra.

«Cosa?!» Itachi sembrava sconvolto, ma era ovvio che fingesse. In tutti i casi, quella faccia esagerata lo fece sorridere, «Ti sembra che io sia una vecchia strega che non sa cucinare?».

«La zia non è una vecchia strega che non sa cucinare!» e Sasuke si alzò in piedi sul materasso, spingendo Itachi per una spalla, «Tu sei una vecchia strega che non sa cucinare! Non facciamo altro che mangiare cibo surgelato o d’asporto!».

«Beh» iniziò Itachi, tirandosi in piedi, «Se ti dà tanto fastidio che i miei soldi paghino qualcun altro per portare a casa del cibo buono e caldo…» continuò, e prese uno di quei lunghi e teatrali respiri, degni di una scena di un qualche anime.

Ora mi dirà che ci dovrò pensare io a cucinarmi il cibo, sicuro pensò Sasuke, arreso all’idea di digiunare per un giorno e mezzo, «Morirò di fame» gli disse.

Il suo commento fu bellamente ignorato, Itachi lo guardò senza capire, prima di schiarirsi la voce e rimettersi la camicia nei pantaloni, cercando di ridarsi un’aria composta e sobria, «In realtà stavo per proporti di andare a mangiare in un certo ristorante Giapponese che ho visto a qualche isolato da qui…».

Sasuke sorrise, non tanto perché finalmente non si mangiava d’asporto o surgelato, ma vedere il fratello così felice, mentre si puliva gli occhiali con un fazzoletto di stoffa che teneva in tasca, gli assicurava che non fosse così arrabbiato per tutte quelle cattiverie che aveva detto.

Balzò giù dal letto con un salto, e Itachi lo prese per il braccio, stringendoselo in un abbraccio, «Non volevo rimanere con la zia e lo zio in Giappone se tu venivi qui a Londra… ma io odio comunque questo posto» borbottò contro il suo petto.

Itachi lo strinse piano, con quel fare protettivo che aveva sviluppato dalla morte dei loro genitori, «Ma io non potevo rimanere a Konoha».

«Lo so» borbottò, «Però ci torneremo, a Konoha, vero?» domandò speranzoso. Alzò gli occhi verso Itachi, osservandolo sorridere ed annuire.

«Penso proprio di sì…» rispose, «Senti…» continuò, cambiando argomento, «Davvero non ti piace Asami?» domandò, e dalle guance rosse sembrava davvero preoccupato per la risposta che il più piccolo poteva dargli.

Sasuke, invece che rispondergli, ridacchiò divertito, scoppiando poi in una risata, «Guardati la faccia, sei tutto rosso!» lo derise, puntandogli l’indice contro, «Ti piace una ragazza!» cantilenò, prima che il più grande gli saltasse addosso, catturandolo in una stretta ferra, facendogli il solletico, appellandolo come uno «stupido moccioso che non capiva niente».

Già, Sasuke sembrava proprio non capire niente. 

 

 

 

 

 

 

NOTE D’AUTRICI → «Aschente!, giuro sui comandamenti».

 

Ehilà ;)

Siamo ritornate con un nuovo capitolo di Ikigai che, anche se non viene seguita attentamente e da un pubblico vasto come quello di Colla, ci fa ugualmente piacere condividere con voi

Che dire? Beh, essendo la vita di Sasuke e Itachi, ci è sembrato giusto dare uno straccio della scuola che il più piccolo frequenta, giusto perché il primo giorno in una scuola sconosciuta è un evergreen e a noi piacciono gli evergreen da rendere il meno banale possibile! Speriamo di essere riuscite nell’intento~ Per quanto riguarda la traduzione di «cretino»  in «teme», vedetela come una licenza poetica: teme ha vari significati dipendendo dal sito che si consulta, ma alla fine il senso è sempre quello XD Inoltre Sasuke non conosce ancora molto bene l’inglese… più che altro è stata una scelta fatta per muovere in voi un po’ di feels

Per il resto… beh, siete voi i lettori, giudicate a vostra discrezione!

 

papavero radioattivo





   
 
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