capitolo
T
E R Z O
Tutto per il bene di Sasuke.
Quando mise il piede in quella scuola,
il primo desiderio di Sasuke fu quello di ritornare a casa e abbandonarsi sul
letto fino a quando non sarebbe morto di fame o di sete.
La sua prospettiva di vita, mentre
avanzava lungo quei corridoi caotici e puzzolenti, era quella di diventare un
NEET, un né-né, un madao…
gli sembrava geniale. Tornare a casa e chiudersi in camera giocando con il
cellulare e leggendo libri fino a fondersi con il pavimento. Arrivare a
sessantacinque anni e venire definito «vecchio completamente inutile» –
appunto, un madao – gli sembrava cento volte migliore
che rimanere in quelle quattro mura.
Se fosse diventato un NEET, di certo Itachi si sarebbe dimenticato di lui e magari si sarebbe
sposato con quella certa Asami, avrebbe fatto la sua
bella vita da inglese e lo avrebbe condannato a vivere in uno sgabuzzino senza
luce lontano dai suoi amici.
Sospirò, andando in segreteria per
chiedere dove andare e che cosa fare, ripetendo continuamente alla vecchiaccia
con un improbabile color giallo canarino in testa di parlare più lentamente:
era nuovo e straniero e non riusciva a seguire quella parlantina. Aveva già
deciso di odiarla, e niente avrebbe potuto fargli cambiare idea.
Sto
pensando come un vecchio,
borbottò tra sé e sé, mentre si dirigeva verso la sua classe. Arrivando prima
della campanella forse nessuno si sarebbe accorto di lui e quindi non si
sarebbe dovuto presentare. In caso contrario, stava già pensando ad una
presentazione sufficientemente esauriente, in modo che nessuno potesse fargli
delle domande.
Mi chiamo Sa-su-ke
Uchiha e vengo dal Giappone. Si disse,
scandendo bene il suo nome per pronunciarlo nel modo più inglese possibile.
Sa-su-ke… Sa-s-ke.
No! Aveva sbagliato, e se non riusciva a dirlo nella sua testa, era impossibile
che potesse far uscire quelle sillabe anche dalla propria bocca. Mi
chiamo Sas’ke Uchiha e vengo dal Giappone, no, non sono nato a Tokyo, ma
da una città più piccola che si chiama Konoha. Mi
piacciono i gatti e i pomodori, e odio questo posto.
Forse sarebbe stato meglio cancellare
quell’ultima frase…
Immerso nei suoi pensieri, Sasuke non
si accorse del mormorio che aveva iniziato ad occupare l’aria attorno a lui, e
per un momento pensò di essere l’argomento di quel chiacchiericcio che si era
creato. Si guardò le mani e poi il petto, cercando un qualche difetto nella
divisa che indossava, per un momento pensò persino di essere andato a scuola
con le pantofole, per cui si controllò anche i piedi. Niente: era perfetto.
Sospirò ancora più profondamente di prima, appoggiando i gomiti sul banco e
massaggiandosi gli occhi stanchi, gli sarebbero venute le occhiaie come quelle
di Itachi, ne era certo.
«Sei nuovo?» domandò una voce da
ragazza. Disattento e nemmeno così incline allo scambio di battute com’era,
Sasuke ci mise qualche secondo per elaborare che stavano parlando con lui e che
cosa gli avevano detto. Si girò verso la sconosciuta, ritrovandosi rosso in
viso per l’imbarazzo del momento (perché doveva parlare con una ragazza, eh, Kami?), annuì nascondendo le mani sotto il banco, prima di
alzarsi e chinare piano la testa, «Sono Sas’ke Uchiha e vengo dal Giappone»
disse frettolosamente, sentendo altre persone ridacchiare.
«Io sono Emily…» rispose lei,
prendendolo per le spalle per metterlo dritto, «Non so se nel vostro paese
siete così rispettosi, ma qui non c’è bisogno di inchinarsi…».
Sasuke non capì perché lo aveva fatto,
in effetti, dato che sapeva che in Inghilterra il massimo del rispetto era
stringersi la mano, neanche si chiamavano per cognome! Avrebbe dovuto riferirsi
ad una totale sconosciuta chiamandola per nome? Neanche se lo avessero pagato.
Borbottò tra sé e sé, tornando seduto al suo posto mentre chiudeva il quaderno
su cui aveva scarabocchiato minacce di morte verso il fratello.
In realtà, Sasuke non capì nemmeno
perché aveva risposto a quella domanda, cercando praticamente di fare
amicizia con una persona.
Lui fare amicizia con qualcuno di quel
posto? Non stava né in cielo né in terra.
Kami,
fulminami adesso. Neanche Naruto era così cretino.
«Questo tipo è strano…» mormorò una
ragazza dietro “Emily”, vicino all’orecchio di lei. Sasuke capì perfettamente –
mannaggia a lui – quello che le aveva
detto, e quelle parole non fecero altro che stressarlo ulteriormente,
spingendolo a chiudersi nel suo guscio.
La campa suonò, aumentando il casino
attorno a lui mentre i ragazzi prendevano posto. Emily lo salutò con un mezzo
sorriso dicendo che sarebbe tornata dopo.
Il resto della giornata fu noioso come
solo un primo giorno di scuola poteva essere. Emily, di fatto, era tornata a
parlare con lui, appoggiandosi al suo banco come se si trattasse di casa
propria, facendogli domande a caso su di lui e sul Giappone. Presto, un
gruppetto di curiosi di cui Sasuke non conosceva nemmeno il nome si erano messi
attorno a lui come per soffocarlo.
Rispose a tutte le domande come se
fosse un interrogatorio, ricordandosi le chiacchierate che
si faceva con l’assistente sociale di tanto in tanto. Non era molto diverso da
quella situazione, alla fine: in entrambi i casi doveva sorridere ed annuire.
«Ti manca casa tua Sasuke?».
Un po’.
«Ti sei abituato alla pioggia?».
Non tanto.
«Ma i tuoi genitori sono inglesi o
giapponesi?». Alzò lo sguardo, cercando quella voce che gli aveva fatto quella
domanda sfrontata e, alle sue orecchie, stupida: aveva la faccia di un inglese?
Di uno abituato alle stupide maniere inglesi? Aveva un cognome inglese o una
parlata inglese? Era evidente che odiasse quel posto, che
non avesse niente a che fare con quella stupida isola (anche il Giappone era
un’isola, ma non era stupida come l’Inghilterra) e allora per quale
motivo i suoi genitori dovevano essere inglesi.
«Sono giapponesi» borbottò, «Però vivo
qui a Londra con mio fratello, i miei genitori sono…» ingoiò qualcosa che gli
bloccava la gola, impedendogli di respirare, «sono spesso via, quindi sono
stato affidato a lui».
Aveva la scritta “bugiardo” sulla
fronte, ma nessuno se ne accorse.
«CHE FIGATA!» urlò uno, «Anche io vorrei vivere con mio fratello e
basta! Giocheremmo alla Playstation tutto il tempo!».
«Tuo fratello è un cretino!» gli disse
un altro in risposta, picchiandolo sulla spalla.
«EHI! Non dire che mio fratello è un
cretino, tu sei un cretino!» ribeccò.
«Come si dice “cretino” in giapponese,
Sasuke?» domandò Emily, facendo zittire tutti e due che, assieme agli altri,
sembravano aspettare una risposta.
Prima che partisse Shisui
gli aveva detto che le parolacce sono le prime parole che una persona impara di
un’altra lingua.
«Cretino?» ripeté Sasuke, cercando di
comprendere appieno il significato di quel sostantivo. Ci pensò su,
scarabocchiando linee senza senso sul quaderno, «Teme,
immagino» concluse.
-―❁―-
Sasuke aprì la porta di casa senza
proferire parola, sfilandosi la giacca e trascinando lo zaino sul pavimento.
«Ciao, Sas’ke!» la voce di Itachi arrivò dal
tavolo della cucina, dove lui ed uno strano uomo palestrato stavano in piedi,
davanti a delle tazze di caffè.
Fu indeciso sul da farsi, se
rispondere oppure fiondarsi in camera senza parlare, ma il ricordo della voce
dello zio Kagami che diceva “Saluta, Sas’ke! Non essere
maleducato” gli impose di ricambiare.
«Ciao…» era tutto quello che aveva da
dire, non si sarebbe sprecato più di tanto.
Itachi si girò verso di lui, «Questo è Kisame Hoshigaki, un mio collega»
sorrideva, e che diavolo avesse da sorridere Sasuke non lo aveva ancora capito.
Solo a lui piaceva stare a Londra, e non bastava la presenza di Asami ad ossessionarli, ora ci si metteva pure quel tizio
strano e francamente brutto.
«Piacere» aggiunse allora, tanto per
far contento suo fratello e non essere totalmente sgarbato, e poi continuò a camminare
verso la sua stanza.
Odiava Londra, odiava dover andare a
scuola in quel posto, e detestava pure che in quell’equilibrio familiare che
avevano creato si venissero ad inserire degli estranei.
Itachi sospirò guardando Kisame
con un’espressione che sembrava chiedere scusa, «Com’è andata a scuola?»
domandò poi, quasi urlando, ma nessuna risposta arrivò dal corridoio, soltanto
la porta della stanza che sbatteva.
Perfetto.
Kisame lo guardò con un sorriso, «Ed io che
stavo per dirti che hai almeno lui che ti tiene allegro!» scherzò e Itachi scosse il capo, accompagnandolo alla porta.
«Non si trova bene, solitamente non è
così» ammise con l’ennesimo sospiro preoccupato.
Erano a Londra da un bel po’, oramai,
ma Sasuke non voleva ancora saperne di uscire dal suo mutismo, nemmeno andare
al dojo, da Asami, l’aveva
aiutato a rimettersi in carreggiata. Anzi, lo aveva pure accusato di aver
macchinato tutto solo per vedere più spesso la ragazza.
Un altro rumore arrivò dal fondo del corridoio,
seguito da un’imprecazione, «Non vado a karatè!» affermò Sasuke dal bagno,
probabilmente, dove era inciampato nella cesta dei panni sporchi, ed Itachi non rispose. Non era il momento di litigare, non con
ospiti in casa.
«Ne parliamo quando ho finito qui» gli
rispose, e poi salutò Kisame, dandosi appuntamento
per il giorno dopo.
Itachi chiuse la porta tornando poi a
sistemare le scartoffie che aveva lasciato sul tavolo, le impilò e le ripose
nella ventiquattrore, pensando a cosa diavolo passasse per la testa di suo
fratello in quel periodo. Sciacquò le tazze del caffè e le infilò nella
lavapiatti, e poi sospirò, raggiungendo Sasuke in camera.
«Ehi…» lo chiamò socchiudendo la
porta, guardandolo mentre trafficava con il cellulare. Non uno sguardo, nemmeno
mezzo.
Si sedette ai piedi del letto,
prendendogli la caviglia, aspettando che lui lo considerasse con scarsi
risultati, «Perché non ci vuoi andare?» chiese, e Sasuke si strinse nelle
spalle, poggiandosi il telefono sulla pancia.
«Perché non mi va» rispose,
guardandolo con quell’aria di sfida, mista ad una certa superiorità. Era chiaro
che non fosse per quello, quanto per il mero piacere di dargli contro in
qualsiasi cosa.
Itachi gli lasciò il piede, «Va bene, allora
non andarci» era tutto quello che aveva da dirgli, fine. Che facesse quello che
voleva, lui era sull’orlo dell’esasperazione, non gli andava di discutere. Si
alzò in piedi, deciso a lasciarlo nella sua depressione, ma il più piccolo lo
fermò, mettendosi seduto con uno scatto.
«Non mi piace stare qui» gli disse,
bloccandolo a metà della stanza, «Ma tanto a te non importa, ti importa solo
del tuo lavoro, di Asami e di fare bella figura con
l’assistente sociale» si lamentò, inginocchiandosi sul materasso. «Non mi hai
nemmeno chiesto se ci volevo venire, in questo posto di merda!» continuò,
esprimendo quello che da settimane si teneva dentro, «Quindi te lo dico adesso:
voglio tornare a casa!». Parlava con lo sguardo basso e le mani strette alle
lenzuola, il cellulare mostrava la scritta “GAME OVER” sullo schermo.
«Sei arrabbiato perché ho chiesto il
tuo affido?» domandò Itachi, cercando di mantenere la
calma, «Preferivi stare con gli zii?».
Sasuke immaginò per un momento Itachi partire senza di lui, abbandonandolo a Konoha tra le grinfie di Kagami.
Certo, lui voleva bene agli zii, ma quando aveva un problema cercava suo
fratello, prima dello zio. Alzò il viso, asciugandosi quei due infantili
lacrimoni che lo rendevano così bambino che ebbe paura che Itachi
ridesse di lui, «Non ho detto questo!» pigolò, schiacciandosi contro la
testiera del letto, «Ho detto che non ci volevo venire, qui a Londra, e che tu
mi hai costretto, e che fai finta di niente e…» si fermò lasciando perdere un
attimo quella lunga lista di “e” che stava dicendo, e poi respirò mentre Itachi si sedeva di fianco a lui, riprendendogli la
caviglia, «E non mi piace Asami, e andare a karatè da
lei, e la scuola, il cibo, la lingua…».
«Ti mancano i tuoi amici?» chiese
apprensivo lui, sforzandosi di nascondere tutto il dolore che provava nel
vedere il fratello così. Almeno parla, si consolò in un
sospiro, «Sei arrabbiato perché non ti ho chiesto se ti andava di trasferirti a
Londra con me?».
Simile ad un cucciolo ferito, Sasuke
annuì.
«Ed è imperdonabile!» riprese il più
piccolo, «Non si tratta così un fratello minore! Non sono un animale domestico che ti porti
dove vuoi…».
«Beh, allora avrei fatto meglio a
lasciarti a Konoha con Kagami»
concluse lui.
«No!» ribatté, mettendosi sulle
ginocchia, «Non ho detto che volevo rimanere a Konoha
con lo zio».
Si stava sentendo? Okay che
nell’adolescenza una persona cambia decisione spesso, ma qua si stava superando
il limite della decenza… «E allora che volevi, Sas’ke?» domandò, ormai spazientito Itachi,
«Io sarei venuto comunque a Londra per lavoro, non potevo
fare diversamente, lo capisci?» domandò, senza ottenere risposta, «Non potevo
partire sapendo che eri a Konoha con Kagami, non mi piaceva l’idea di essere così lontano»
proferì.
Sasuke tirò su con il naso, annuendo
un poco, «Ma io odio comunque questo posto…» borbottò.
«Non è che a me piaccia più di tanto,
stupido» rise Itachi, avvicinandosi a lui per
scompigliargli i capelli, «Però ci posso fare qualcosa? Mi hanno spostato qui a
Londra e se dicevo di no mi licenziavano… in più mi pagano molto più di prima,
è grazie a questo che mi sono potuto permettere di chiedere il tuo affido».
Sasuke ricordava, in aereo, che Itachi gli aveva detto qualcosa in proposito. Il fatto che
fosse così giovane e single non erano buone notizie, ma era pur sempre suo
fratello e grazie al lavoro fisso e ben pagato aveva ottenuto l’affido. Alla
fine era tutto per il bene di Sasuke.
Che
bene del cavolo.
«E comunque non voglio più sentire
certe parole uscire dalla tua bocca, altrimenti te la faccio lavare con il
sapone!» scherzò poi, stringendogli la guancia in un odioso e dolorosissimo choppy-choppy di
cui Sasuke si liberò non facilmente.
«Parli come la zia, adesso» rispose
Sasuke, massaggiandosi le labbra.
«Cosa?!» Itachi
sembrava sconvolto, ma era ovvio che fingesse. In tutti i
casi, quella faccia esagerata lo fece sorridere, «Ti sembra che io sia una
vecchia strega che non sa cucinare?».
«La zia non è una vecchia strega che
non sa cucinare!» e Sasuke si alzò in piedi sul materasso, spingendo Itachi per una spalla, «Tu sei una
vecchia strega che non sa cucinare! Non facciamo altro che mangiare cibo
surgelato o d’asporto!».
«Beh» iniziò Itachi,
tirandosi in piedi, «Se ti dà tanto fastidio che i miei
soldi paghino qualcun altro per portare a casa del cibo buono e caldo…»
continuò, e prese uno di quei lunghi e teatrali respiri, degni di una scena di
un qualche anime.
Ora mi dirà che ci dovrò
pensare io a cucinarmi il cibo, sicuro pensò Sasuke, arreso all’idea
di digiunare per un giorno e mezzo, «Morirò di fame» gli disse.
Il suo commento fu bellamente
ignorato, Itachi lo guardò senza capire, prima di
schiarirsi la voce e rimettersi la camicia nei pantaloni, cercando di ridarsi
un’aria composta e sobria, «In realtà stavo per proporti di andare a mangiare
in un certo ristorante Giapponese che ho visto a qualche isolato da qui…».
Sasuke sorrise, non tanto perché
finalmente non si mangiava d’asporto o surgelato, ma vedere il fratello così felice,
mentre si puliva gli occhiali con un fazzoletto di stoffa che teneva in tasca,
gli assicurava che non fosse così arrabbiato per tutte quelle cattiverie che
aveva detto.
Balzò giù dal letto con un salto, e Itachi lo prese per il braccio, stringendoselo in un
abbraccio, «Non volevo rimanere con la zia e lo zio in Giappone se tu venivi
qui a Londra… ma io odio comunque questo posto» borbottò contro il suo petto.
Itachi lo strinse piano, con quel fare
protettivo che aveva sviluppato dalla morte dei loro genitori, «Ma io non
potevo rimanere a Konoha».
«Lo so» borbottò, «Però ci torneremo,
a Konoha, vero?» domandò speranzoso. Alzò gli occhi
verso Itachi, osservandolo sorridere ed annuire.
«Penso proprio di sì…» rispose,
«Senti…» continuò, cambiando argomento, «Davvero non ti piace Asami?» domandò, e dalle guance rosse sembrava davvero
preoccupato per la risposta che il più piccolo poteva dargli.
Sasuke, invece che rispondergli,
ridacchiò divertito, scoppiando poi in una risata, «Guardati la faccia, sei
tutto rosso!» lo derise, puntandogli l’indice contro, «Ti piace una ragazza!»
cantilenò, prima che il più grande gli saltasse addosso, catturandolo in una
stretta ferra, facendogli il solletico, appellandolo come uno «stupido moccioso
che non capiva niente».
Già, Sasuke sembrava proprio non
capire niente.
NOTE D’AUTRICI → «Aschente!, giuro sui comandamenti».
Ehilà ;)
Siamo ritornate con un nuovo capitolo
di Ikigai che, anche se non viene seguita
attentamente e da un pubblico vasto come quello di Colla, ci fa ugualmente
piacere condividere con voi ♥
Che dire? Beh, essendo la vita di
Sasuke e Itachi, ci è sembrato giusto dare uno
straccio della scuola che il più piccolo frequenta, giusto perché il primo
giorno in una scuola sconosciuta è un evergreen e a noi
piacciono gli evergreen da rendere il meno banale possibile!
Speriamo di essere riuscite nell’intento~ Per quanto
riguarda la traduzione di «cretino» in «teme»,
vedetela come una licenza poetica: teme ha vari significati dipendendo dal sito
che si consulta, ma alla fine il senso è sempre quello XD Inoltre Sasuke non
conosce ancora molto bene l’inglese… più che altro è
stata una scelta fatta per muovere in voi un po’ di feels ♥
Per il resto…
beh, siete voi i lettori, giudicate a vostra discrezione!
papavero
radioattivo