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Autore: Mordreed    15/04/2015    7 recensioni
COLIN O'DONOGHE- JENNIFER MORRISON
Due perfetti sconosciuti che si incontrano per caso, anni prima che il destino li unisse in una nuova esperienza lavorativa. Un incontro dimenticato, un nuovo inizio. Una storia d'amore tormentata, intesa e proibita che sconvolgerà la vita di entrambi. La passione incontrollabile e sventurata, di due amanti clandestini e maledetti.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: colin o'donoghue, Jennifer Morrison, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NdA

Salve a tutti.
Scusate il mega ritardo con cui posto il nuovo capitolo.
Ho ricevuto e letto tutti i vostri MP.
E niente, vi ringrazio per la pazienza e attesa.
La storia ritorna con i nuovi capitoli.
Spero l'accoglierete con l'entusiasmo di un tempo nonostante siano passate settimane.

Grazie ancora e spero vi piaccia il nuovo capitolo.
Fatemi sapere ;)

Canzone da ascoltare durante la lettura: https://youtu.be/e6CrV7I9IWk


- - - 



Jen sapeva come cancellare il post sbornia.
Se sei una tequila addicted, devi per forza conoscerli i vecchi rimedi della nonna..
Sfortunatamente la ‘pozione’ non aveva effetto sui ricordi.
Quanto avrebbe voluto cancellar via quel senso di colpa che ora le impediva persino di respirare.
Nonostante fosse parecchio ubriaca, ricordava perfettamente alcuni dettagli della sera prima.
Ma non sapeva se a infastidirla fossero quei dettagli o le parti che invece non ricordava.
Arrivò da sola sul set, Sebastian era dai suoi, perciò lei aveva dovuto chiamare un taxi per arrivare agli studi televisivi.
Quando pagò il tassista e quello andò via, non le restò altro che silenzio.
Era mezzogiorno passato di domenica mattina, nessuno era sul set.
Sembrava uno scenario da film horror e per un attimo si aspettò che qualcuno spuntasse alle sue spalle per assassinarla.
Sciocchezze, doveva smettere di vedere quei stupidi film anche se a Sebastian piacevano molto.
Osservò le roulotte vuote, il sole che picchiava forte sull’asfalto, qualche foglio di vecchi copioni che roteava pigramente nella brezza calda che proveniva dall’oceano.
Per fortuna aveva con se gli occhiali da sole.
Ora si rivelarono utili non solo per le occhiaie che non aveva nascosto.
Tolse il giubbino di pelle restando in t-shirt, conscia del caldo infernale di quel giorno.
Entrò negli studi e per un attimo la differenza termica le procurò un brivido di piacere.
Andò nella sala dove si tenevano le table read.
Sicuramente avrebbe incontrato qualcuno.
Ma ad attenderla trovò solo un post it sulla porta:
 
“Studio 51,
ti aspetto.
 
-A”
 
I suoi passi echeggiarono nell’ingresso vuoto, mentre si avviava verso uno dei tanti ascensori.
Lo studio 51 era al settimo piano dell’edificio.
Arrivò e quando aprì la porta della stanza, trovò solo tre persone ad attenderla:
Adam, un tizio che non conosceva, lui.
 
Si era quasi dimenticata della sua speranza di rivederlo quella mattina.
Ma quando i suoi occhi celati da un paio di Ray Ban scuri, incontrarono quelli freddi e distanti di lui, tutta la rabbia tornò a montarle dentro.
“Buongiorno J.. alla fine sei venuta, avevamo perso le speranze”
Scherzò Adam salutandola.
“Ho fatto parecchia fatica a rimettermi in sesto questa mattina”
Sperò che la frecciatina arrivasse a chi di dovere.
“Non preoccuparti, mi spiace farti venire qui anche di domenica..”
“Nessun problema”
Rispose lei lasciando la giacca, gli occhiali e la borsa su una sedia e raggiungendo i tre al centro dello studio.
Sperò che nessuno facesse commenti sulle sue occhiaie e occhi rossi da tossica.
“Lui è Jack.. “
Adam le presentò il nuovo arrivato.
Jen porse la mano sorridendo e sperando che qualcuno notasse il suo solito modo gentile ed educato di accogliere i nuovi arrivati.
Con la coda dell’occhio osservò la reazione di lui che era tutto preso a sbottonarsi  i polsini della sua camicia azzurra.
Gli arrotolò lasciando scoperti gli avambracci.
Jen commentò con un sorriso sarcastico.
“Ci sarà una scena di combattimento tra Hook ed Emma e Jack è qui per insegnarvi a duellare. Abbiamo poco tempo per prepararvi ed ecco perché ho insistito per cominciare subito. Jack è un ottimo maestro di scherma”
Spiegò Adam pensando che quella scena fosse cosa gradita per entrambi.
I due invece ignorarono l’entusiasmo di Adam che non si accorse della strana tensione perché il suo cellulare squillò rompendo il silenzio.
“Uh è Jane… ci vediamo dopo”
Uscì dallo studio rispondendo al telefono e lasciando i tre soli.
Jack si schiarì la voce, d’un tratto a disagio.
“Bene.. cominciamo”
Disse andando a recuperare due spade di plastica.
Erano quelle che i bambini usano a carnevale.
Peccato, Jen sperava di usare qualcosa di più letale.
Era un’esercitazione d’altronde, gli incidenti tra principianti capitano, era facile che qualcuno restasse ferito e lei sapeva già chi voler ferire…
In men che non si dica si ritrovò con quella stupida spada giocattolo in mano con lui di fronte in posizione di difesa.
Jack dava loro istruzioni sulla postura, sul modo esatto in cui incurvare la schiena, su come bilanciare il corpo con la mano libera, lo scatto delle gambe.
Jen assimilò solo in parte era tutta presa a lanciare sguardi carichi di odio verso quegli occhi azzurri.
Dopo un po’ lui assorbì quella negatività facendo altrettanto.
Jack pensò che i due fossero già calati nella scena, anche se quella era una semplice esercitazione.
Dopo tutto erano attori loro.
Dopo aver chiarito chi avrebbe colpito chi e come, Jack disse che il resto sarebbe venuto da sé.
Una cosa istintiva e naturale.
Jen si chiese se davvero fosse possibile duellare conoscendo solo quelle piccole e semplici basi.
Di solito era una che si preparava bene e a fondo quando doveva far qualcosa.
La nerd che era  in lei emerse in quel momento procurandole un lieve accenno di panico.
Panico che svanì totalmente quando Jack disse:
“Ok, vi ho detto ciò che vi serve sapere per ora. Vi correggerò mano a mano che proseguirete, perciò cominciamo. Jennifer attacca e Colin difende. “
Jen sorrise soddisfatta.
“ricordate che la postura è tutto”
Concluse Jack prima di dare il via.
Chissà come le risultò facile colpire per prima.
Puntò la sua spada verso di lui e tentò di colpire il braccio.
Lui si difese prontamente ma si accorse, dal modo in cui la sua spada vibrò a contatto con la sua, che i colpi di lei non erano affatto timidi.
Faceva sul serio.
La conferma gli arrivò man mano che il ‘gioco’ proseguiva e lei era sempre più accanita e decisa nel volerlo ferire.
Senza rendersene conto i due si trovarono immersi in una danza di affondi, toccate e contrattacchi muovendosi in maniera circolare lungo il perimetro dello studio.
“Qual è il tuo problema?”
Chiese lui bloccando un affondo di lei diretto proprio nelle sue parti intime.
“E me lo chiedi?”
Replicò beffarda lei puntando al cuore, di nuovo lui la bloccò in tempo.
“Credo che tu sia ancora ubriaca”
“Oh ti piacerebbe non è vero? Così potresti ridere alle mie spalle”
“Che diavolo stai dicendo?”
Chiese lui questa volta bloccando la spada di lei con più forza del solito.
La mano di Jen tremò mentre tentava un affondo verso il suo ventre.
Affondo che lui bloccò.
“Mi hai spinta tra le braccia di un altro, mi hai fatto comportare da sgualdrina, lo sapevi… avevi progettato tutto. Ecco perché hai insistito per farmi venire al tuo tavolo. Il tuo intento è quello di rovinarmi non è vero?”
Jen era furiosa.
Questa volta colpì uno dei suoi avambracci e lui non fu in grado di difendersi.
Il rossore sulla sua pelle pallida fu un segno che entrambi notarono.
Ma non si arresero, continuarono a combattere.
“Stai dicendo che è colpa mia? È colpa mia se ti ubriachi e fai la gatta morta con il primo che capita? Non sapevo fossi così moralmente fragile e disperata a tal punto di venderti per un paio di drink”
Voleva ferirla come lui aveva fatto con lei.
E ci era riuscito, anche se la ferita che le aveva inflitto, non era visibile come quella che lui aveva sull’avambraccio.
“Non dare la colpa a me per errori che tu hai commesso. Non incolparmi se non sei in grado di controllare te stessa. È un tuo problema non mio”
Chissà quando i ruoli si erano invertiti e adesso era lui ad attaccare e lei a difendersi.
Si scoprì in difficoltà e col fiatone mentre rispondeva agli affondi vigorosi di lui.
“Oh adesso ho capito.. farmi ubriacare, Jon, era tutto un effetto collaterale. Non era quello il tuo piano”
Colin smise abbassò la guardia d’un tratto curioso.
Lei approfittò per colpirlo ma lui fu più veloce.
“Tu volevi approfittarti di me”
Sibilò lei gelida.
Quelle parole lo colpirono come lame affilate.
L’azzurro dei suoi occhi sembrò espandersi per lo shock, mentre la sua mente assorbiva ciò che lei gli aveva appena detto.
Si allontanò da lei lentamente, smettendo di combattere.
Quasi alzò le mani per dichiarare il game over.
Lasciò cadere la spada giocattolo per terra e le voltò le spalle andandosene.
“Dove vai? Non abbiamo ancora provato..”
“Ho finito qui”
Rispose brusco lui interrompendo le parole di protesta di Jack.
Raccolse la giacca e un casco da motociclista ed uscì dallo studio sbattendo rumorosamente la porta.
Jen restò imbambolata al centro della stanza, una spada protesa verso un nemico che sapeva di aver ormai annientato.
 
 
Qualche minuto dopo anche lei era fuori.
Sembrava che Adam fosse sparito e Jack era andato via dopo aver capito che per quel giorno non ci sarebbero stati altri esercizi.
Lei restò sola nel parcheggio assolato e deserto mentre chiamava il servizio clienti per prenotare un taxi.
Dopo due squilli il centralino rispose.
“Si, mi servirebbe un taxi”
“Va bene signorina, mi dica dove”
“E’ agli.. pronto?”
Forse era caduta la linea perché d’un tratto non sentì più il ronzio di fondo dall’altra parte del telefono.
Allontanò lo schermo dal suo orecchio e guardò il display.
Nero.
Andato.
La batteria era morta.
“Merda”
Biascicò muovendosi a vuoto nel parcheggio senza una meta precisa.
Frugò nella borsa in cerca delle chiavi della sua roulette.
Non le aveva.
E così poteva anche dire addio alla sua possibilità di trovare un carica batterie.
Però aveva una forcina per capelli e sul set aveva imparato anche come scassinare una serratura.
Certe volte il lavoro torna utile anche nella vita vera.
Sorrise e andò verso il suo camerino prima di notare una moto non poco distante da lei..
Era il camerino di O’ Donoghue e quella moto parcheggiata sfrontatamente davanti doveva per forza essere la sua.
Lui uscì all’improvviso e la sorprese a fissare la sua moto.
Anche lui aveva degli occhiali da sole ma questo non impedì a Jen di notare lo sguardo carico di odio e disprezzo che lui le riservò.
Durò solo un attimo.
Poi lui mise il casco, montò in sella alla moto e avviò il motore.
Il rombo fu così forte che la fece sobbalzare dopo tutto quel silenzio.
Avviandosi nella direzione opposta, Colin abbandonò il parcheggio lasciandola di nuovo sola.
 
Scoprì a sue spese che non era affatto facile forzare quel tipo di serratura.
Ci rinunciò quando finì per ferirsi un dito.
Si leccò quel po’ di sangue che uscì dal piccolo taglio e ormai arresa si avviò verso l’uscita.
Mostrò il cartellino al tipo della sicurezza che alzò la sbarra facendola uscire.
Ed eccola lì nel bel mezzo del nulla, a guardarsi costantemente le spalle per paura che qualcuno potesse sorprenderla da dietro.
Avrebbe dovuto camminare un bel po’ prima di essere nelle strade affollate di Los Angeles dove avrebbe potuto fermare un taxi che l’avrebbe accompagnata a casa.
 
Colin era nascosto dietro i cancelli degli studi televisivi.
Era ormai pomeriggio e il sole era prossimo al tramonto.
Osservò lei che usciva poco dopo a piedi.
Si chiese perché non avesse un passaggio o se la sua nuova strana ossessione era camminare sola per strade deserte e fare la fine di un gatto in autostrada.
Smise di armeggiare con il telefono e lo ripose in uno dei taschini del suo giubbotto di pelle.
La fissò fino a quando gli fu possibile, poi lei imboccò uno dei tanti vialetti e sparì dalla sua vista.
Intuendo la direzione che avrebbe preso, attese qualche minuto, prima di accendere il motore e infilarsi in una delle strade parallele.
Così lei non avrebbe sentito il rumore del motore e non si sarebbe accorta che lui la stava seguendo.
Passarono 10 minuti in cui lui percorse una stradina adiacente a quella di lei e sentì l’ansia montargli dentro.
Stava andando a una velocità sostenuta a quella di un paio di gambe umane?
Lei era più veloce o lenta di lui?
Era ancora in quella stradina o aveva cambiato?
Che palle, non era un esperto in pedinamenti.
Ripensandoci non aveva mai fatto una cosa simile.
Si chiese se fosse meglio abbandonare la moto e proseguire a piedi ma lei era troppo sveglia e lui troppo imbranato.
Sarebbe finito per farsi scoprire.
Poi sentì il rumore di…due auto in collisione?
O era solo una l’auto?
Un urlo e il suono ripetuto di un clacson.
Da quale cavolo di stradina proveniva?
Era quella in cui avrebbe dovuto trovarsi lei?
Non ci pensò due volte.
Abbandonò la moto e si lanciò all’inseguimento raggiungendo la fine del vicolo in poche falcate.
Mancava poco all’imbocco, il punto in cui le due strade si sarebbero incontrate.
Girò velocemente e… finì contro qualcosa.
Quel qualcosa aveva un profumo e una voce famigliare mentre esclamava “merda”.
La borsa di lei finì per terra e lui si chinò a raccoglierla.
Gliela porse e incrociò il suo sguardo.
O ciò che gli occhiali da sole lasciavano intravedere.
Lei prese la borsa che lui le porgeva.
Sembrava fredda, distante, un’altra persona.
Normalmente avrebbe dovuto scusarsi per essere finito contro di lei, ma non lo fece.
La parola ‘scusa’ era vitale a quel punto del loro rapporto e di certo non doveva essere lui a pronunciarla.
Non per primo almeno.
C’era lei che aveva fatto di peggio, una ferita che ancora bruciava.
“Grazie”
Disse lei poco dopo.
Lui annuì brusco.
Restarono fermi per qualche secondo nella luce obliqua di metà pomeriggio.
Poi lei accennò un passo e contemporaneamente lui fece lo stesso.
Ci riprovarono.
Di nuovo.
Erano in quell’imbarazzante situazione in cui si finisce per non trovare un accordo su chi debba partire per primo e si finisce a rincorrersi nei propri stessi passi.
Chi avrebbe toccato chi per fermare tutto ciò?
Nessuno.
Jen si fermò e con un braccio gli indicò la via, per dirgli ‘vai, passa pure’.
Colin lo fece ma poi si accorse che lei stava per imboccare la stradina dove lui aveva nascosto la moto.
Perché?
Casa sua era da tutt’altra parte.
Non poteva permettere che lei lo scoprisse, sarebbe stato troppo strano.
Fu preso dal panico mentre il suo cervello elaborava mille teorie per bloccarla.
Ma non riuscì a pensare a nulla di buono se non a un sincero e inopportuno:
“Dove vai?”
Lei si voltò curiosa e incredula.
“Prego?”
“Non puoi andare di lì, c’è stato un incidente, hanno bloccato l’uscita”
Fu la prima scusa che gli venne in mente.
Non male.
Lei soppesò le sue parole.
Parve bersi quella bugia.
“Allora torno indietro”
Jen ritornò raggiungendolo nella stradina da dove lei era venuta.
Stava tornando… indietro?
Di nuovo la curiosità ebbe la meglio.
“Dove stai andando?”
Lei si voltò e gli rispose leggermente infastidita.
“Agli studi, ho dimenticato le chiavi di casa”
Colin si mordicchiò una guancia a disagio.
‘Cazzo Jen, è quasi il tramonto e sei a piedi.’
“Ti do un passaggio io”
Lei sembrò totalmente schoccata.
“Non mi serve grazie”
Fece per andarsene ma lui si allungò per afferrarle un braccio.
“E’ il tramonto e queste sono strade deserte con un pessimo sistema di illuminazione. Mi hai dato del maniaco sessuale, non voglio aggiungere killer menefreghista alla lista. Vieni con me”
Forse furono le sue parole o il tono secco e deciso con cui le disse, ma Jen si ritrovò a seguirlo come una brava studentessa cattolica.
Camminarono per un po’ in silenzio, lui davanti lei dietro.
Arrivarono alla moto.
Colin sperò che lei non si facesse domande sul perché lui aveva abbandonato la sua moto nel bel mezzo del nulla per proseguire a piedi.
Aprì con una delle chiavi la serratura del sedile, lo alzò e tirò fuori un casco da passeggero.
Glielo porse.
Lei lo indossò senza battere ciglio.
Salì in moto e aspettò che lei facesse lo stesso.
Nascosto dal casco sorrise soddisfatto mentre le disse:
“Devi tenerti a me”
Lesse dello scetticismo nell’aria.
“Tranquilla, dopo averti vista nuda queste toccatine sono il minimo”
Scherzò lui prendendosi gioco di lei.
Jen sapeva di avergli detto una cazzata con la storia del ‘volevi farmi ubriacare per approfittarti di me’ sapeva, perché lo sentiva dentro, che lui non era il tipo.
Si maledisse per quelle parole che come sempre le si erano ritorte contro.
Lui era passato dal carnefice alla vittima e lei era solo una povera e semplice stupida.
Come lo era stata dall’inizio del loro rapporto.
“Vaffanculo”
mormorò abbastanza forte perché lui la sentisse al di là del casco.
Colin la sentì eccome e per tutta risposta sorrise beffardo mentre le braccia di lei si arrestavano intorno alla sua vita.
Partì più veloce del solito per farle provare l’ebbrezza di un viaggio in moto.
 
Cinque minuti dopo erano dinnanzi agli studi televisivi.
La guardia fu abbastanza sorpresa di rivederli di nuovo lì ma non fece domande.
Prese i loro cartellini e li riconsegnò segnando i loro nomi sul registro elettronico.
Passarono oltre la barra di sicurezza e raggiunsero l’entrata principale degli studi.
“Non c’è bisogno che mi segui”
Lui premette l’interruttore per chiamare l’ascensore.
Due secondi dopo erano di nuovo bloccati in quella cabina metallica e così incredibilmente stretta.
Lei fece un passo avanti avvicinandosi quanto più possibile alle porte, così da non dover sentire il fiato di lui sul collo.
Colin non fiatò ma osservò la sua nuca con insistenza.
4…5…
Mancavano solo due piani e Jen pensò di non farcela.
Aveva paura di avere una crisi nervosa e scoppiare a piangere per la frustrazione o fare qualcosa di stupido.
Non sapeva spiegarsi perché la sua vicinanza la riducesse così.
Il numero sul display segnava che ora erano al sesto piano.
Jen strinse forte i pugni e trattenne il respiro.
‘Che cosa ti succede ragazzina’
Pensò spaventata dal suo stesso comportamento.
Il jingle di benvenuto segnò che erano arrivati a destinazione.
Le porte si aprirono e lei si fiondò fuori nel corridoio come se l’ascensore stesse per esplodere.
Nel frattempo era scesa la sera e tutto era immerso nell’oscurità.
Le uniche luci provenivano dai simboli sulle porte di emergenza.
Non poteva nemmeno usare il suo telefono per farsi luce perché era scarico.
Procedette alla ricerca dello studio 57.
Aprì la porta e prima che quella si richiudesse lui entrò nella stanza come fosse la sua ombra.
Jen si guardò intorno nel buio assoluto, non sapendo come tirarsi fuori da quella situazione.
Colin attese e poi le chiese:
“Dove sono queste chiavi?”
Per fortuna era buio perché Jen arrossì violentemente come una bambina goffa e impacciata.
“Io.. credo di averle perse”
Lui non disse nulla e quasi restò sorpresa di non sentire una risata ironica come risposta alle sue parole.
Una luce improvvisa e accecante apparve nella stanza.
Era la torcia del suo iPhone.
“Cerchiamole”
Disse lui semplicemente.
Si chinarono entrambi a guardare sotto alcune sedie, lungo le pareti, accanto alle porte, fino al centro della stanza dove avevano duellato.
Nulla, non trovarono nulla.
“Se ci dividiamo forse riusciamo prima”
“Ho il telefono scarico”
Ammise lei imbarazzata.
Passarono altri 10 minuti in cui setacciarono lo studio nei minimi dettagli.
Poi non restò che arrendersi.
“Sembra che non ci siano chiavi qui..”
Cantilenò lui con uno strano tono di voce.
Jen lo fissò, il viso per metà illuminato dalla luce bianca della torcia.
Sapeva che c’era qualcosa che le sfuggiva in quelle parole.
Un allusione che avrebbe dovuto cogliere.
“Che vuoi dire?”
“Beh… è la scusa più vecchia del mondo. Tu che mi chiami qui, per cercare qualcosa che non c’è, al buio..”
Jen ascoltò quelle parole con l’espressione di una che ha appena ricevuto uno schiaffo in faccia.
“Non sto dicendo che tu voglia approfittare di me…”
Le fece il verso lui.
“… solo che semplicemente hai voglia di passare del tempo con me”
Non c’era logica in ciò che stava dicendo, lui doveva saperlo.
Jen avrebbe potuto smontare la sua tesi pezzo per pezzo ma era così incazzata per proferire parola.
Si fiondò fuori dalla stanza verso l’ascensore.
“Aspetta”
Urlò lui lanciandosi all’inseguimento.
“Abbiamo una sola torcia e non vorrai perdere te stessa oltre che le chiavi”
“Fottiti Colin”
Quelle parole pronunciate dalle sue labbra lo eccitarono.
“Tranquilla.. non mi interessa farlo con te. Non sei proprio il mio tipo”
Quella frase scatenò in lei una tempesta di emozioni così violenta da mozzarle il respiro.
Si girò verso di lui, lo afferrò per la camicia e lo sbatté contro il muro.
Il telefono gli cadde nell’impatto, mentre i suoi occhi si spalancarono come le sue labbra in attesa che lei lo facesse.
Perché era così vicina che non poteva immaginare altrimenti.
Chiuse gli occhi e attese ma tutto ciò che ricevette fu una risatina beffarda.
Aprì gli occhi confuso mentre lei mollava la presa e si allontanava da lui.
“Chi è il bugiardo adesso..?!”
Bluffò lei divertita.
L’ascensore arrivò.
Jen entrò e lui si ricompose totalmente distrutto dopo quell’affronto.
Lei non smise di sorridere per tutto il tempo.
Godeva della situazione.
Era chiaro.
Entrò in tempo prima che le porte si richiudessero tagliandolo fuori.
Arrivarono alle uscite principali.
In un attimo furono nel parcheggio e lui dovette correre per mantenere il suo passo.
Inciampò in qualcosa, forse un sasso e infastidito lo calciò conscio di aver fatto un’altra figura di merda.
La situazione si era totalmente capovolta.
Ma quel sasso fece un rumore metallico come di…
“Chiavi”
Esclamò lei sorpresa chinandosi a raccoglierle.
“Un’altra prova che la bugiarda tra noi due non sono di certo io..”
Un’altra vittoria che la bionda si portava a casa quel giorno.
Montò in sella alla moto e si mise il casco, come se quella fosse ormai un’abitudine di sempre.
Fu questo a restituire il sorriso a Colin che la fissava colpito.
“Allora, me lo dai o no un passaggio a casa?”
 
 
 
   
 
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