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Autore: Euridice100    18/04/2015    9 recensioni
"Ma l’altra rialza il capo e lo fissa con odio.
È allora che Gold la vede.
Arretra di un passo con la certezza di avere dinanzi a sé un fantasma.
'No, non può essere.'
Ma è allora che il passato torna a essere presente."
(Victorian!AU RumBelle
Seguito di "Cleaning all that I've become" e "All of the stars".)
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Nuovo personaggio, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Your dream is over... Or has it just begun?'
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IX - I’m your man

“If you want a lover 
I'll do anything you ask me to.”



Robert Gold non ricordava di aver mai visto la casa tanto festosa. Malgrado fosse tornato in anticipo e senza preavviso, i dipendenti l’avevano accolto con una serenità tale da non essere scalfita neanche dai suoi dileggi più pungenti, e per un momento l’uomo si era ritrovato a percorrere gli ultimi passi compiuti alla ricerca del gesto causa di quel repentino cambio di rotta.
Come ricordava, non ne trovò alcuno. Come mai all’improvviso non lo temevano più? Gli era sovvenuta l’idea che sapessero di Belle. Ma come avevano fatto? Non voleva che i servi bazzicassero i quartieri bassi, e se li avesse scoperti li avrebbe licenziati in tronco. Il sospetto che avessero sempre mantenuto i contatti con la donna e che la stessa avesse taciuto in proposito lo aveva sfiorato, prima di essere brutalmente respinto: dei subalterni poteva anche non fidarsi, di Belle doveva
Forse la sua era paranoia, e la ragione del buonumore nulla aveva a che fare con lui: magari qualcuno aveva ricevuto una buona notizia e l’aveva condivisa con gli altri, semplice; tuttavia, non riusciva a nascondere l’irritazione procuratagli dal sentirsi all’oscuro di qualcosa in un luogo che per lui non avrebbe dovuto avere segreti. Dopo la notizia ricevuta, aveva accumulato abbastanza frustrazione da voler rendere a calci qualsiasi cosa gli fosse capitata a tiro; e invece, si ritrovava a fronteggiare incapaci che parevano beffarlo coi loro sorrisi.
Ma l’incapace che più di tutti lo insospettiva era sempre e solo lui.
Da quando lo conosceva, in più di un’occasione Gold aveva carezzato la fantasia di alzarsi e andare a spaccare la faccia di Killian Jones, ma quel giorno l’idea era molto, molto più tentatrice del solito: all’industriale non piaceva, non piaceva affatto il modo in cui il valletto lo guardava, come se si stesse trattenendo a fatica dallo sputargli in un occhio. Gli comunicava piuttosto l’idea che il valletto sapesse ogni cosa, se non anzi più cose di lui; e soprattutto, che si beasse delle complicazioni in cui la sua vita amava indulgere.
Ma Robert Gold non poteva permettersi di farsi dominare dall’astio.
Non ora.
Aveva il dovere – fisico, morale, psicologico – di tranquillizzarsi e mettere da parte l’agitazione, l’unica nemica che avrebbe potuto tradirlo.
Rebecca Zelenyy stava raggiungendo la cugina in Gran Bretagna. Buon per lei: si sarebbe goduta la piovosa primavera inglese, avrebbe ammirato i paesaggi del Kent e magari avrebbe anche recuperato un barlume di equilibrio mentale – sull’ultimo punto si riservava il diritto di nutrire forti perplessità, ma la speranza è quasi sempre l’ultima a morire. L’ex amante non stava recandosi a Londra: al più avrebbe fatto una capatina nella capitale, una veloce visita che non li avrebbe certo fatti incontrare. Affrontando la realtà, quante possibilità avevano di rivedersi?
Poche, pochissime.
Esattamente quante ce n’erano che fosse imparentata con Ella Feinberg. 
Non avrebbe corso rischi: si sarebbe barricato in casa dando precisi ordini di non far entrare eventuali dame dai riccioli rossi e dallo sguardo apparentemente tanto cordiale quanto in realtà famelico.
Analizzando la situazione con obiettività, tra Rebecca e Cora avrebbe dovuto temere maggiormente la seconda: la Zelenyy era isterica e ossessiva, aveva già dato prova di poter compiere follie, ma poteva comunque essere blandita. Una rassicurazione, un’attenzione o una carezza erano sufficienti a placarla – il fatto che lui non volesse dedicarle alcunché del genere era un’altra questione, ovviamente.
Cora, invece, era un altro paio di maniche.
Pur nella sua imprevedibilità, si poteva creare un filo conduttore nell’agire della manipolabile Rebecca, un ordito tale da renderla a suo modo più gestibile; Cora, invece, non giocava ad altri giochi se non al suo, e prima di compiere la più insignificante mossa studiava l’avversario, le sue debolezze e i suoi punti di forza. La Mills agiva solo dopo aver individuato la strategia che le avrebbe garantito la vittoria; e il fatto che non si facesse viva da un po’ – da troppo, per i suoi standard – non faceva che insospettirlo.
Ecco: Cora era pericolosa perché taceva. Perché si muoveva senza farsi notare – strisciava come una serpe, e come una serpe faceva avvertire la sua presenza solo quando era ormai tardi per sfuggirle, quando ormai già affondava i denti nelle carni della vittima.
Quando già inoculava il suo fatale, mortifero veleno.
Non era tanto da Rebecca quanto da Cora che avrebbe fatto bene a guardarsi; ma evitare anche la prima sarebbe stata comunque una saggia mossa.
Magari, aveva pensato Gold, avrebbe potuto organizzarsi e tornare in Scozia, trascorrere lì qualche settimana.
Magari con due persone ben precise…
Si concesse il diritto all’illusione per un istante, a seguito del quale la realtà tornò ad aggredirlo con tutta la sua brutalità.
C’era stato un – imprevisto, improvviso, meraviglioso – sviluppo, ma le probabilità che Belle accettasse tanto presto un simile viaggio erano infinitesimali; o, più semplicemente, non esistevano. Non valeva la pena proporglielo, perché la risposta sarebbe stata negativa; e tuttavia, lui era tanto masochista da provare il desiderio di chiederglielo, di assaporare ancora il gusto tenue della speranza e di costruire castelli per aria.
Castelli popolati da fantasmi.
Non che gliene facesse una colpa, ovvio: Belle era più che legittimata ad agire in tal senso, e se fosse stato nei suoi panni si sarebbe comportato nello stesso identico modo, se non peggio. Nonostante l’incomparabilità delle situazioni, se Milah fosse tornata millantando pentimenti e desideri di maternità lui le avrebbe sbattuto la porta in faccia raccomandandole caldamente di non ripresentarsi mai più; Belle, invece, si era dimostrata di gran lunga superiore.
Belle e il miele rosso dei suoi capelli, Belle con cui era facile dimenticare tutto il resto, Belle e il suo modo di guardarlo, di chi ascolta e capisce anche ciò che non si dice.
Belle che l’aveva baciato.

Ma far paragoni tra loro due era un’attività vana: si possono comparare ottobre e aprile, simili tra loro solo perché opposti? Eppure, in quella differenza tanto intrinseca lui aveva scoperto un fascino sottile sin dalla prima ora, sin dalla sbeccatura di una tazza ancora conservata come una reliquia; il suo candore, il suo garbo l’avevano ammaliato e trascinato via, costringendolo in un viaggio alla ricerca di se stesso attraverso un altro – attraverso lei. Trovava un’ironica contraddizione, un divertissement quanto mai ambiguo nell’essersi per qualche settimana di magia sentito completo, uno e non più mezzo, e nell’aver trovato il frammento mancante non in sé – lui che per anni e anni aveva cercato di bastarsi da solo –, ma in un’altra persona; nella persona più improbabile che avesse mai potuto immaginare, in una giovane dal fare fiducioso e gli occhi sempre ridenti.
Aveva provveduto lui, poi, a render sospettosi i suoi sorrisi, a far piangere quegli occhi.
Avrebbe dovuto pentirsi di averla baciata. Sotto molteplici punti di vista era stato irrispettoso: Belle non l’aveva detto, ma in un certo momento il suo sguardo si era adombrato, come se stesse rammentando il male che lui le aveva procurato ammonendosi perché non glielo permettesse più.
Le aveva rubato quel bacio, quelle carezze furtive? Non ce ne sarebbero più – mai più – state delle altre?
Per quanto l’eventualità gli apparisse orrorifica, avrebbe dovuto considerarla: fingere non esistesse e credere che in un modo o nell’altro tutto si sarebbe risolto per il meglio sarebbe stato assai poco saggio. Gold si ripeteva di dover lasciare alla donna la libertà di riflettere e capire cosa fosse meglio; e, per quanto premesse sempre per il trasferimento a Kensington, per quanto il desiderio di proteggere lei e la bambina non fosse del tutto disinteressato, ciò che anche solo lontanamente fosse somigliato a una coartazione sotto altri punti di vista avrebbe costituito il punto più basso mai raggiunto, e che lui non intendeva raggiungere.
Se l’amava come sosteneva – ed è vero, te lo giuro, Sweetheart, nella vita sono stato sincero solo con te e Neal – avrebbe accettato qualunque decisione avesse preso, per quanto dolorosa fosse stata.
Il bacio era stato un errore.
Un errore di cui non riusciva a pentirsi.
Gli attimi in cui si erano guardati e avevano capito cosa sarebbe successo, in cui le loro labbra erano rimaste sospese, come indecise, prima di unirsi avevano scatenato il meraviglioso, terribile potere di farlo tornare alla vita dopo il limbo.
In quei momenti l’unico pensiero che era stato in grado di formulare era stato composto da cinque lettere.
Belle.
Mentre la baciava aveva avvertito ancora più aggressivi i morsi del desiderio che, feroce più della fame, per anni l’aveva consumato.
Belle.
Prenderle la nuca tra le mani, attirarla a sé e percorrere ancora – ancora, ancora e ancora – quella bocca così appassionata e dolce.
Belle.
Sentire i contorni morbidi del suo corpo premuti contro di sé, sentire il palmo delle sue mani sul corpo bruciare come un marchio.
Belle.
Ora che l’avrebbe rivista, l’immagine sarebbe tornata a premergli la mente, a scavargliela; e se avesse provato a fingere indifferenza, sarebbe bastato uno sguardo per aprire una breccia nel muro e farne rovinare i mattoni.
Il potere di Belle, il suo riuscire ad andare oltre, a trovare l’uomo dietro al mostro.
La sua piccola, grande magia.
Da che era Mr Gold, conosceva un unico modo per difendersi: allontanarsi.
Ma stavolta lui non ne aveva alcuna intenzione, e non solo a causa della donna.
Helena avrebbe risentito di un ulteriore cambio di rotta: una bambina così piccola aveva bisogno di punti fermi e serenità, tanto più in una situazione già complessa. L’industriale non voleva che la figlia interpretasse l’atteggiamento come un rifiuto nei suoi confronti – un rifiuto, tra l’altro, quanto mai distante dalla realtà.
In un certo senso, forse avrebbe dovuto ringraziare Ella: la notizia datagli lo aveva indotto a far ritorno a Londra prima del previsto. Altro che una settimana: dopo appena cinque giorni era di nuovo nella capitale, e ora – finalmente – sulla strada che da Kensington lo conduceva a Whitechapel.
Dal suo lieto fine.

 

“If you want to strike me down in anger
here I stand. ”




- Secondo te perché non si è fatto più vivo?
Un’inquieta Ruby si attorcigliava una ciocca di capelli tra le dita mentre ravvivava il focolare della cucina; a qualche metro di distanza, Granny fingeva di essere assorta nella preparazione dei pasti e di non udire i sussurri preoccupati della nipote.
- Dici che è successo qualcosa? Che ho detto o fatto qualcosa di sbagliato? – domandò sottovoce a Belle, intenta a sgusciare piselli al suo fianco.
Per quanto scanzonata e sicura di sé si sforzasse di apparire, in un modo o l’altro l’indole insicura della ragazza trovava la strada per emergere e rischiare di soggiogarla. Fortunatamente non accadeva spesso, perché la più giovane delle Lucas possedeva una gran forza d’animo di indubbia provenienza; ma quando capitava erano guai: il posto della combattiva ventenne che non perdeva occasione di scherzare e irretire il prossimo era occupato da un fantasma pallido e dall’espressione assorta alle prese col bilancio della propria esistenza.
Un bilancio, a suo dire, in perenne passivo. 
E quando la bellissima, fiera Ruby attraversava simile fase a causa di un uomo – non di un uomo, di Viktor Whale!, aveva finalmente ammesso –, significava che le cose si stavano mettendo molto, molto male.
- Sono trascorsi cinque giorni, magari ha molti pazienti o è impegnato in qualche convegno. Ti ha accennato qualcosa in proposito? – Belle provò a consolarla invano.
- Abbiamo parlato di talmente tante cose che è impossibile ricordarle tutte, ma no, di questo non mi pare abbia detto niente. No, no, – ribadì dopo aver riflettuto – Mi ha raccontato poco del suo lavoro.
- Allora potrebbe essere come dico io, – l’amica rimarcò gentile – È presto per giungere a conclusioni tanto tragiche!
Ruby sospirò poco convinta.
- Belle, – esordì – Non voglio illudermi. Gli piaccio, questo è certo, ma evidentemente non abbastanza. Forse ho fantasticato troppo, e lui invece voleva solo una facile, ma le cose sono diverse. Stavolta più delle altre.
- Ripeto, secondo me non puoi ancora…
- Lui è medico, suo padre e suo fratello pezzi grossi dell’esercito e sua madre una nobile tedesca. Hanno possedimenti in tutta la Svizzera, e io a malapena so dove si trovi. Come potrebbe essere davvero interessato a me? – pur lungi dalle lacrime, il tono di voce di Ruby sarebbe suonato più consono in gola a un moribondo – Guardami: in pratica sono la schiava di mia nonna, – il matterello sbatté con più violenza sul tavolo vicino, ma nessuno parve accorgersene – Ho mille sogni nel cassetto e neanche un penny per realizzarli, le mie prospettive d’indipendenza sono nulle e sono riuscita a imparare a leggere e a scrivere a dodici anni. Sono bella, sì, me lo dicono in tanti, ma perché lo fanno? Lo sappiamo, è inutile stare girarci attorno. Da me gli uomini vogliono solo una cosa, non sono interessati ad andare oltre. Tanto più uno come di un ceto così alto…
L’ultima frase colpì Belle dritta allo stomaco.
- Non puoi dire una cosa del genere a me, – mormorò – Siamo noi a creare le differenze e a dar loro peso.
La giovane alzò il capo di scatto, mortificata.
- No, no! Non mi sono spiegata, io non mi riferivo a…
- Lo so, – l’altra riprese con un sorriso più amaro di quanto avrebbe voluto. Non era intenzione di Ruby offenderla, né la cameriera stava prendendo come esempio quanto successo tra lei e Gold, Belle lo sapeva: si era solo fatta prendere dalla concitazione e aveva parlato senza riflettere. Eppure, viste anche le recenti evoluzioni, alla French quelle parole avevano fatto molto, molto male – Ma se sei tu la prima a credere in qualcosa di simile, a blaterare di non meritare Whale per un motivo o l’altro, allora lui finirà per pensarla come te. Spesso gli altri si allontanano solo perché siamo noi a indurli a farlo. Anche se noi non vorremmo se ne andassero mai, – una conclusione, si ritrovò a notare, fin troppo attinente a lei e a Robert.
Ruby annuì come se condividesse il messaggio, ma la sua espressione rimase triste.
- Io ammiro la tua determinazione. Vorrei saper creder in me stessa come fai tu e avere meno paura, non rassegnarmi. Ma quando mi guardo allo specchio, vedo una persona terrorizzata da tutto ciò che potrebbe o non potrebbe accadere. Voglio viaggiare, vedere il mondo, e so che devo fare qualcosa o resterò in trappola, e l’idea mi terrorizza. Magari non uscirò più da Londra, vivrò e morirò qui in solitudine. Magari saranno i lupi a trovare il mio cadavere…
- I maiali, semmai. Lupi a Whitechapel non se ne sono mai visti, – chiosò Granny a denti stretti.
- Nonna! Non dovresti origliare i nostri discorsi, sono cose private!
- E tu dovresti crescere una volta per tutte! – fu l’aspra replica dell’anziana – Ma ti rendi conto di quello che hai detto finora? Non hai un minimo di sensibilità, come pensi si sia sentita lei mentre dicevi certe cose? Smettila di fare la smorfiosa e lavora, ti atteggi tanto da donna adulta ed Helena è più matura di te!
- E certo, per te chiunque è più maturo di me, anche i maiali che hai nominato! – Ruby si alzò di scatto, subito seguita da un’imbarazzatissima Belle. Per quanto vivesse con le Lucas da anni, non si era mai abituata alle loro feroci e frequenti liti – Tu vuoi che mi comporti come te e che alla fine mi trasformi in te, quando io nemmeno voglio questo lavoro!
- Però ti conviene vivere qui, eh! E finché lo farai sarai costretta ad ascoltarmi!
- Non hai…
- Su, dai, – Belle cercò di mediare, strattonando l’amica prima che potesse controbattere qualcosa di cui pentirsi o licenziarsi come pure era successo due anni prima – Abbiamo fatto aspettare troppo i clienti, se non ci muoviamo passeranno alla concorrenza!
Malgrado i piedi puntati di Ruby, la trascinò via costringendola quasi a procedere a balzelli per star dietro al suo passo.
- La strozzerei, giuro, la strozzerei! – commentò la più giovane appena giunte in sala – Odio quando mi tratta come una ragazzina idiota! 
- Non devi prendertela, lo sai. So che è difficile star dietro a tua nonna, ma se ti rimprovera lo fa per il tuo bene, si preoccupa per te e vuole che tu sia pronta quando questo posto sarà tuo. E su un punto le do ragione…
- Belle, te lo giuro, io non intendevo assolutamente riferirmi a te quando…
- Non è questo il punto, – scosse il capo e sorridere – Di solito sei così tenace, ma devi imparare a esserlo anche quando si presentano le difficoltà. Che sia un uomo che non torna o altro, non devi arrenderti e lagnarti, ma ricominciare daccapo, riflettere e capire dove hai sbagliato per non farlo più. Se non ti piace l’andazzo della tua vita, chi ti impedisce di cambiarlo? Nessuno, –continuò – Devi solo capire da dove iniziare. E allora, concentrati su di te e sulle tue priorità, decidi chi vuoi essere e fa’ il possibile per divenirlo. Affronta la realtà e risolvi i problemi, sai che noi – tua nonna, io, Helena – ci siamo, ma lagnarti non migliorerà nulla, anzi. E quanto a Whale, come fai a sapere che non gli piaci? Sei una delle ragazze più in gamba che io abbia mai conosciuto, e anche lui se n’è reso conto, altrimenti non sarebbe tornato senza motivo. E se non si farà più vivo, tanto peggio per lui: si sarà lasciato sfuggire l’occasione della sua vita. Cosa mi hai detto quando dovevo incontrare Robert e temevo un confronto con Cora o un qualche giudizio?
- Che non sei inferiore a nessuno.
- E lo stesso vale per te e il dottorino. Cosa credi che valga un titolo rispetto a ciò che si ha dentro? Se lui fosse tanto stupido da rifiutarti perché non ti crogioli nell’ozio e dai un senso alla tua vita, allora non è proprio un soggetto a cui puntare, fidati. E in tal caso, – concluse caparbia – Non vale la pena soffrire. Lui non vale la pena.



La sala era quasi deserta: poco distanti dal bancone sedevano Leroy e Marco, mentre in un angolo della sala, quasi nascosti in un cono d’ombra, tre uomini parlottavano tra loro quieti.
- Buon pomeriggio, ragazzi! – Belle raggiunse i due amici – Cosa vi porto?
- Hai un bel chiedere, sorella! Negli ultimi cinque anni mi hai mai visto prendere qualcosa di diverso dal solito?
- Cafone. Non essere irrispettoso verso la ragazza, lei è sempre tanto gentile con te! – l’italiano richiamò il compare prima di rivolgersi a Ruby – Perché quel muso lungo, piccina? Qualcosa non va?
- Solite questioni con mia nonna, – glissò lei con un’alzata di spalle – Nulla di nuovo sotto il sole.
- Cos’è successo a Polly? Sta bene?
Le cameriere si rivolsero un’occhiata molto eloquente. Anche se solo una delle due aveva l’ardire di esprimerli, i sospetti che entrambe nutrivano sul reale motivo delle frequenti visite del falegname trovavano conferma giorno dopo giorno; e le minacce che l’anziana non lesinava quando punzecchiature in tal senso potevano tutto fuorché fermarle o farle esitare.
- Benone, come vuoi che stia? – sbuffò come al solito Leroy – Le Lucas non le smuovi nemmeno coi pallettoni, tanto la vecchia quanto la giovane. Ma che vi ha trattenute, sorelle? La barba mi si è allungata tanto vi aspettiamo!
- Eh… Consigli di vita e di cuore!
- Non seguire mai i consigli di Belle, – bofonchiò l’uomo incrociando le braccia al petto – Tra me e Astrid mica è andata bene, – continuò incurante delle smorfie fintamente indignate della donna.
- Non potevamo immaginare si sarebbe messa in mezzo la sua madrina: quella Mrs Blue è davvero odiosa… E dire che io di gente odiosa ne ho incontrata parecchia. In ogni caso, – Belle si stiracchiò pigramente e andò a prendere le comande del trio all’altro tavolo –Se posso aiutare, io lo faccio volentieri. In amore sarò pure sfortunata, ma…
Non fece in tempo a concludere: mise un piede in fallo e si ritrovò quasi per terra. Solo qualcuno che l’afferrò rapido le impedì di sbattere sull’assito.
Fece per alzare il viso, grata al suo salvatore, quando una voce roca le raggiunse le orecchie facendole perdere un battito.
- Sfortunata in amore, eh, Dearie?

 

“If you want a boxer 
I will step into the ring for you.”




Si raddrizzò subito, ma non si ritrasse. Si sorprese aggrappata alle sue braccia, vicina quasi quanto lo era stata la settimana precedente, a guardarlo stupita e ancora non del tutto conscia della dinamica degli eventi, ma consapevole della sicurezza e, al contempo, della delicatezza con cui lui la teneva stretta.
- Come stai? – le mormorò prima di lasciarla andare. La domanda le causò un brivido lungo la schiena – Hai sbattuto qualcosa?
- No, no, – Belle deglutì tranquillizzandolo. Com’era stata tanto stupida da non riconoscere Hulme e Blockhurst? Ancora seduti al tavolo, la squadravano come al solito; ma in quel momento, a lei importava ben poco.
 – Mi hai afferrata prima che finissi per terra. Ti…
Gold scosse il capo, come ad anticipare e sdegnare i ringraziamenti.
- L’importante è che tu stia bene. Però, – inclinò appena il capo, stirando le labbra in un sorriso sghembo, uno di quelli con cui in passato alludeva a determinate situazioni e che a lei facevano ancora tremare le gambe – È bello sapere che certe cose non cambiano mai. La tua goffaggine, per esempio.
- E la tua onnipresenza quando cado. Sembra quasi mi porti sfortuna.
La scrutò sorpreso, come se non avesse previsto la rapidità con cui era tornata in sé e replicato; ma iniziò ben presto a ridacchiare – una risata breve e bassa, ma genuina, sincera, sentita; una risata che entrambi non udivano da anni e il cui suono li fece sobbalzare.
La risata che Belle amava sentire, che solo lei aveva l’onore e l’onere di far erompere dalla sua gola.
La risata più autentica, quella che gli toccava il viso e ingentiliva lo sguardo.

- Cosa ci fai qui? – una domanda stupida, perché era ovvio che Robert non fosse capitato per caso da Granny’s, ma che pure gli porse per frenare l’unica frase che avrebbe voluto pronunciare.
Grazie per essere tornato.
L’uomo alzò un sopracciglio. Qualcosa nei suoi occhi, che improvvisamente le parvero due capocchie di spillo, le fece capire che avesse intuito il suo reale pensiero.
- Perché avevo promesso sarei venuto a trovarvi. E non ho l’abitudine di rompere i miei accordi.
- Lo so, – Belle sottolineò il concetto guardandolo dritto in volto – Ma avevi detto saresti stato via per una settimana. Se avessi saputo,non avrei mandato Helena da Tink Barrie e avrei preso un pomeriggio libero. Sei fortunato, non c’è molta clientela e posso fermarmi, ma altrimenti… – non sapeva neanche cosa stesse dicendo. Pareva quasi non gradisse la sua visita: inanellava una parola dietro l’altra sapendo di star pronunciando idiozie e di dover calmarsi, di dover smettere di comportarsi come una ragazzina alla prima cotta, ma ogni ammonimento razionale aveva la peggio contro il tamburellare incessante del cuore contro le costole. Tutti i pensieri, tutti i rimproveri che si era rivolta dopo il bacio parevano non essere mai esistiti. Non si aspettava di vederlo tanto presto: se ne avesse avuto preavviso si sarebbe preparata, avrebbe intrecciato meglio i capelli,tolto di mezzo il grezzo abito marrone in cui era intabarrata… – A dirla tutta, – ammise infine – Mi cogli impreparata.
Ma al diavolo il vestito: era felice. Felice che avesse mantenuto la sua promessa, che fosse di nuovo da loro e che stesse sorridendo alle sue frasi, come se intuisse le emozioni che la confondevano e, soprattutto, le condividesse.
Dio, possibile che avesse ripreso a mancarle ogni volta sempre di più?
Sì.
- Vieni via con me?
Lo stesso invito della scorsa volta.
La donna aprì la bocca per rispondere, ma subito la richiuse, incerta di aver capito fino in fondo la proposta di Robert. 
- Ora?
- Sì. Facciamo un giro in carrozza, ti riporto quando vuoi. Restiamo nei paraggi, oppure andiamo da qualche parte, basta che tu lo dica. Andremo dove vorrai, – il tono quasi implorante in cui parlò il tanto temuto magnate della lana la intenerì.
Era tentata, quanto era tentata. Quanto avrebbe voluto dire di sì, gettarsi addosso il mantello e fuggire con lui, fingere per un’ora di non essere altri che due innamorati tra i tanti.
Perché quello erano: due innamorati. Potevano nutrire dubbi e paure, non esser certi del futuro che li aspettava e temere di ripetere gli errori, ma la realtà immediata, quella che il mondo avrebbe letto vedendoli passare, era una e una sola.
Potevano farlo. Potevano essere chiunque tra la folla, giocare a essere tornati all’inizio, quando il mondo era ancora da esplorare.
Quando erano privi di un passato comune, con un presente ancora da vivere e un futuro tutto da scrivere. Due innamorati che avevano il diritto di essere incoscienti – un’ora, un’ora sola, il regalo che si erano negati per troppo tempo.
Occhieggiò verso Ruby, che rispondeva con foga alle domande di Leroy quasi a convincerlo non fosse il caso d’intervenire. Quando incontrò il suo sguardo, la Lucas le rivolse un impercettibile occhiolino.
Cosa ci fai ancora qui? pareva rimproverarla. Muoviti e va’ con lui!
E allora Belle decise.
Le mani corsero a slacciare il grembiule.
- Andiamo?
E a lui quella parola parve brillare più del sole.
 


“If you want a driver 
climb inside,
or if you want to take me for a ride 
you know you can,
I'm your man. ”




- Dove vuoi andare? – le domandò aiutandola a montare in carrozza.
- Dove tutto è iniziato.
- A Kensington? – dopo quanto sostenuto durante l’ultimo incontro, quel repentino cambio d’opinione non poté che stupire Gold.
Dinanzi alla sua espressione, a Belle fece quasi male contraddirlo.
- No. Vorrei tornare a Canary Wharf.
Come aveva fatto a non pensarci? Era lì che si erano conosciuti, che per la prima volta i suoi occhi si erano posati su di lei, così critici nei confronti di una ribelle i cui intenti aveva equivocato. Le aveva detto di non essere in cerca di amore intendendo il sesso, non il sentimento; perché il sentimento, pensava all’epoca, gli era precluso per sempre. L’amore non era un’invenzione: nell’atto di definirlo una debolezza, Cora stessa ne riconosceva implicitamente l’esistenza; ma esisteva per gli altri, non per gente come lui.
La gente come lui non otteneva un lieto fine – sempre che l’amore potesse essere considerato un lieto fine. 
E invece, quella ragazza dagli occhi di gioiello aveva finito per sovvertire i capisaldi del suo universo, capovolgendone i punti fermi e scatenando nuovi interrogativi; eppure, con lei, nei dubbi aveva ritrovato una parte di se stesso che credeva sopita per sempre.
Anche quando le mentiva, quando sbagliava, quando lo negava, con lei aveva ritrovato se stesso. 
- Come sta Helena? – s’informò dopo aver indicato la destinazione al cocchiere.
- Bene, grazie. Le sei mancato, sai? In questi giorni abbiamo fatto lunghe chiacchierate tra donne e il responso è positivo: le sei piaciuto, e molto, aggiungerei. Malgrado il tuo accento, – lo prese in giro immaginandone già la reazione.
- Perché? Cos’ha che non va il mio accento? – ghignò calcando a forza l’inflessione come l’altra aveva previsto.
- Esattamente questo, – ammiccò gioviale – Credo voglia sapere tutto della Scozia, appena vi rivedrete sarà lei stessa a dirtelo, – buono a sapersi, si disse Gold. Se ci fosse stato, il suo viaggetto avrebbe trovato un’inaspettata sostenitrice… – Dopo andiamo a prenderla da Tink? La porto spesso da lei, le piace. Anche se a casa vuole rendersi utile come può, preferisco stia con altri bambini piuttosto che sempre tra gli adulti. Ha parecchi amici.
- È una personcina socievole, in effetti.
- Fidati, ancora è nulla, – Belle rise, ma presto tornò seria – Avevo intenzione di chiederti un parere.
- Dimmi pure.
- Sai bene che Helena vuole imparare a leggere e a scrivere e, anche se secondo me è ancora presto, ho pensato che magari potrei iniziare coi rudimenti. Giusto qualche letterina sotto forma di gioco, nulla di che, come se fosse un passatempo diverso dal solito. Tu cosa ne pensi?
Belle aveva pronunciato tante frasi, ma lui aveva colto tre parole. Non era tanto la richiesta di un’opinione in sé, quanto il presupposto, a turbarlo. A scioccarlo, a farlo deglutire più volte a vuoto prima di riuscire a raccapezzarsi nella vertigine d’emozione che lo stava colpendo. Belle gli chiedeva un consiglio su loro figlia, considerava il suo parere importante quanto il proprio e lo voleva conoscere prima di decidere. In breve, non lo reputava un estraneo.
Infatti non potrebbe definirti un estraneo…
Sì, ma il fatto che avesse che avesse atteso prima di agire, che alla prima occasione gli stesse parlando di qualcosa tanto importante, stante i trascorsi non era né scontato né lo poteva lasciare indifferente.
- Credo sia bene iniziare già ora, se lo desidera, – disse una volta tornato in sé – Ti assicuro che a quell’età i bambini sono molto più ricettivi di quanto si creda, e non va bene lasciare sfiorire simili capacità. Tanto più se si comincia con un gioco… Gioco che l’appassionerà presto, se ha ereditato il tuo amore per i libri.
Belle si batté un dito sulle labbra, come meditabonda, prima di commentare complice: – Più che i libri, credo che saranno i colori la sua più grande passione.
- E allora lasciala essere una piccola artista, – conoscendo le idee della donna, Gold non dubitava che la sentenza sarebbe stata accolta con favore – O una piccola esploratrice, o magari una piccola scienziata. Quel che vorrà essere.
Non trascorse un istante prima che Belle lo correggesse.
- Lasciamola essere.
- Scusami?
- Lasciamola essere la nostra piccola artista, o la nostra piccola esploratrice, o la nostra piccola scienziata. Lasciamola essere la nostra quel-che-vorrà-essere.
Era una gioia così dolce, così pulita. Una gioia che avrebbe quasi voluto stringere tra le dita e incastonare nel cuore, per esserne rischiarato nei momenti bui, per ricordarsi di essere come tanti, se non peggio, ma di amare la creatura più meravigliosa che potesse esistere, l’unica che era stata in grado di accettarlo – di accettare lui, i suoi sbagli e i suoi peccati, l’uomo che continuava a essere malgrado tutto.
Forse non significava niente. Forse era semplice correttezza che non avrebbe avuto seguito.
Ma in quel momento era arduo crucciarsi.
In quel momento c’era lei, e i demoni tacevano.

 

“The moon's too bright, 
the chain's too tight, 
the beast won't go to sleep.
I've been running through these promises to you 
that I made and I could not keep.”




Canary Wharf era sempre la stessa: sporca, grigia, deprimente. Triste come poche altre cose avesse visto – e lui di cose tristi ne aveva viste tante.
L’ultima volta che vi aveva messo piede era stato proprio quando era andato a riscuotere il credito da Maurice French; e, malgrado fosse passato molto tempo, il quartiere non era migliorato. Perché Belle lo amasse restava un mistero; ma Belle aveva un talento speciale nell’amare ciò che il mondo avrebbe voluto dimenticare.
Malgrado le sue rimostranze, la ragazza aveva presto preteso di scendere dalla carrozza.
- Questo posto è tutto fuorché magico, – l’aveva avvertita. 
- Ogni posto è magico, se siamo assieme.
Belle l’aveva detto d’impeto, accorgendosene solo quando la frase le aveva già lasciato le labbra e rinnegarla era ormai impossibile.
Ma,se anche avesse potuto, l’avrebbe fatto?
No, non credeva.
Se aveva pronunciato quell’affermazione – sciocca, ridicola, infantile – c’era un motivo, lo stesso che l’aveva indotta a partire con lui verso una meta indefinita – o forse fin troppo meditata se erano finiti proprio lì.
Cos’era venuta a fare in quel quartiere? Non significava più niente per lei. La sua vita era altrove, ormai – tra i fasti del West End e la lugubre Whitechapel, Canary Wharf era un ricordo lontano nel tempo e nella memoria.
Nulla più.
Eppure si era orientata con sicurezza tra i dedali di vicoli, come se non li avesse mai lasciati un piovoso pomeriggio di settembre, ed era arrivata lì, dinanzi a un fabbricato così diverso da quello che aveva un posto tra i suoi ricordi.
“Il tugurio a Canary Wharf è bruciato”, le aveva detto suo padre la penultima volta che si erano incontrati. Non c’era da stupirsi di quel caseggiato sconosciuto, ma ugualmente misero.
No, quello non era un posto magico.  Ma di sicuro non lo era neanche Whitechapel, non lo era Kensington e men che meno Belgravia.
Forse nessun posto in sé è magico; forse a renderlo tale sono le persone che lo popolano, che lo distinguono e lo animano facendolo essere vivo e inconfondibile; che proiettano sui muri e per le strade il mondo che hanno dentro e riempiono ogni angolo d’incanto.
Che lo riempiono di ricordi.
Perché forse la magia non è un’entità astratta, ma la scintilla insita in ogni persona; la meraviglia dell’anima e della vita, quel potere che si custodisce e che lotta sempre per imporsi, per quanto la realtà possa cercare di soffocarlo.
Quel potere che lui aveva dimenticato di possedere.
In lui c’era un’oscurità che cercava di far tacere quando erano assieme, ma c’era anche tanta, tanta luce. E lei si era innamorata di entrambe.
Insieme avrebbero potuto rischiarare ogni tenebra, anche quella dell’East End in cui si erano conosciuti; insieme avrebbero reso qualsiasi posto magico.
- L’hanno tirata su dopo poco? – la domanda la riportò alla realtà. Robert era al suo fianco, dov’era sempre stato durante il cammino. 
- Credo di sì. Qui ci si accontenta di poco, e anche quattro assi marce possono fare la differenza.
L’uomo annuì. C’era stato un tempo in cui lui per primo aveva conosciuto il significato delle parole di Belle.
- Sai, – continuò la donna – Mi fa uno strano effetto pensare che la casa in cui ci siamo conosciuti non esiste più. Si dice che la vita è fragile e si è portati a credere che invece gli oggetti siano eterni, che restino a presenziare a ogni evento… Eppure alle volte è il contrario.
- Direi che alle volte è bene sia il contrario.
- Questo è certo, – ripagò il tentativo di ironia con quello che solo generosamente si sarebbe potuto definire sorriso – Dicevo solo che è strano. Anzi, forse la vera stranezza è un’altra, – chinò per un momento il mento prima di affermarlo – Mi è difficile pensare a un tempo in cui non ti conoscevo. Ho trascorso ventitrè anni ignorandoti, e ora mi paiono tutti anni d’attesa. Come se in un modo o nell’altro fossimo comunque destinati a incontrarci. Forse le circostanze concrete sono state meri accidenti: variandole, il risultato sarebbe stato lo stesso.
Non riuscì a confessarle di provare la stessa fatale sensazione.
Non riuscì ad ammettere che gli si era insinuata in ogni memoria, che era sempre, sempre stata presente nelle lunghe notti in cui era rimasto solo con la tortura dei ricordi.
Anche negli attimi in cui non ancora non era irrotta nella sua esistenza, lei c’era.
- Non possiamo dirlo. Magari altrove, in un’altra epoca, in un altro mondo siamo stati un mago e la sua prigioniera.
- Perché mai mi avresti fatta prigioniera?
- Non ne ho idea.
- Tua figlia non accetta simili risposte, – lo mise in guardia con fare fintamente minaccioso – Diciamo che… Il mio regno era stato invaso dagli orchi e solo tu potevi salvarlo. In cambio di qualcosa, però.
- In cambio di te? Posso cambiare identità, ma i miei gusti restano sempre ottimi.
- In teoria nella nostra realtà mi sono offerta io di seguirti. Tu eri alquanto scettico, se ben ricordo.
Ricordi bene, amore mio.
- Però sarebbe bello assistere a un nostro nuovo primo incontro. O addirittura avere direttamente una seconda possibilità di incontrarci per la prima volta.
- Per sentirti ripetere che non sei in cerca d’amore e poi vederti capitolare ai miei piedi nell’arco di pochi mesi?
- E io che pensavo di essere il più cinico…Touché, – la canzonò, grato di come stesse procedendo quello strano appuntamento. L’ultima volta che l’atmosfera era stata così leggera risaliva a troppo tempo prima – Cos’hai pensato quando ci siamo conosciuti?
- Ti ho odiato. Non sarebbe potuto essere altrimenti! – l’aggiunta non mitigò la franchezza del discorso – Mettiti nei miei panni: non davo credito a chi ti descriveva come una bestia, ma poi ti sei presentato con quei brutti ceffi e con intenti tutt’altro che pacifici… E i sottintesi delle frasi che mi hai rivolto non hanno certo sostenuto la tua causa, anzi!
- Me ne scuso ancora, – era tardi per ribadirlo. Non aveva senso neanche chiederlo - certe intenzioni vanno dimostrate, non dette -, ma questo non era un buon motivo per tacere – Fraintendere le tue intenzioni è stato meschino.
Belle si strinse nelle spalle. Non era stato l’unico caso in cui l’aveva considerata una poco di buono, e certo non il più doloroso.
Il più doloroso sarebbe giunto in seguito.
Perché dopo certe esperienze, dopo aver condiviso rivelazioni e momenti irripetibili, vedersi crollare il mondo addosso senza poterlo fermare, ritrovarsi sotto le macerie e non potersi liberare fa più male di quanto si possa dire. In quei momenti Belle aveva avuto l’anima, non la mente infranta; e ricordare, sapere, non trovare una risposta l’aveva devastata ancora di più.
- Non sono mai più tornata a Canary Wharf. Eppure mi mancava.
- Per i ricordi?
- Sì. Questa casa significava tanto per me. Prima di nasconderci qui io e mio padre avevamo già cambiato parecchie zone, ma non mi ero ancora resa conto davvero di quanto fosse grave la situazione. Certo, non avevamo più quasi nulla e io ero costretta a lavorare, ma in un modo o l’altro credevo che le cose si sarebbero sistemate. Ma trasferirci qui, vedere mio padre sempre più spesso ubriaco… Mi ha fatto aprire gli occhi. Accettare la realtà, – Belle sospirò prima di proseguire – Col senno di poi, capisco che mi è servito. Ho imparato ad arrangiarmi, a essere più forte. È stata una lezione che mi è tornata utile, visto quanto mi ha riservato il futuro… – si bloccò all’istante, conscia della gravità delle sue parole e delle conseguenze che avrebbero avuto. Desiderava sparire, volatilizzarsi e prendersi a sberle al contempo: come poteva essere stata così stupida da far ancora presenti a Gold le azioni che pure sapeva lo perseguitavano? – Perdonami, non avrei dovuto dirlo.
O forse sì.
Non si trattava di rinfacciare, di ribadire meschinamente gli errori del passato: quegli sbagli erano una realtà innegabile, e solo affrontandoli sarebbero potuti andare oltre. Fingere non fossero mai esistiti non li avrebbe esorcizzati: la loro presenza sarebbe sempre aleggiata su loro, uccidendo sul nascere la possibilità di qualunque cosa.
- Io penso solo che dovremmo parlarne, prima o poi, – asserì infine la donna, afferrandogli una mano.
Aveva la pelle fredda, e mille ombre negli occhi.
Lui rispose alla stretta solo dopo alcuni secondi.
Le nuvole cupe che si stagliavano sopra le loro teste parevano rispecchiare il suo animo. No, non intendeva parlarne, tornare indietro al momento in cui la codardia l’aveva accecato e cacciarla era stato più facile che combattere; non ne aveva il coraggio. Sapeva di aver sbagliato e si era ripromesso di non farlo più, ma accanto a lei non voleva – non poteva – guardarsi indietro.
Il peso dei suoi errori era sempre con lui.
- Non scusarti per aver detto la verità. Ma sai che cambierei ogni cosa, se potessi.
- I primi tempi mi ponevo solo una domanda. Perché. Tornavo indietro col pensiero e ripercorrevo ogni passo, mi chiedevo come mai fossimo stati tanto ciechi da non accorgerci dei problemi, – Gold s’irrigidì – C’erano, Robert, c’erano tanti problemi, e noi non li abbiamo visti. Anche anticipare le nozze… Me l’hai proposto quando temevi che ti stessi tradendo. Perché avevi paura di perdermi, non perché volessi davvero sposarmi prima.
L’uomo scosse il capo più volte. Le cose non erano andate così, questo era pronto a giurarlo.
- Io ti avrei davvero sposata. Non ho voluto mai, nemmeno per un istante, che tu fossi la mia concubina. Volevo portarti con me dinanzi al mondo, volevo fossi mia moglie. Nella gioia e nel dolore, in salute e in malattia…
- …  E di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita, – Belle sorrise mesta – So che le tue intenzioni erano sincere, e anch’io avrei voluto tu fossi mio marito, e non è questo il punto. Il campanello d’allarme è stato la seconda proposta, il momento e il modo in cui è giunta. Avrebbe dovuto indurci a riflettere e a capire che, malgrado quanto succedeva, la nostra relazione non era tanto salda da permetterci di compiere un simile passo.
- Ma io non potevo non sposarti! – strinse i pugni ribadendolo – Era anche mio dovere, una questione d’onore cui ogni uomo degno di questo nome avrebbe risposto! Le voci circolano, sarebbe scoppiato uno scandalo ed era mio compito proteggerti!
- Lo scandalo avrebbe coinvolto solo me, e io mi sarei difesa senza bisogno di cavalier serventi, –la donna puntualizzò senza mezzi termini – E quel matrimonio che tanto avremmo voluto celebrare non si è comunque tenuto, e lo scandalo che tanto volevi evitare c’è comunque stato, per quanto il mondo non se ne sia accorto. Non te lo sto rinfacciando, credimi, Robert: credo solo che dobbiamo risolvere la questione una volta per tutte. La situazione è questa perché non abbiamo retto alla prima autentica difficoltà. È bastato un sussurro per farci cadere. Per portarci alla fine.
Non poteva sopportare di sentirla parlare in simile modo. A ferirlo non era il tono, non erano le accuse, quanto il fatto che Belle fosse sincera. Che gli stesse presentando la verità, la stessa da cui lui era fuggito per anni e anni, che gli aveva chiesto mille udienze e che lui mai aveva voluto ricevere.
Cosa devo fare per ottenere la tua assoluzione, Sweetheart?
Tu eri l’unica che avrebbe potuto salvarmi.
- Cora aveva l’anello, – fu la sua debole, abusata, errata difesa.
- E perché la possibilità che se lo fosse procurato illecitamente non ti ha sfiorato?
Non giunse risposta. 
- Perché hai avuto paura, – riprese lei – Perché hai temuto che io stessi giocando con te, che ti stessi ingannando per qualche sporco fine. Perché, nonostante le belle parole, alla resa dei conti non hai avuto il coraggio di lasciarmi avvicinare a te, – la stretta delle dita si fece più intensa – Ci si può amare, amare perdutamente, ma questo non basta. Ci vuole la fiducia, e tra di noi non ce n’era abbastanza. Ecco qual è la mia paura. Ecco cosa mi frena.
Era normale, era sensato. Come sarebbe potuto essere altrimenti? Dopo ciò che era successo, una simile reazione era più che prevedibile.
Ecco cosa mi frena.”
Aveva parlato al presente, Belle, come se tuttora avesse paura di ritrovarsi sola da un momento all’altro.
Ma d’ora in poi ci sarò. Ti proteggerò, proteggerò te ed Helena. Anche se non saremo più noi, io per te ci sarò sempre.
Fino al mio ultimo respiro.

- Quindi, – provò timido – Se tornassi indietro risponderesti di no alla proposta?
Non era davvero certo di volerlo scoprire. Non avrebbe mai capito la ragione di questo suo masochismo; sarebbe voluto scappare piuttosto che ascoltarla, anche a costo di rendersi ridicolo.
- Robert, – Belle sospirò, come una maestra costretta a ripetere la lezione a un alunno sempre distratto – Non hai capito il concetto alla base. Non smetterò mai di lottare per te. E per questo, – concluse – Risponderei sempre sì.

 

“And I'd claw at your heart,
and I'd tear at your sheet, 
I'd say please, please.”




Non devo avere paura, si ripeté per l’ennesima volta.
Non ho nulla in meno di lei, e non stavamo facendo nulla di male.
Saprò difenderci.
Ce la posso fare.

Ma lo diceva perché era la verità, o piuttosto per convincere se stessa?
Il modo in cui Cora procedeva accanto a Regina non trasmetteva alcuna emozione: non camminava a passi rabbiosi, non mulinava le braccia, né digrignava i denti o stringeva i pugni come avrebbe fatto lei.
Ma del resto, la contessa Mills non avrebbe mai lasciato trapelare un’emozione. Sarebbe apparsa impeccabile fino all’ultimo: padrona di sé, misurata, controllata, l’epitome delle buone maniere e della pacatezza femminile.
Tanto pericolosa perché inoffensiva.
L’adolescente fece per allontanarsi, ma la madre le afferrò il polso con un unico, fluido gesto.
- No, Regina cara, – la strinse con forza, la voce dolce come il miele e altrettanto nauseante. Impercettibile a orecchie poco avvezze, la nota di rabbia pure c’era, implacabile e netta; e Regina tremò al pensiero di quelle che ne sarebbero state le conseguenze – È l’ora di una chiacchierata.
- Mi sento stanca, Maman, preferirei riposare. Potremmo…
- Suvvia! – chiocciò querula e viscida – Un minuto o due in compagnia della tua amica più sincera non ti affaticherà ulteriormente!
La spinse nel salottino dinanzi a sé e chiuse a chiave la porta con un solo scatto, incurante della volontà della figlia.
È il momento della verità.
Combatti.

- Maman, – la ragazza respirò a fondo prima di cominciare – Posso spiegare tutto.
- Certo, cara, potrai spiegare tutto. Ma spiegare cosa, esattamente? – la donna fremette appena – Il perché tu abbia scelto un libro anziché un altro?
O forse perché mi consideri tanto idiota da credere che non abbia capito cos’hai in mente, piccola ingrata?
Sebbene non espressa, la portata del pensiero colpì Regina come una stoccata in pieno petto.
Avrebbe provato a essere diplomatica, a spiegare le proprie ragioni con la calma e la pacatezza: per quanto fosse un’impresa impossibile, avrebbe dovuto tentarla e, soprattutto, riuscirvi.
In gioco c’era la felicità sua e di Daniel.
- Maman, avrei voluto parlarvene quanto prima. Anzi: avrei dovuto farlo. Immagino la vostra delusione nello scoprirlo in questo modo, e ve ne chiedo scusa. Ma tutto è successo all’improvviso, e…
Gli occhi della gentildonna si ridussero a due fessure.
- Cosa è successo?
Ecco.
Avanti, dillo.

- Ci siamo innamorati. Io e Daniel ci amiamo.
A Cora venne da ridere. Una risata isterica, quasi folle, spaventosa, ma liberatoria – perché,se su ogni altro fronte era la guerra, almeno in casa finalmente ogni tassello tornava al suo posto.
Infine era venuta alla luce la verità che da settimane sentiva smuovere l’aria, come un uragano pronto ad abbattersi, ma che anche stavolta era riuscita a fermare.
L’uragano più ridicolo si fosse mai visto levato prima.
Nella vita lei ne aveva affrontate tante, troppe, e quella era un’inezia. Se Regina era stata così fragile da averlo dimenticato, sarebbe stata lei a ricordarglielo: perché l’amore è una debolezza, ma quando ne parla una fanciulla è solo una fantasia.
Non era nulla di irreparabile; e, se anche lo fosse stato, lei l’avrebbe comunque risolto.
- Perché lo ami?
Quando Regina aveva immaginato il momento in cui sarebbe emersa la verità – in modo più tranquillo, aveva invano pregato fino ad allora –, aveva messo in conto una domanda simile; e aveva deciso di giocare d’anticipo preparando una risposta, senza però sapere di pronunciare presto.
- Lo amo perché mi fa sentire bene, – esordì – Perché insieme possiamo parlare di tutto… – finse di non notare il sopracciglio levato dell’altra all’affermazione – …e lui mi ascolta, mi capisce e mi consiglia. C’è quando ho bisogno, e mi fa sentire importante e speciale. Come se fossi il centro del mondo per lui. E questo non è amore, Maman?
No, questa è idiozia.
Cora s’impose di contare fino a tre prima di reagire: se non l’avesse fatto, non avrebbe risposto di sé. Ma cosa diamine aveva in testa la ragazzina? Nonostante tutto, si era illusa che le somigliasse abbastanza da essere intelligente; l’ultimo soliloquio smentiva l’estrema speranza.
Aveva tirato su sua figlia nel migliore dei modi possibili, e ora si ritrovava tradita per sentimenti senza futuro.
- Le tue parole provano la tua ingenuità, –asserì con calma – Lui non può offrirti nulla.
- Forse nulla di materiale, ma può offrirmi amore. E per me è questo l’importante.
No, non era nemmeno idiozia: era peggio. Regina era così accecata da non riuscire a capire in quale guaio si fosse cacciata e a quali conseguenze portasse il suo comportamento.
Quindici anni di insegnamenti sprecati.
Se l’amore portava a tanta stupidità, Cora era più che contenta di averlo escluso dalla sua esistenza.
Avrebbe dovuto ricorrere all’astuzia, piuttosto che ralle maniere forti: l’avrebbe rabbonita, ragionando con lei sul da farsi. Ma una cosa era certa: Regina avrebbe avuto il sentimento se l’avesse voluto, sì, certo; ma solo dopo aver ottenuto il potere. 
Perché altrimenti l’amore non avrebbe avuto alcun significato.
- Regina, – respirò a fondo prima di pronunciare il nome – A rispetto del tuo retaggio paterno, sei tutto fuorché stupida. Perciò smettila di comportarti come tale, e ragiona: ti sembra di essere innamorata, ma non è così. Non può essere così, e sono certa tu stessa ne capisca il perché. Non metto in dubbio sia una bel giovane, magari anche simpatico e affascinante, ma ciò non cambia i fatti. È uno stalliere, Regina. Un servo. Che coppia potrebbero mai formare uno stalliere e una futura Contessa?
- Io e Daniel non siamo entrambi nobili, è vero, ma questo non ci rende diversi, – replicò la figlia – Proviamo le stesse emozioni, siamo fatti di ossa e carne e, a dispetto delle dicerie, il sangue che scorre nelle nostre vene è rosso. Non blu e rosso; per entrambi rosso, rosso! Io mi sono innamorata di un mio simile, di una persona come me, e… – l’incapacità della ragazza di mantenere la calma irritò ulteriormente la madre – Tu non sai, Maman. Se sapessi, saresti felice per me.
- Non riesci a comprendere la gravità di quanto fatto. Non si tratta tanto dell’onore della famiglia, quanto dell’immagine che dai di te: cosa sarebbe successo se fosse stato un altro a scoprirvi? Ti saresti rovinata la reputazione e la vita. La buona società ti avrebbe chiuso ogni porta senza possibilità di riscatto, – continuava a intimorire la figlia, Cora, a inquietarla paventando immagini di miseria; solo in questo modo, credeva, sarebbe riuscita a distoglierla dalle sue intenzioni – Saresti diventata una reietta; diventerai una reietta, di questo passo. Pensaci bene: saresti pronta a lasciare le comodità cui sei abituata, i bei vestiti che tanto ami e le feste? A dirmi addio e partire per sempre per la campagna? Vorresti davvero, Regina, diventare la sposa di uno stalliere a quindici anni?
A dire il vero, Regina non aveva considerato l’eventualità di un matrimonio imminente: credeva di avere ancora qualche anno da dedicare a se stessa prima di metter su famiglia. Eppure, scoprì, in quel momento l’idea non la intimoriva affatto: forse era solo la sua età a parlare, ma se per avere il suo grande amore fosse dovuta scappare e salutare per sempre la sua vecchia vita, l’avrebbe fatto.
- Sì, Maman. Se dovessi, sarei pronta a sposarlo.
Ogni proposito di autocontrollo di Cora si dissolse.
- No.
- No? Cosa potete fare per impedirmelo? – la ragazza si pentì di averla provocata nell’istante stesso in cui lo fece.
- Non ti permetterò di gettare la tua vita, – la donna proseguì – Non ti permetterò di cancellare tutto il mio lavoro, tutti i miei sforzi. Io ho sacrificato la mia esistenza per noi, tu non hai fatto niente. Hai goduto fino a oggi e ora pretendi di ribellarti, di giocare a sdegnare ciò che non avresti mai dovuto avere, – la voce si fece bassa, un vibrare sordo che non ammetteva replica alcuna – Non te lo permetterò, Regina. Noi Mills saliamo, non scendiamo lungo la scala sociale. Non vedrai mai più Daniel Locke: uscirà di questa casa entro un’ora e tu stessa sarai al mio fianco mentre lo caccerò. Non rimetterà più piede qui, – sentenziò guardando la giovane dritta in volto – E se solo provassi a contattarlo in qualsiasi modo, ti giuro che sarà l’ultima cosa che farai come mia figlia. E tu lo sai, – il sorriso lento in cui stirò le labbra non nascondeva minacce implicite – Io mantengo le promesse. Sempre.

 

“If you want a father for your child, 
or only want to walk with me a while 
across the sand, 
I'm your man.”




Quando la mamma era venuta a riprenderla, sorrideva. Però, aveva notato Helena, era un sorriso strano: non era pieno di allegria come al solito, ma neanche triste come quelli che per fortuna di recente erano diventati un po’ più rari; era, semplicemente, strano. Diverso.
La mamma aveva la testa tra le nuvole, la bambina l’aveva capito subito dai gesti lenti e impacciati propri di chi pensa ad altro con cui aveva salutato Tink prima di tornare in strada, dove ad attenderle – mamma gliel’aveva giurato, attendeva davvero loro! – c’era una carrozza.
- Indovina chi c’è dentro, – la donna aveva giocato mentre qualcuno dall’interno apriva la portiera.
Helena non ne aveva la più pallida idea, ma non era stato necessario ammettere la propria ignoranza: appena aveva levato il capo, aveva visto il volto sorridente del signore che era il suo papà.
- Salve, Milady!
Alla piccola era venuto da ridere senza un motivo. Da ridere, e anche da sospirare di sollievo, perché il ritorno del signore significava solo una cosa: la mamma le aveva detto la verità. Non che fosse solita mentirle, anzi, ma Helena aveva davvero temuto che il viaggio fosse solo una scusa e che suo padre non si sarebbe più fatto vedere; e col passare dei giorni il pensiero si era fatto più silenzioso, ma non era mai svanito del tutto.
Ma ora il ritorno di papà la tranquillizzava e, cosa da non trascurare, apriva la strada a mille possibilità: era ancora presto per la cena, ma si sarebbe fermato da loro anche quella sera? Avrebbe voluto giocare un po’ con Bae? –a lui l’avrebbe prestato, forse, rifletté. E magari anche stavolta le avrebbe dato un pupazzo…
- Mi hai portato un regalo?
- Helena! – sibilò Belle, ma Gold rise – Non essere maleducata. Sai che certe cose non chiedono.
- No, Dearie, non ti ho portato un regalo… Ma forse ho comunque una sorpresa per te, – le fece l’occhiolino prima di chiederle: – Come hai festeggiato il May Day? 1
- Fatto niente, – confessò lei immusonita – Pioveva.
- E allora dobbiamo recuperare, – l’uomo annuì più volte, come a rimarcare l’intenzione – Non possiamo fare grandi cose, ma dobbiamo almeno incoronare la Regina di maggio. Non trovi, Belle? 
- Sono d’accordo, anzi… Io avrei anche un nome da suggerirti.
- Un nome che significa “sole”?
- Il mio nome significa “sole”, il mio nome! Me l’ha detto la mamma! – esultò Helena battendo le mani. Che papà stesse parlando proprio di lei?
- E allora, – suo padre chinò il capo in segno di deferenza – La regina è tra noi.



- Belle, sono arrivati ancora tanti di quei fiori che… Oh, – Humbert s’interruppe appena vide chi accompagnava la donna e la guardò con un’espressione mortificata – Buon pomeriggio.
All’augurio non seguì replica alcuna.
Ci rincontriamo, Dearie.
L’idea che il giovane fosse di casa dalle Lucas non piaceva affatto a Gold. Malgrado le parole di Belle, non riusciva a non considerarlo un rivale sotto molteplici punti di vista: un nemico che aveva approfittato dell’assenza per rubare ciò che era suo, per insediarsi nel cuore delle due sole persone di cui si curasse, e che ancora non arretrava e faceva sfoggio della propria posizione. Era un pensiero sciocco che Belle gli avrebbe rimproverato non poco, ma lui non riusciva a debellarlo: come un’edera velenosa si era insinuato in lui, intrecciandosi silente ai pensieri, e ora, risvegliato dalla vista del diretto interessato, urlava.
I due uomini sostenevano i reciproci sguardi, ma Belle conosceva entrambi da troppo tempo per non individuare la falsa sicurezza che vi albergava. Graham non cercava simile confronto con chi continuava a reputare responsabile della sofferenza dell’amica – Lo prenderei a male parole, aveva detto una volta –, né voleva metterla in imbarazzo; ma in ogni caso, trovarsi faccia a faccia con colui che gli era stato preferito non poteva che essere una ferita per il suo orgoglio.
E lei non voleva che il tenero, paziente Humbert stesse ancora male a causa sua.
E Gold, dal canto suo, non migliorava affatto le cose: se entro un istante non si fosse mostrato meno duro nei confronti dell’altro, Belle lo avrebbe preso a calci. Continuava a fissare spietato il poliziotto; e alla donna non era passato inosservato che, quasi istintivamente, l’industriale aveva mosso un passo verso lei, come a voler rimarcare una sorta di appartenenza che la faceva arrabbiare non poco.
- Graham! – quando Helena vide il vecchio amico, gli corse incontro felice.
- Principessa! – nonostante la situazione, l’uomo fu costretto a sorridere e chinarsi per prenderla in braccio – Come stai? È da un po’ che non ci si vede!
- Bene! Devo mostrarti Bae e dirti taaante cose! Sai chi è questo? – indicò un Robert Gold improvvisamente molto più pallido – La mamma dice che è mio papà, però shhh! È un segreto! È stato lui a darmi Bae, e dice che sono la Regina di maggio!
- Naturalmente! Solo una bambina bella come te potrebbe essere la Regina!
Il modo in cui la piccola si strinse a Graham e gli scoccò un bacio sulla guancia furono un pugnale che trapassò il cuore di Gold da parte a parte.
Era sempre stato geloso nei confronti di Belle: da quando se n’era innamorato, panche quando era certo non ci sarebbe mai stato nulla tra loro in lui scattava qualcosa lo induceva a mal sopportare qualsiasi altro essere umano di sesso maschile le si avvicinasse più del dovuto. Il contesto era mutato, ma – come aveva sostenuto poche ore prima – qualcosa era rimasto invariato; quel sentimento irrazionale ad esempio.
Ma non poteva immaginare avrebbe provato quell’identica, pungente sensazione nei confronti di loro figlia.
Chi era quell’estraneo, come si permetteva di sfiorarla? Non ne aveva diritto, lui non aveva alcun diritto. Doveva stare lontano tanto da Belle quanto da Helena; doveva stare lontano dalla sua famiglia.
- Fai la corona con noi? – chiese Helena, del tutto ignara della faida in corso.
- Non posso, Helena, tra poco vado a lavoro, – l’interpellato si negò diplomaticamente – Solite cose… Salvo fanciulle e rincorro cattivi. Una gran noia, ma qualcuno deve pur farla!
- Ma almeno scegli i fiori con me? Dai, dai, ti prego! Ma’, – si rivolse a Belle – Graham mi può aiutare a scegliere i fiori?
 
La donna guardò invano Robert in cerca di un sostegno.
- Va bene, – concesse infine maledicendo la sorte che la poneva sempre in simili situazioni.
Nell’istante in cui la bambina e il poliziotto rientrarono in casa, Gold sentenziò gelido: – Quindi lui sa.
Più che come una domanda, a Belle quella suonò come un’affermazione incontestabile.
- L’ha capito il giorno in cui ci siamo ritrovati. C’eri anche tu quando me l’ha chiesto.
- Ma se fosse stato uno sconosciuto, ora la bambina gli avrebbe spiattellato tutto.
Altra osservazione corretta.
Il problema, Robert Gold, è il presupposto.

- Helena sa che ci si può fidare di Graham, Granny e Ruby. Si è fatta prendere dall’entusiasmo, ma non posso fargliene una colpa, – difese la figlia senza esitazioni – Le ripeto ogni mattina di mantenere il segreto, e lei lo fa: nessuno dei suoi amichetti ha scoperto nulla. C’è stata solo un’eccezione, l’altro giorno con Mary Margaret…
L’industriale voltò il capo di scatto.
- L’altro giorno con Mary Margaret?– ripeté a denti stretti.
- Sì, lei e gli altri… Aspetta, – Belle s’interruppe all’istante, intuendo con orrore la verità – Tu... Tu sai, vero?
L’espressione di Gold fu una risposta più che eloquente.
E così i suoi sospetti iniziali, quelli cui aveva deciso di non dar credito, si rivelavano ancora una volta esatti. Quella massa di piccoli pettegoli si era nuovamente impicciata in affari che non le concernevano, e il risultato era stato uno e uno solo: erano arrivati al cuore dei suoi segreti.
Non gli interessavano il come e il perché: li avrebbe puniti in ogni caso. Come minimo avrebbero fatto la fame per i prossimi mesi. E se anche un certo valletto fosse al corrente di tutto, si sarebbe ritrovato direttamente in mezzo alla strada. Che s’imbarcasse di nuovo e naufragasse… Magari ai pesci sarebbe piaciuta la sua solita smorfia tracotante.
Anche se forse, a ben vedere Gold avrebbe potuto capovolgere a proprio vantaggio la situazione venutasi a creare…
Non osare, ululò una parte di lui. Hai promesso di…
Osò.
- Se ti hanno trovata, – finse di dedurre – Vuol dire che questo posto è pericoloso. Che potrebbe trovarti anche Cora.
- Loro mi hanno trovata solo perché mi hanno vista sulla porta della locanda.
- E quindi un giorno potrebbe vederti anche Cora.
-  Robert, –Belle lo redarguì – Vivo qui da tantissimo e né lei, né i Frey mi hanno mai trovata. Facciamo sempre attenzione, ma dopo aver trascorso chiusa in una stanza i primi mesi ho capito che non era vita. Non sono capace di stare ferma e zitta, lo sai, e non ho intenzione di iniziare ora per delle ragioni che non si pongono, – a sorpresa, quella si stava rivelando anche l’occasione per riprendere il discorso che avrebbero dovuto affrontare dopo la cena – Te l’ho già detto: se sospettassi qualcosa, te lo direi. Non metterei mai in pericolo Helena. Non devi preoccuparti di noi.
Per te è semplice dirlo.
Tu non sei vissuta con la certezza di aver portato alla morte l’unica persona di cui ti importasse davvero.
Di avere le mani lorde anche del suo sangue.

- Stavolta non posso perdonare i tuoi ex colleghi. Non è questione di ordini violati, – l’anticipò all’istante – È molto, molto più grave. Se io non ancora sapessi di te ed Helena, loro me l’avrebbero riferito? 
- Sì,– sgranò gli occhi, stupita dall’ovvietà della domanda – Certo che l’avrebbero fatto.
Oh, Sweetheart.
Sempre così ingenua, sempre così pronta a vedere il buono nel prossimo.
Imparerai mai?

- Io invece non credo che l’avrebbero fatto. E se mi nascondono questo, – ribadì – Chissà quante altre cose mi nascondono. Si meritano una lezione.
- Loro sanno che sai, è per questo che non te l’hanno detto, – in un altro momento avrebbe sorriso udendo il fervore con cui Belle difese i dipendenti – Sanno che non vuoi vengano nei bassifondi, e non sono tanto masochisti da cercare una tua punizione. Io per prima, quando lavoravo da te, coprivo ed ero coperta dagli altri per un motivo o l’altro. E alle volte era palese che te ne fossi accorto, ma non dicevi niente. Non mi punivi, non mi decurtavi la paga…
- Sarebbe stato alquanto difficile, non ti pagavo.
- … Al più ti limitavi a una frecciata – continuò imperterrita – E stavolta tratterai Mary e gli altri come trattavi me. Fa’ capire loro che hai saputo tutto, ma non far loro niente. E non meditare vendetta o cose simili – lo verrei a sapere in un minuto.
Non avrebbe saputo spiegare perché, ma Gold sentiva che almeno quella volta avrebbe obbedito a Belle.
- Posso punirli almeno per essere usciti durante la mia assenza?
- No, – Belle si interrogò seriamente su chi fosse più infantile tra Helena e Robert. Almeno una bambina di quattro anni e mezzo era giustificabile… – Non li punirai per questo. E se scopro che l’hai comunque fatto, desidererai essere rimasto a New York.
- Trovo difficile desiderare essere ancora a New York se tu sei qui.
- Potrei sempre inseguirti, ma con intenti ben poco pacifici.
Ghignarono l’un l’altro, ma la smorfia non cancellò la tensione che resisteva e che nulla aveva a che vedere con le avventure dei domestici.
In fondo, si disse Belle, se davvero avessero voluto risolvere i nodi del loro rapporto avrebbero dovuto affrontare anche quello, per quanto fosse doloroso.
- Quanto a prima, -esordì timida – Helena non può capire – Gold chinò il mento – Graham è l’unico uomo che conosce da sempre. È naturale che gli sia affezionata tanto, e non posso – né voglio – eliminarlo dalla sua vita. Per lei è importante. 
Non c’era bisogno giustificasse la bambina. Razionalmente l’uomo lo capiva da sé: Helena non era in grado di comprendere la situazione, non l’aveva fatto con cattiveria. Stava già compiendo tanti sforzi per accettarlo, e non aveva colpa alcuna – e però, vederla stringere un uomo che non era lui gli aveva fatto più male di quanto pensasse.
Belle aveva detto che, all’epoca, sposarsi subito sarebbe stato un errore, ma lui non riusciva a essere d’accordo: se avesse saputo di dover diventare padre, l’avrebbe fatto ancor prima. Il giorno stesso in cui l’avesse scoperto.
E non l’avrebbe fatto tanto per frenare pettegolezzi come aveva detto: ci sarebbero comunque stati, e lui li avrebbe zittiti.
Avrebbe sposato Belle per amore.
Perché non credeva in Dio e negli uomini, ma credeva in lei, e allo stesso modo avrebbe creduto in quel bambino.
Perché Belle era arrivata inaspettata ed Helena inattesa, ma entrambe erano riuscite a diventare l’asse del suo mondo in poche settimane.
Le sue insperate, improvvise speranze di riscatto.
Di lieto fine.
- Lo so. È solo che… – Robert Gold amava giocare con le parole, ma all’improvviso si riscoprì incapace di seguire le fila del proprio discorso – Se ti perdessi di nuovo… Se perdessi lei… Non lo reggerei. In questi anni ci sei sempre stata tu. Solo tu. In ogni… In ogni senso.
Non sapeva perché l’avesse detto. Era stato sincero fino all’ultimo, quando aveva pronunciato quella che non era né menzogna né verità.
Non era falsità: anche nella morte, aveva amato Belle.
Non era realtà: quando la credeva morta, il suo corpo aveva cercato un’altra che non era Belle.
Un’altra che pareva essere pronta a balzare di nuovo nella sua esistenza.
Non era stato sincero, perché Belle non era stata l’unica, non in ogni senso almeno.
C’era un modo per rimediare.
Non ne ebbe la forza.
Rimase lì, immobile, incapace di guardarla e pregando perché la terra lo inghiottisse, facendolo sprofondare nel più oscuro degli Inferi.
Non volevi mentirle, e comunque non lo scoprirà mai, provò a consolarsi. Come potrebbe? Rebecca cercherebbe me, non lei. Non sa chi sia. L’ha scambiata per Cora.
La più magra delle consolazioni per la maggiore delle bugie.
Belle non rispose. Ciò che Robert aveva detto le aveva mozzato il respiro e fatto vorticare attorno il mondo per un istante. infinite volte durante l’ultimo lustro si era chiesta con chi fosse l’uomo, se ci fosse un’altra persona nella sua vita, se almeno lui fosse riuscito ad andare oltre. Se per lui Belle French fosse diventato un nome tra i tanti, un fantasma non più foriero del dolore di un tradimento presunto.
Se ci fosse riuscito, sarebbe stata felice per lui; ma in fondo al cuore Belle aveva sempre avuto sentore che le cose stessero molto, molto diversamente.
Erano il modo, la ragione per cui si erano uniti e lasciati a suggerirglielo: non era presunzione, ma se ci fosse stata un’altra nella vita di Robert Gold, non sarebbe stata tanto importante quanto lei.
Ma quanto le stava dicendo ora cambiava tutto.
Quanto stava dicendo ora parlava di una fedeltà che non conosceva confini e non temeva la morte.
- Non ci perderai, – lo disse a lui, lo giurò a se stessa – Non ci perderemo più, Robert. Helena ti ha accettato, già ti vuole bene, e non era una cosa scontata. Insieme recupererete tutto il tempo perduto. 
- E noi?
Quando Belle rialzò il capo, i suoi occhi erano lucidi.
- Noi troveremo il modo di far funzionare le cose. Impareremo daccapo. Riproveremo, falliremo ancora, impareremo dai nuovi errori. Ci impegneremo. Saremo sinceri. Ci fideremo. Riusciremo.
Non la meritava. Glielo disse, la voce rotta da singhiozzi che faticava a trattenere.
- Credi che l’amore si meriti? Un regalo si merita, un complimento. Non l’amore.L’amore nasce quando vuole, dove vuole, e provare a spiegarne il perché è inutile. Noi ci siamo innamorati, e ora siamo qui. In tre quando dovremmo essere ancora in due, mezzi rotti e pieni di sensi di colpa, ma innamorati. E questo è tutto ciò che conta. Il nostro punto di partenza, – l’abbracciò più forte che poté – Riusciremo a essere felici Robert. Ce la faremo.
Avremo il nostro lieto fine.
Quando Helena tornò con un cesto di rose e girasoli, i suoi genitori si tenevano per mano.

 

“But a man never got a woman back 
not by begging on his knees. ”




- Ancora una lettera?
Udì appena la domanda, assorta com’era nella stesura delle ennesime righe destinate a non ricevere risposta.
- Non è il metodo adatto, sai? Il cuore di uomini come lui non si conquista facilmente, ma quando accade è per sempre. E, Darling, per quanto mi spiaccia dirtelo non sei stata tu a soggiogarlo.
Lo so.
Dirlo ad alta voce sarebbe stata una nuova umiliazione. Forse sua cugina aveva ragione, forse le sue lettere sarebbero servite a poco – e, Stagione o meno, Ella non l’avrebbe accompagnata a Londra, sul punto era stata chiara –, ma Rebecca non si sarebbe data per vinta.
Il metodo adatto, aveva detto lady Feinberg; ma qual era il metodo adatto per ottenere lui? 
Perché un’altra l’aveva trovato e lei no?
Nel corso della vita Rebecca aveva conosciuto più volte il gusto amaro del disprezzo: era stata abbandonata, umiliata, ferita innumerevoli volte. Sarebbe dovuta essersene abituata; sarebbe dovuta restare impassibile dinanzi all’ennesimo rifiuto.
Ma mai, mai qualcuno le aveva fatto tanto male quanto Robert Gold.

Per questo Rebecca Zelenyy scriveva.

 

“If you want a lover 
I'll do anything you ask me to, 
and if you want another kind of love 
I'll wear a mask for you.”

“I’m your man” - Leonard Cohen



1: In Gran Bretagna il 1° Maggio si celebra il May Day, una sorta di festa di primavera – come “Calendimaggio”, che si tiene in alcune zone d’Italia. Si 
Parecchio informazioni interessanti sulle origini celtiche della festa e sulle tradizioni che la caratterizzano su https://elt.oup.com/student/happyfriends/genitori/vita/mayday?cc=it&selLanguage=it e su http://gea-draconia.net/2012/04/25/may-day-parte-1/

Alcune battute della lite tra Ruby e Granny sono tratte dalla puntata 1x15.



N.d.A. :Bentrovat*! ♥
Ecco a voi il nuovo capitolo dalla storia decisamente travagliata! L’incontro RumBelle sarebbe dovuto essere diverso: sarebbe sempre stato un appuntamento a lieto fine, ma dallo svolgimento ben differente. Però, al momento di andare a battere il capitolo al computer – perché sono vecchio stampo, io, prima scrivo a mano! xD –… OPS! 
(Non linciatemi, PLIIIS.)
Insomma, non mi convinceva e ho deciso di rielaborare tutto. Ma ieri sera, quando ho provato a pubblicarlo, l’editor EFP è impazzito e ha cancellato interi paragrafi, eliminato spazi e chissà cos’altro. Quanto a quest’ultimo aspetto, ho cercato di rimediare come possibile: mi scuso per eventuali errori e prometto che riguarderò tutto per bene nei prossimi giorni!
Mi rimetto a voi quanto al risultato finale: consigli e critiche sono sempre benaccetti, stavolta persino più del solito a causa dell’antefatto e della grande paura di aver reso OOC qualche personaggio, come ad esempio Ruby: ho pensato di far riferimento al personaggio come visto nella seconda stagione, che resta sì una peperina, ma al tempo stesso nasconde immense insicurezze e poca fiducia in sé. Idem per Graham, Leroy, Cora, Regina, Belle, ma soprattutto Gold – perché “you are quite possibly the biggest pain in the ass I’ve ever had the displeasure of writing about” è la mia nuova citazione preferita.♥
Ci siamo capit*: se non sono IC, segnalatemelo senza farvi scrupoli!
Ringrazio chi ha letto e/o recensito il precedente capitolo e/o ha aggiunto la storia a una categoria; se vi va, passate a trovarmi su Facebook: la mia pagina s’intitola “Euridice’s world” e tratta fondamentalmente recensioni OUAT, qualcosa Disney, qualcosa Game of Thrones, libri, altre serie e cose che ora non ricordo e fangirleggiamenti vari ed eventuali! :)
Ci si rilegge tra due sabati, come al solito; e, con un po’ d’anticipo, buon 25 aprile! ♥
A presto, e bacioni, mie* Sweethearts! *_*
Euridice100
   
 
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