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Autore: Eibhlin Rei    20/04/2015    2 recensioni
La C.A.T.T.I.V.O. non si è limitata a seguire gli esprimenti dei gruppi A e B, ma ne ha anche condotto un altro, parallelo ai primi due. Stavolta però, le Variabili sono diverse e si tratta di un unico soggetto.
Lei deve solo osservare...
"Nonostante la sua giovane età credeva di aver smesso di avere paura, ma in quel momento la barriera che si era costruita intorno si incrinò e la realtà le arrivò addosso come una valanga: non provò più solo dolore per tutto ciò che stava abbandonando, ma anche un terrore cieco. Le avevano soltanto detto che avrebbe avuto un ruolo chiave nella cura dell’Eruzione e che avrebbe salvato la razza umana. Ma a quale prezzo? Cosa sarebbe successo a lei?"
Spoiler fino a "La rivelazione" e riferimenti a "La Mutazione".
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Minho, Newt, Nuovo personaggio, Teresa, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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14.
 
I colpi alla porta la svegliarono, strappandola dal passato.
Si puntellò sui gomiti, frastornata, mentre la sua mente ricomponeva, come se fossero stati frammenti di un puzzle, gli eventi accaduti poche ore prima nell’area degli uffici. Si sentiva stanca, intontita… ma era viva e quasi non le sembrava possibile.
Sono ancora viva.
«Johanna, apri per favore.» La voce nasale dell’Uomo Ratto aveva un che di tristemente inconfondibile e servì a confermarle che, sì, era ancora viva. Non era particolarmente credente, ma da quello che le era stato insegnato riguardo al Paradiso – non le sembrava di aver fatto nulla di così grave per non meritarlo e finire all’Inferno –, era praticamente impossibile che avesse anche la più piccola somiglianza con il Quartier Generale della C.A.T.T.I.V.O. e con la gente che vi lavorava… e meno di tutti con l’Uomo Ratto.
«Johanna, apri», la chiamò di nuovo quest’ultimo.
Cercò l’orologio a muro e, quando il display si illuminò, vide che erano le sette. A quanto pareva, la sua “sveglia biologica” non aveva funzionato quella mattina.
Respirò profondamente per più di una volta, cercando di togliersi di dosso quello strano disorientamento, però non fu affatto facile.
Un incessante turbinio di pensieri le affollava la mente e non riguardavano solo il “passato” della sera prima, ma anche quello che le aveva fatto visita nel sonno. Fino alla notte precedente, il ciclo dei suoi incubi si era sempre concluso con la sua ultima fuga da casa. Ma lasciare zia Maggie e sentirsi abbandonata da lei evidentemente significava un altro volto da ricordare con dolore, come se già i volti di due persone – e non due persone qualunque, ma i suoi genitori – distrutte dalla follia non fossero stati abbastanza…
«Johanna Reid», chiamò una terza volta l’Uomo Ratto, ora con un leggero fastidio nella voce. «Non mi costringere ad entrare e a trascinarti fuori. Apri.»
«Un momento…», mormorò lei con la voce ancora impastata dal sonno, mentre accendeva la luce e si alzava. Le girava un po’ la testa e barcollò lievemente, sentendosi malferma sulle sue gambe. Dovette appoggiarsi al muro per non cadere e si schiarì la gola. «Non mi sono svegliata in tempo… mi dia qualche minuto per prepararmi…»
Dall’altra parte della porta, sentì l’Uomo Ratto schioccare la lingua. «Sbrigati», disse soltanto.
In meno di un quarto d’ora riuscì ad essere pronta e di nuovo rinchiusa al sicuro nella sua fortezza. Non le girava più nemmeno la testa, ma una bizzarra sensazione le gravava all’altezza dello sterno e non sembrava intenzionata ad andarsene. Non riusciva a capirne l’origine, ma intuì che se vi avesse dato troppo peso non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione, quindi decise di ignorarla.
Aprì la porta, trovandosi davanti un alquanto innervosito Uomo Ratto. Non fece nemmeno in tempo a dirgli “Buongiorno”.
«Finalmente», squittì lui – Dio, sembrava davvero un roditore – e si incamminò a passo svelto, facendole segno di seguirlo.
Camminarono in silenzio per alcuni minuti – minuti durante i quali le sembrò che i muri dei corridoi stessero aspettando solo un suo attimo di distrazione per stringersi su di lei fino a soffocarla – poi l’Uomo Ratto parlò di nuovo. «Vorrei ti assicurassi che una cosa del genere non accada mai più», le disse, scrutandola con la coda dell’occhio. «Se non sei sicura di riuscire a svegliarti da sola, ti consiglio di impostare la sveglia nell’orologio che hai in camera: risparmierai a te stessa e a noi molti fastidi.»
«Vedrò di ricordarmene, la ringrazio», rispose distrattamente, troppo presa dallo scrutare con attenzione il corridoio: era una sua impressione o il soffitto si stava abbassando?
L’Uomo Ratto annuì semplicemente e non si dissero altro, congedandosi silenziosamente non appena ebbero raggiunto la mensa.
Entrò e raggiunse il suo posto al solito tavolo, domandandosi come mai quella sala le sembrasse stranamente più piccola e cupa dei giorni precedenti.
«Ehi, Han!», la chiamò Teresa. In poche ore il soprannome che Newt le aveva dato era diventato di dominio pubblico e la moretta era stata una dei primi ad iniziare a usarlo. «Oggi volevi fare la furba e restartene a letto, vero?», scherzò, dandole una lieve pacca sulla spalla.
Sorrise. «Sì, ma non mi è andata tanto bene: l’Uomo Ratto ha minacciato di trascinarmi fuori dalla camera.»
«Scommetto che ti ha anche consigliato di impostare la sveglia per “risparmiare a te stessa e a noi molti fastidi”», intervenne Thomas, accompagnando l’ultima parte della frase con una perfetta imitazione della voce nasale di Janson.
«Già…»
«Fa sempre lo stesso discorso a tutti», proseguì lui, tornando al suo normale tono di voce. «E qualcuno qui lo sa molto bene, vero Minho? Quante volte te l’ha ripetuto?»
«Centosettantatre e ogni volta che lo fa la sua faccia diventa sempre più rossa», rispose il ragazzino asiatico con un certo orgoglio e rigorosamente a bocca piena. «Prima o poi lo farò diventare viola, me lo sento.»
«Se poi arrivi a farlo scoppiare potrei addirittura perdonare il tuo hobby di “benedire” il tavolo con le briciole di quello che mangi», mormorò Teresa, coprendo il suo piatto con una mano.
Minho la guardò con una finta espressione sorpresa. «Ehi, adesso sai dire anche cose carine?»
«Ho detto che potrei…», ribatté la mora, fulminandolo.
Lei alzò gli occhi al cielo – ormai aveva capito che quel punzecchiarsi era il loro modo un po’ contorto di essere amici – e si voltò verso Lizzie e Newt, ma rimase interdetta quando vide lo sguardo che quest’ultimo le stava indirizzando. Il ragazzino sembrava concentrato sul suo viso e lo guardava come se stesse cercando di studiarne i lineamenti. Le dava l’idea di un investigatore in cerca di indizi… ma indizi di cosa?
Lo fissò anche lei in silenzio, leggermente a disagio e senza sapere che cosa dire, per secondi che le sembrarono ore, finché Lizzie non richiamò la sua attenzione allungandole uno dei suoi scones. «Te ne ho messo da parte uno. Questi qui ai mirtilli finiscono subito», le disse, posandolo nel suo piatto.
«È stata la prima cosa a cui ha pensato quando non ti ha vista arrivare», commentò Teresa con un sorriso. «E ha fatto bene, visto che Minho se ne è presi cinque…»
«Guarda che ti sento!», protestò lui. «E ritiro tutto sul fatto che sei capace di dire anche cose carine!»
Thomas sospirò. «Perché continuo a sedermi tra voi due?»
Lei scosse la testa, trattenendo una risatina, e tornò a guardare Lizzie. «Grazie, quelli ai mirtilli sono i miei preferiti», le disse sorridendo. E grazie di tirarmi sempre fuori d’impaccio, anche se non te ne rendi conto.
La più piccola le sorrise di rimando. «Sono anche i preferiti di Newt, a me invece piacciono di più quelli al cioccolato.»
«L’ha sorvegliato come un tesoro perché aveva paura che potessi rubarlo», fece Newt, il volto rilassato e libero dalla serietà che l’aveva dominato fino a poco prima e che l’aveva fatta sentire così a disagio. «Dice che quando si parla di scones perdo la testa.»
«Perché è vero!», ribatté lei, punzecchiandogli una guancia con l’indice. «Ladro di scones
«Beh, visto che hai difeso la mia colazione da questo ladro…»
«Ehi! Non ti ci mettere anche tu!», la interruppe il biondino, gonfiando le guance e facendo il finto offeso.
Vederlo scherzare le restituì la disinvoltura che il suo strano sguardo indagatore le aveva tolto. «Zitto, ladruncolo inglese», gli disse, facendogli la linguaccia.
Lui assottigliò gli occhi. «Attenta, cara la mia irlandese Han, posso sempre ricominciare a chiamarti Jo…»
Lei prese il dolcetto e lo avvicinò suo al viso, quasi schiacciandoglielo sul naso. Ritrasse di scatto la mano non appena quella di Newt scattò per afferarglielo. «E invece non lo farai», cantilenò e, indirizzando al biondino uno sguardo da “alla faccia tua”, addentò lo scone.
Dopo essersi guardati per qualche attimo simulando un clima da guerra fredda, ridacchiarono entrambi e Newt sollevò le mani in segno di resa.
Lei gli strizzò l’occhio, poi tornò a guardare Lizzie. «Scusami, stavo dicendo che ti sei meritata il seguito della storia del mago Mac.»
La bimba annuì con gli occhi che le brillavano. «Eravamo rimaste al mago che doveva creare la donna. Come fece? Fermò il tempo?»
«No… lui non sapeva come fare e iniziò a sentirsi sempre più triste e solo, così il Mare inventò il gioco degli scacchi per consolarlo. Se Mac avesse vinto lo avrebbe guarito dal suo male, ma per ogni sconfitta gli avrebbe chiesto qualcosa. Così giocarono e il Mare vinse la prima partita.»
«E che cosa gli chiese?»
«Gli fece costruire una casa, delle strade e coltivare i campi, rendendo la terra che gli aveva donato sempre più bella. Giocarono un’altra volta e il Mare vinse ancora, così gli ordinò di scavare la montagna per prenderne il ferro e creare degli utensili. Una volta fatto questo, giocarono di nuovo.»
«E il mago riuscì a vincere?», chiese speranzosa Lizzie.
Lei fece segno di no col capo. «Vinse ancora il Mare e gli disse di ammaestrare tutti gli animali. Ma un giorno Mac perse tutti i suoi poteri. Era così disperato che il Mare decise di aiutarlo.»
«E che cosa fece?»
Il ricordo le strappò un sorriso. Quella era sempre stata la sua parte preferita perché sua zia ci inseriva sempre dei riferimenti al suo aspetto fisico, facendola sentire parte della storia. Il pallore “lunare”, le foglie d’acero per i capelli e le cortecce più scure degli alberi per gli occhi. Adesso lei doveva semplicemente fare la stessa cosa con Lizzie.
«Chiamò la Terra, che mise a sua disposizione la materia per modellare la donna.» Si interruppe un attimo e osservò i capelli e gli occhi della bambina. «Con i petali dei girasoli il Mare le creò la chioma e colorò i suoi occhi con il verde delle foreste, mettendoci due frammenti di stelle per illuminarli. Poi la Luna usò la sua polvere per colorarle la pelle e le donò la bellezza e la grazia. Infine, il vento le donò il respiro. Così il cavaliere ebbe una compagna e non soffrì più di malinconia… Fine.»
Lizzie la fissava affascinata, sembrava quasi che non riuscisse a respirare. Probabilmente il piccolo espediente che aveva imparato da sua zia aveva fatto il suo effetto. «È bellissima», mormorò la bambina con gli occhi che le brillavano, poi si voltò verso il fratello. «Newt, la donna della storia mi somiglia!»
Lui scrollò le spalle e sollevò il mento. «Beh, se somiglia a te somiglia anche a me, quindi sarà sicuramente bellissima», commentò, beccandosi una gomitata nelle costole da Alby che era seduto accanto a lui.
«Viva la modestia, eh», mugugnò Minho.
«Senti chi parla!», ribatté il biondino, facendogli il verso.
«Grazie», cinguettò Lizzie, ignorando quel piccolo battibecco. «Domani me ne racconterai un’altra?»
Annuì con un sorriso. «Volentieri.»
Non si dissero altro, troppo impegnate a finire ciò che avevano nel piatto prima che il tempo a disposizione terminasse. In quei minuti di relativo silenzio, ora che non aveva più la sua storia da raccontare a distrarla, quella sala le sembrò improvvisamente più piccola e troppo affollata, risvegliando quello strano peso all’altezza dello sterno.
Si impose di non guardare le pareti o il soffitto, ripetendosi mentalmente che doveva essere solo una sua impressione.
Te lo stai solo immaginando, è tutto a posto…
Quando si alzarono tutti e si avviarono verso la sala delle proiezioni, urtò più volte diversi suoi compagni mentre cercava di stare il più possibile lontana dal muro. Appena furono davanti alla porta, Newt le si affiancò, agguantandola per un gomito per evitarle l’ennesima collisione, questa volta con Gally. «Han, tutto okay?»
Arrossì e abbozzò un sorrisetto imbarazzato, liberando velocemente il braccio. «Sì… sì, è tutto okay, grazie.»
Lui sollevò un sopracciglio. «Ti muovi come se avessi paura di essere attaccata.»
Ci aveva visto giusto, quindi lei decise di rincarare la dose, cercando di risultare il più tranquilla possibile. «Sto bene, sono solo stanca.» Non voleva fare la figura dell’idiota dicendogli “Sai, mi sembra che le pareti stiano cercando di chiudersi su di me” o “Credo che il soffitto possa schiacciarmi come una pressa”.
Newt la scrutò di nuovo con quel suo sguardo indagatore che la fece sentire terribilmente indifesa. «Sicura?»
Si schiarì la gola. «Sicurissima. Davvero Newt, sono a posto.» Corse a sedersi vicino a Teresa, sperando di terminare lì quell’interrogatorio, ma il biondino la raggiunse.
«Posso?», le chiese – anche se dal tono sembrava tutto tranne che una domanda –, indicando il posto accanto al suo, e lei non riuscì a fare altro che annuire in silenzio.
Si guardò attorno. Anche la sala delle proiezioni le sembrava stranamente più piccola delle altre volte. E quando la luce venne spenta iniziò a farle male la testa. Inspirò profondamente e prese a massaggiarsi la mano per far passare il dolore, come le aveva insegnato sua zia, ma non sembrò funzionare.
«Han», la chiamò Newt con un sussurro. Decise di far finta di non averlo sentito, ma il ragazzino la chiamò una seconda volta, posandole la mano sul braccio.
Sospirò. «Che c’è?»
«Stanotte troviamoci davanti alla porta della mensa, credo di aver capito cos’hai…»
 
La sociopatica è tornataaaah!
Santo cielo, questo capitolo è stato uno stramaledettissimo parto plurigemellare E SI VEDE! (Si nota che sono un pochino esaurita?) Se siete arrivati fino in fondo devo dirvi due cose: “Complimenti!” e un sentitissimo “GRAZIE!”.
Dannato blocco dello scrittore che si sblocca solo alle due di notte quando sei stanca, stanca, stanca e ancora STANCA (e dovrei avere vent’anni… sì, vent’anni per gamba!). Insomma, se fate conto che più di tre quarti di questa storia sono scritti by night (perché sì, sono praticamente un gufo)… si salvi chi può!
Ok, scusatemi, mi ritiro, questo angolino dell’autrice sta diventando un vero e proprio delirio…

Sono di fuori come un terrazzo, ma vi voglio bene <3 Byeee.
 
 
 
 
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