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Autore: KomadoriZ71    20/04/2015    6 recensioni
[ Fan Fiction ~ Giovanni, Ivan, Max, Cyrus, Ghecis & Acromio ]
"Sono passati anni da quando i Leader dei vari Team hanno provato a mettere in ginocchio le regioni dei Pokémon ma, a causa di ragazzini spuntati fuori da chissà dove, ognuno di loro ha visto ogni progetto andare in fumo.
Ma che fine hanno fatto, ora che la pace sembra essere tornata?
Semplice: sono stati arrestati e ora si ritrovano limitati dentro un carcere di altissima sicurezza, il quale è stato costruito sopra a un isolotto posto in punto sperduto del mare.
Cosa mai succederà all'interno delle minuscole celle?"
Genere: Angst, Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Cyrus, Ghecis, Giovanni
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
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8. Velle est Posse
8. Velle est Posse
By Xavier

ciiiiiroooo

Quanto ho dormito? Ma soprattutto, dove mi trovo adesso? Non mi sembra la mia cella, questa. Un freddo secco, metallico oserei dire, mantiene serrate le mie braccia lungo il busto supino, abbandonato in un gelido giaciglio privo d'ogni mollezza che possa accogliere il fardello devastato del mio corpo. Il clima del Tempio di Nevepoli, ove io mi recai anni addietro per catturare un esemplare di Sneasel da annettere al mio Team, è nulla messo a confronto con il gelo che aleggia in questa stanza. Sento un languore serpeggiare nelle mie viscere, da quant'è che non mangio? Sto forse per.. morire? No, non posso permetterlo, non prima di essere evaso da qui e non dopo tutti i miei sforzi di ricerca per un universo migliore. Che miserabile destino sarebbe il mio, se morissi tra queste sudicie quattro mura per colpa di uno scienziato esecrando e libidinoso? Non mi interessa vendicarmi per quello che mi ha fatto, per quanto ignobile e vituperabile possa esser stato, voglio semplicemente riprendermi e uscire da qui, per adesso.
Provo a rimembrare cosa sia successo precedentemente, ma gli unici ricordi che affiorano sono i suoi fendenti sferrati con sadica crudeltà. Perché gli uomini sono sadici, perché amano vedere la sofferenza stampata nei volti dei loro simili? Cosa li spinge a spargere afflizione e tormento negli animi? Ma il caso di Acromio è già più semplice da analizzare: voleva delle informazioni ed era disposto a tutto pur di ottenerle. Già, anche io sono disposto a tutto pur di ottenere il mio mondo, ma il mio fine è qualcosa di positivo per tutti, non mi sarebbe importato se la mia scia si fosse tinta di rosso sangue alla buona riuscita, ne sarebbe valsa la pena. Il fine giustifica i mezzi, sempre.
Quello scienziato, lui sì che è un criminale. Il suo scopo era il suo stesso egoismo, a che gli sarebbe servito conoscere i segreti della Rossocatena, se non ad una propria sete di curiosità? E le altre faccende sul Team Galassia e il Mondo Distorto? Erano domande che mi son sentito ripetere sin dal primo giorno di permanenza in questo penitenziario, e non ho mai dato a nessuno la soddisfazione di alcuna risposta. Il bastardo dunque spera di essere scarcerato facendo da spia, collaborando con quella cosa che mi fa inorridire anche solo a chiamarla "giustizia", se questa è giustizia, allora davvero non c'è speranza per il genere umano.
Basta rimuginare a vuoto, devo trovare la forza di alzarmi e prendere in mano la situazione. Apro gli occhi ma i fasci di luce che filtrano dalle imposte mi saettano dritti nelle pupille, mi abbagliano e son costretto a richiuderli nuovamente, coprendomeli con un avambraccio. Bruciano, uno in particolare, quello sfregiatomi da Acromio, fatica anche solo a muovere la palpebra. Quantomeno non sanguina più, ma avrebbero anche potuto applicarmi una benda sterile per agevolare la guarigione. Un momento.. perché mi hanno gettato in questa specie di obitorio? Non avranno pensato che io sia morto? Se così fosse me ne scapperei anche ora .. per poi stramazzare al suolo dalla fame dopo nemmeno due passi.
Ahaha, faccio così pena!


Non ho scampo, ma ora un'altra preoccupazione mi torna in mente: la faina aveva detto qualcosa riguardante la mia condanna a morte, che non mi avrebbero mandato, come mi aspettavo, in una sorta di manicomio di riabilitazione, ma dritto dritto al patibolo per risparmiare sulle spese. No! No non può essere, non dopo due dannatissimi anni che son qui a fingere pazientemente e reprimere ogni minimo impulso di volontà. Perché attendere così tanto, poi? Mi avrebbero potuto far fuori dopo appena un anno, senza problemi, quella volta che mi rifiutai di mangiare per ben tre giorni di seguito, non per autolesionismo o ripicca, semplicemente perché il cibo faceva schifo. Non che qui io possa permettermi le deliziose lasagne di Baccagrana che sapeva preparare Giovia o i Dolci Gateau alla marmellata di Baccaliegia di Martes, ma in quella settimana gli "chef" del carcere superarono loro stessi: quel pane era vecchio di cinque giorni, duro e ammuffito, l'acqua era un evidente scarico putrido di qualche pietanza lavata alla buona, e la carne era di così bassa qualità che per trovare qualcosa di commestibile e poco poco nutriente dovetti spezzare gli ossi alla ricerca del midollo.
Fu Maxie a salvarmi, ad accorgersi che non toccavo più pietanza; ma sì, lui poteva permetterseli, i cibi decenti, grazie agli agganci con Giovanni. Divise la sua "abbondante" porzione con me, finché io non mi fui almeno in parte ripreso. In circostanze diverse avrei rifiutato un gesto così misericordioso e pateticamente compassionevole, ma in quel caso lasciai da parte il mio orgoglio e i miei ideali, lo stomaco vuoto prevalse su tutto, ne andava di mezzo la mia sopravvivenza. Maxie… avrebbe fatto lo stesso, se il cibo non fosse stato abbastanza per entrambi? Oppure si sarebbe comportato da ingordo egocentrico, come son tutte le persone? Questo è uno dei tanti quesiti che, in casi come questo, mi ritornano alla mente, pungolando fastidiosamente le parti più remote dei miei pensieri.
Non mi sta proprio andando di alzarmi, sarà ancora l'effetto del Lorazepam, ma credo che per il momento sia meglio starmene qui, seduto, con la testa poggiata di lato alla parete destra, quasi il mio collo non riuscisse a reggerne il peso, gambe penzoloni dal lettino e occhio semi-aperto, in modo che possa abituarsi alla nuova luminosità. Coi piedi sfioro il liscissimo pavimento che, per quanto possa esser freddo, mi trasmette uno strano senso di tepore lungo le piante, indice evidente di quanto il mio corpo sia a rischio di ipotermia. Dove avranno messo i miei vestiti? Non possono buttarmi in questa cella frigorifera con solo un asciugamano addosso! Ritiro le ginocchia, serrandole al torace, in modo da poterle abbracciare e disperdere il meno calore possibile con una posizione ben chiusa. Sono un uomo di Sinnoh, la regione più fredda tra tutte, dovrei reggerlo bene, eppure, ironia della sorte, sono nato e cresciuto ad Arenipoli, un'energica città sul mare dal clima piacevolmente temperato che fa eccezione alla regola, dunque mi sento un po' a disagio conciato così.
Sebbene quella città non mi vada a genio, visto tutto quel pullulare di gente mattina e sera per via del fiorente mercato, odiosa attrazione che richiamava turisti da ogni parte, in questo istante ne sento una fastidiosissima mancanza quasi nostalgica. Era da veramente tanto, tanto tempo che non ci pensavo. Non m'è mai piaciuto ripensare al mio passato, alla mia infanzia in particolare, avvolta da un alone di malinconia e perpetuamente immersa in una nebbia di mestizia difficile a diradarsi. Non ho quasi mai conosciuto la spensieratezza e l'allegria tipica dei bambini, subivo sempre e solo le pressioni dei miei genitori e avevo addosso il terrore di deludere le loro aspettative, terrore che ben presto si materializzò in illusione, odio, apatia.

Nella maggior parte dei casi, cosa si aspetterebbero due genitori dal proprio figlio? Che sia educato, rispettoso, si comporti bene e ottenga buoni voti a scuola per garantirsi un futuro e l'indipendenza quando essi saranno divenuti vecchi e bisognosi. Non peccavo in una sola di queste cose, ma per qualche motivo non era mai abbastanza, non erano mai soddisfatti del loro pargolo. L'impotenza e la frustrazione che in questo momento attanagliano la mia psiche altro non fanno che trascinarmi nel baratro orrendo e sconfinato della mia mente dove risiedono tutte le mie memorie, rimbombano i miei sbagli e tutto ciò che mi strugge riecheggia, mi sembra di essere un oggetto privo di volontà in balia dello spazio siderale, m'è bastato un piccolo stimolo e come per inerzia mi trovo costretto a fare un'anamnesi di tutto ciò che mi ha portato ad essere quello che sono.
Il naufragar non mi è certo dolce in questo mare…

Mio padre lavorava come impiegato in un ufficio adiacente alla zona commerciale della città, per circa 8 ore al giorno e, quando tornava, non voleva sentir ragioni, né da parte mia e né da parte di sua moglie. Non gliene facevo una colpa, il suo lavoro era davvero una sfida alla pazienza, io non avrei retto un giorno alle prese con tutti quei clienti, uno più imbecille dell'altro. Lei, piuttosto, aveva studiato come stilista ma non era mai riuscita a diventare famosa e rinomata, non per questo si arrese, sebbene fosse suo marito a portare soldi a casa, lei dal canto suo confezionava vestiti che disegnava da sé, e alcune volte qualcuno li acquistava anche, cosa che le dava enorme gioia. Io ero molto diverso da loro due, non avrei mai seguito le loro orme e lo esplicitai più volte, sia quando mio padre tornò dal lavoro dicendomi che s'era impegnato tantissimo ad ottenere, per me una volta divenuto maggiorenne, un posto nella sua agenzia, sia quando mia madre espresse il suo volere di farmi entrare nel mondo della moda, come modello precisamente (lo dicevano tutti che ero un bel bambino e che una volta adulto avrei potuto far carriera col mio aspetto), e così appena divenuto abbastanza famoso avrei potuto sponsorizzare i suoi capi d'abbigliamento e coronare finalmente il suo sogno mancato di diventare una stilista illustre e andare a lavorare a Kalos. I due litigavano, litigavano spesso su questa cosa, per mio padre, convinto maschilista, sarebbe stato assurdo se il suo unico figlio maschio avesse trovato impiego in un "settore femminile", come se i mestieri si dividessero tra quelli per maschi quelli per femmine, assurdi luoghi comuni di questa becera società. Mia madre, tutto al contrario, avrebbe voluto una figlia femmina che avesse potuto realizzare ciò che lei non aveva ottenuto, e anche il solo fatto che io fossi nato un maschietto rappresentava una profonda delusione per lei, ma almeno aveva capito che un tipo come me non poteva assolutamente svolgere un lavoro da scrivania per tutte quelle ore al giorno. E mentre loro bisticciavano, io avevo già scelto quello che avrei fatto: sarei diventato un astronomo, un astrofisico oppure un astronauta. Mio nonno, l'unica persona che mi trasmetteva affetto e sicurezza concreti, fu entusiasta della mia scelta, tant'è vero che fu proprio lui a trasmettermi la passione per ogni cosa che avesse a che fare con l'universo. Quando mi lasciavano da lui non facevamo altro che leggere libri e manuali di ogni tipo, astrologia, mitologia, storia e leggende, fisica e matematica, e se rimanevo a dormire da lui, appena calato il crepuscolo, mi portava sul terrazzo a guardare le costellazioni col suo telescopio, e dopo un certo orario, inevitabilmente, cadevo addormentato e mi risvegliavo la mattina dopo nel mio comodo lettino, abbracciato ad una Poké-Bambola a forma di Clefairy. Non volevo più tornarmene a casa mia, mi piaceva la zona di periferia esente da inquinamento luminoso dove abitava il nonno.
Decisi comunque di comprarmi un telescopio tutto per me, al mercato dell'usato di Arenipoli, un modello poco costoso che potevo permettermi. La notte stessa, dopo averlo calibrato adeguatamente, salii in terrazzo e lo puntai verso quella magnifica luna piena, perfetta, lucente e tersa, ma quando mio padre si destò e mi colse in flagrante, non si risparmiò a darmele con la cintura di cuoio, e mia madre ad urlarmi contro, perché "
quell'aggeggio è uno spreco di soldi!" e "i bambini della tua età dovrebbero dormire a quest'ora! Altrimenti si ritrovano con le occhiaie e non sono più carini e graziosi". Le occhiaie effettivamente già ce le avevo…. A ben poco servì quella lezione, le mie idee erano chiare e non le avrei cambiate per nulla al mondo. Ero già lo scolaretto più bravo della classe, soprattutto nelle materie scientifiche, anche grazie al supporto di mio nonno, un ex matematico; pure per questo motivo molti dei miei compagni mi detestavano, sfogavano su di me i loro insuccessi scolastici dovuti alla loro poca voglia di studiare o direttamente alla loro inettitudine. Brutta cosa l'invidia, non era certo colpa mia se loro andavano male e preferivano far altro piuttosto che i compiti. L'odio ben presto divenne reciproco: loro erano contenti, uscivano da scuola e trovavano i loro genitori ad abbracciarli, a coccolarli, a premiarli per un buon voto o ad incoraggiarli a far di meglio ad uno negativo. I miei no, non venivano mai a prendermi, tornavo da solo, mi avevano regalato una bicicletta proprio per quello. Arrivavo a casa e provvedevo a prepararmi qualcosa per pranzo, poiché mia madre era perennemente occupata alla macchina da cucire e il pasto caldo al rientro glielo permetteva giusto a mio padre, che rincasava nervoso e affamato come una belva. Mangiavo in camera mia, solo, unica compagnia la TV accesa e qualche fumetto. Non durava neppure tanto quella quiete, presto infranta dalle sue grida: “Cyrus! Lava i piatti! Cyrus, pulisci la tua camera! Cyrus metti a posto i tuoi giocattoli!" ed eran guai se osavo replicare, quel battipanni era sempre in agguato. Finite le faccende domestiche, passavo tutto il pomeriggio sui libri, chiuso nella mia stanzetta. La conoscenza era uno dei pochi piaceri che davvero apprezzavo, insieme alla cioccolata calda e alla volta stellata del cielo notturno.

Verso la fine della quinta elementare le maestre ci chiesero di portare in classe i nostri Pokémon per farli conoscere ai compagni. Ma io non avevo ancora un Pokémon, pregai i miei di prendermene uno, ma fu tutto inutile. Non mi arresi, volevo un Pokémon tutto mio e l'avrei ottenuto. Così, dopo il rifiuto, salii in sella e mi diressi verso la spiaggia: reperiti ramoscelli lunghi e resistenti e un semplice spago al quale avevo legato una graffetta deformata a mo' di amo, creai una canna da pesca rudimentale eppure funzionante, con la quale non mi fu difficile pescare il mio primo Pokémon, nientemeno che un… Magikarp. Si fece catturare subito con una semplice Poké Ball e sebbene non fosse il massimo, mi rese soddisfatto, almeno per quella sera. Ritornai a casa e non dissi nulla a nessuno, cenai in fretta e furia e mi barricai in camera, dunque lo lasciai uscire e lo sistemai in un acquario, dandogli anche da mangiare, rimboccai le mie coperte e finalmente mi coricai. La mattina seguente avevo addosso un insolito entusiasmo, che non passò inosservato, anzi. Ero ancora un bambino d'altronde, non sapevo gestire questo mio lato emotivo, purtroppo. Avevo legato la sua Poké Ball alla cintura dei miei pantaloni e, sfrecciando per le vie di Arenipoli, col vento in faccia, mi sentivo come un vero allenatore di Pokémon che parte all'avventura, libero. Un piccolo stupido momento di gloria, come possiamo essere liberi se siamo condannati a morte nell'istante stesso in cui nasciamo? Tutti noi esseri viventi siamo passivamente vincolati come da una piccola clessidra che scandisce il tempo delle nostre vite in fragile equilibrio, e basta un nonnulla in un momento qualsiasi ad arrestare il suo flusso continuo, decretando il nostro decesso. Chissà, chissà se la mia clessidra cesserà di travasare sabbia oggi stesso, in questo frigido obitorio. Giunto in classe mi sistemai al mio banco attendendo pazientemente il mio turno, in ordine di elenco. Tutti quanti avevano Pokémon molto più belli e potenti del mio. Qualcuno si era addirittura procurato uno starter proveniente da regioni esotiche e lontane come Hoenn, alcuni dei loro genitori avevano girato in lungo e in largo tutto il mondo pur di acchiappare un Pokémon che potesse soddisfare le esigenze di un piccolo allenatore alle prime armi, altri li avevano semplicemente aiutati ad acciuffare uno Shinx o uno Starly nell'erba alta, altri ancora avevano regalato ai propri figli un uovo in modo che potessero occuparsene personalmente, e poi c'ero io… Toccava a me, quell'entusiasmo di prima andava via via smorzandosi dopo aver visto le loro esibizioni, ma provai comunque a non demoralizzarmi. Lanciai la sfera, si aprì e Magikarp schizzò via, iniziando a saltare per terra come in preda a convulsioni, forse spaventato da tutti gli altri scolaretti. Lo raccolsi dal pavimento e provai a tenerlo in braccio, ma quello si liberò dalla mia presa e balzò sulla cattedra, riprendendo quello sguazzare spasmodico e poco elegante. Scoppiarono risate generali, insulti, offese e per evitare che la situazione degenerasse lo ritirai immediatamente, tornando a sedere. L'imbarazzo era tantissimo, a momenti mi mettevo a piangere per quella figuraccia, mi sentivo in totale disagio. Dopo di me toccò ad una ragazzina trasferitasi ad Arenipoli per motivi di lavoro legati al mestiere dei suoi genitori, la quale da poche settimane aveva iniziato a frequentare la mia scuola.

babyciro

Era già abbastanza alta, vestiva in maniera raffinata e al tempo stesso graziosa, aveva capelli biondi e lisci come il manto di un Ninetales, lunghi ben oltre le spalle e decorati con fermagli o broches variopinti, sempre profumati di lavanda. Sì, Cynthia, proprio lei. Mi chiedevo che cosa potesse mai tirar fuori quella meraviglia, un Beautifly? Un Espeon? Una Gardevoir? Un Altaria? Niente di tutto ciò. Aveva un misero Feebas, persino più brutto del mio Magikarp. Incredibilmente, però, quel pesciolino d'acqua dolce conosceva già mosse come Geloraggio e Dragopulsar, tant'è vero che con una sfida riuscì a sconfiggere senza problemi il Grimer di quell'odioso bulletto che mi aveva preso di mira. Tanti applausi e onore per lei. Iniziarono tutti ad andarle dietro. Tutti tranne me, chiaramente; non che non apprezzassi, semplicemente avevo molti altri interessi e preoccupazioni in quel periodo. Terminata la lezione sgattaiolai via di fretta, sperando di non incontrare più nessuno, ma lei era lì ad aspettarmi.
«Se sei qui anche tu per dirmi quanto abbia fatto pietà Magikarp.. beh, levati, ho fretta di tornare. Ah, complimenti per il tuo Feebas, se vuoi sentirti dire questo».
«Non dire così. L'hai catturato da poco, non è vero? Ha solo bisogno di essere allenato. Dovete fare un po' di pratica. Comunque lo trovo molto carino! E anche tu lo sei».
«E tu? Perché voi siete così forti invece? Sei anche te un'allenatrice alle prime armi. Se proprio ti piace prenditelo, facciamo uno scambio. Io voglio un Pokémon valente». Si mise a ridere, come potrei dimenticarlo? Pagherei oro per risentire ancora la sua soave voce femminile in contrasto con l'inquietante silenzio di questa stanza che mi opprime, e che viene a mia volta oppresso da tutte queste reminiscenze.
«Smettila di dire sciocchezze, Cyrus! I miei genitori mi hanno spinto nel mondo delle lotte Pokémon già da quando avevo cinque anni, Feebas fu un regalo di compleanno, e non lo scambierei per nessun motivo al mondo. Piuttosto, ho dimenticato le chiavi di casa, mi inviteresti a pranzo?»
«Allora un giorno Magikarp diventerà un enorme Gyarados capace di distruggere interi villaggi, e io a quel punto sarò diventato un genio della scienza! Così dimostreremo a tutti di cosa siamo capaci. Comunque, per me non ci sono problemi, ma se i miei scoprono che adesso ho un Pokémon… farai meglio a scappare, mio padre fa paura quando si arrabbia». Altroché. Mio padre era già davanti all'uscio con la famigerata cintura e mi stava urlando contro cose a distanza, deglutii, che figura avrei fatto davanti a quella ragazzina? Mi ero già preparato a subire quando, incredibilmente, lei prese le mie difese, contrastando le parole dell'uomo con un discorso solido e acceso, sembrava un'avvocatessa in tribunale, e rimaneva tuttavia adorabile e graziosa. Ammutolì mio padre e lasciò senza fiato mia madre, totalmente affascinata da Cynthia che venne riempita di lodi come "ahh ho sempre desiderato avere una figlia come te!" e bazzecole simili. Si ottenne che Magikarp potesse restare in camera mia, nell'acquario, a patto che non si evolvesse. Era già un passo avanti. Posso benissimo affermare che da quel giorno io e lei eravamo diventati amici, era l'unica compagna di banco che sopportavo, l'unica ragazza che mi comprendeva e mi conosceva fino in fondo, poiché d'altronde era stata l'unica a conoscere i miei e la mia famiglia, l'unica alla quale non mi dispiaceva passare quei banali esercizi di fisica o chimica che non sempre riusciva a svolgere, e l'unica verso cui provavo sinceramente qualcosa. La nostra amicizia proseguì e si intensificò nella stagione estiva, il più bel ricordo che mi sia rimasto, un qualcosa di infinitamente dolce e letale, come l'ambrosia degli dei, deliziosa ma intoccabile dai miserabili uomini. Le mattine scorrevano quiete e placide, come le acque del litorale di Arenipoli dalla soffice sabbia chiara e fina, che tanto odiavo, quando si incollava alla mia pelle bagnata dopo un tuffo in mare. A lei invece piaceva giocarci e piuttosto odiava nuotare, per via della fastidiosa salsedine che s'insinuava tra i suoi morbidi capelli biondi, più dorati della rena riflessa dal sole di mezzogiorno. I pomeriggi, allo stesso modo, volavano via in una squisita routine quotidiana fatta di semplici, piccoli gesti che rimangono immortalati per sempre monotoni e serafici, come passeggiate nei boschi, picnic all'aperto ed escursioni. Il momento più bello rimaneva comunque la notte, che si calava giù dai meandri dell'universo, puntuale, spingendo negli abissi marini il breve ma intenso crepuscolo che tingeva di rosso e arancione l'orizzonte, l'arenile, le onde e tutto ciò che ci circondava. Il vello cobalto dello spazio, maculato da galassie e puntellato da costellazioni, si slanciava abbracciando tutta la volta celeste, chiudendola in un alto recinto di stelle che parevano sorriderci e bisbigliare tra loro, invidiose, ciance e voci su quei due ragazzini distesi in spiaggia, mano nella mano, intenti a contemplarle e a chiedersi stupidamente se esse non si sentissero in imbarazzo a venir insistentemente fissate da quegli occhietti vispi e colmi di curiosità verso quel mondo tutto di misteri da scoprire. Fu in una nottata così limpida e perfetta che commisi uno degli errori più gravi della mia gioventù: mi dichiarai. Non riuscivo più a tenermelo dentro, non era una di quelle stupide cotte passeggere tipiche dell'età, sentivo che era qualcosa di molto più spinto e concreto, bastava la sua sola presenza a farmi dimenticare ogni dolore esistente, presente e passato, a farmi sentire… felice. Tutti i mali che avevo subito altro non fecero che rendere incredibilmente più beato e meraviglioso quel tanto agognato "sì" e il successivo primo bacio per entrambi. Le sue labbra carnose e delicate s'incastravano perfettamente tra le mie, sottili e spigolose, riuscendo ad aprirle in un raro sorriso sincero e spontaneo, che in nessuna situazione avrei mai sfoggiato. Nessuno venne a sapere del nostro piccolo segreto, per timore di possibili calunnie e gelosie, come poteva infatti, la ragazza più carina della classe, essersi messa insieme a quello scarto asociale di Cyrus?

La mia vita era divenuta stupenda, perfetta, da sogno… destinata a disciogliersi. L'euforia toccò l'apice quando il nonno mi regalò un cucciolo di Houndour, molto più attivo e sveglio di Magikarp, che aveva per caso ritrovato nel suo giardino. Cynthia aveva tanto insistito per mettergli un collare rosa a fiori che detestavo e che accettai controvoglia, e così lo portavamo legato al guinzaglio durante le nostre avventure. Una sera, improvvisamente, mentre ci trovavamo fuori, scoppiò un violento temporale estivo e fummo costretti a rifugiarci al coperto per evitare di far bagnare il Pokémon di tipo fuoco. Unico rifugio disponibile un'insenatura rocciosa in una falesia, abbastanza accogliente per tutti e tre nella sua ristrettezza. In breve però ci rendemmo conto che non eravamo un trio, bensì cinque. Uno Zubat prese a volteggiare sulle nostre teste, emanando ultrasuoni che ben presto rimbombarono in tutta la caverna mandando in confusione Houndour e, ancor più dietro ben nascosto da un masso, un rarissimo Spiritomb provava a spaventarci con Furtivombra. Non eravamo i benvenuti. Ci trovavamo nei guai, pensai fosse mio dovere proteggere Cynthia, provai a dare ordini a Houndour ma era troppo confuso per potermi comprendere e agire di conseguenza. A lei, il mio angelo custode, venne in mente la geniale idea di spostare il conflitto all'esterno, in modo da poter sfruttare l'abilità Nuotovelox dei nostri Pokémon d'acqua per batterli in velocità sotto la pioggia. Feebas si muoveva in modo magistrale sotto quel tempaccio, e sferrò un Idropulsar talmente rapido da abbattere Zubat in volo, che venne poi mandato al tappeto da un Azione del mio Magikarp. Spiritomb, sebbene avesse subito la medesima mossa in pieno, non dava cenni di cedimento, anzi, era pronto a contrattaccare con Inseguimento e venne bloccato solo da un repentino Neropulsar del Pokémon Buio che lo fece tentennare, permettendo alla ragazza di lanciare un' Ultraball che lo catturò all'istante. Io avevo una Pokéball con me e non esitai ad usarla su Zubat: adesso avevamo due nuovi compagni di squadra. A me inizialmente risultò difficile prendermi cura di tre Pokémon contemporaneamente, ma grazie al suo sostegno e ai suoi consigli degni di una veterana e non di una semplice ragazzina di 11 anni, ben presto iniziai a destreggiarmi discretamente bene nelle lotte, sebbene non l'abbia mai sconfitta. Era troppo forte. Verso la fine di quell'estate, una mattina, non vedendola scendere in spiaggia al solito orario, nel solito posto, iniziai a preoccuparmi. Che le fosse successo qualcosa? Corsi e corsi a perdifiato per raggiungere la sua abitazione il prima possibile, preceduto dal Pokémon Volante-Veleno che fendeva l'aria con le sue alette affilate e sottili. Arrivato lì notai diversi camion adibiti a trasloco, nei quali alcuni Machoke addestrati si stavano curando di stipare i mobili e gli arredamenti di casa. Cynthia stava dando una mano ai genitori sistemando le proprie cose in scatoloni di cartone chiusi da del nastro adesivo.
«Cynthia? Dov'è che ti stai trasferendo? Potevi dirmelo, sarei venuto ad aiutarti». La mia mente ingenua da undicenne sperava inconsciamente che sarebbe venuta ad abitare in un posto ancora più vicino a casa mia. Stupido me. Sobbalzò nel vedermi col fiatone e con uno sciocco sorriso addosso, restò in silenzio per interminabili secondi e finalmente si decise a parlare:

«Mi dispiace. Non volevo dirtelo per non ferirti. Sapevo fin da subito che sarei dovuta ben presto ripartire per Memoride, torno da mia nonna».
Fingevo di non comprendere, o forse non comprendevo sul serio quello che voleva dirmi
.
«Se le cose stanno così, fai bene ad andare da tua nonna. Anche io dovrei andare a trovare più spesso il mio. Sarò qui ad aspettarti, non temere».
«Cyrus non hai capito. Io me ne vado da qui per sempre. I miei genitori mi hanno avviato alla carriera di allenatrice Pokémon, dovrò viaggiare, sconfiggere Allenatori, Palestre, vincere Medaglie, e anche studiare tanto, tantissimo. Non volevo che tu…»
Io. Sì proprio io. Sarei rimasto nuovamente solo e isolato, abbandonato in quel modo dalla persona che amavo di più. Ma quella era la sua strada, il suo sogno, sarei stato uno schifoso egoista ad impedirglielo solo per averla al mio fianco. Non ero e non sono un tipo possessivo, tanto meno geloso. Non ne avevo motivo con Cynthia, non mi avrebbe mai tradito con un altro ragazzo. E qualora l'avesse fatto, avrebbe avuto tutte le ragioni di questo mondo. Avevamo trascorso un piacevolissimo tratto di strada insieme, era giunto il momento di dividerci. Aveva preferito non dirmi nulla per farmi sentire felice e spensierato fino all'ultimo giorno, e poi sparire. Dopo la sua partenza troncai ogni contatto umano e iniziai a trascurare i miei Pokémon. Che senso aveva provare emozioni e sentimenti verso gli esseri animati, riporre in loro speranze e aspettative? Prima o poi se ne sarebbero andati tutti, lasciando dentro di me un vuoto incolmabile. Provare emozioni equivaleva a soffrire, provare sentimenti ad esser debole. Parlavo sempre meno e le mie giornate alternavano le ore di scuola alle ore di studio chiuso in camera mia, ormai divenuta un piccolo e attrezzato laboratorio, a smontare e costruire piccoli congegni elettronici. Le macchine, loro sì che erano gratificanti. Non mi sentivo mai solo in loro compagnia, sono così perfette da sole, basta un piccolo input, un generatore e un circuito ben piantato per farle partire e funzionare all'infinito. Può una persona lavorare così ininterrottamente senza lamentarsi e perdere la voglia? No, certamente. E questo perché? Ovviamente perché prova emozioni ed è debole. Se dicessi che ero felice, sarebbe un paradosso, non lo ero e non lo sono affatto. Ma non ero neppure triste o depresso, cosa che probabilmente sto diventando, lontano da ciò che mi faceva stare semplicemente bene, a mio agio. Ero in equilibrio con me stesso in quell'angolo di paradiso tecnologico, non avevo bisogno di nessuno, se sentivo freddo mi bastava avvicinarmi ad un motore in surriscaldamento per riscaldarmi e sentirmi protetto, più di un banale abbraccio tra persone. Scendevo da lì solo per mangiare e andare in bagno, e quelle rare volte che veniva a trovarmi il nonno. A lui non andava per niente bene il mio nuovo comportamento, non conosceva la storia finita male con Cynthia, ma aveva intuito che mi era successo qualcosa di grave che i miei genitori ignoravano e coi quali lo sentivo spesso litigare per ottenere la mia adozione. Loro si rifiutavano, sempre, dicendo che erano troppo attaccati a me per potermi cedere in quel modo. La verità era che faceva comodo avere un piccolo elettricista aggiusta-tutto in casa, quando si guastava un elettrodomestico. Adesso mi vien spontaneo chiedermi che fine abbia fatto lei, spero si sia sistemata, abbia trovato un compagno o una compagna degni di lei con cui condividere la sua vita e, soprattutto, si sia dimenticata di me.

rossocatena,rossocatena!ohrossocatena!

Ma cosa vado a pensare… questa prigionia mi sta denaturando.
A me non deve importare nulla di nessuno, che non sia me stesso. Sento un rumore, uno strano cigolio, ombre, figure umane mi si stanno avvicinando. No, non può essere, non quell'infame di Acromio!
«C-Cyrus? Cyrus sei sveglio?». Questa è la voce di Maxie, credo sia la sua, è orribilmente distorta e spezzata da singhiozzi. Schiudo una palpebra e metto a fuoco con estrema difficoltà: sì, è proprio lui, accompagnato da due altri detenuti a lui fedeli, forse ex membri del Team Magma. «Cyrus sei ancora vivo! Cosa ti hanno fatto? Chi è stato? Mi sono spaventato tantissimo quando ho visto che ti portavano qui!». Si siede accanto a me e mi stringe forte, a momenti gli cado addosso, ma almeno è così.. caldo.
«C-Cyrus, stai piangendo?». Sussurra lieve, dietro quegli occhiali appannati e pieni di impronte. Cosa? Cosa diamine ha detto? Impossibile, io non.. mi strofino gli occhi con l'avambraccio e trasalisco nel notare gocce porpora sulla mia pelle. Non capisco cosa mi stia succedendo, mi sento improvvisamente accaldato, mi manca il respiro, voglio prendere a calci qualcosa..
«Ehi stai fermo, così si riapre la ferita. Lascia fare a me». Lascio fare a lui, sa essere premuroso e accurato quando si tratta di queste minuzie. Intanto gli altri due mi porgono i miei vecchi indumenti, aiutandomi a vestirmi. Troppa, troppa gentilezza Maxie, perché? So benissimo che in questo stato faccio pena, ma sfidare ed eludere la sicurezza solo per venire a darmi una mano mi pare esagerato, senza un tornaconto personale. O, più probabilmente, si tratta di una carenza d'affetto dal momento che, se non erro, ultimamente la sua situazione sentimentale con Ivan si sta sgretolando. Che ci stia provando con me? No! Maxie non puoi farmi questo! Rimarresti tremendamente deluso, non sono più capace di amare, è una cosa che mi fa ribrezzo. Termina di medicarmi il taglio e mi applica una benda bianca, la smette di singhiozzare e fruga tra le sue tasche, tirando fuori due stecche di cioccolato fondente purissimo. Mi lecco le labbra.
«
Sarai affamatissimo, tieni, le ho prese per te corrompendo le guardie con una misera vincita a poker, puoi mangiarle tut…» che importa come le ha ottenute, sto morendo di fame e mi fiondo sul palmo della sua mano contenente tre quadrati, a pochi centimetri dalla mia bocca, faccio attenzione a non morderlo e li mando giù in un solo boccone. Deliziosi. Tutti e tre iniziano a ridere per il mio impulso di cafonaggine repressa; Maxie che almeno ha finito di piangere ordina ai due di controllare che non vi siano altri nei paraggi e poi ricomincia ad imboccarmi un pezzo per volta. Ci ha preso gusto, ma se non si velocizza gli stacco le falangi a morsi. «Cyrus, mi ricordi tantissimo il mio Ivan, a volte ci divertivamo così quando avevamo l'occasione di permetterci dei dolci. Adesso ci siamo divisi, non ho più nessuno con cui stare, mi rimani solo tu». Santa pazienza, non paragonarmi a quello scaricatore di porto. Non gli somiglio neppure un poco e non sono il tuo confidente o l'agenzia dei divorzi! Maxie dovrebbe smetterla di stargli appresso, si sta solo rovinando e soffre inutilmente. Uno scienziato così bravo che si mette a piangere per un marinaio di sobborgo che non ha neppure un quarto della sua intelligenza? Che cosa assurda è mai questa, se non quell'obbrobrio che chiamano "amore"? Se Maxie fosse stato come me, freddo e calcolatore, e avesse evitato quel rapporto con Ivan, molto probabilmente adesso avremmo già trovato un piano per evadere via, solo noi due. Per farlo tacere gli mordo una mano, guardandolo in modo serio e minaccioso e lui a sua volta deglutisce e mi guarda alquanto spaventato, ritraendo l'arto. Gli ho fatto male, non volevo arrivare a tanto. Mi sento un balordo adesso, sarà la seconda se non la terza volta che Maxie mi salva la vita e io non gli ho mai dimostrato un briciolo di gratitudine, eppure lui continua a starmi accanto. La sua è un'alleanza preziosissima per me, non posso permettermi di perderla. Prima che possa sgridarmi abbasso umilmente la testa con fare dispiaciuto, non so più chiedere "scusa". Per fortuna i gesti sono più chiari delle parole e Maxie coglie al volo il messaggio, abbracciandomi e accarezzandomi la schiena. Brividi.
«Non fa niente, non l'hai fatto di proposito. Dovrei dimenticare Ivan, dici? Forse hai ragione, ma lui è l'unica persona che amo sul serio, è parte integrante della mia vita, abbiamo condiviso gioie e dolori e separarci in una situazione come questa è terribile. Non voglio rimanere da solo». Povero ingenuo Maxie, siamo tutti da soli, e detto così mi sembra che il loro sia una sorta di patto di convivenza e protezione, piuttosto che un rapporto amoroso vero e proprio. «Adesso non voglio pensarci, finisci la tua cioccolata così poi usciamo da questa gelida sala e andiamo in cortile. C'è una sorpresa per te. Qualcuno, in anonimo, è venuto a portarti i tuoi Pokémon e ci sono anche i miei. Voglio farti conoscere Camerupt». A momenti mi va di traverso il bolo a sentirlo. L'anno scorso non era venuto nessuno, perché quest'anno sì? Lascio da parte ogni briciola di galanteria e inizio a masticare voracemente a bocca aperta tutto il restante dolce, entratomi a forza nella cavità orale.
«Calma calma, non vorrai strozzarti? Aggrappati e tirati su!». Provo a fare tutto da me, ma la testa mi gira e sono costretto ad usare Maxie come appoggio, almeno per salire le scale. Gli altri due seguaci ci fanno segno che la via è libera e rapidamente sgattaioliamo via, ritrovandoci in breve nel cortile all'aperto. Aria, aria pulita! Ci accomodiamo sulle panchine in legno all'ombra di una robusta quercia e attendiamo il nostro turno. Prima a lui, poi a me, vengono consegnate tutte le Pokéball in una cintura nera in cuoio che si può anche legare al busto. Maxie è impaziente e trepida, non ci mette molto a lanciare in aria le sfere facendo uscire rispettivamente Camerupt, Crobat e Mightyena, tutti quanti euforici e allegri. Uggiolano, mugolano e riempiono il proprietario di attenzioni.
«Cyrus vieni qui, Camerupt è curioso di conoscerti. Puoi accarezzarlo, è molto socievole e riscalda meglio di un piumone». Non sono bravo in queste cose, in più ho sentito dire che se uno di quei cosi Terra/Fuoco si arrabbia, erutta e diventa pericolosissimo. Hm, sarebbe un bel modo per evadere dopotutto. Il grosso muso di quel Pokémon si avvicina a me, incuriosito, iniziando ad annusarmi e riempirmi di leccate, tirandomi per i vestiti e poggiando l'enorme zampa sulla mia gamba. Tutto ciò mi fa ribrezzo! Dannatissimo Rosso Malpelo, non vedi che a momenti mi sbrana? Toglimelo di dosso accidenti! Tossisco rumorosamente nella vana speranza di richiamare la sua attenzione, focalizzata adesso sulle figure di Ivan e Gerardo ad una ventina di metri da noi. Il marinaio non sembra sofferente, anzi, suppongo abbia già sostituito Maxie con un nuovo amichetto, a giudicare dal suo tono di confidenza col quale ci dialoga e dal fatto che stia socializzando con il Roserade e il Venusaur dell'altro. Tra i due avviene un rapido, fugace scambio di sguardi, gli occhi del pirata gaudiosi e frizzanti calano repentinamente in un'espressione torva, crucciata, quasi minacciosa all'incrocio con quelli di Maxie velati da una lucida patina di gelosia. Lascio uscire dalla Pokéball Houndoom e, afferrando un lembo della manica dello scienziato, lo strattono con forza a tornare seduto sulla panca, mentre lascio avvicinare il tipo Buio ancora un po' sbigottito nel vedermi. Abbaia, scodinzola e con un balzo mi è addosso a lambirmi il volto con la sua lingua calda e ruvida. Non faceva così da quand'ero un ragazzetto. Maxie pare divertito e affascinato dal tipo Fuoco, proprio come immaginavo, dunque inizia ad accarezzarlo lasciando perdere Ivan che adesso mi fissa in modo intimidatorio. Crede di spaventarmi? Pfff…
«Non pensavo avessi un Houndoom! Complimenti, è un esemplare meraviglioso e sembra volerti molto bene. Potrei conoscere anche gli altri tre Pokémon?» fisso le rimanenti sfere. Ne manca una, quella di Gyarados, ma forse è meglio così, quel bestione è alquanto ingombrante e se si lasciasse andare all'euforia sarebbe un bel guaio. Tutto il furore di curiosità che avevo prima ha lasciato posto ad una stranissima sensazione mista di trepidazione e ansia, non mi sento pronto a rivedere i miei compagni dopo tutto questo tempo. Non voglio lasciarmi andare o farmi immortalare in atteggiamenti affettuosi con esseri animati, non sarebbe da me.
«Allora, Cyrus?» Se questo servirà a distrarre Maxie, ben venga. Ne prendo una a caso e la lancio: vien fuori Weavile, atterra, si volge e mi punta con gli occhietti lucidi. Perché mi guarda così? Non mi sono mai curato di lui, l'ho solo usato per lottare fino all'ultimo sangue, cosa che ha sempre fatto impeccabilmente, eppure adesso muore dalla gioia di vedermi. Si arrampica sul mio corpo e mi cinge il busto con le braccine, affondando il viso nel mio torace. Questa scena mi mette in un incredibile imbarazzo poiché adesso tutti gli sguardi sono puntati su noi due, cerco di ignorarli, fare l'indifferente, strabuzzo le pupille in tutte le direzioni non facendo altro che incontrarne di altre, sospiro, sbatto la palpebra, guardo in basso. Weavile singhiozza di felicità e alza la testolina, schiudendo il musetto in un enigmatico sorrisetto, come per chiedermi se anche io sia contento di rivederlo. Il comandante dei Magma, intenerito dalla scena, allunga una mano verso quell'esserino accoccolato su di me, in procinto di accarezzarlo. Mi aspetto una reazione violenta da parte di Weavile, non si fa toccare da nessuno ed è sempre pronto a sfoderare gli artigli per difesa, eppure, stranamente, non contrattacca alla carezza di Maxie, anzi pare gradirla. Che sia stato rieducato in mia assenza? Che cosa assurda, chi mai si prenderebbe la briga di rieducare quella bestiolina indomabile appartenuta ad uno dei peggiori criminali? Proprio non capisco. Vorrei poter ricambiare le sue moine, ma la mia reputazione di uomo freddo e privo di sentimenti verrebbe meno, e con ciò tutto il mio lavoro durato due anni di prigionia. Mi dispiace, mi dispiace davvero. Il suo giubilo si spegne gradualmente, mi pungola con gli artigli ma non reagisco. Deluso dal mio atteggiamento si lascia prendere in braccio da Maxie, il quale si occupa di regalargli qualche gesto d'affetto. Mi fa malissimo avercelo a pochi centimetri e non potergli dimostrare quanto in realtà mi sia mancato, lui e tutti gli altri, gli unici che mi abbiano seguito davvero fino alla fine. Non so perché lo abbiano fatto, ma se ci penso è qualcosa di sublime. Che sia lo stesso tipo di.. "amore" che intercorre tra due umani? O forse una forma di gratitudine, come quella che devo io a Maxie? È qualcosa d'invisibile, eppure incredibilmente forte, un po' come la forza di un campo elettromagnetico o quella dell'attrazione gravitazionale. Il rapporto che si instaura tra Allenatori e Pokémon, dunque, è circa come quello che c'è tra il nucleo di un atomo e i suoi elettroni? 

Mi perdo in queste fantasticherie chimeriche ma ben presto son costretto a destarmi: al centro del cortile Giovanni e Ghecis, coi rispettivi Nidoking e Hydreigon si sono lanciati in un duello e siamo stati appena sfiorati da delle schegge di un Dragobolide. Mi lego la cintura con le restanti sfere e insieme al rosso arranco in un posto più riparato dal quale seguire la battaglia. Sono dei bambinoni, quei due, a giungere a tanto per una stupida giocata a Poker vinta con l'inganno dal nuovo arrivato e persa con la troppa vanagloria dell'altro. Certo che la sfida si sta facendo interessante, il drago seppur acciaccato dalla potenza di quella mossa riesce ad evitare maestosamente ogni Geloraggio sparato dal nemico, che va a colpire zone di cortile a destra e sinistra, spargendo il panico tra gli altri detenuti. Una lotta alla pari, nessuno prevale sull'altro, terminerà in un prolungato logoramento se nessuno dei due si deciderà a cambiare strategia. Poiché tutti sono concentrati su quello che sta accadendo e posso passare inosservato, raccolgo Weavile e, per la prima volta dopo tanti, tantissimi anni, gli concedo un caloroso abbraccio, o almeno è quello che sto cercando di fare. Non sono più capace neppure di un gesto così naturale. Annuso il suo pulitissimo pelo scuro e una nebulosa di lavanda inonda i miei polmoni; amo questo aroma. Si accomoda supino tra le mie braccia e mi accorgo di un particolare tutt'altro che trascurabile: qualcuno gli ha attaccato al collo un piccolo papillon dello stesso colore della sua pelliccia, nero, che potrebbe sfuggire ad una prima occhiata disattenta. Non è la prima volta che vedo quell'accessorio. Un flusso di reminiscenze galoppa nella mia mente fino a materializzarsi in una sola ed elegante figura umana: Cynthia. Non sono solo. Esisto ancora per qualcuno, lì fuori. Qualcuno di molto importante. Chissà il nonno come sta, se è a conoscenza della sorte del suo adorato nipotino che non vede da un buon lustro di anni, se… se è ancora vivo e ha bisogno di un ausilio. No, non posso starmene qui con le mani in mano ad attendere un'ipotetica esecuzione capitale in balia della vacuità e tra le grinfie di Acromio. Lui, quell'infame, non si è neppure reso conto di aver perso il bisturi. Non è stato per nulla difficile sfilarglielo dalla tasca del camice mentre s'intratteneva in luride effusioni e nasconderlo sotto il materasso. Fin troppo semplice, che l'abbia fatto di proposito e che abbia un piano per incastrarmi? Non riesco a prevederlo, ma so per certo che quella lama mi tornerà utile, prima o poi. Che peccato, le sentinelle sono intervenute per porre fine allo scontro tra i due, li hanno immobilizzati e confiscato loro ogni Pokéball. Mi stavo divertendo. Guardo Maxie, intento a giocare con Houndoom e Camerupt, regalo qualche ultima carezza a Weavile e lo poso delicatamente per terra, è ora di tornare alla realtà di sempre, seppur ancora per poco. Consegnamo indietro i nostri Pokémon, mi duole non esser riuscito a rivedere Crobat e Honchkrow, ma ciò mi sprona ad ingegnarmi con la massima dedizione per escogitare un piano d'evasione infallibile e ben pianificato.


   
 
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