By Xavier
Quanto
ho dormito? Ma soprattutto, dove mi trovo adesso? Non mi sembra la
mia cella, questa. Un freddo secco, metallico oserei dire, mantiene
serrate le mie braccia lungo il busto supino, abbandonato in un
gelido giaciglio privo d'ogni mollezza che possa accogliere il
fardello devastato del mio corpo. Il clima del Tempio di Nevepoli,
ove io mi recai anni addietro per catturare un esemplare di Sneasel
da annettere al mio Team, è nulla messo a confronto con il
gelo che
aleggia in questa stanza. Sento un languore serpeggiare nelle mie
viscere, da quant'è che non mangio? Sto forse per.. morire?
No, non
posso permetterlo, non prima di essere evaso da qui e non dopo tutti
i miei sforzi di ricerca per un universo migliore. Che miserabile
destino sarebbe il mio, se morissi tra queste sudicie quattro mura
per colpa di uno scienziato esecrando e libidinoso? Non mi interessa
vendicarmi per quello che mi ha fatto, per quanto ignobile e
vituperabile possa esser stato, voglio semplicemente riprendermi e
uscire da qui, per adesso.
Provo a rimembrare cosa sia successo
precedentemente, ma gli unici ricordi che affiorano sono i suoi
fendenti sferrati con sadica crudeltà. Perché gli
uomini sono
sadici, perché amano vedere la sofferenza stampata nei volti
dei
loro simili? Cosa li spinge a spargere afflizione e tormento negli
animi? Ma il caso di Acromio è già più
semplice da analizzare:
voleva delle informazioni ed era disposto a tutto pur di ottenerle.
Già, anche io sono disposto a tutto pur di ottenere il mio
mondo, ma
il mio fine è qualcosa di positivo per tutti, non mi sarebbe
importato se la mia scia si fosse tinta di rosso sangue alla buona
riuscita, ne sarebbe valsa la pena. Il fine giustifica i mezzi,
sempre.
Quello scienziato, lui sì che è un criminale. Il
suo
scopo era il suo stesso egoismo, a che gli sarebbe servito conoscere
i segreti della Rossocatena, se non ad una propria sete di
curiosità?
E le altre faccende sul Team Galassia e il Mondo Distorto? Erano
domande che mi son sentito ripetere sin dal primo giorno di
permanenza in questo penitenziario, e non ho mai dato a nessuno la
soddisfazione di alcuna risposta. Il bastardo dunque spera di essere
scarcerato facendo da spia, collaborando con quella cosa che mi fa
inorridire anche solo a chiamarla "giustizia", se questa è
giustizia, allora davvero non c'è speranza per il genere
umano.
Basta rimuginare a vuoto, devo trovare la forza di alzarmi
e prendere in mano la situazione. Apro gli occhi ma i fasci di luce
che filtrano dalle imposte mi saettano dritti nelle pupille, mi
abbagliano e son costretto a richiuderli nuovamente, coprendomeli con
un avambraccio. Bruciano, uno in particolare, quello sfregiatomi da
Acromio, fatica anche solo a muovere la palpebra. Quantomeno non
sanguina più, ma avrebbero anche potuto applicarmi una benda
sterile
per agevolare la guarigione. Un momento.. perché mi hanno
gettato in
questa specie di obitorio? Non avranno pensato che io sia morto? Se
così fosse me ne scapperei anche ora .. per poi stramazzare
al suolo
dalla fame dopo nemmeno due passi.
Ahaha, faccio così pena!
Non
ho scampo, ma ora un'altra preoccupazione mi torna in mente: la faina
aveva detto qualcosa riguardante la mia condanna a morte, che non mi
avrebbero mandato, come mi aspettavo, in una sorta di manicomio di
riabilitazione, ma dritto dritto al patibolo per risparmiare sulle
spese. No! No non può essere, non dopo due dannatissimi anni
che son
qui a fingere pazientemente e reprimere ogni minimo impulso di
volontà. Perché attendere così tanto,
poi? Mi avrebbero potuto far
fuori dopo appena un anno, senza problemi, quella volta che mi
rifiutai di mangiare per ben tre giorni di seguito, non per
autolesionismo o ripicca, semplicemente perché il cibo
faceva
schifo. Non che qui io possa permettermi le deliziose lasagne di
Baccagrana che sapeva preparare Giovia o i Dolci Gateau alla
marmellata di Baccaliegia di Martes, ma in quella settimana gli
"chef" del carcere superarono loro stessi: quel pane era
vecchio di cinque giorni, duro e ammuffito, l'acqua era un evidente
scarico putrido di qualche pietanza lavata alla buona, e la carne era
di così bassa qualità che per trovare qualcosa di
commestibile e
poco poco nutriente dovetti spezzare gli ossi alla ricerca del
midollo.
Fu Maxie a salvarmi, ad accorgersi che non toccavo più
pietanza; ma sì, lui poteva permetterseli, i cibi decenti,
grazie
agli agganci con Giovanni. Divise la sua "abbondante"
porzione con me, finché io non mi fui almeno in parte
ripreso. In
circostanze diverse avrei rifiutato un gesto così
misericordioso e
pateticamente compassionevole, ma in quel caso lasciai da parte il
mio orgoglio e i miei ideali, lo stomaco vuoto prevalse su tutto, ne
andava di mezzo la mia sopravvivenza. Maxie… avrebbe fatto
lo
stesso, se il cibo non fosse stato abbastanza per entrambi? Oppure si
sarebbe comportato da ingordo egocentrico, come son tutte le persone?
Questo è uno dei tanti quesiti che, in casi come questo, mi
ritornano alla mente, pungolando fastidiosamente le parti
più remote
dei miei pensieri.
Non mi sta proprio andando di alzarmi, sarà
ancora l'effetto del Lorazepam, ma credo che per il momento sia
meglio starmene qui, seduto, con la testa poggiata di lato alla
parete destra, quasi il mio collo non riuscisse a reggerne il peso,
gambe penzoloni dal lettino e occhio semi-aperto, in modo che possa
abituarsi alla nuova luminosità. Coi piedi sfioro il
liscissimo
pavimento che, per quanto possa esser freddo, mi trasmette uno strano
senso di tepore lungo le piante, indice evidente di quanto il mio
corpo sia a rischio di ipotermia. Dove avranno messo i miei vestiti?
Non possono buttarmi in questa cella frigorifera con solo un
asciugamano addosso! Ritiro le ginocchia, serrandole al torace, in
modo da poterle abbracciare e disperdere il meno calore possibile con
una posizione ben chiusa. Sono un uomo di Sinnoh, la regione
più
fredda tra tutte, dovrei reggerlo bene, eppure, ironia della sorte,
sono nato e cresciuto ad Arenipoli, un'energica città sul
mare dal
clima piacevolmente temperato che fa eccezione alla regola, dunque mi
sento un po' a disagio conciato così.
Sebbene
quella città non mi vada a genio, visto tutto quel pullulare
di
gente mattina e sera per via del fiorente mercato, odiosa attrazione
che richiamava turisti da ogni parte, in questo istante ne sento una
fastidiosissima mancanza quasi nostalgica. Era da veramente tanto,
tanto tempo che non ci pensavo. Non m'è mai piaciuto
ripensare al
mio passato, alla mia infanzia in particolare, avvolta da un alone di
malinconia e perpetuamente immersa in una nebbia di mestizia
difficile a diradarsi. Non ho quasi mai conosciuto la spensieratezza
e l'allegria tipica dei bambini, subivo sempre e solo le pressioni
dei miei genitori e avevo addosso il terrore di deludere le loro
aspettative, terrore che ben presto si materializzò in
illusione,
odio, apatia.
Nella
maggior parte dei casi, cosa si aspetterebbero due genitori dal
proprio figlio? Che sia educato, rispettoso, si comporti bene e
ottenga buoni voti a scuola per garantirsi un futuro e l'indipendenza
quando essi saranno divenuti vecchi e bisognosi. Non peccavo in una
sola di queste cose, ma per qualche motivo non era mai abbastanza,
non erano mai soddisfatti del loro pargolo. L'impotenza e la
frustrazione che in questo momento attanagliano la mia psiche altro
non fanno che trascinarmi nel baratro orrendo e sconfinato della mia
mente dove risiedono tutte le mie memorie, rimbombano i miei sbagli e
tutto ciò che mi strugge riecheggia, mi sembra di essere un
oggetto
privo di volontà in balia dello spazio siderale,
m'è bastato un
piccolo stimolo e come per inerzia mi trovo costretto a fare
un'anamnesi di tutto ciò che mi ha portato ad essere quello
che
sono.
Il
naufragar non mi è certo dolce in questo mare…
Mio
padre lavorava come impiegato in un ufficio adiacente alla zona
commerciale della città, per circa 8 ore al giorno e, quando
tornava, non voleva sentir ragioni, né da parte mia e
né da parte
di sua moglie. Non gliene facevo una colpa, il suo lavoro era davvero
una sfida alla pazienza, io non avrei retto un giorno alle prese con
tutti quei clienti, uno più imbecille dell'altro. Lei,
piuttosto,
aveva studiato come stilista ma non era mai riuscita a diventare
famosa e rinomata, non per questo si arrese, sebbene fosse suo marito
a portare soldi a casa, lei dal canto suo confezionava vestiti che
disegnava da sé, e alcune volte qualcuno li acquistava
anche, cosa
che le dava enorme gioia. Io ero molto diverso da loro due, non avrei
mai seguito le loro orme e lo esplicitai più volte, sia
quando mio
padre tornò dal lavoro dicendomi che s'era impegnato
tantissimo ad
ottenere, per me una volta divenuto maggiorenne, un posto nella sua
agenzia, sia quando mia madre espresse il suo volere di farmi entrare
nel mondo della moda, come modello precisamente (lo dicevano tutti
che ero un bel bambino e che una volta adulto avrei potuto far
carriera col mio aspetto), e così appena divenuto abbastanza
famoso
avrei potuto sponsorizzare i suoi capi d'abbigliamento e coronare
finalmente il suo sogno mancato di diventare una stilista illustre e
andare a lavorare a Kalos. I due litigavano, litigavano spesso su
questa cosa, per mio padre, convinto maschilista, sarebbe stato
assurdo se il suo unico figlio maschio avesse trovato impiego in un
"settore femminile", come se i mestieri si dividessero tra
quelli per maschi quelli per femmine, assurdi luoghi comuni di questa becera società. Mia madre, tutto al
contrario, avrebbe voluto una figlia femmina che avesse potuto
realizzare ciò che lei non aveva ottenuto, e anche il solo
fatto che
io fossi nato un maschietto rappresentava una profonda delusione per
lei, ma almeno aveva capito che un tipo come me non poteva
assolutamente svolgere un lavoro da scrivania per tutte quelle ore al
giorno. E mentre loro bisticciavano, io avevo già scelto
quello che
avrei fatto: sarei diventato un astronomo, un astrofisico oppure un
astronauta. Mio nonno, l'unica persona che mi trasmetteva affetto e
sicurezza concreti, fu entusiasta della mia scelta, tant'è
vero che
fu proprio lui a trasmettermi la passione per ogni cosa che avesse a
che fare con l'universo. Quando mi lasciavano da lui non facevamo
altro che leggere libri e manuali di ogni tipo, astrologia,
mitologia, storia e leggende, fisica e matematica, e se rimanevo a
dormire da lui, appena calato il crepuscolo, mi portava sul terrazzo
a guardare le costellazioni col suo telescopio, e dopo un certo
orario, inevitabilmente, cadevo addormentato e mi risvegliavo la
mattina dopo nel mio comodo lettino, abbracciato ad una
Poké-Bambola
a forma di Clefairy. Non volevo più tornarmene a casa mia,
mi
piaceva la zona di periferia esente da inquinamento luminoso dove
abitava il nonno.
Decisi
comunque di comprarmi un telescopio tutto per me, al mercato
dell'usato di Arenipoli, un modello poco costoso che potevo
permettermi. La notte stessa, dopo averlo calibrato adeguatamente,
salii in terrazzo e lo puntai verso quella magnifica luna piena,
perfetta, lucente e tersa, ma quando mio padre si destò e mi
colse
in flagrante, non si risparmiò a darmele con la cintura di
cuoio, e
mia madre ad urlarmi contro, perché "quell'aggeggio
è uno spreco di soldi!"
e "i
bambini della tua età dovrebbero dormire a quest'ora!
Altrimenti si
ritrovano con le occhiaie e non sono più carini e graziosi".
Le occhiaie effettivamente già ce le avevo…. A
ben poco servì
quella lezione, le mie idee erano chiare e non le avrei cambiate per
nulla al mondo. Ero già lo scolaretto più bravo
della classe,
soprattutto nelle materie scientifiche, anche grazie al supporto di
mio nonno, un ex matematico; pure per questo motivo molti dei miei
compagni mi detestavano, sfogavano su di me i loro insuccessi
scolastici dovuti alla loro poca voglia di studiare o direttamente
alla loro inettitudine. Brutta cosa l'invidia, non era certo colpa
mia se loro andavano male e preferivano far altro piuttosto che i
compiti. L'odio ben presto divenne reciproco: loro erano contenti,
uscivano da scuola e trovavano i loro genitori ad abbracciarli, a
coccolarli, a premiarli per un buon voto o ad incoraggiarli a far di
meglio ad uno negativo. I miei no, non venivano mai a prendermi,
tornavo da solo, mi avevano regalato una bicicletta proprio per
quello. Arrivavo a casa e provvedevo a prepararmi qualcosa per
pranzo, poiché mia madre era perennemente occupata alla
macchina da
cucire e il pasto caldo al rientro glielo permetteva giusto a mio
padre, che rincasava nervoso e affamato come una belva. Mangiavo in
camera mia, solo, unica compagnia la TV accesa e qualche fumetto. Non
durava neppure tanto quella quiete, presto infranta dalle sue grida:
“Cyrus!
Lava i piatti! Cyrus, pulisci la tua camera! Cyrus metti a posto i
tuoi giocattoli!"
ed eran guai se osavo replicare, quel battipanni era sempre in
agguato. Finite le faccende domestiche, passavo tutto il pomeriggio
sui libri, chiuso nella mia stanzetta. La conoscenza era uno dei
pochi piaceri che davvero apprezzavo, insieme alla cioccolata
calda e alla volta stellata del cielo notturno.
Verso la fine della quinta elementare le maestre ci chiesero di portare in classe i nostri Pokémon per farli conoscere ai compagni. Ma io non avevo ancora un Pokémon, pregai i miei di prendermene uno, ma fu tutto inutile. Non mi arresi, volevo un Pokémon tutto mio e l'avrei ottenuto. Così, dopo il rifiuto, salii in sella e mi diressi verso la spiaggia: reperiti ramoscelli lunghi e resistenti e un semplice spago al quale avevo legato una graffetta deformata a mo' di amo, creai una canna da pesca rudimentale eppure funzionante, con la quale non mi fu difficile pescare il mio primo Pokémon, nientemeno che un… Magikarp. Si fece catturare subito con una semplice Poké Ball e sebbene non fosse il massimo, mi rese soddisfatto, almeno per quella sera. Ritornai a casa e non dissi nulla a nessuno, cenai in fretta e furia e mi barricai in camera, dunque lo lasciai uscire e lo sistemai in un acquario, dandogli anche da mangiare, rimboccai le mie coperte e finalmente mi coricai. La mattina seguente avevo addosso un insolito entusiasmo, che non passò inosservato, anzi. Ero ancora un bambino d'altronde, non sapevo gestire questo mio lato emotivo, purtroppo. Avevo legato la sua Poké Ball alla cintura dei miei pantaloni e, sfrecciando per le vie di Arenipoli, col vento in faccia, mi sentivo come un vero allenatore di Pokémon che parte all'avventura, libero. Un piccolo stupido momento di gloria, come possiamo essere liberi se siamo condannati a morte nell'istante stesso in cui nasciamo? Tutti noi esseri viventi siamo passivamente vincolati come da una piccola clessidra che scandisce il tempo delle nostre vite in fragile equilibrio, e basta un nonnulla in un momento qualsiasi ad arrestare il suo flusso continuo, decretando il nostro decesso. Chissà, chissà se la mia clessidra cesserà di travasare sabbia oggi stesso, in questo frigido obitorio. Giunto in classe mi sistemai al mio banco attendendo pazientemente il mio turno, in ordine di elenco. Tutti quanti avevano Pokémon molto più belli e potenti del mio. Qualcuno si era addirittura procurato uno starter proveniente da regioni esotiche e lontane come Hoenn, alcuni dei loro genitori avevano girato in lungo e in largo tutto il mondo pur di acchiappare un Pokémon che potesse soddisfare le esigenze di un piccolo allenatore alle prime armi, altri li avevano semplicemente aiutati ad acciuffare uno Shinx o uno Starly nell'erba alta, altri ancora avevano regalato ai propri figli un uovo in modo che potessero occuparsene personalmente, e poi c'ero io… Toccava a me, quell'entusiasmo di prima andava via via smorzandosi dopo aver visto le loro esibizioni, ma provai comunque a non demoralizzarmi. Lanciai la sfera, si aprì e Magikarp schizzò via, iniziando a saltare per terra come in preda a convulsioni, forse spaventato da tutti gli altri scolaretti. Lo raccolsi dal pavimento e provai a tenerlo in braccio, ma quello si liberò dalla mia presa e balzò sulla cattedra, riprendendo quello sguazzare spasmodico e poco elegante. Scoppiarono risate generali, insulti, offese e per evitare che la situazione degenerasse lo ritirai immediatamente, tornando a sedere. L'imbarazzo era tantissimo, a momenti mi mettevo a piangere per quella figuraccia, mi sentivo in totale disagio. Dopo di me toccò ad una ragazzina trasferitasi ad Arenipoli per motivi di lavoro legati al mestiere dei suoi genitori, la quale da poche settimane aveva iniziato a frequentare la mia scuola.
Era
già abbastanza alta, vestiva in maniera raffinata e al tempo
stesso
graziosa, aveva capelli biondi e lisci come il manto di un Ninetales,
lunghi ben oltre le spalle e decorati con fermagli o broches
variopinti, sempre profumati di lavanda. Sì, Cynthia,
proprio lei.
Mi chiedevo che cosa potesse mai tirar fuori quella meraviglia, un
Beautifly? Un Espeon? Una Gardevoir? Un Altaria? Niente di tutto
ciò.
Aveva un misero Feebas, persino più brutto del mio Magikarp.
Incredibilmente, però, quel pesciolino d'acqua dolce
conosceva già
mosse come Geloraggio e Dragopulsar, tant'è vero che con una
sfida
riuscì a sconfiggere senza problemi il Grimer di
quell'odioso
bulletto che mi aveva preso di mira. Tanti applausi e onore per lei.
Iniziarono tutti ad andarle dietro. Tutti tranne me, chiaramente; non
che non apprezzassi, semplicemente avevo molti altri interessi e
preoccupazioni in quel periodo. Terminata la lezione sgattaiolai via
di fretta, sperando di non incontrare più nessuno, ma lei
era lì ad
aspettarmi.
«Se
sei qui anche tu per dirmi quanto abbia fatto pietà
Magikarp.. beh,
levati, ho fretta di tornare. Ah, complimenti per il tuo Feebas, se
vuoi sentirti dire questo».
«Non
dire così. L'hai catturato da poco, non è vero?
Ha solo bisogno di
essere allenato. Dovete fare un po' di pratica. Comunque lo trovo
molto carino! E anche tu lo sei».
«E
tu? Perché voi siete così forti invece? Sei anche
te un'allenatrice
alle prime armi. Se proprio ti piace prenditelo, facciamo uno
scambio. Io voglio un Pokémon valente».
Si mise a ridere, come potrei dimenticarlo? Pagherei oro per
risentire ancora la sua soave voce femminile in contrasto con
l'inquietante silenzio di questa stanza che mi opprime, e che viene a
mia volta oppresso da tutte queste reminiscenze.
«Smettila
di dire sciocchezze, Cyrus! I miei genitori mi hanno spinto nel mondo
delle lotte Pokémon già da quando avevo cinque
anni, Feebas fu un
regalo di compleanno, e non lo scambierei per nessun motivo al mondo.
Piuttosto, ho dimenticato le chiavi di casa, mi inviteresti a
pranzo?»
«Allora
un giorno Magikarp diventerà un enorme Gyarados capace di
distruggere interi villaggi, e io a quel punto sarò
diventato un
genio della scienza! Così dimostreremo a tutti di cosa siamo
capaci.
Comunque, per me non ci sono problemi, ma se i miei scoprono che
adesso ho un Pokémon… farai meglio a scappare,
mio padre fa paura
quando si arrabbia».
Altroché. Mio padre era già davanti all'uscio con
la famigerata
cintura e mi stava urlando contro cose a distanza, deglutii, che
figura avrei fatto davanti a quella ragazzina? Mi ero già
preparato
a subire quando, incredibilmente, lei prese le mie difese,
contrastando le parole dell'uomo con un discorso solido e acceso,
sembrava un'avvocatessa in tribunale, e rimaneva tuttavia adorabile e
graziosa. Ammutolì mio padre e lasciò senza fiato
mia madre,
totalmente affascinata da Cynthia che venne riempita di lodi come
"ahh ho sempre desiderato avere una figlia come te!" e
bazzecole simili. Si ottenne che Magikarp potesse restare in camera
mia, nell'acquario, a patto che non si evolvesse. Era già un
passo
avanti. Posso benissimo affermare che da quel giorno io e lei eravamo
diventati amici, era l'unica compagna di banco che sopportavo,
l'unica ragazza che mi comprendeva e mi conosceva fino in fondo,
poiché d'altronde era stata l'unica a conoscere i miei e la
mia
famiglia, l'unica alla quale non mi dispiaceva passare quei banali
esercizi di fisica o chimica che non sempre riusciva a svolgere, e
l'unica verso cui provavo sinceramente qualcosa. La nostra amicizia
proseguì e si intensificò nella stagione estiva,
il più bel
ricordo che mi sia rimasto, un qualcosa di infinitamente dolce e
letale, come l'ambrosia degli dei, deliziosa ma intoccabile dai
miserabili uomini. Le mattine scorrevano quiete e placide, come le
acque del litorale di Arenipoli dalla soffice sabbia chiara e fina,
che tanto odiavo, quando si incollava alla mia pelle bagnata dopo un
tuffo in mare. A lei invece piaceva giocarci e piuttosto odiava
nuotare, per via della fastidiosa salsedine che s'insinuava tra i
suoi morbidi capelli biondi, più dorati della rena riflessa
dal sole
di mezzogiorno. I pomeriggi, allo stesso modo, volavano via in una
squisita routine quotidiana fatta di semplici, piccoli gesti che
rimangono immortalati per sempre monotoni e serafici, come
passeggiate nei boschi, picnic all'aperto ed escursioni. Il momento
più bello rimaneva comunque la notte, che si calava
giù dai meandri
dell'universo, puntuale, spingendo negli abissi marini il breve ma
intenso crepuscolo che tingeva di rosso e arancione l'orizzonte,
l'arenile, le onde e tutto ciò che ci circondava. Il vello
cobalto
dello spazio, maculato da galassie e puntellato da costellazioni, si
slanciava abbracciando tutta la volta celeste, chiudendola in un alto
recinto di stelle che parevano sorriderci e bisbigliare tra loro,
invidiose, ciance e voci su quei due ragazzini distesi in spiaggia,
mano nella mano, intenti a contemplarle e a chiedersi stupidamente se
esse non si sentissero in imbarazzo a venir insistentemente fissate
da quegli occhietti vispi e colmi di curiosità verso quel
mondo
tutto di misteri da scoprire. Fu in una nottata così limpida
e
perfetta che commisi uno degli errori più gravi della mia
gioventù:
mi dichiarai. Non riuscivo più a tenermelo dentro, non era
una di
quelle stupide cotte passeggere tipiche dell'età, sentivo
che era
qualcosa di molto più spinto e concreto, bastava la sua sola
presenza a farmi dimenticare ogni dolore esistente, presente e
passato, a farmi sentire… felice. Tutti i mali che avevo
subito
altro non fecero che rendere incredibilmente più beato e
meraviglioso quel tanto agognato "sì" e il successivo
primo bacio per entrambi. Le sue labbra carnose e delicate
s'incastravano perfettamente tra le mie, sottili e spigolose,
riuscendo ad aprirle in un raro sorriso sincero e spontaneo, che in
nessuna situazione avrei mai sfoggiato. Nessuno venne a sapere del
nostro piccolo segreto, per timore di possibili calunnie e gelosie,
come poteva infatti, la ragazza più carina della classe,
essersi
messa insieme a quello scarto asociale di Cyrus?
La
mia vita era divenuta stupenda, perfetta, da sogno…
destinata a
disciogliersi. L'euforia toccò l'apice quando il nonno mi
regalò un
cucciolo di Houndour, molto più attivo e sveglio di
Magikarp, che
aveva per caso ritrovato nel suo giardino. Cynthia aveva tanto
insistito per mettergli un collare rosa a fiori che detestavo e che
accettai controvoglia, e così lo portavamo legato al
guinzaglio
durante le nostre avventure. Una sera, improvvisamente, mentre ci
trovavamo fuori, scoppiò un violento temporale estivo e
fummo
costretti a rifugiarci al coperto per evitare di far bagnare il
Pokémon di tipo fuoco. Unico rifugio disponibile
un'insenatura
rocciosa in una falesia, abbastanza accogliente per tutti e tre nella
sua ristrettezza. In breve però ci rendemmo conto che non
eravamo un
trio, bensì cinque. Uno Zubat prese a volteggiare sulle
nostre
teste, emanando ultrasuoni che ben presto rimbombarono in tutta la
caverna mandando in confusione Houndour e, ancor più dietro
ben
nascosto da un masso, un rarissimo Spiritomb provava a spaventarci
con Furtivombra. Non eravamo i benvenuti. Ci trovavamo nei guai,
pensai fosse mio dovere proteggere Cynthia, provai a dare ordini a
Houndour ma era troppo confuso per potermi comprendere e agire di
conseguenza. A lei, il mio angelo custode, venne in mente la geniale
idea di spostare il conflitto all'esterno, in modo da poter sfruttare
l'abilità Nuotovelox dei nostri Pokémon d'acqua
per batterli in
velocità sotto la pioggia. Feebas si muoveva in modo
magistrale
sotto quel tempaccio, e sferrò un Idropulsar talmente rapido
da
abbattere Zubat in volo, che venne poi mandato al tappeto da un
Azione del mio Magikarp. Spiritomb, sebbene avesse subito la medesima
mossa in pieno, non dava cenni di cedimento, anzi, era pronto a
contrattaccare con Inseguimento e venne bloccato solo da un repentino
Neropulsar del Pokémon Buio che lo fece tentennare,
permettendo alla
ragazza di lanciare un' Ultraball che lo catturò
all'istante. Io
avevo una Pokéball con me e non esitai ad usarla su Zubat:
adesso
avevamo due nuovi compagni di squadra. A me inizialmente
risultò
difficile prendermi cura di tre Pokémon contemporaneamente,
ma
grazie al suo sostegno e ai suoi consigli degni di una veterana e non
di una semplice ragazzina di 11 anni, ben presto iniziai a
destreggiarmi discretamente bene nelle lotte, sebbene non l'abbia mai
sconfitta. Era troppo forte. Verso la fine di quell'estate, una
mattina, non vedendola scendere in spiaggia al solito orario, nel
solito posto, iniziai a preoccuparmi. Che le fosse successo qualcosa?
Corsi e corsi a perdifiato per raggiungere la sua abitazione il prima
possibile, preceduto dal Pokémon Volante-Veleno che fendeva
l'aria
con le sue alette affilate e sottili. Arrivato lì notai
diversi
camion adibiti a trasloco, nei quali alcuni Machoke addestrati si
stavano curando di stipare i mobili e gli arredamenti di casa.
Cynthia stava dando una mano ai genitori sistemando le proprie cose
in scatoloni di cartone chiusi da del nastro adesivo.
«Cynthia?
Dov'è che ti stai trasferendo? Potevi dirmelo, sarei venuto
ad
aiutarti».
La mia mente ingenua
da undicenne sperava inconsciamente che sarebbe venuta ad abitare in
un posto ancora più vicino a casa mia. Stupido me.
Sobbalzò nel
vedermi col fiatone e con uno sciocco sorriso addosso, restò
in
silenzio per interminabili secondi e finalmente si decise a parlare:
«Mi
dispiace. Non volevo dirtelo per non ferirti. Sapevo fin da subito
che sarei dovuta ben presto ripartire per Memoride, torno da mia
nonna».
Fingevo
di non comprendere, o forse non comprendevo sul serio quello che
voleva dirmi.
«Se
le cose stanno così, fai bene ad andare da tua nonna. Anche
io
dovrei andare a trovare più spesso il mio. Sarò
qui ad aspettarti,
non temere».
«Cyrus
non hai capito. Io me ne vado da qui per sempre. I miei genitori mi
hanno avviato alla carriera di allenatrice Pokémon,
dovrò
viaggiare, sconfiggere Allenatori, Palestre, vincere Medaglie, e
anche studiare tanto, tantissimo. Non volevo che tu…»
Io.
Sì proprio io. Sarei rimasto nuovamente solo e isolato,
abbandonato
in quel modo dalla persona che amavo di più. Ma quella era
la sua
strada, il suo sogno, sarei stato uno schifoso egoista ad
impedirglielo solo per averla al mio fianco. Non ero e non sono un
tipo possessivo, tanto meno geloso. Non ne avevo motivo con Cynthia,
non mi avrebbe mai tradito con un altro ragazzo. E qualora l'avesse
fatto, avrebbe avuto tutte le ragioni di questo mondo. Avevamo
trascorso un piacevolissimo tratto di strada insieme, era giunto il
momento di dividerci. Aveva preferito non dirmi nulla per farmi
sentire felice e spensierato fino all'ultimo giorno, e poi sparire.
Dopo la sua partenza troncai ogni contatto umano e iniziai a
trascurare i miei Pokémon. Che senso aveva provare emozioni
e
sentimenti verso gli esseri animati, riporre in loro speranze e
aspettative? Prima o poi se ne sarebbero andati tutti, lasciando
dentro di me un vuoto incolmabile. Provare emozioni equivaleva a
soffrire, provare sentimenti ad esser debole. Parlavo sempre meno e
le mie giornate alternavano le ore di scuola alle ore di studio
chiuso in camera mia, ormai divenuta un piccolo e attrezzato
laboratorio, a smontare e costruire piccoli congegni elettronici. Le
macchine, loro sì che erano gratificanti. Non mi sentivo mai
solo in
loro compagnia, sono così perfette da sole, basta un piccolo
input,
un generatore e un circuito ben piantato per farle partire e
funzionare all'infinito. Può una persona lavorare
così
ininterrottamente senza lamentarsi e perdere la voglia? No,
certamente. E questo perché? Ovviamente perché
prova emozioni ed è
debole. Se dicessi che ero felice, sarebbe un paradosso, non lo ero e
non lo sono affatto. Ma non ero neppure triste o depresso, cosa che
probabilmente sto diventando, lontano da ciò che mi faceva
stare
semplicemente bene, a mio agio. Ero in equilibrio con me stesso in
quell'angolo di paradiso tecnologico, non avevo bisogno di nessuno,
se sentivo freddo mi bastava avvicinarmi ad un motore in
surriscaldamento per riscaldarmi e sentirmi protetto, più di
un
banale abbraccio tra persone. Scendevo da lì solo per
mangiare e
andare in bagno, e quelle rare volte che veniva a trovarmi il nonno.
A lui non andava per niente bene il mio nuovo comportamento, non
conosceva la storia finita male con Cynthia, ma aveva intuito che mi
era successo qualcosa di grave che i miei genitori ignoravano e coi
quali lo sentivo spesso litigare per ottenere la mia adozione. Loro
si rifiutavano, sempre, dicendo che erano troppo attaccati a me per
potermi cedere in quel modo. La verità era che faceva comodo
avere
un piccolo elettricista aggiusta-tutto in casa, quando si guastava un
elettrodomestico. Adesso mi vien spontaneo chiedermi che fine abbia
fatto lei, spero si sia sistemata, abbia trovato un compagno o una
compagna degni di lei con cui condividere la sua vita e, soprattutto,
si sia dimenticata di me.
Ma cosa vado a
pensare… questa
prigionia mi sta denaturando.
A me non deve importare nulla di
nessuno, che non sia me stesso. Sento un rumore, uno strano cigolio,
ombre, figure umane mi si stanno avvicinando. No, non può
essere,
non quell'infame di Acromio!
«C-Cyrus?
Cyrus sei sveglio?».
Questa è la voce di Maxie, credo sia la sua, è
orribilmente
distorta e spezzata da singhiozzi. Schiudo una palpebra e metto a
fuoco con estrema difficoltà: sì, è
proprio lui, accompagnato da
due altri detenuti a lui fedeli, forse ex membri del Team Magma.
«Cyrus
sei ancora vivo! Cosa ti hanno fatto? Chi è stato? Mi sono
spaventato tantissimo quando ho visto che ti portavano qui!».
Si siede accanto a me e mi stringe forte, a momenti gli cado addosso,
ma almeno è così.. caldo.
«C-Cyrus,
stai piangendo?».
Sussurra lieve, dietro quegli occhiali appannati e pieni di impronte.
Cosa? Cosa diamine ha detto? Impossibile, io non.. mi strofino gli
occhi con l'avambraccio e trasalisco nel notare gocce porpora sulla
mia pelle. Non capisco cosa mi stia succedendo, mi sento
improvvisamente accaldato, mi manca il respiro, voglio prendere a
calci qualcosa..
«Ehi
stai fermo, così si riapre la ferita. Lascia fare a me».
Lascio fare a lui, sa essere premuroso e accurato quando si tratta di
queste minuzie. Intanto gli altri due mi porgono i miei vecchi
indumenti, aiutandomi a vestirmi. Troppa, troppa gentilezza Maxie,
perché? So benissimo che in questo stato faccio pena, ma
sfidare ed
eludere la sicurezza solo per venire a darmi una mano mi pare
esagerato, senza un tornaconto personale. O, più
probabilmente, si
tratta di una carenza d'affetto dal momento che, se non erro,
ultimamente la sua situazione sentimentale con Ivan si sta
sgretolando. Che ci stia provando con me? No! Maxie non puoi farmi
questo! Rimarresti tremendamente deluso, non sono più capace
di
amare, è una cosa che mi fa ribrezzo. Termina di medicarmi
il taglio
e mi applica una benda bianca, la smette di singhiozzare e fruga tra
le sue tasche, tirando fuori due stecche di cioccolato fondente
purissimo. Mi lecco le labbra.
«Sarai
affamatissimo, tieni, le ho prese per te corrompendo le guardie con
una misera vincita a poker, puoi mangiarle tut…»
che importa come le ha ottenute, sto morendo di fame e mi fiondo sul
palmo della sua mano contenente tre quadrati, a pochi centimetri
dalla mia bocca, faccio attenzione a non morderlo e li mando
giù in
un solo boccone. Deliziosi. Tutti e tre iniziano a ridere per il mio
impulso di cafonaggine repressa; Maxie che almeno ha finito di
piangere ordina ai due di controllare che non vi siano altri nei
paraggi e poi ricomincia ad imboccarmi un pezzo per volta. Ci ha
preso gusto, ma se non si velocizza gli stacco le falangi a morsi.
«Cyrus,
mi ricordi tantissimo il mio Ivan, a volte ci divertivamo
così
quando avevamo l'occasione di permetterci dei dolci. Adesso ci siamo
divisi, non ho più nessuno con cui stare, mi rimani solo tu».
Santa pazienza, non paragonarmi a quello scaricatore di porto. Non
gli somiglio neppure un poco e non sono il tuo confidente o l'agenzia
dei divorzi! Maxie dovrebbe smetterla di stargli appresso, si sta
solo rovinando e soffre inutilmente. Uno scienziato così
bravo che
si mette a piangere per un marinaio di sobborgo che non ha neppure un
quarto della sua intelligenza? Che cosa assurda è mai
questa, se non
quell'obbrobrio che chiamano "amore"? Se Maxie fosse stato
come me, freddo e calcolatore, e avesse evitato quel rapporto con
Ivan, molto probabilmente adesso avremmo già trovato un
piano per
evadere via, solo noi due. Per farlo tacere gli mordo una mano,
guardandolo in modo serio e minaccioso e lui a sua volta deglutisce e
mi guarda alquanto spaventato, ritraendo l'arto. Gli ho fatto male,
non volevo arrivare a tanto. Mi sento un balordo adesso,
sarà la
seconda se non la terza volta che Maxie mi salva la vita e io non gli
ho mai dimostrato un briciolo di gratitudine, eppure lui continua a
starmi accanto. La sua è un'alleanza preziosissima per me,
non posso
permettermi di perderla. Prima che possa sgridarmi abbasso umilmente
la testa con fare dispiaciuto, non so più chiedere "scusa".
Per fortuna i gesti sono più chiari delle parole e Maxie
coglie al
volo il messaggio, abbracciandomi e accarezzandomi la schiena.
Brividi.
«Non
fa niente, non l'hai fatto di proposito. Dovrei dimenticare Ivan,
dici? Forse hai ragione, ma lui è l'unica persona che amo
sul serio,
è parte integrante della mia vita, abbiamo condiviso gioie e
dolori
e separarci in una situazione come questa è terribile. Non
voglio
rimanere da solo».
Povero ingenuo
Maxie, siamo tutti da soli, e detto così mi sembra che il
loro sia
una sorta di patto di convivenza e protezione, piuttosto che un
rapporto amoroso vero e proprio. «Adesso
non voglio pensarci, finisci la tua cioccolata così poi
usciamo da
questa gelida sala e andiamo in cortile. C'è una sorpresa
per te.
Qualcuno, in anonimo, è venuto a portarti i tuoi
Pokémon e ci sono
anche i miei. Voglio farti conoscere Camerupt».
A momenti mi va di traverso il bolo a sentirlo. L'anno scorso non era
venuto nessuno, perché quest'anno sì? Lascio da
parte ogni briciola
di galanteria e inizio a masticare voracemente a bocca aperta tutto
il restante dolce, entratomi a forza nella cavità orale.
«Calma
calma, non vorrai strozzarti? Aggrappati e tirati su!».
Provo a fare tutto da me, ma la testa mi gira e sono costretto ad
usare Maxie come appoggio, almeno per salire le scale. Gli altri due
seguaci ci fanno segno che la via è libera e rapidamente
sgattaioliamo via, ritrovandoci in breve nel cortile all'aperto.
Aria, aria pulita! Ci accomodiamo sulle panchine in legno all'ombra
di una robusta quercia e attendiamo il nostro turno. Prima a lui, poi
a me, vengono consegnate tutte le Pokéball in una cintura
nera in
cuoio che si può anche legare al busto. Maxie è
impaziente e
trepida, non ci mette molto a lanciare in aria le sfere facendo
uscire rispettivamente Camerupt, Crobat e Mightyena, tutti quanti
euforici e allegri. Uggiolano, mugolano e riempiono il proprietario
di attenzioni.
«Cyrus
vieni
qui, Camerupt è curioso di conoscerti. Puoi accarezzarlo,
è molto
socievole e riscalda meglio di un piumone».
Non sono bravo in queste cose, in più ho sentito dire che se
uno di
quei cosi Terra/Fuoco si arrabbia, erutta e diventa pericolosissimo.
Hm, sarebbe un bel modo per evadere dopotutto. Il grosso muso di quel
Pokémon si avvicina a me, incuriosito, iniziando ad
annusarmi e
riempirmi di leccate, tirandomi per i vestiti e poggiando l'enorme
zampa sulla mia gamba. Tutto ciò mi fa ribrezzo!
Dannatissimo Rosso
Malpelo, non vedi che a momenti mi sbrana? Toglimelo di dosso
accidenti! Tossisco rumorosamente nella vana speranza di richiamare
la sua attenzione, focalizzata adesso sulle figure di Ivan e Gerardo
ad una ventina di metri da noi. Il marinaio non sembra sofferente,
anzi, suppongo abbia già sostituito Maxie con un nuovo
amichetto, a
giudicare dal suo tono di confidenza col quale ci dialoga e dal fatto
che stia socializzando con il Roserade e il Venusaur dell'altro. Tra i
due avviene un rapido, fugace scambio di sguardi, gli occhi del
pirata gaudiosi e frizzanti calano repentinamente in un'espressione
torva, crucciata, quasi minacciosa all'incrocio con quelli di Maxie
velati da una lucida patina di gelosia. Lascio uscire dalla
Pokéball
Houndoom e, afferrando un lembo della manica dello scienziato, lo
strattono con forza a tornare seduto sulla panca, mentre lascio
avvicinare il tipo Buio ancora un po' sbigottito nel vedermi. Abbaia,
scodinzola e con un balzo mi è addosso a lambirmi il volto
con la
sua lingua calda e ruvida. Non faceva così da quand'ero un
ragazzetto. Maxie pare divertito e affascinato dal tipo Fuoco,
proprio come immaginavo, dunque inizia ad accarezzarlo lasciando
perdere Ivan che adesso mi fissa in modo intimidatorio. Crede di
spaventarmi? Pfff…
«Non
pensavo avessi un Houndoom! Complimenti, è un esemplare
meraviglioso
e sembra volerti molto bene. Potrei conoscere anche gli altri tre
Pokémon?»
fisso le rimanenti
sfere. Ne manca una, quella di Gyarados, ma forse è meglio
così,
quel bestione è alquanto ingombrante e se si lasciasse
andare
all'euforia sarebbe un bel guaio. Tutto il furore di
curiosità che
avevo prima ha lasciato posto ad una stranissima sensazione mista di
trepidazione e ansia, non mi sento pronto a rivedere i miei compagni
dopo tutto questo tempo. Non voglio lasciarmi andare o farmi
immortalare in atteggiamenti affettuosi con esseri animati, non
sarebbe da me.
«Allora,
Cyrus?»
Se questo servirà a
distrarre Maxie, ben venga. Ne prendo una a caso e la lancio: vien
fuori Weavile, atterra, si volge e mi punta con gli occhietti lucidi.
Perché mi guarda così? Non mi sono mai curato di
lui, l'ho solo
usato per lottare fino all'ultimo sangue, cosa che ha sempre fatto
impeccabilmente, eppure adesso muore dalla gioia di vedermi. Si
arrampica sul mio corpo e mi cinge il busto con le braccine,
affondando il viso nel mio torace. Questa scena mi mette in un
incredibile imbarazzo poiché adesso tutti gli sguardi sono
puntati
su noi due, cerco di ignorarli, fare l'indifferente, strabuzzo le
pupille in tutte le direzioni non facendo altro che incontrarne di
altre, sospiro, sbatto la palpebra, guardo in basso. Weavile
singhiozza di felicità e alza la testolina, schiudendo il
musetto in
un enigmatico sorrisetto, come per chiedermi se anche io sia contento
di rivederlo. Il comandante dei Magma, intenerito dalla scena,
allunga una mano verso quell'esserino accoccolato su di me, in
procinto di accarezzarlo. Mi aspetto una reazione violenta da parte
di Weavile, non si fa toccare da nessuno ed è sempre pronto
a
sfoderare gli artigli per difesa, eppure, stranamente, non
contrattacca alla carezza di Maxie, anzi pare gradirla. Che sia stato
rieducato in mia assenza? Che cosa assurda, chi mai si prenderebbe la
briga di rieducare quella bestiolina indomabile appartenuta ad uno
dei peggiori criminali? Proprio non capisco. Vorrei poter ricambiare
le sue moine, ma la mia reputazione di uomo freddo e privo di
sentimenti verrebbe meno, e con ciò tutto il mio lavoro
durato due
anni di prigionia. Mi dispiace, mi dispiace davvero. Il suo giubilo
si spegne gradualmente, mi pungola con gli artigli ma non reagisco.
Deluso dal mio atteggiamento si lascia prendere in braccio da Maxie,
il quale si occupa di regalargli qualche gesto d'affetto. Mi fa
malissimo avercelo a pochi centimetri e non potergli dimostrare
quanto in realtà mi sia mancato, lui e tutti gli altri, gli
unici
che mi abbiano seguito davvero fino alla fine. Non so perché
lo
abbiano fatto, ma se ci penso è qualcosa di sublime. Che sia
lo
stesso tipo di.. "amore" che intercorre tra due umani? O
forse una forma di gratitudine, come quella che devo io a Maxie?
È
qualcosa d'invisibile, eppure incredibilmente forte, un po' come la
forza di un campo elettromagnetico o quella dell'attrazione
gravitazionale. Il rapporto che si instaura tra Allenatori e
Pokémon,
dunque, è circa come quello che c'è tra il nucleo
di un atomo e i
suoi elettroni?
Mi perdo in queste fantasticherie chimeriche ma ben presto son costretto a destarmi: al centro del cortile Giovanni e Ghecis, coi rispettivi Nidoking e Hydreigon si sono lanciati in un duello e siamo stati appena sfiorati da delle schegge di un Dragobolide. Mi lego la cintura con le restanti sfere e insieme al rosso arranco in un posto più riparato dal quale seguire la battaglia. Sono dei bambinoni, quei due, a giungere a tanto per una stupida giocata a Poker vinta con l'inganno dal nuovo arrivato e persa con la troppa vanagloria dell'altro. Certo che la sfida si sta facendo interessante, il drago seppur acciaccato dalla potenza di quella mossa riesce ad evitare maestosamente ogni Geloraggio sparato dal nemico, che va a colpire zone di cortile a destra e sinistra, spargendo il panico tra gli altri detenuti. Una lotta alla pari, nessuno prevale sull'altro, terminerà in un prolungato logoramento se nessuno dei due si deciderà a cambiare strategia. Poiché tutti sono concentrati su quello che sta accadendo e posso passare inosservato, raccolgo Weavile e, per la prima volta dopo tanti, tantissimi anni, gli concedo un caloroso abbraccio, o almeno è quello che sto cercando di fare. Non sono più capace neppure di un gesto così naturale. Annuso il suo pulitissimo pelo scuro e una nebulosa di lavanda inonda i miei polmoni; amo questo aroma. Si accomoda supino tra le mie braccia e mi accorgo di un particolare tutt'altro che trascurabile: qualcuno gli ha attaccato al collo un piccolo papillon dello stesso colore della sua pelliccia, nero, che potrebbe sfuggire ad una prima occhiata disattenta. Non è la prima volta che vedo quell'accessorio. Un flusso di reminiscenze galoppa nella mia mente fino a materializzarsi in una sola ed elegante figura umana: Cynthia. Non sono solo. Esisto ancora per qualcuno, lì fuori. Qualcuno di molto importante. Chissà il nonno come sta, se è a conoscenza della sorte del suo adorato nipotino che non vede da un buon lustro di anni, se… se è ancora vivo e ha bisogno di un ausilio. No, non posso starmene qui con le mani in mano ad attendere un'ipotetica esecuzione capitale in balia della vacuità e tra le grinfie di Acromio. Lui, quell'infame, non si è neppure reso conto di aver perso il bisturi. Non è stato per nulla difficile sfilarglielo dalla tasca del camice mentre s'intratteneva in luride effusioni e nasconderlo sotto il materasso. Fin troppo semplice, che l'abbia fatto di proposito e che abbia un piano per incastrarmi? Non riesco a prevederlo, ma so per certo che quella lama mi tornerà utile, prima o poi. Che peccato, le sentinelle sono intervenute per porre fine allo scontro tra i due, li hanno immobilizzati e confiscato loro ogni Pokéball. Mi stavo divertendo. Guardo Maxie, intento a giocare con Houndoom e Camerupt, regalo qualche ultima carezza a Weavile e lo poso delicatamente per terra, è ora di tornare alla realtà di sempre, seppur ancora per poco. Consegnamo indietro i nostri Pokémon, mi duole non esser riuscito a rivedere Crobat e Honchkrow, ma ciò mi sprona ad ingegnarmi con la massima dedizione per escogitare un piano d'evasione infallibile e ben pianificato.