Film > The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: Ella Rogers    24/04/2015    8 recensioni
La giovane si sporse sul corpo del biondo, in modo da proteggere il suo bel viso dalla debole pioggia incessante.
"Steve, non farmi questo, ti prego."
Gli carezzò la fronte. La pelle del ragazzo era fredda, gelida.
"Apri gli occhi, Steve, avanti" pregò con voce tremante, sotto lo sguardo indecifrabile di Stark.
Cercò di trasferire la propria forza vitale in lui, ma ormai era tardi.
"È colpa mia. È soltanto colpa mia. Se solo fossi stata più forte, invece di crollare in quel modo. Ti ho lasciato da solo, non ti ho protetto e adesso … adesso …"
Prese a scuoterlo per le spalle, disperata.
"Steve, svegliati, ti scongiuro."
Lo baciò e le labbra erano fredde, non più calde e morbide.
Posò la fronte sul suo torace e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
"Mi assicurerò che continui a battere, te lo prometto, a qualsiasi costo."
Era stata la muta promessa fatta a lui e a sé stessa, dopo averlo amato, dopo aver sperimentato con lui cosa significasse essere una cosa sola sia nell'anima sia nella carne.
E lei lo aveva tradito. Perché quel cuore aveva smesso di battere.
Lo aveva ucciso.
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'The Road of the Hero'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
L’inizio della fine

Il suono della pioggia battente le riempiva le orecchie. Tante piccole gocce si schiantavano sui vetri della finestra della camera da letto, percorrendo la superficie vitrea come tristi lacrime.
Era quasi giunta la sera, ormai.
Il Sole era nascosto dietro una cortina di nubi grigie ed il cielo plumbeo discorreva sopra la città di Manhattan, abbracciata da una chiara penombra e carezzata dal costante soffiare del vento.
Per la prima volta nella sua vita, il temporale che osservava scatenarsi fuori dalla finestra non rispecchiava lo stato della sua anima, la quale si stava crogiolando in un calore e in una calma a lei estranee.
Posò lo sguardo sul corpo disteso al suo fianco, percependo un piacevole vuoto alla stomaco, un vuoto pieno però.
Sorrise per quell’assurdo pensiero, ma in fondo le piaceva.
Un vuoto pieno.
Aveva passato diciassette anni rinchiusa in una teca di vetro, completamente isolata dal mondo esterno. Poi Steve, con decisa gentilezza, aveva rimosso quella barriera, smontandola pezzo per pezzo, raggiungendola e facendole capire che non era più sola, ormai.
Il gelo della solitudine aveva finalmente lasciato posto al calore dell’amicizia e dell’amore. L’inverno era terminato e già cominciavano a spuntare i primi germogli primaverili, rappresentanti l’inizio di una nuova vita, lontana dal dolore e dalla sofferenza.
Forse stava sognando. E se fosse stato così, avrebbe fatto di tutto per non svegliarsi.

Steve dormiva placidamente, supino, con un braccio poggiato sul ventre e l’altro disteso lungo il corpo. Il torace si alzava ed abbassava lentamente e ritmicamente. Le lunghe ciglia bionde vibravano leggermente ad ogni respiro e i lineamenti rilassati del volto lo facevano apparire ancor più giovane di quel che era - il ragazzo aveva pur sempre ventisette anni.

Anthea era completamente ammaliata da lui. Puntellò il gomito destro sul materasso ed appoggiò la guancia sul palmo aperto della mano, così da poter osservare meglio il suo … amante?
Con la mano libera prese a carezzargli il volto, poi le dita scesero verso il collo ed infine si fermarono sul petto, nel punto in cui era possibile percepire il battito vivo di un cuore temprato.
Si mosse in silenzio, portando l’orecchio destro a contatto con la pelle calda del Capitano, ascoltando le rassicuranti contrazioni degli atri e dei ventricoli più forti di quelli di un normale umano, ma pur sempre dannatamente vulnerabili.

“Mi assicurerò che continui a battere, te lo prometto, a qualsiasi costo.”
Chiuse gli occhi, cullata da quel dolce tamburellare.
“Forse, se voglio che resti vivo, è anche per egoismo. Perché non potrei vivere senza di te. Sono una vigliacca, ti parlo quando non puoi sentirmi.”

Era stata una mattinata davvero lunga, estenuante ed assurda, ma la conclusione le sarebbe rimasta impressa per sempre nel cuore e nella mente.
Le ore precedenti erano state le più belle della sua intera ed infame vita, vita che sarebbe stata stravolta ancora una volta, troppo presto.

Il tempo concesso dal Padrone stava per scadere.

Un flebile mugolio abbandonò le labbra di Steve. Il giovane si stiracchiò ed aprì gli occhi lentamente.
“Ehi” lo salutò la ragazza, scostandosi dal suo petto per permettergli di mettersi seduto.
“Ehi” biascicò Rogers, ancora parecchio assonnato.

Per il giovane Capitano svegliarsi con qualcuno al proprio fianco era un’esperienza totalmente nuova.
Era bello sollevare le palpebre e scoprire di non essere più solo.
Era bello trovare ad attenderlo quegli occhi così luminosamente bui, intrisi di desiderio, aspettativa e dolcezza.
Adesso che aveva lei, era certo che gli era sempre mancato qualcosa prima di incontrarla.
Rischiava, però, di perderla prima ancora di essersi abituato all’idea di averla. Il Padrone avrebbe distrutto quel piccolo idillio appena conquistato ed atteso da tempo. La notte trascorsa aveva risvegliato in lui una parte rimasta assopita per lunghi anni. La sua virilità era affiorata in superficie, rendendolo un uomo.
Non un ragazzino rachitico, non un soldato, non un Capitano, ma semplicemente un uomo forte dei suoi istinti.
Per la prima volta, aveva lasciato che forze umanamente irrazionali dominassero il suo corpo e abbagliassero la sua mente, dimenticandosi del resto.

Ma, sfortunatamente, quel resto pretendeva già un’attenzione che non poteva essergli negata.

“Dovremmo muoverci.”
Anthea rise leggermente e si accoccolò meglio sul petto del ragazzo.
“Come vuoi.”
Anche Steve sbuffò una risata, mentre la mano destra era impegnata a saggiare la morbida consistenza dei lunghissimi capelli della giovane. Erano davvero meravigliosi, il colore del miele e del caramello si mescolavano tra loro, dando vita a luminosi riflessi che seguivano l’ondeggiare delle ciocche, che arrivavano a sfiorarle il fondoschiena.

“Sei bellissima.”
Scontato, quasi stupido forse, ma il modo in cui Anthea lo stava guardando mandò per un attimo in tilt i suoi neuroni.
“Grazie.”
La ragazza lo strinse forte, probabilmente troppo, dato che Rogers emise un flebile gemito di dolore, misto a sorpresa.
“Scusa.”
Il giovane Capitano avrebbe fatto fatica ad abituarsi alla forza sovraumana della sua compagna. Le baciò il capo, sorridendole dolcemente.
“Non è niente. Forza, muoviamoci ora.”

Lo squillo audace e fastidioso di un cellulare fece sobbalzare entrambi, rompendo definitivamente l’ampolla d’intimità in cui si erano rifugiati.
Steve allungò un braccio oltre il bordo del letto, afferrò la giacca malamente abbandonata sul pavimento e tirò fuori l’aggeggio infernale da una delle tasche dell’indumento.
Sullo schermo illuminato si stagliavano a caratteri cubitali due parole gonfie di egocentrismo: Tony Stark.
Steve, nell’accettare la chiamata, roteò gli occhi, preparandosi al sarcasmo che il miliardario gli avrebbe lanciato contro, gratuitamente e senza alcuna pietà.

“Stark?”
“Rogers, allora sei vivo!”

Il Capitano ignorò la frase ad effetto, limitandosi ad uno sbuffo spazientito.
Era la routine, dopotutto.
Tony Stark e Steve Rogers non avrebbero potuto rapportarsi diversamente, poiché ad entrambi stava bene così. Era un modo particolare di comunicare, un codice incomprensibile per gli estranei.
Ad occhi esterni potevano apparire come due ragazzini troppo cresciuti che si punzecchiavano in continuazione, cercando di prevaricare l’uno sull’altro.
Ma questa era solo un’ingannevole apparenza.
Pur possedendo personalità agli antipodi, l’una non tentava di annullare l’altra. C’era un profondo rispetto tra di loro, un rispetto che aveva preso la forma di un’amicizia inimitabile e indistruttibile, la quale superava ogni divergenza di pensiero ed azione.
Tutto era partito da Capitan America e Iron Man e dal loro naturale collaborale durante la battaglia, fino ad arrivare a Steve Rogers e Tony Stark e al loro naturale sostenersi nella vita di tutti i giorni.
A loro bastavano semplici sguardi per intendersi, poche parole e tanti fatti.
Era anche vero che i loro ideali correvano su due binari distinti e forse, un giorno, questa divergenza li avrebbe portati a scontrarsi l’uno contro l’altro - come già era accaduto -, ma alla fine si sarebbero chiariti, come ogni volta, dopotutto.

Non avrebbero dato vita ad un guerra, no?

“Cosa c’è, Cap? Ho scelto un momento poco opportuno per chiamarti?”
Steve ebbe la certezza che Tony stesse ghignando in quel momento.
“Tu sei sempre poco opportuno, Stark. Cosa vuoi?”
“Frigido” masticò tra i denti il miliardario.
“Ti ho sentito.”
“Petulante.”
“Stark!”
“E va bene, la smetto! Non ti alterare, Rogie, o la pressione ti arriva alle stelle. Sai, superata una certa età è pericoloso …”

Steve riuscì perfettamente a sentire in sottofondo l’ammonimento scurrile gridato dalla Romanoff e si lasciò sfuggire una fievole risata nell’immaginare la scena.

“Non c’è nulla per cui ridere, Rogers. Qui rischio la vita.”
“Non ho dubbi al riguardo. Non contare sul mio aiuto.”
“Vecchietto cattivo! Comunque, come sta lei?”
Steve si voltò a guardare Anthea per un attimo, sorridendo.
“Bene. Stavamo giusto tornado alla Tower.”
Sentì Tony sospirare. Un lungo, lunghissimo sospiro.
“Bene, perché ho appena indetto l’ennesima riunione super segretissima. Sai, Thor è appena tornato e se te lo stai chiedendo, no, il temporale non è opera sua.”
“Non me lo chiedevo, comunque grazie per l’informazione. Arriviamo.”
“Okay, Cap. Guida con prudenza.”
Steve sbuffò, divertito.
“Lo farò.”

“Avete finito di amoreggiare al telefono?”
La voce di Barton risuonò fin troppo chiara e la chiamata si chiuse dopo alcune imprecazioni da parte di Stark.

Steve scosse il capo, riponendo il cellulare nella giacca. Non riusciva ad evitare di sorridere. I suoi compagni non avrebbero mai smesso di stupirlo.
Una risata cristallina spezzò il filo dei pensieri del Capitano, il quale rimase imbambolato ad osservare Anthea contorcersi dalle risate tra le lenzuola sfatte.
Era la prima volta che la vedeva sciogliersi e lasciarsi andare in quel modo. Sentì il cuore contorcersi e sprizzare gioia davanti quella visione tanto rara.

Quando la giovane riuscì a riacciuffare un po’ di contegno, le parole fluirono dolci dalla sua bocca.
“Scusa, ma con il mio udito ho sentito tutto. Penso che siate la squadra più strana del mondo. Siete unici. Vi stimo troppo, davvero.”
Rogers ridacchiò.
“Non riferirò a nessuno quello che hai appena detto, o si monteranno la testa, soprattutto Stark e Barton. Anche Thor, a dirla tutta. Ma grazie per le tue parole.”
La ragazza annuì lievemente. Poi, con uno slancio veloce, lasciò un tenero bacio a stampo sulle labbra di Steve.

“Forza soldato, in piedi.”



                                                      ***



Stark Tower.

“Diamo ufficialmente il via alla riunione super segretissima numero … a che numero siamo JARVIS?”
La voce atona dell’ A.I. risuonò metallica nella stanza.
“Alla numero tre, signore.”

I Vendicatori si trovavano ancora una volta riuniti attorno al tavolo nell’angolo della cucina, nella Sala Comune.


Quando Steve e Anthea erano tornati alla Torre, c’era stato uno scoppio puerile di soffocante invadenza, soprattutto da parte di un certo miliardario e di un certo arciere, i quali avevano svolto il ruolo di cinquanta suocere petulanti messe assieme.
Un vero incubo!
A soccorrere Anthea ci aveva pensato Natasha, fortunatamente. Le due donne si erano ritirate nell’appartamento della rossa, la quale si era offerta di prestare dei vestiti puliti ed adeguati alla giovane paranormale, soprattutto dopo averla vista con indosso la larga felpa del Capitano.
Rogers, invece, non era riuscito ad inventare una scusa plausibile - doveva imparare a dire qualche innocua bugia, accidenti - per sfuggire alle grinfie dei suoi compagni affamati di pettegolezzo.
“Miei amici, non è buona cosa intromettersi negli affari intimi di un compagno” aveva tuonato Thor, placando Tony e Clint per … due secondi e mezzo.
Rogers avrebbe preferito mille volte di più riaffrontare nuovamente i Chitauri, invece di sorbirsi l’interrogatorio-dai ammetti di averci dato dentro-non puoi tenere all’oscuro i tuoi amici-formato Stark-Barton.
Era davvero troppo per lui, soprattutto per il fatto che non era riuscito a tornare di un colore normale - i pomodori sarebbero stati invidiosi di lui - fino al ritorno della Vedova Nera, che aveva sedato gli animi turbolenti con pochi e decisi sguardi assassini.
Anthea, al seguito della rossa, aveva finalmente indosso abiti della sua taglia - un paio di pantaloni di tuta blu attillati e lunghi fin sotto il ginocchio, una maglia a maniche lunghe bianca, la quale metteva in risalto i fianchi, e per finire un paio di scarpe da ginnastica del medesimo colore dei pantaloni. Aveva raccolto i lunghissimi capelli in una coda alta, scoprendo completamente il bel viso candido.
Steve aveva fatto uno sforzo enorme per non fissarla come un ebete e ci era riuscito abbastanza bene, dato che nessuno - Tony e Clint - aveva spiccicato parola, fortunatamente.


Il tempo di scherzare era ufficialmente terminato.
L’atmosfera cominciò a divenire tesa, mentre un’ombra oscurava gli sguardi dei presenti e il peso del fardello che ognuno di essi portava sulle spalle era in quel momento tangibile e quasi doloroso.
Rogers si concesse un ultimo sospiro, prima di dare il via alla riunione.
“Okay, partiamo. Thor?”

Il principe asgardiano annuì, pronto a snocciolare tutte le informazioni di cui era entrato in possesso. Sfortunatamente, le cattive notizie superavano di gran lunga quelle buone - ce n’erano di buone?
Sospirò e tornò con la mente a diverse ore prima, alla discussione che aveva avuto con il Padre degli Dei.
Nel silenzio, parlò.



                                                    ***




Asgard. Diverse ore prima.

Thor si inchinò al cospetto di Odino, il quale sedeva sull’alto trono dorato con eleganza ed orgoglio.
Il sovrano era stato avvisato da Heimdall dell’arrivo del figlio, perciò non fu per niente sorpreso quando le guardie reali lo annunciarono, lasciando che accedesse alla Sala del Trono.
Odino sapeva che su Midgard qualcosa non stava andando nel verso giusto, ma, qualsiasi cosa fosse, non riusciva ad identificarla. Nemmeno l’occhio del guardiano del Bifrost riusciva a vedere tale anomalia e ciò era abbastanza preoccupante.

“Cosa ti porta qui, figlio?”
Thor si erse, puntando lo sguardo in quello del Padre.
“Problemi, Padre, su Midgard.”
“È forse opera di Loki?”
Il principe scosse il capo, stringendo la presa su Mjolnir.
“Loki sta aiutando me e i miei amici. Colui che potrebbe portare Midgard alla rovina si fa chiamare Padrone.”

Il volto di Odino divenne improvvisamente teso, mentre il ricordo di un antico evento faceva capolino nella sua memoria.
Il Padrone era la risposta al perché la connessione su Midgard fosse difficoltosa, confusa e parzialmente oscurata.

“Voi sapete chi sia questo Padrone, padre?”
Il re sapeva, Thor ne era certo, perché erano poche le volte in cui egli faceva trasparire preoccupazione dal suo viso.
Il silenzio si protrasse per troppo tempo e il principe fu tentato di prendere Odino per le spalle e scuoterlo violentemente.
Quanti segreti c’erano tra di loro e il tempo stringeva.

Daskalos. È questo il suo nome.”

Thor voltò il capo verso l’ingresso della sala ed osservò Madre venirgli in contro. Negli occhi della regina, la quale aveva ascoltato ogni parola, poteva scorgere la stessa preoccupazione che aveva intravisto nell’unico occhio di Odino.
“Chi è costui?”
Frigga prese il viso di Thor tra le sue piccole mani, scuotendo leggermente il capo.
“È un pericolo per l’universo stesso, figlio mio, pericolo che il Padre degli Dei credeva di aver scongiurato tempo addietro.”

Ancora una volta il silenzio si protrasse per troppo tempo e Thor, stufo di attendere spiegazioni, sentì la rabbia ribollire nelle vene.
“Padre, avete intenzione di ignorarmi ancora per molto? Chiunque sia questo Daskalos, agirà presto. Non c’è tempo. Parlate, per il bene di Midgard.”

Odino parve riscuotersi e strinse con forza il pungo attorno il lungo stelo della sua fidata lancia. Frigga raggiunse il re, sedendo al suo fianco, come se volesse offrirgli un muto sostegno.
Thor sentì un brivido risalire lungo la spina dorsale, fino alla base della nuca. Stava per parlare ancora, ma Odino lo anticipò.

“Daskalos fu il mio più grande errore.”
Ed eccolo, quel senso di colpa pungente risvegliatosi dopo secoli. Davanti agli occhi increduli di Thor, Odino parve divenire più vecchio, stanco e vulnerabile.
“Ricordi Oneiro, figlio?”
Il principe annuì.
“Il pianeta invisibile agli occhi di Heimdall. Esplose misteriosamente e ciò provocò l’estinzione di un’intera razza.”
“La scomparsa di Oneiro fu la conseguenza dell’errore commesso dai sovrani degli altri regni. Ad eccezione di Midgard, all’oscuro dell’esistenza di ciò che si trova al di là dei suoi confini, e Hel, regno dei morti senza onore né disonore, i rimanenti otto regni usavano organizzare incontri tra i loro governanti, affinché fosse mantenuta la pace e maturasse la collaborazione tra i diversi mondi.”

Thor cercò di richiamare alla mente un giorno di diversi secoli prima, un giorno particolare rimasto accantonato tra i suoi ricordi fino ad allora.
Era ancora un ragazzino incosciente a quel tempo, ma non poteva negare di aver avuto un certo timore nel trovarsi davanti i potenti sovrani di Alfheim, Nidavellir, Muspelheim, Svartalfheim, Jotunheim e Vanaheim.
Poi era arrivato lui, il re di Oneiro, con il suo carisma, il portamento orgoglioso e quel guizzo di mistero a brillargli negli occhi.
Il dio del tuono chiuse per brevi istanti gli occhi e vide scorrere le nitide immagini di quel primo ed ultimo incontro con l’oneiriano. Il nobile sovrano gli aveva sorriso gentilmente e l’aveva osservato con attenzione, come se avesse voluto studiarlo, e poi era sparito dietro le grandi porte dorate della Sala del Trono, lasciandolo con i brividi a fior di pelle e lo sguardo perso.
Thor trattenne il respiro, quando un particolare di quel lontano giorno lo riportò bruscamente al presente. Il sovrano di Oneiro aveva gli stessi identici occhi di Anthea, due abissi oscuri celanti i più intimi segreti dell’anima.

“Quando ci riunimmo ad Asgard, durante l’incontro ricevemmo la visita di un ospite inatteso, il quale era riuscito ad aprire una breccia nelle difese di Heimdall ed era giunto alla Sala del Trono indisturbato.”

Thor ricordò l’evacuazione improvvisa dalla dimora del Padre degli Dei. Frigga aveva preso per mano lui ed il piccolo Loki e li aveva scortati fuori dal palazzo dorato, non mostrando nemmeno per un istante la preoccupazione che in realtà le stava rodendo il cuore, al fine di non spaventare i due bambini.

“Nessuno aveva anche solo immaginato che Daskalos potesse giungere a sfidare i sovrani di ben otto regni, da solo.”
Odino sospirò stancamente, prima di riprendere a parlare.
“Chi è Daskalos? Un demonio fuggito da Hel, dove secoli prima era stato imprigionato da mio padre. Daskalos possiede l’abilità innata di risucchiare il potere dei suoi nemici ed è proprio in questo modo che è divenuto sempre più pericoloso, ovvero acquisendo le abilità delle più disparate creature dell’universo. Noi sovrani avevamo sentito parlare di lui e del castigo che infliggeva a coloro che si ribellavano al suo volere. Era capace di distruggere interi pianeti, di fronte all’opposizione nei suoi confronti.”

Thor spalancò gli occhi, mentre i tasselli di un puzzle complicato andavano finalmente a formare un’immagine chiara degli eventi che avevano portato alla distruzione di uno dei Dieci Regni.

“Daskalos chiese a noi sovrani di donargli parte del nostro potere, affermando che avrebbe distrutto il regno di coloro che si fossero opposti.”
“Avete accettato tutti, ad eccezione del re di Oneiro, non è forse così padre?”
Odino, con lo sguardo perso nel vuoto, annuì sommessamente.
“Daskalos promise che non avrebbe più messo piede sui pianeti dei sovrani che gli avrebbero consegnato ciò che voleva. Sapevamo che quel demone aveva già polverizzato diversi pianeti in altri distretti dell’universo, perciò decidemmo di acconsentire alla sua richiesta. Stavamo vivendo un periodo di pace, dopo anni di guerre. Nessun pianeta era davvero preparato ad affrontare un’ennesima battaglia contro un demone pazzo e custode di un potere al di fuori di ogni nostra possibilità di fermarlo. Eppure, il giovane re oneiriano, forze per orgoglio o forse per ingenuo coraggio, si oppose con fermezza al volere di Daskalos.”

A Odino parve di sentire di nuovo le parole di sanguigna minaccia uscite dalla bocca del demone e abbattutesi contro il giovanissimo sovrano.

La paura vi ha reso ciechi, ci disse prima di lasciare la Sala del Trono, diretto al Bifrost per lasciare Asgard. Non rividi né ebbi più alcun tipo di contatto con l’oneiriano. L’unica certezza è che Oneiro venne cancellato dalla faccia dell’universo poco tempo dopo l’incontro con Daskalos.”

“Siete sicuro che sia stato Daskalos a distruggere il pianeta?”
Odino abbassò il capo, stanco.
“E chi altri, Thor?”

L’ultima domanda rimase sospesa nel silenzio e dopo aver fluttuato per alcuni istanti, cadde inesorabilmente, priva di risposta.



                                                          ***




Presente. Stark Tower.

“Padre ha affermato che, per nessuna ragione, interverrà nello scontro con Daskalos, affinché il demone rimanga lontano da Asgard.”

Si scambiarono sguardi perplessi, confusi, densi delle stesse inconfessabili emozioni. Alcuni sentimenti andavano intrappolati all’interno del corpo, così da evitare che fossero un ostacolo al raggiungimento della sperata vittoria.
Era questo il momento in cui dovevano appoggiarsi l’uno all’altro, per non essere schiacciati dal fardello di dover salvaguardare l’umanità.

“Possiamo farcela, avanti. È solo un demone che è temuto dal Padre degli Dei in persona, niente di che.”

Gli angoli delle bocche dei preseti guizzarono verso l’altro alle parole di Tony.

“Odino ci ha consigliato di fare attenzione alla sua spada il cui nome è Aima. Essa fu forgiata dai Nani di Nidavellir come pegno per tenere lontano Daskalos dal loro pianeta. Mjolnir stesso fu forgiato dai Nani, quindi possiamo immaginare il potere di cui è dotata quella spada.”
“Si va di male in peggio” borbottò Clint, mettendo a nudo il pensiero che ronzava nella testa di ognuno di loro.
“Altre buone notizie?” domandò il miliardario, scettico.

La Romanoff alzò la mano, ma non attese alcun permesso per parlare.
“Ho parlato di nuovo con Wade, questo pomeriggio.”

Steve cercò di ignorare il cambio repentino dell’espressione sul viso di Anthea e il sussultare delle spalle esili al solo sentir pronunciare il nome dell’uomo del ponte.
Chi era stato Wade per Anthea? E cosa significava per lei, adesso?
Rogers avrebbe tanto voluto avere una risposta a queste domande, ma prima che potesse perdersi tra le varie congetture mentali, la voce di Natasha lo richiamò alla realtà.

“Ha confessato che il Padrone riesce a trovarci seguendo la scia emanata dal potere di Anthea.”

Gli sguardi si posarono sul Capitano, attirati da quel suo familiare gesto di incrociare le braccia al petto e corrugare la fronte.
Steve stava costruendo pezzo per pezzo un piano, una strategia, che avrebbe potuto tirarli fuori dai guai, almeno in parte.

“Rendici partecipi o giuro che mi butto dalla finestra, ora.”
“Stark, lascialo concentrare.”
“Sono una persona troppo ansiosa, Legolas, potrei rischiare un attacco di isteria, se Capsicle non si decide a parlare.”

Bruce non riuscì a trattenere la fievole risata che contagiò tutti i presenti, sciogliendo un poco la tensione.

“Anthea, in me c’è una parte del tuo potere, giusto?”
L’interpellata alzò il capo con uno scatto, fissando lo sguardo buio in quello del giovane Capitano.
“Non te lo lascerò fare” fu la risposta secca della giovane.

“Di cosa stiamo parlando?”
La domanda di Stark cadde nel vuoto, priva di risposta.

Steve e Anthea avevano ingaggiato una lotta di sguardi talmente intensa, da far calare un silenzio tombale nella stanza.

“Tu sei il suo obiettivo. Se prende te siamo tutti morti, perciò lasciami fare e fidati di me.”
La ragazza prese a torturare il labbro inferiore, mentre percepiva aprirsi un vuoto nello stomaco.

Un brutto presentimento.

“Va bene” si sforzò di dire, andando contro l’impellente volontà di gridare che tutto ciò era una pazzia.

Non avrebbero dovuto dividersi.

“Avengers, ascoltate attentamente.”
E mentre Steve spiegava con meticolosa cura il modo in cui avrebbero agito l’indomani, Anthea si sentiva logorare da orribili sensazioni.
“ … abbiamo ancora un giorno, perciò …”
Un giorno intero prima dello scontro, prima della lotta alla sopravvivenza.
“Vi voglio tutti pronti domani alle sei in punto. Partiremo per quell’ora, così avremo tempo a sufficienza per allontanarci il più possibile da qui. Ultima cosa. Indossate l’armatura.”

Annuirono tutti, all’unisono.
Nessuno si sarebbe tirato indietro. L’abbandono non era un’azione minimamente contemplata nel loro gruppo. Avrebbero lottato, insieme, fino alla fine.
La riunione era ufficialmente giunta al termine e i Vendicatori si ritirarono nei loro appartamenti.

Natasha seguì Clint, decisa a rendere quella notte speciale. L’idea di dormire non la sfiorava nemmeno ed era certa che per il compagno fosse lo stesso. Arrivarono al letto di lui ed i loro corpi si mossero in sincronia, trepidanti.
Si amarono, infiammati dalla passione rinata dopo troppo tempo passato ad evitarsi.


Quella notte anche Tony cedette al sentimentalismo, chiamando la sua Pepper, la quale si trovava al sicuro a Malibù. Il miliardario l’aveva convinta ad allontanarsi da New York dopo l’attacco della Bestia e, a seguito di una breve discussione, Virginia aveva acconsentito alla sua richiesta.
Stark fu felice di sentire la dolce voce della propria fidanzata e, alla fine della breve ma intensa conversazione, non dimenticò di ricordarle quanto la amava.

                                                             *

Anthea e Steve si svestirono velocemente, gettando gli indumenti sulla sedia della scrivania. Si infilarono sotto le candide lenzuola del letto, schiacciandosi l’uno contro l’altra.
La ragazza strinse il giovane soldato per i fianchi, nascondendo il viso contro il suo petto caldo e forte.
“Steve.”
“Si?”
“Io credo di …”
La giovane si bloccò, spaventata dai suoi stessi pensieri, che non riuscirono a prendere la forma di parole.
Steve le avvolse le spalle, baciandole il capo dolcemente.
“Cosa?” la invitò a continuare.
“Nulla. Lascia stare. Solo, fa’ attenzione e trattieni i tuoi istinti suicidi, o giuro che non te la farò passare liscia.”
Rogers ridacchiò.
“Okay.”

Steve si addormentò presto, completamente sfinito dagli ultimi avvenimenti.
Anthea, invece, si crogiolò ancora per qualche tempo nella stretta protettiva del giovane Capitano, desiderando di rimanere imprigionata in quelle forti braccia per sempre.
Infine, si lasciò vincere dal sonno, cullata dal battito cadenzato di quel cuore che avrebbe protetto utilizzando qualsiasi mezzo.



                                                       ***



La lucente moto nera sfrecciava sull’asfalto, veloce ed agile, trasportata dal placido scorrere del traffico che animava il Brooklyn Bridge, una immensa scia di acciaio e granito con il ruolo di collante tra l’isola di Manhattan e il quartiere di Brooklyn. I cavi d’acciaio che sorreggevano l’imponente struttura disegnavano un complesso reticolato di ombre sulle corsie di percorrenza.
L’East River, gonfio a causa della tempesta scatenatasi quella notte, si agitava sotto le fredde raffiche di vento. Il Sole era ancora nascosto dietro nubi grigie e pronte a dare vita ad un’esplosione di pioggia e lampi.

Steve rabbrividì e scosse le spalle, cercando di concentrarsi unicamente sulla guida del veicolo a due ruote, nonostante le diverse ansie che imperversavano nella sua mente gli sottraessero l’attenzione necessaria a sedare quelle emozioni che minavano la sua stabilità mentale, fortemente compromessa negli ultimi infausti tempi.
Come tutti gli altri, aveva già indosso la sua armatura, una divisa blu in kevlar, tessuto resistente e allo stesso tempo abbastanza elastico da permettere movimenti agili e veloci; linee argentee la percorrevano all’altezza del petto sul cui centro si stagliava una stella del medesimo colore; a completare il completo c’erano un paio di guanti e una cintura marroni, così come gli stivali.
Lo scudo al momento non era in suo possesso, ma si trovava comunque in mani sicure.
L’indomani i Vendicatori avrebbero dovuto affrontare il Padrone e i suoi sottoposti.
Rogers sperava fortemente che il suo stratagemma funzionasse, poiché da esso poteva dipendere la vita dei suoi compagni - della sua famiglia.

“Sei dannatamente teso.”
La voce della donna dietro di lui, resa più soffusa dal casco, lo fece sobbalzare. Percepì le braccia di lei stringersi un poco attorno ai suoi fianchi, mentre la moto prendeva velocità.
“Steve, qualsiasi cosa accada domani, ti proibisco di sentirti in colpa.”

Prima che il giovane potesse ribattere, la voce metallica di Iron Man, che volava a diversi metri sopra le loro teste, si insinuò nell’orecchio destro di ogni membro della squadra, al momento divisa in due gruppi diretti verso destinazioni differenti.

“A tutti gli Avengers, ho rilevato una strana anomalia nel … dannazione! Rogers è davanti a voi!”


Davanti agli occhi esterrefatti del Capitano, nel bel mezzo del ponte, uno squarcio nel vuoto diede vita ad un varco oscuro, provocando un’onda d’urto che si propagò per chilometri.

Steve si sentì sbalzare all’indietro. Si schiantò contro il duro asfalto e rotolò per alcuni metri, ma si rialzò all’istante e tolse il casco, gettandolo a terra. Al suo fianco atterrò Iron Man, che gli porse lo scudo in vibranio, gesto che sanciva l’imminente inizio dello scontro.
“Dov’è lei?” domandò Stark, mettendo in funzione il sistema di rilevamento.
Ma Steve fu più veloce e scorse la compagna qualche metro dietro di loro, intenta a rimettersi in piedi e con ancora il casco a coprirle il volto.
Tutte le vetture sul Brooklyn Bridge giacevano immobili. Alcune si erano ribaltate ed altre si erano scontrate tra loro.
Le grida della gente vinta dal panico riempirono l’aria.
Rogers osservò i civili correre via, lontano dal varco creatosi dal nulla, mentre una rabbia crescente prese a bruciargli nel petto.
Il varco iniziò a vomitare soldati in nero, portatori della spilla del diavolo sul petto. Tra di essi emerse una figura alta ed incappucciata, una figura che poteva paragonarsi ad un mietitore di anime possedente una spada invece di una falce.

“Qui Clint Barton. Mi ricevete? Cosa sta succedendo?”

“Sono in anticipo” fu il debole sussurrò di Rogers.
Il Capitano, con lo scudo stretto nella mano destra, corse in direzione della compagna per accertarsi delle sue condizioni, dato che i nemici si stavano avvicinando velocemente.
Era a pochi passi da lei, quando la creatura lo precedette, comparendo dal nulla davanti a lui e respingendolo indietro senza nemmeno toccarlo.
Steve cadde sulla schiena ed il respiro gli si mozzò in gola.

Stark, intanto, aveva ingaggiato la lotta contro i numerosi soldati, nel tentativo di tenerli lontani dal resto della squadra.


“Finalmente ci rivediamo, mia cara.”
La donna, al cospetto del Padrone, percepì il sudore freddo imperlare la fronte nascosta sotto il casco.
Senza che potesse anche solo percepire il movimento, si ritrovò il polso destro artigliato dalla dolorosa e ferrea presa della creatura.
Passò un istante infinitamente lungo, prima che il Padrone ritirasse indietro la mano, come se fosse stato scottato.
“Non sei tu.”
Finalmente la donna riuscì a recuperare la risolutezza necessaria a sfilare il casco. Indietreggiò di qualche passo, prima di puntare gli occhi verdi sul volto completamente immerso nell’oscurità del demone.
Natasha Romanoff storse la bocca per dare vita ad un ghigno sfrontato, quasi divertito.
“Complimenti, gran bel buco nell’acqua.”

Forse il piano di Rogers non era andato del tutto a farsi friggere, nonostante il nemico non avesse rispettato il tempo stabilito. Perché se il Padrone era lì, significava che Anthea era riuscita ad eclissare il suo potere ed ora era al sicuro, lontana da quel mostro privo di senno.
Daskalos aveva seguito la scia di energia emanata da Steve e appartenente alla giovane paranormale.
Però Natasha era consapevole che, anche se erano riusciti a depistare il demone, non avrebbero avuto nessuna possibilità contro di lui ed il suo esercito, nelle loro attuali condizioni.
Steve aveva pianificato di riunire la squadra l’indomani, nel primo luogo disabitato disponibile, così da evitare spargimenti di sangue innocente.
Sfortunatamente, ora erano solo in tre sul campo di battaglia, mentre Bruce, Thor e Clint si trovavano a bordo di un jet assieme ad Anthea, Loki e Wade, diretti verso una base sicura dello SHIELD, molto lontana da New York e dove erano attesi da Phil Coulson.

“Come osi rivolgerti a me con quel tono, infima umana. Pagherai con la vita questo tuo affronto.”
Vedova Nera portò le mani alle fondine sulle cosce per mettere mano alle pistole, ma si rese conto che era già troppo tardi, poiché la mortale spada del demone stava già calando su di lei, sibilando.
Si preparò a ricevere il colpo, quando l’unica cosa che sentì fu uno stridio insopportabile che le penetrò il timpano, costringendola a serrare per un momento gli occhi.

Quando risollevò le palpebre, le larghe spalle di Capitan America furono la prima cosa che vide.



                                            ***



“Dobbiamo tornare indietro, adesso.”
Anthea avrebbe voluto urlare.
Perché non volevano capire?
Bisognava correre ad aiutare gli altri, prima che fosse troppo tardi.

“Ragazzina, ascoltami bene. Se il Padrone prende te, va tutto a puttane, perciò torneremo indietro solo dopo averti lasciato nelle mani di Coulson.”
Clint era stato categorico, nonostante avesse voluto raggiungere il resto della squadra in quello stesso momento.
Thor era già partito, trascinato nel cielo plumbeo dalla potenza di Mjolnir, ma il jet avrebbe fatto dietrofront solo dopo aver condotto Anthea al sicuro, così come aveva stabilito Rogers.

“Quando li avrete raggiunti, saranno tutti già morti.”
Clint, Bruce e lo stesso Loki, si voltarono sorpresi verso l’uomo ammanettato ed accantonato in un angolo del velivolo.
Nessuno fra loro ebbe il coraggio di controbattere, perché, in fondo, sapevano che Wade aveva fottutamente ragione.
Se la squadra al completo avesse avuto anche solo una singola possibilità di sconfiggere Daskalos, divisi, i Vendicatori erano pressoché spacciati.

Il dottor Banner e Occhio di Falco si scambiarono un’occhiata decisiva.

“Steve non me la farà passare liscia questa volta e sarà tutta colpa tua, ragazzina.”

Bruce ridacchiò e Anthea sorrise, mentre il jet si gettava a folle velocità verso il Brooklyn Bridge e verso il cuore dello scontro.

“Ti devo un favore” affermò convinta la giovane.

E Barton, nonostante tutto, pensò ancora una volta che quella ragazzina non era poi così male.



                                    ***



Rogers spinse con forza lo scudo in avanti, costringendo il Padrone ad indietreggiare.
La spada aveva sfregiato il cerchio in vibranio con un taglio obliquo che ne percorreva il diametro.

“Dove si trova?”

Steve ricordò di aver già sentito quella voce durante la battaglia contro Thanatos, nei parcheggi sotterranei della Tower.
Il demone era entrato nella sua testa quella volta, ne era certo.

“Evita domande stupide.”
Daskalos emise un suono, simile ad una risata strozzata.
“Siete voi umani ad essere tremendamente stupidi. Lei ha segnato la tua condanna nel momento in cui ha creato il legame che intercorre tra voi e tu, sciocco, proteggi una creatura che ha decretato la tua fine, una creatura le cui mani sono sporche di sangue.”
“Evita anche sermoni inutili. Le tue parole non sfonderanno le mie convinzioni, sappilo.”
Daskalos rise ancora, divertito, ergendosi in tutti i suoi due metri di altezza davanti al soldato.
“Mi accontenterò di ridurre a brandelli il tuo debole corpo, dopo averti strappato il cuore dal petto. Le porterò la tua testa, umano, così mi assicurerò che cada nella disperazione più totale.”
Steve non poté evitare di rabbrividire, ma continuò a fronteggiare il demone con una certa testardaggine.

La creatura, con un gesto elegante, si liberò della mantella scura, rivelandosi agli occhi di tutti.
Il corpo aveva fattezze umanoidi, ma la pelle era di un orribile nero violaceo ed era percorsa da quelle che sembravano numerose vene gonfie e pulsanti. Sulla sommità del capo calvo spuntavano un paio di tozze e corte corna argentee. Del medesimo colore erano gli artigli affilati delle mani dalle lunghe dita affusolate. Indossava una specie di armatura di un nero lucente, simile nella forma a quella di Thor.

Rogers, però, rimase pietrificato nello specchiarsi in occhi rossi come il sangue, privi della pupilla e della sclera bianca.

“È tempo che tu muoia, Steve Rogers.”



Dal buco nero continuavano a venir fuori cattive sorprese. Le ombre oscure - dannatamente troppe secondo il parere di Stark - dilagavano sul Brooklyn Bridge e si affrettavano a raggiungere il loro Padrone.
Un ruggito mostruoso e dannatamente familiare, preannunciò l’arrivo di un vecchio amico. Il varco si richiuse non appena Thanatos lo ebbe attraversato. La bestia fece tremare il ponte con la forza di uno spaventoso ululato, mentre i suoi possenti muscoli parevano scossi da spasmi disconnessi.
Stark diede fondo a tutto il suo arsenale di imprecazioni e bestemmie.
Questa era la volta buona che ci rimetteva la pelle.
“Rivoglio i Chitauri” piagnucolò, in preda ad un attacco di delirante isteria.

L’arrivo tempestivo di Thor, Tony lo classificò come evento miracoloso.
L’asgardiano piombò sulla bestia come una meteora, colpendola sulla schiena con il potente martello.

“Lascia a me il compito di eliminare questo mostro, uomo di metallo.”

Iron Man alzò verso l’alto il pollice della mano destra, accettando volentieri la proposta, mentre dalle spalle dell’armatura fuoriuscivano quelli che erano due canali spara fuoco, aggiunti in previsione di uno scontro con le ombre.
“Iniziamo la disinfestazione.”
Stark sorvolò il numeroso gruppo di creature oscure, lasciando fuoriuscire grandi lingue di fuoco dal nuovo congegno impiantato nell’armatura e ghignando nel constatare che stava funzionando - perché la tecnologia Stark funzionava sempre, o quasi.
Le ombre vennero incenerite una dopo l’altra, mentre tentavano di afferrare la mark con le loro lunghe dita, invano.


Sull’altro fronte, Natasha era impegnata a stendere quanti più soldati possibile, sfruttando tutta l’abilità di cui era dotata.
Era consapevole che la minima distrazione sarebbe potuta essere fatale, ma non riusciva a fare a meno di lanciare sguardi preoccupati in direzione di Capitan America.

Daskalos stava temporeggiando.

La spada e lo scudo si scontravano ripetutamente, emettendo fastidiosi stridii, simili a lamenti.
Steve colpiva con calcolata forza, nel tentativo di fare breccia nella difesa impenetrabile del demone.
Sapeva che il Padrone non stava combattendo seriamente e non ne capiva il motivo, dato che solo qualche minuto prima aveva minacciato di farlo a pezzi.
Doveva aver cambiato idea. Ma perché?

“Le porterò la tua testa, umano, così mi assicurerò che cada nella disperazione più totale.”

E improvvisamente gli fu tutto chiaro.
Daskalos voleva distruggere Anthea dall’interno.
Quel mostro la stava aspettando. Voleva che assistesse.
Steve si tirò improvvisamente indietro, mettendo distanza tra sé ed il nemico.
“Non te lo lascerò fare.”
Daskalos ghignò sadicamente, assetato di guerra e sangue.
“Non hai la forza per impedirlo. Ormai è vicina, perciò posso dare il via allo spettacolo, o sarebbe meglio dire, massacro.”

Rogers era un soldato e come tale riconosceva quando era tempo di ritirarsi, poiché combattere, in certi momenti, non era segno di coraggio ma bensì di stoltezza.
Scattò indietro, dirigendosi verso il resto del gruppo, poiché uniti sarebbero stati più forti e meno vulnerabili. Incontrò per un istante lo sguardo teso di Natasha, circondata da decine di soldati, prima che il terreno venisse a mancargli sotto i piedi e perdesse la presa sullo scudo, che cadde a terra con un tonfo sordo.
Sospeso a mezzo metro dal suolo, non riusciva a muovere nemmeno un muscolo e respirare divenne difficile.

“Dove credevi di andare? Non puoi sfuggirmi.”
Rogers venne sbattuto violentemente contro il duro asfalto. Rivoli di sangue colarono dalla fronte lesa. Tentò di fare forza sulle braccia per tirarsi su, ma Daskalos non gli permise di muoversi, piantandogli un tallone tra le scapole.
Steve, immobilizzato, osservò la punta acuminata di Aima piantarsi nel cemento, a pochi centimetri dal suo volto.
Poi la spada fu risollevata.
Al giovane Capitano parve di sentire per brevi attimi il suono dei propulsori di un jet sopra di sé, prima che un dolore allucinate lo costringesse a gridare con tutto il fiato che aveva in corpo.
Aima si era conficcata brutalmente nel deltoide sinistro.
Sentì una voce urlare il suo nome, ma non riuscì a capire a chi appartenesse, poiché stava per essere inghiottito dall’oblio.
Le forze vennero meno, come se quell’arma aliena gli stesse risucchiando le energie, secondo dopo secondo.

Di colpo, Daskalos tirò fuori la spada dalla carne del ragazzo e si portò la lama alla bocca, leccandone via il sangue caldo.
“Lei è …”
Il demone non riuscì a terminare la frase, poiché fu travolto da un’incontrollata furia verde.
Steve, libero, strinse i denti e si costrinse a rimettersi in piedi. Barcollò verso il suo scudo e lo raccolse da terra. Un improvviso capogiro rischiò di farlo rovinare sull’asfalto, ma una presa decisa lo sostenne per i fianchi.

“Sei un vero disastro. Ti lascio solo un attimo e guarda come ti ritrovo.”
Anthea non riuscì a controllare il tremito nella voce. Aveva rischiato di perderlo, ancora.
“Non dovresti essere qui.”
“Il mio posto è al tuo fianco, Steve. Ora attiverò il mio potere dentro di te, così riacquisterai le forze e non rischierai di collassare.”

Rogers la lasciò fare e un immenso calore si sprigionò all’interno del suo corpo, appena la giovane spinse la mano all’altezza dell’ombelico.
La stanchezza ed il dolore diminuirono drasticamente, mentre una nuova energia andò a rianimare ogni singolo muscolo.
Capitan America era pronto a rigettarsi nella mischia.



A Hulk piaceva il Capitano e quel mostro viola aveva fatto male al Capitano, quindi Hulk spaccava il mostro viola.

Daskalos era in balia del gigante verde e, inizialmente, non riuscì ad evitare di essere colpito pesantemente dal quel rabbioso nervo scoperto.
Sfortunatamente, il demone si riprese fin troppo presto e bloccò l’assalto di Hulk con la sola forza esercitata dalla mente.
Il gigante, con ancora il pugno sospeso a mezz’aria, ringhiò inferocito e tentò di liberarsi da quell’incantesimo che non gli permetteva di muoversi nemmeno di un centimetro.
Il Padrone, che non era stato scalfito minimamente nonostante le botte prese, sorrise sornione.
“La tua forza potrebbe essere paragonata a quella di un dio, ma rispetto a me sei una nullità, folle bestia. Addio.”

Poco dopo, Tony Stark vide Hulk precipitare a folle velocità dal Brooklyn Bridge. Fece per raggiungerlo, ma la distrazione che si era concesso gli costò cara, quando un razzo proveniente da chissà dove lo colpì e lo fece precipitare a terra, come un uccello ucciso da un funesto proiettile.


Clint abbandonò il jet quasi a metà del ponte, fregandosene del fatto di lasciare incustoditi Loki e Wade al suo interno.
L’arciere si mise istintivamente in cerca di Natasha e la individuò nel bel mezzo di una calca formata da ignoranti soldati fanatici - così aveva deciso di catalogarli.
Mise mano all’arco e, nonostante fosse lontano, ogni freccia venne piantata con maniacale precisione nei punti vitali dei nemici che avevano circondato la sua donna.
La Romanoff riuscì quindi a riprendere fiato per un attimo, prima di ricominciare a combattere con la sicurezza di avere le spalle coperte.



“Va’ ad aiutare gli altri e tieniti a debita distanza da Daskalos.”
Steve non sentì il bisogno di ribattere. Annuì solamente.
“Sta’ attenta” le sussurrò, prima di correre in direzione di Stark, completamente in balia delle ombre.

Anthea inspirò ed espirò lentamente, chiudendo gli occhi ed estraniandosi dalla realtà esterna. Doveva focalizzare la sua attenzione solo sul demone.
“Sei veloce” gli concesse.
Daskalos era proprio di fronte a lei, adesso, e la ragazza non aveva bisogno di guardare per saperlo, perciò non alzò le palpebre.

Resta calma. Concentrati.

“Piccola sporca traditrice.”

Anthea si spostò leggermente a destra e percepì gli artigli del Padrone sfiorarle il viso. Tutto era successo in un millesimo di secondo.
La giovane aprì gli occhi di scatto e piazzò il pugno destro sul volto del demone, il quale evitò il secondo affondo balzando indietro.
Si muovevano velocissimi e i loro spostamenti non potevano essere seguiti da occhio umano.

Daskalos tornò alla carica, con l’obbiettivo di ferirla in modo da immobilizzarla. La voleva viva, ma amputarle qualche arto non avrebbe fatto differenza. Sguainò la spada e fendette l’aria in direzione della spalla destra dell’avversaria.
Anthea si abbassò agilmente e, spingendo con forza sulle gambe, balzò in avanti, gettandosi sul demone e buttandolo a terra.
Aima, nella caduta, scivolò dalla presa del suo possessore e si schiantò sul duro asfalto.

Daskalos non perse tempo e creò un campo di forza attorno al proprio corpo. Anthea venne catapultata in aria, ma rimase abbastanza lucida da creare e lanciare una sfera di fuoco contro il nemico, colpendolo in pieno.
La ragazza atterrò perfettamente in piedi, poco distante dal bozzolo di fumo nel quale era nascosto il Padrone. Ma quando la nube si dissolse, del demone non vi era traccia.

Percepì appena uno spostamento d’aria alle spalle e poi un tocco sulla spalla. Gridò di dolore quando una scarica di elettricità le fece tremare le membra e si ritrovò a terra, scossa da convulsioni che le facevano contorcere lo stomaco su sé stesso.

“C’era un pianeta, una volta, i cui abitanti erano in grado di controllare le cariche elettriche che compongono i corpi. È un’abilità utile, dopotutto.”

La tortura terminò dopo alcuni minuti, lasciandola completamente stordita.



                                 ***



Steve si era trasformato in una macchina da combattimento perfetta. Velocità e forza dei colpi erano calibrati con meticolosa attenzione, mentre il corpo si muoveva con eleganza nell’abbattere una dopo l’altra le ombre dalla durezza del marmo.
Il giovane Capitano aveva finalmente recuperato tutte le energie necessarie a dare man forte ai suoi compagni. Non avrebbe più avuto bisogno di essere salvato, perché adesso toccava a lui prendere in mano le redini della situazione e riportarla sotto controllo.
A forza di calci, pungi e colpi di scudo, si aprì un varco tra l’esercito di mostri, fino al momento in cui riuscì finalmente a scorgere il rosso e l’oro dell’armatura di Iron Man, costretta a terra da due ombre che le bloccavano gambe e braccia per permettere alle altre di colpirla con estrema facilità. Rogers lanciò lo scudo con potenza e decapitò uno dei mostri che bloccavano il compagno; corse in avanti e con un calcio rotante creò delle crepe profonde sul fianco dell’altra ombra, costringendola a sciogliersi in quella specie di inchiostro, così come tutte quelle che erano state danneggiate pesantemente. Senza fermarsi, afferrò il guanto d’acciaio di Stark e lo tirò su, permettendogli di attivare subito i propulsori per tirarsi fuori da quell’assedio e riprendere fiato, mentre Capitan America raggiungeva lo scudo lanciato poco prima.

Improvvisamente, ogni singola ombra presente sul campo di battaglia si trasformò in liquido denso e nero.

“Si ritirano di già?”
“Meglio così, ne ho avuto abbastanza.”
Iron Man atterrò al fianco di Rogers, dandogli una pacca sulla spalla come più sincero gesto di gratitudine. L’armatura era piena di tagli, anche abbastanza profondi, come se quei mostri avessero tentato di aprirla allo stesso modo di una scatoletta di alluminio.
“Rogers, Hulk è … che diavolo succede adesso?”
Stark si fece prendere da una specie di attacco isterico, nell’osservare tutto il fluido scuro fondersi in un’unica grande massa tremolante, la quale diede forma ad un’unica ombra dalle dimensioni titaniche, sorretta dal ponte per chissà quale miracolo.

“Questa è la versione gigante dell’uomo nero.”
“Non sei troppo grande per credere all’uomo nero, Stark?”
“Parla il fossile.”
E forse l’umorismo poteva essere l’unico palliativo alla tensione che contraeva i muscoli e spediva la mente in una dimensione surreale, sfuggente, nella quale si rischiava di perdere lucidità.

L’ombra, alta almeno quattro metri, stava per completare la trasformazione, perciò Steve chiese ai neuroni di aumentare al massimo le sinapsi per elaborare una strategia utile.
Sentì appena Iron Man gridargli di fare attenzione, che venne travolto da un qualcosa arrivata a folle velocità da chissà dove.
Fu un aggrovigliarsi di gambe e braccia e un rotolare bloccato solo dall’impatto contro il corrimano del ponte.
Steve sbatté ripetutamente le palpebre e mugolò nel sentirsi schiacciare da un peso considerevole proprio all’altezza dello stomaco.

“Thor, che ne dici di spostarti almeno un pochino? Non respiro.”
Il dio scosse il capo per riprendersi dalla botta e si rimise in piedi, porgendo poi la mano al compagno, che l’afferrò prontamente.
“Niente di rotto, Capitano?”
“No, tranquillo.”
Vennero raggiunti presto da Stark, che stava ridacchiando - o piangendo - sotto il casco dell’armatura.
“Abbiamo due grossi problemi, biondi. Uno, uomo nero gigante. Due, bestia trincia carne. Cosa si fa? I due assassini provetti non sono disponibili al momento e Hulk è disperso.”

Intanto i due mostri infernali, i quali sembravano essersi coalizzati, si stavano avvicinando al trio troppo velocemente.

“Il piano, Rogers.”
“Sto pensando.”
“Sbrigati a pensare!”
“Se urli, è difficile farlo.”
“Cap, arrivano!”

Thor prese a roteare il martello, ma prima che l’asgardiano potesse partire all’assalto, un Hulk gocciolante di acqua si abbatté sull’ombra titanica, spingendola contro la Bestia che venne travolta da quella mole esagerata.

“Grandioso. Ora ci serve solo dell’esplosivo.”
Stark guardò il Capitano, sogghignando sotto l’elmo.
“E so anche dove hai intenzione di metterlo, Cap.”

In quel momento un grido di disperazione squarciò l’aria.



                                           ***



Anthea si rimise in piedi, barcollando visibilmente. La scarica elettrica non era ancora stata del tutto smaltita dal suo corpo e le tempie pulsavano dolorosamente.

“Non puoi cambiare il tuo destino. Tu sei mia, sei il pegno che il tuo popolo non ha pagato e che io pretendo di avere. Ucciderò il tuo umano e, spezzato il legame, prenderò ciò che voglio.”

Daskalos richiamò Aima, che raggiunse la mano del suo signore in un battito di ciglia.

“Di’ addio alle tue gambe.”

La giovane non riuscì a convincere il corpo a collaborare.
Non poteva muoversi.

“Lasciami uscire, sciocca! Io sono l’unica via per la vittoria!”

Chiuse gli occhi per un attimo, stringendo i denti. Doveva recuperare la concentrazione, doveva …

Troppo tardi. La lama mortale si mosse.

Il colpo non arrivò mai. Gocce di liquido denso e caldo le schizzarono sul viso e spalancò gli occhi, rimanendo scioccata nel constatare che qualcuno aveva preso il suo posto, salvandola.

“No” sussurrò.
Il cuore perse un battito.
“Wade, no.”

L’aveva amato come un padre e l’aveva odiato per il suo tradimento.
Eppure, adesso, non poteva credere che fosse accaduto. Non avrebbe mai voluto questo, anche se la rabbia per l’uomo che era stato il suo mentore era forte.

Wade, di fronte a lei, sorrise fievolmente.
La spada gli aveva trapassato il petto all’altezza del cuore.

Anthea gridò.
Nella sua voce c’era solo disperazione.

 
 
 




Note
Ciao a tutti!
Sì, sono resuscitata, finalmente. Non so quante volte ho rivisto e cambiato questo capitolo e, dopotutto, del risultato finale non sono ancora convinta, ma lascerò a voi il giudizio finale.
Ci stiamo avvicinando alla fine. Non so precisamente quanti capitoli ci saranno ancora e sinceramente non ho ancora programmato un finale vero e proprio.
La cosa certa è che porterò a termine questo lavoro, per me e per coloro che ne seguono l’evoluzione.
Poiché, come ho già detto, stiamo arrivando al traguardo ormai, ci terrei a ringraziarvi tutti, uno per uno.
Perché? Perché non basterebbe un solo ringraziamento finale per esprimere quanto vi sono grata per avermi sostenuta, nonostante i miei clamorosi ritardi.
Cominciamo allora!
Ringrazio acatorCalliope82elis 1991Elle85Helen BlackKat_WinchesterkennerLady_VampiremartinactMumma,Portuguese D RogueSiria_IliasStevenRogersViola Banner_Alesia_, per aver inserito la storia nelle seguite.
Grazie a kenner (ancora), Kyem13_7_3Portuguese D Rogue (di nuovo) e Sofy_Candy per averla inserita tra le ricordate.
Grazie a DalamarF16fredfredinagleencesterhappyfunkenner (ancora una volta), Shaunee Black e Ragdoll_Cat per averla inserita nelle preferite!
Ringrazio i recensori : DalamarF16Siria_IliasHelen BlackMummaViola Banner e Mina damn stars.
Un ringraziamento speciale va alla mia sister Ragdoll_Cat, che è sempre presente, che mi consiglia, mi corregge e mi spinge a fare del mio meglio *.*

Grazie anche a chi legge solamente, ovviamente!

Io spero vivamente di non aver tralasciato nessuno!
Alla prossima!
Un abbraccio <3
Ella
   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: Ella Rogers