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Autore: verystrange_pennylane    27/04/2015    6 recensioni
Paul McCartney conduce una vita praticamente perfetta: lavora come professore in un paesino della Scozia, è stimato e ben voluto da tutti e sta per sposarsi con l'amore della sua vita, Linda.
Quello che non sa è che, in diretta nazionale, il suo migliore amico Ringo farà una dichiarazione su di lui che gli cambierà per sempre la vita. E che farà crollare tutte le sue certezze, una volta per tutte.
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney, Quasi tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Everybody's Got Something to Hide

Capitolo 12




Paul controllò nervosamente allo specchio lo sparato e studiò il suo profilo per qualche minuto.
Dio, aveva messo su qualche chiletto nell’ultimo anno. Non importava quanta, come la chiamava John?, ah sì, attività fisica facessero, continuava a ingrassare.
Avrebbe fatto una figura terribile davanti a tutti quanti.
Meno male che la cerimonia veniva celebrata nel giardino di casa sua, così non ci sarebbero stati troppi passanti pronti a giudicare il suo profilo arrotondato e insacchettato dentro un completo elegante.
Inoltre c’era poco da fare, il fiocco del papillon non gli usciva ancora bene. Ah, se solo ci fosse stato John a farglielo! Ma era dall’altra parte della città, ben lontano da lui, per rispettare le migliori tradizioni. In preda alla nostalgia e alla frustrazione, Paul si liberò del farfallino una volta per tutte, e optò per una lunga cravatta viola. Tanto era una cerimonia informale, solo per pochi intimi, senza una vera e propria valenza burocratica o religiosa. Nessuno avrebbe avuto il coraggio di criticare l’uso del viola durante un’unione civile, no?
Paul infilò un piccolo giglio nell’occhiello, il fiore scelto per lo sposo, e si decise a lasciare finalmente la camera e lo specchio per fiondarsi in giardino. Neanche il tempo di aprire la porta d’ingresso, che il profumo di pioggia gli riempì le narici, e si sfregò le mani soddisfatto dall’atmosfera che lo circondava. Aveva piovuto tutta la notte, e l’erba era ancora umida, ma stava uscendo il debole sole di Febbraio, e si lasciò riscaldare un po’ dai raggi, mentre pensava a cosa doveva fare.  
Si era appena messo a studiare la posizione dei tavoli del rinfresco, quando gli si parò davanti George. Aveva addosso un completo grigio, contrastato dal papillon bordeaux, e nonostante i capelli disordinati e spettinati, era estremamente elegante. Poteva quasi sembrare una persona seria, visto così.
“Macca, abbiamo un problema.”
“Quale?”
“Mustard dice che vuole sedersi accanto alla Rigby anziché vicino alla vecchia Skeeter.”
Paul sospirò rumorosamente, appoggiando le mani ai fianchi e si fermò a riflettere. Questa sì che era bella!  E mandava all’aria tutte le sere passate a pianificare la posizione delle tavolate. Oh, al diavolo, cosa gli diceva John? Non prendere tutto così sul serio, piccolo.
“Va bene, va bene. Lascia che l’amore faccia il suo corso! Se non a San Valentino, quando?” disse, ammiccando stancamente a George.
Il collega sgranò gli occhi e lo fissò con la bocca aperta.
“Ma vuoi dirmi che… Mustard e la Rigby? Il nostro Mustard?”
“No, quello del Cluedo! Certo che parlo del nostro Mustard, George! E ora vai ad avvisarlo prima che sia troppo tardi.”
George batté le mani, applaudendo entusiasta.
“Ma io vado a dire a tutti che quei due stanno assieme!” e saltellò verso gli ospiti.
Mentre Paul osservava la scena e si appuntava il promemoria mentale di sistemare i capelli di George prima dell’inizio della cerimonia, Mike gli capitò alle spalle e gli diede una forte pacca tra le scapole.
“Fratellone, ho contattato gli ospiti mancanti, e arriveranno tra poco meno di dieci minuti.”
“Sì, grazie. Piuttosto, ci sono bicchieri e posate per tutti?”
“Mancavano giusto due coperti,  ma Linda e Ramon mi hanno chiamato stamattina dicendomi che l’aereo non è partito, e non riescono ad esserci, quindi abbiamo risolto il problema.”
Paul annuì lentamente, mordendosi appena il labbro inferiore. Un po’ se l’aspettava e ci sperava, e ringraziò mentalmente la compagnia aerea. Non vedeva l’ex fidanzata da un anno, da quando l’aveva mollata all’altare.
Quel san Valentino lei era partita per la Spagna in viaggio di nozze, e non era più tornata. Per settimane intere aveva dato notizie vaghe su di sé, inventando malattie inesistenti e treni in sciopero, giustificando così la sua continua assenza al lavoro. Dopodiché il preside Epstein era stato costretto a dargli un ultimatum: o sarebbe tornata o l’avrebbe licenziata in tronco. Solo allora Linda aveva trovato il coraggio di spiegare a tutti cosa stava succedendo: qualche giorno dopo il suo arrivo in Spagna, aveva conosciuto un uomo dai capelli corvini e la pelle abbronzata, di cui si era follemente innamorata. Erano bastate un paio di settimane di frequentazione per fargli capire di non voler aspettare oltre, e si erano sposati a piedi nudi sulla spiaggia. E anche se ora la piccola Heather aveva solo qualche mese di vita, la coppia già parlava di dargli un  fratellino o una sorellina il prima possibile.
Insomma, pensò Paul strofinandosi gli occhi, da quella storia ne erano usciti tutti felici. Meno male.
Bizzarro come la sua vita, dopo un anno esatto,  gli proponesse un altro matrimonio.
Ad interrompere il flusso dei suoi pensieri intervenne la voce di un bambino, e senza bisogno di vedere a chi appartenesse, Paul scoppiò a ridere.
“Jules!”
D’istinto lo prese in braccio e lo fece girare un paio di volte in aria, prima di venir raggiunto da Cynthia.
“Paul, finirai con lo stropicciarti il completo solo mezz’ora prima dell’inizio del matrimonio!”
“Sì, scusa Cyn, hai ragione.” Disse, prima di appoggiare a terra Julian e rassettarsi il vestito.
La verità era che difficilmente riusciva a trattenersi quando c’era di mezzo un bambino, ma quando si parlava di Julian, per lui era ancora peggio. Durante quel lungo anno aveva preso l’abitudine di accompagnare sempre più spesso John a Glasgow, e anche se Julian era troppo piccolo per capire che tipo di rapporto legasse Paul al padre, si divertiva a chiamarlo zio, ed era molto affezionato a lui. Inoltre, c’erano voluti dei mesi, ma alla fine anche Cynthia aveva cambiato idea su di lui, e sembrava contenta di vedere l’ex marito così innamorato, per la prima volta nella sua vita.
Certo, per Paul e John era stato imbarazzante doverle raccontare che tipo di legame c’era tra di loro, ma la donna sembrava averlo capito da un pezzo.
Paul si sforzò di tornare al presente e controllò che Julian non si stesse stancando troppo, prima di specchiarsi distrattamente sul vetro della finestra. Dannazione, Cynthia aveva ragione: si era stropicciato lo sparato!
Lo lisciò nervosamente, e mentre si sistemava anche il ciuffo, già arricciatosi nonostante la cera, fu raggiunto da George Martin, il vice-presidente del club di musica classica.
“Allora, cosa devo fare? Non ho mai suonato ad un matrimonio!”
Il professore sospirò rumorosamente. Dio, era la terza volta che gli faceva questa domanda!
“E’ semplice: appena vedi John, fai partire la marcia, ok?”
George annuì distrattamente, e se ne tornò tutto pensieroso alla tastiera, asciugandosi le mani sudate sui pantaloni del completo grigio.
I rintocchi dell’orologio della chiesa riportarono Paul alla realtà: solo mezz’ora lo separava dall’inizio della cerimonia e doveva ancora sistemare i fiori all’occhiello dei testimoni e pettinare George e controllare le posizioni degli invitati, la torta e…
Si fermò, inspirò ed espirò velocemente, cercando di non farsi prendere dal panico.
“E’ solo un matrimonio, dannazione. Sta’ calmo.” Si rimproverò mentalmente, e si morse l’unghia del pollice, prima di cominciare a sistemare le ultime cose.

Quando una vecchia Mini dai colori psichedelici, ricoperta di fiori e campanellini si fermò davanti alla casa di Paul, tutti gli ospiti nel giardino si immobilizzarono. Nel silenzio carico di attesa, si sentiva solo il respiro ansante del futuro sposo. Persino Julian aveva smesso di giocare e canticchiare felice per il giardino, e si era avvicinato alla mamma, stringendole le gambe, in attesa di un qualcosa che non capiva ancora bene.
Paul inspirò a lungo e chiuse gli occhi, cercando di immaginarsi la scena come la stava vivendo John. La Mini si era fermata davanti all’ingresso di casa sua, nel piccolo vialetto di ghiaia. Sceso dalla macchina e chiusa la portiera con un tonfo, si trovava davanti al piccolo cancelletto di legno che portava al giardino sul retro. Una volta aperto, e Paul sperava proprio che il chiavistello non si inceppasse di nuovo, John si sarebbe trovato davanti una stretta scia di petali bianchi che l’avrebbe condotto all’altare, posizionato sotto il piccolo gazebo di ferro battuto. Non che avesse bisogno di seguire la scia, doveva solo proseguire diritto lungo il giardino rettangolare, ma Paul si sentiva che John non avrebbe messo gli occhiali di nuovo per fare il figo e pensava fosse il caso di dargli una mano.
Quando finalmente trovò il coraggio di riaprire gli occhi, Paul lo vide.
A pochi metri da lui, John avanzava lentamente, ridendo divertito e facendo il pagliaccio lungo tutto il tragitto. Si fermò persino a salutare Julian, ricevendo i rimproveri di Cynthia e di alcuni colleghi.
Alla fine, quando sembrò aver fatto pace con se stesso e con la vergogna che provava, John decise di proseguire diritto verso l’altare, e si sistemò accanto a George, salutando con un gran sorriso emozionato Paul.
Il celebrante guardò le due parti, e schiarendosi la gola con un colpo di tosse, cominciò a parlare. Essendo una cerimonia diversa dalle convenzionali, aveva un foglietto preparato per quell’occasione speciale, e lo stringeva tra le mani, stropicciandolo ancora di più.
“Siamo riuniti oggi per officiare l’unione tra due spiriti affini, tra due anime gemelle che si sono ritrovate nonostante i pregiudizi e le incomprensioni delle persone…”
Macca, sei bellissimo oggi!” un sussurro troppo forte fece interrompere il celebrante. Sgranando gli occhi infastidito, si voltò verso John, che di tutta risposta si strinse nelle spalle e fece una linguaccia per stemperare l’imbarazzo.
“Oh, dai, mi è scappato. Proseguite pure.”
Paul intanto rideva sotto i baffi, e quando non riuscì più a trattenersi, si lasciò scappare una risata sguaiata, che fece interrompere di nuovo la cerimonia.
“No, scusate, davvero. Ma è troppo buffo, guardatelo. Lennon, sei rosso come un pomodoro!”
Il celebrante non accettò questa giustificazione, e proseguì con un tono più scocciato e serio di prima.
“Siamo qui dunque per festeggiare ed onorare l’unione tra due fratelli, e se qualcuno è a conoscenza di un motivo per cui questa coppia non debba sposarsi, parli ora o taccia per sempre.”
John ammiccò a Paul e gli fece una smorfia, cercando di farlo ridere mentre il silenzio si faceva pesante. Nessuno sembrava voler dire niente, non c’era nemmeno qualcuno pronto a tossire o un bambino che iniziava a piangere. C’era solo… silenzio.
Paul si tormentò le labbra, e miracolosamente riuscì a trattenersi dal ridere finché il celebrante non ricominciò a parlare.
“Bene. Allora, cominciamo. Vuoi tu, George Harrison, prendere come tua legittima sposa la qui presente Pattie, per amarla, onorarla e rispettarla, anche se sgonfia, con o senza parrucca, in ricchezza e in povertà finché la tua morte, o il suo riciclaggio non vi separi ?”
George annuì, incapace di aprire bocca dall’emozione, e a Paul venne il dubbio che non avesse gli occhi rossi solo per le lacrime, ma scrollò le spalle e si concentrò sulla cerimonia.
“Perfetto. E vuoi tu, Pattie, prendere come tuo legittimo sposo il qui presente George Harrison, per amarlo, soddisfarlo, anche quando sarai sgonfia, con o senza parrucca, finché la sua morte non vi separi, dato che la plastica ci mette quasi mille anni ad essere smaltita?”
Ne seguì un lungo momento di silenzio imbarazzato e divertito, in cui tutti si concentrarono a fissare la bambola gonfiabile vestita da sposa, diritta accanto a John che la teneva in piedi, stringendola tra le proprie mani.
Paul sgranò gli occhi, e fece un rapido cenno al compagno, che si ridestò dal torpore e mosse appena la bambola, di modo che sembrasse annuire alla folla e, soprattutto, a George.
“Per il potere conferitomi da internet vi dichiaro marito e moglie! Puoi baciare la sposa!”
George non se lo fece ripetere due volte, e assaltò la povera bambola, prendendola dalle braccia di John e stringendola in modo possessivo tra le sue. La folla applaudì dapprima timidamente, poi con entusiasmo, e George Martin cominciò a suonare una melodia allegra per accompagnare la fine della cerimonia, mentre alcuni ospiti lanciavano dei petali bianchi sulla coppia.
Dopo qualche minuto di genuina gioia i due freschi sposi, mano nella mano, cominciarono a raggiungere gli amici al tavolo del buffet. Quando il celebrante si raschiò la gola per far sentire la sua vicinanza, Paul sussultò, appoggiandosi mollemente la mano sul petto. Era così perso nei suoi pensieri, fissando divertito la scena, che si era dimenticato di non essere da solo.
“Ti sembrerà assurdo, ma questa non è la cosa più strana che io abbia mai fatto.” Disse l’officiante, sorseggiando lentamente il proprio champagne.
Paul lo osservò, e pensò che fosse un degno amico di George, e chissà da dove l’aveva tirato fuori. I capelli erano lunghi e ricci, gli occhi di un azzurro chiaro, così chiaro da metterti a disagio ogni volta che incrociavi. Certo, era un bell’uomo, alto, dal fisico prestante, ma aveva un’aria da pesce lesso, e tutti, Paul compreso, si erano trovati a domandarsi quale strana ‘tisana’ ci fosse dietro quello sguardo.
“Capisco, Tommy. Ti chiami così, vero?”
“Sì, Tommy. Se vuoi, Paul, ti posso mostrare la cosa più strana che io abbia mai fatto…”
“Cosa…?”
“Macca, tutto bene?” un braccio gli avvolse le spalle, e lo trascinò verso di sé con fare protettivo. Paul non aveva bisogno di voltarsi, aveva già capito chi era al suo fianco. Avrebbe riconosciuto quella voce e quel profumo ovunque.
“Sì, certo, Lennon. Perché?”
Così.” Concluse John, stringendolo un po’ più forte e rivolgendo uno sguardo severo al celebrante.
Paul non capì, ma scrollò le spalle e decise di andare a controllare che tutto al buffet stesse procedendo per il meglio.

Paul si lasciò cadere sulla prima sedia libera, e si guardò attorno. La festa era quasi finita, molti invitati se n’erano già andati. Il sole stava tramontando, e l’aria si stava facendo sempre più gelida, eppure c’era ancora qualcuno che rideva e scherzava, o parlava fitto fitto.
George era ancora scatenato in pista da ballo, stringendo Pattie tra le braccia, e sembrava il ritratto della felicità. Dio, Paul all’inizio gli aveva riso in faccia quando gli aveva raccontato che aveva proposto alla bambola di sposarlo e lei aveva accettato.
Per qualche giorno si era aspettato che uscisse una troupe televisiva e gli dicesse che si trovava su “Candid Camera” o qualcosa del genere. Eppure, quando George gli aveva chiesto una mano per organizzare la cerimonia, Paul si era sentito in dovere di accettare. C’erano volute parecchie settimane per superare il disagio, ma alla fine s’era lasciato prendere dall’entusiasmo e dalla voglia di pianificare un matrimonio e la cosa gli era sfuggita di mano. Così tanto che John l’aveva preso in giro per quasi un mese.
Inutile dire che aveva smesso di ridere alle sue spalle una volta che George gli aveva chiesto di fargli da testimone e di accompagnare la sposa all’altare.
Insomma, nonostante le premesse, era stata una gran bella cerimonia, tutti gli avevano fatto i complimenti, e George sembrava davvero felicissimo, e questo era l’importante.
Paul sospirò, prendendo un lungo sorso di vino, e lasciò che lo riscaldasse un po’. Spostò lo sguardo da Pattie che aveva perso la parrucca durante l’ultimo ballo, a John, che era nello stesso posto da due ore. Non che Paul avesse cronometrato la cosa, ma fatalità l’aveva visto sedersi accanto al preside Epstein subito dopo il pranzo, e John non si era mosso da quella dannata sedia nemmeno durante il taglio della torta, o per salutare Cynthia e Julian. Quei due continuavano a parlare fitto fitto di Dio-solo-sa-cosa, come se fosse la cosa più importante del mondo. Certo, Paul non aveva tempo di stare con John, era impegnato a gestire il matrimonio, ma non gli andava a genio che stessero così vicini, e che Brian toccasse così spesso il braccio di un suo dipendente.
Andiamo, non pensavano a che figuraccia facevano?
Era pieno di professori attorno a loro, chissà cosa avrebbero pensato!
E poi perché lui e John non potevano manifestare in nessun modo il loro rapporto davanti agli altri colleghi, mentre il preside Epstein si sentiva libero di flirtare deliberatamente con un suo dipendente?
Oh, se solo avesse potuto, Paul si sarebbe alzato e sarebbe andato al tavolo di Brian e gli avrebbe fatto un discorsetto a riguardo! L’avrebbe minacciato di tirare in ballo i sindacati, le parità di diritti, e il fatto di non toccare più John in quel modo neanche col pensiero.
Perché… perché era irrispettoso nei confronti dell’insegnante di arte, ovviamente. E poco professionale.
Senza considerare un piccolo dettaglio: John era suo.
Solo suo.
Paul sgranò gli occhi, e ingollò l’ultimo sorso di vino. Si stava davvero immaginando mentre  picchiava il preside Epstein e gli diceva di non toccare più il suo uomo? Aveva decisamente bisogno di altro alcool, e di una bella fetta di torta.
Si avvicinò al tavolo del buffet, e si versò una grossa porzione di dolce, prima di venir circondato da due mani calde e famigliari, che si incrociarono sul suo petto e lo strinsero a sé.
“Mi concede il prossimo ballo?”
“Non lo so, sono molto occupato ora come ora, Lennon.”
“La mangi dopo la torta. Su di me, se vuoi.” Gli sussurrò John all’orecchio, lentamente e con desiderio.
Paul arrossì e appoggiò meccanicamente il piattino di plastica. Anche se erano rimasti ancora pochissimi invitati, e Brian sembrava non essere nei paraggi, dovevano stare attenti. Si sarebbe dovuto liberare dalla presa di John, ma non ci riusciva. Stava troppo bene tra quelle braccia calde e invitanti, e il suo corpo faceva di tutto per manifestarlo.
“Scemo. Torna dal preside Epstein, dato che sembravi trovarti così bene con lui.”
John lo costrinse a girarsi, e si trovarono così a pochi centimetri di distanza, uno di fronte all’altro. Paul, per non dar troppo a vedere il suo fastidio e la sua gelosia, si concentrò su George che danzava ancora come un matto, sudando e dimenando i capelli ricci e crespi.
“Principessa, ti prego, balliamo.”
Paul si fece trascinare lontano dal buffet con apatia e scarso entusiasmo, mentre il dj, rivolgendo un occhiolino vistoso a John, fece partire “Just the way you are” di Billy Joel.
Dio, un lento. Sperava di doversi dimenare e sculettare senza coordinazione per tre minuti e poi scappare via, e invece gli toccava un lento! Strinse le mani di John tra le sue e si lasciò cullare dalla voce suadente di Billy e dal suono del pianoforte in sottofondo.
“Cosa succede, Macca? Non sarai mica geloso, vero?”
“Io? Mai.” Paul sollevò appena il naso, e lo arricciò in un broncio stizzito e altezzoso.
John lo guardò e si morse il labbro, sorridendo vistosamente.  Dio, quanto adorava quando faceva così!
“E’ così invece, sei geloso. Geloso marcio! Ah, Ge-lo-so.”
“Piantala di fare lo stupido. Ero solo preoccupato per la tua integrità morale. Anche se i colleghi ora sanno di noi, non vuoi che ci vedano in certi atteggiamenti, e poi ti metti a flirtare col preside come se niente fosse.”
John di tutta risposta scoppiò a ridere, e lasciò che la testa cadesse sulla spalla di Paul.
“Sei uno stupido geloso, ecco cosa sei.”
“Non sono geloso.”
“Beh, allora sei solo uno stupido. Perché non capisci che se non ti bacio o abbraccio davanti ai colleghi è perché poi non riuscirei più a trattenermi.”, di colpo John abbassò la voce, e con tono basso e sensuale, fece scorrere la mano lungo la schiena del collega, accarezzandola lentamente, “E non possiamo fare certe cose davanti a tutti, vero?”
Paul arrossì di risposta, ma mantenne il broncio indispettito. Non che volesse dargliela vinta, ma un piccolo sorriso cominciò a formarsi sulle sue labbra, e alla fine lasciò che vincesse contro la smorfia contrariata.
Va bene, era stato scoperto. Sapeva perfettamente che John lo trattava con maggiore freddezza al lavoro per proteggerlo dai commenti malevoli e per permettere ad entrambi di non rischiare il ruolo di insegnanti.
D’altronde, non era ancora passato un anno da quando avevano iniziato a frequentarsi, ed erano solo due mesi che i colleghi avevano scoperto la loro relazione.
Oh, il solo ripensare a come se l’era fatto scappare lo faceva morire di vergogna.
I professori del liceo di Campbeltown avevano organizzato una festa di Natale a casa di George, e a causa di un problema di organizzazione, si erano trovati con poco cibo, e decisamente troppo alcool. Allo scattare della mezzanotte avevano aperto lo champagne e preparato il pudding, e ognuno, prendendo la fetta che gli spettava, doveva condividere un piccolo pensiero sul Natale e sui valori di quella festa. Peccato che Paul avesse deciso di prendere possesso del microfono per parlare per primo. E peccato soprattutto che avesse deciso di farlo dopo aver ingurgitato quantità imbarazzanti di alcolici a buon mercato.
Si schiarì la voce, salì sul tavolo e lì si raddrizzò, dandosi una parvenza di sobrietà.
“Il mio desiderio per questo Natale è vedere Lennon vestito da sexy Elvis. E per sexy Elvis, intendo lui nudo con il ciuffo.”
John, l’unico sobrio nella stanza, ricordava perfettamente il silenzio imbarazzante che era seguito a quell’affermazione. Aveva provato a lanciarsi e a rubargli il microfono, ma con scarsi risultati.
Per essere ubriaco, Paul aveva dei riflessi spaventosamente lucidi! Dunque, schiarendosi la gola, dopo aver schivato il compagno, il professore di musica proseguì senza problemi nel suo monologo.
“Sì perché, se qualcuno ancora non lo sapesse, io e Lennon ci diamo dentro come conigli da Marzo. Ma tanto domani non vi ricorderete n…” fortunatamente per John, il discorso fu brutalmente interrotto dal tonfo di Paul contro il pavimento.
Nessuno si preoccupò di aiutarlo, sapevano tutti che in fondo stava benissimo.
L’unico a non ricordare niente il giorno dopo era stato Paul, e John aveva usato quella storia per ricattarlo per molto, molto tempo. Non capitava di frequente che fosse il suo Macca a fare una simile cavolata, e aveva intenzione di usare questa cosa a suo vantaggio per tutto il tempo possibile.
Finite le vacanze però, una volta tornati a scuola, sia John che Paul si erano scontrati con la realtà dei fatti: non era poi così semplice abituarsi ad un ambiente in cui le persone si sentivano libere di giudicarli. Alcuni colleghi avevano fatto non poche battutine a riguardo, ma fortunatamente, passata la sorpresa e la novità, erano stati ben accettati all’interno della scuola, aiutati in parte anche dall’intervento del preside Epstein.
Arrossendo al solo ricordo di quella storiella, Paul si sforzò di tornare alla realtà. Una realtà che lo vedeva stretto all’uomo che amava, mentre ballavano un lento. E sì, va bene, era geloso marcio.
John strusciò il naso nell’incavo del collo di Paul, e un brivido di piacere gli percorse la schiena.
“Sei un dannato bastardo, Lennon.”
“Perché, perché ti amo? O perché ora ti bacio davanti a tutti?”
Oh, non oserai…”
Le labbra di John coprirono quelle di Paul con passione e desiderio, e le sue mani si aggrapparono alla schiena dell’altro con necessità, trascinandolo in una sorta di imbranato casquè, che lasciò Paul senza fiato e senza un briciolo di razionalità.
“Oh sì, decisamente meglio non fare questo davanti ai colleghi.” Disse infine quando recuperò il fiato, indicando con un piccolo cenno il rigonfiamento del cavallo dei pantaloni di entrambi.
“Camera tua, tra cinque minuti?”
“Porta la torta.”
Paul si sistemò i capelli e si sciolse dalla stretta, proprio mentre le ultime note del pianoforte erano ancora nell’aria. Carico di adrenalina ed eccitazione, sentendo su di sé gli sguardi degli ultimi invitati rimasti, preside Epstein incluso, Paul prese al volo la mano di John, che si stava allontanando a lunghi passi veloci e lo riavvicinò al proprio corpo con un movimento rapido e possessivo.
“Dimenticavo! Ti amo anche io, Lennon.”

Paul leccò dal petto di John l’ultima briciolina di torta, e assaporò il gusto dolce e pieno del cioccolato fondente e dei lamponi, misto al sapore salato del compagno.
“Lo sai cosa ti dico?” la voce gli era uscita roca e affannata a causa dell’eccitazione, e questo non fece che peggiorare la già vistosa erezione di John.
“Oh principessa, perché devi sempre parlare così tanto, quando potresti impegnare la tua bocca in modi decisamente più piacevoli?”
Paul roteò gli occhi, sospirando rumorosamente, e ignorò la critica velata, leccandosi dalle dita le ultime briciole di cioccolato.
“Dovremmo proprio comprarci un cane.” Disse alla fine, come se fosse la cosa più seria e importante del mondo.
John lo fissò, e si mordicchiò nervosamente l’unghia del pollice.
“Ma allora ciò significa solo una cosa.”
“E cosa?”
“Che dovrò proprio trasferirmi qui da te. O quel povero cane vivrà per sempre con due genitori separati. E sono certo che tu da solo lo vizieresti troppo.”
Paul fissò il muro davanti a sé senza dire una parola, ma John poteva vedere come la sua espressione si fosse illuminata e uno splendido sorriso si fosse impossessato del suo viso.
“Sai, mi sembra un’ottima idea.”
“E chissà, magari prima o poi ti sposerò pure, Macca.”
Paul scoppiò a ridere, e si sentì arrossire più di quanto avrebbe voluto o dovuto fare. Dunque, con un rapido colpo di tosse, si concentrò per avere un tono di voce il più possibile calmo e freddo.
“Mh, e magari prima o poi ti dirò anche di sì, Lennon.”
Davanti a quella risposta, John scoppiò a ridere e affondò il naso nell’incavo del collo del compagno, mordicchiando appena quel lembo di pelle calda e invitante, prima che Paul ricominciasse a parlare, raschiando appena la gola.

“Basta che non sia a San Valentino”







 

Angolo dell'autrice:
Buonasera a tutti voi, meravigliosi lettori di questa fanfiction. Finalmente siamo arrivati alla fine, eh? Era ora. 
Purtroppo questa storia mi ha visto attraversare un bruttissimo periodo, forse uno dei più duri della mia vita, e in questo ultimo mese la negatività ha colpito anche la scrittura, bloccandomi completamente. Inoltre, purtroppo e per fortuna, ho trovato un nuovo lavoro che mi risucchia l'anima, quindi non ho avuto tempo né di scrivere, né di pubblicare. Ecco perché inizio questo angolo dell'autrice con delle scuse per tutti voi. Innanzitutto per chi ha atteso un mese per leggere sto capitolo schifoso, scusatemi. Delle scuse anche per chi ha recensito e non si è visto dare una risposta, mea culpa. *si flagella* scusate, scusate davvero tanto. Sappiate che se ho scritto sto capitolo, è anche merito vostro. Siete state la mia forza.
Infine, vorrei scusarmi anche con chi ha pubblicato delle storie che seguo ma che non ho più letto né recensito.. promesso, tornerò presente e attiva su Efp, ve lo giuro. Mi perdonate, miei cari lettori? Giovedì è anche il mio compleanno!
Detto questo, spero che questo finale vi sia piaciuto. Mi mancheranno un po' i miei due gay preferiti ;__;
Ma non temete, in cantiere ho un paio di altre storie, che aspettano soltanto che finisca sto periodo di m... ci siamo capiti. 
Mi sto dilungando troppo, passiamo ai ringraziamenti. Grazie a Lucy e Workingclassheroine, per aver recensito e per essere sempre così buone con me anche se non ho tempo di leggere e recensire le loro storie. Siete due tesori, ragazze.
Grazie a Federica, per essere un'amica e per essere sempre presente in questo momento molto difficile per me. Ti voglio bene, mia cara.
E infine un grazie a chi ha permesso a questa storia di esistere, che ha betato ogni capitolo, aspettando pazientemente ogni minimo aggiornamento, e intanto sostenendomi e sopportandomi. Grazie mille di esserci, Kia. Sei una persona straordinaria, mi sento fortunata di essere tua amica e ti voglio bene.
Che altro dire? Grazie a chi ha recensito, aggiunto ai fav o anche solo letto sta storia. Grazie di avermi accompagnato in questo lungo e difficile cammino.
A presto,

Anya.
   
 
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