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Autore: MiyakoAkasawa    28/04/2015    1 recensioni
Adeline è una vampira che di rado cede agli istinti eppure una notte non ha potuto fare a meno di lasciarsi andare. Ed è proprio in questa notte che un casuale e pericoloso incontro le farà cambiare la visione della sua eterna esistenza.
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salvare per sentirsi salvi
 
ADELINE
Sto correndo. È faticoso con queste radici che escono dal terreno e mi intralciano; con la pioggia che batte sul mio viso appannandomi la vista.
È notte fonda e dovrei trovarmi bene in queste condizioni, sono nel mio ambiente. Tre quarti di luna illuminano il cielo ma i suoi raggi sono in parte nascosti dagli alberi che ho intorno. Mi trovo in un bosco, poco distante dalla mia casa e anche se sono a caccia, anche se sono io la predatrice stasera, qualcosa non va come dovrebbe andare.
La mia sete di sangue mi ha spinta ad uscire. È raro che le vecchie abitudini di vampira tornino a galla ma quando arrivano non c’è niente che io possa fare, assumono il pieno controllo della mia mente.
Sono uscita da più di un’ora e l’unica cosa che sono stata in grado di fare è stata quella di staccare la testa ad una lepre: mi sono arrugginita un po’, non riuscivo a trovare l’arteria.
È andato tutto bene ma ora sto correndo chissà da quanto. Non mi sono nemmeno accorta di aver accelerato il passo ma il mio istinto deve aver prevalso sulla coscienza. Il senso di inquietudine mi attanaglia lo stomaco e anche se so che tutto il rumore che sto producendo allontana solo le prede e io ho sete, non posso rallentare. Sto correndo e sento il sangue intorno alla bocca che scivola indietro nel vento e nella pioggia mentre io continuo avanti. Ho i canini sporgenti e gli artigli sfoderati, pronta a combattere e a difendere la mia esistenza.  
Riesco a bloccare il mio corpo e mi fermo appoggiata ad un tronco resinoso di pino. Mi tiro indietro i capelli incollati alle guance e resto in ascolto. Non sento niente, né suoni, né odori. Nemmeno il sesto senso mi rivela qualcosa.
Sono inconsciamente entrata nel territorio delle Ombre e ora sono in pericolo: se una di loro mi dovesse riconoscere non ne uscirei viva. Sono conosciute dalle creature come me come i peggiori esseri notturni. Gli piace collezionare parti del corpo delle persone o di altre creature che osano mettersi contro di loro e, introducendomi nel loro territorio, sono un potenziale pericolo e quindi una potenziale preda. Mi obbligo a riprendere il controllo di me: questi esseri scivolano sinuosi al suolo e sono pressoché invisibili.
Prendo una ricorsa di un paio di metri e salto afferrando un ramo piuttosto resistente che sporge dalla corteccia dell’albero a cui mi sono fermata. Il legno è nervoso e sopporterà bene il mio peso. Mi do lo slancio con le gambe come se fossi su un altalena e mi avvinghio allo stesso ramo. Mi ci accovaccio sopra e comincio a scalare l’albero andando sempre più in cima, dove le Ombre non potranno vedermi e nemmeno percepirmi se io non voglio, ma mi troverei in trappola se mi scoprissero. Sono capaci di aspettare ore ed ore e durante il giorno assumono forma umana, ma è solo un illusione perché sarebbero terribili come nella loro vera forma. Intorno a me ci sono solo altri alberi e i loro rami sono talmente fitti che potrei camminare semplicemente sospesa in aria.
Mi fermo in quel punto e penso a come uscire da quella situazione. Ormai cominciano a filtrare le prime luci del giorno ma poco importa: in tutti questi anni ho imparato a sopportare la luce del sole.
Il bosco è cambiato rispetto a quando ci sono entrata: qui i cespugli sono moltissimi e fitti, di un verde acceso e le foglie sono lunghe e carnose, di rado si vede il suolo. Sono sicura di non essere mai stata in questa parte del bosco, ho sbagliato strada ma mi ci vuole poco a orientarmi con il sole che sta nascendo.
Forse è meglio che torni indietro subito anziché aspettare; potrebbe essere pericoloso e io non voglio guai soprattutto non con loro.
Mi volto indietro quando all’improvviso sento un suono in lontananza. Non capisco la direzione da cui arriva e nemmeno cosa possa essere, mi ha colto di sorpresa. Acuisco i miei sensi e poco dopo succede di nuovo: ora l’ho sentito chiaramente, arriva dalla direzione in cui stavo proseguendo poco fa, avanti tra la vegetazione, sempre più verso le Ombre. È un grido, un urlo emesso da qualcuno con forma umana: non possono essere loro, è ancora presto per la metamorfosi e quindi le risposte possono essere due: o è un’altra creatura che, come me si è persa, ma potrei escluderlo perché che io sappia sono l’unica della zona a parte le Ombre, o è un semplice essere umano non a conoscenza del pericolo che avrebbe potuto correre.
Nel tempo ho imparato a pensare a me stessa e a nessun altro. Non correrò il rischio di farmi ammazzare per un umano.
Scendo dall’albero con un balzo e precipito al suolo accovacciata per non sentire gli effetti del salto sulle gambe e corro per tornare indietro e intanto le urla aumentano sempre di più. Basta, non voglio sentirle, mi rimbombano nella testa e chissà quale effetto potranno avere sulla mia mente. Accelero la corsa ma sono costretta a fermarmi. Ora sento una nuova sensazione dovuta ai miei sensi sempre più all’erta e capisco che non posso più proseguire da questo lato: sono le Ombre che mi stanno venendo incontro. Dannazione!
Sono in trappola e le urla aumentano sempre di più, sempre più ravvicinate, sempre più terrorizzate… mi volto di scatto e corro ancora. Corro come non ho mai corso in vita mia, corro come una dannata che spera di scappare dalla morte. Mi avvicino a quelle urla sempre di più. Mi guardo intorno ma non vedo nessuna figura infatti sono tutti dietro di me. Il terrore mi assale. Ci sono una decina di figure nere che strisciano quasi sospese da terra e si muovono sinuosamente una intorno all’altra senza trovare nessun ostacolo davanti a loro. Sono veloci. Sono impressionanti. La sagoma dei loro corpi è un insieme di ombre addensate le une con le altre, che gli danno un aspetto vischioso come l’inchiostro, e il loro volto ospita la bocca spalancata di chi brama carne, aperta tanto che si può vedere la gola e i denti che formano una corona di punte capaci di sbrindellare come una motosega. E i loro occhi… orbite vuote da cui proviene una luce bianca dalle profondità. Si dice sia l’anima rimasta sepolta sotto il dolore e la sofferenza che hanno provato in vita. Come me, anche le Ombre nascono umane. Solo in un secondo momento subiscono la metamorfosi, e da quel punto sono immortali e sempre affamate.
A quella vista devo convogliare tutte le mie forze nelle gambe per non rimanere paralizzata. Mi volto e inciampo. Mi rialzo subito ma dallo slancio che mi sono data rischio di cadere di nuovo. Salto in avanti e recupero un paio di metri. Adesso è impensabile arrampicarsi sugli alberi, non ne avrei il tempo. Il sudore mi infradicia la schiena e il collo, il mio corpo sembra sempre più pesante e cominciano a mancarmi le forze. Mi serve sangue.
Le urla continuano ma ormai devo aver quasi raggiunto l’umano. Sento altre Ombre che si avvicinano dai lati e perdo distanza ad ogni metro che percorro,  tra poco mi accerchieranno. Altre ancora sono presenti lungo la mia direzione ma ben più lontane e soprattutto già impegnate con qualcun altro. Come mi è saltato in testa di immischiarmi in una cosa del genere proprio non lo capisco: in centinaia di anni che ho viaggiato e vissuto mai mi sono imbattuta in un pericolo così; mi sono sempre tenuta ben lontana dalle altre creature, persino dai miei simili. Non che ce ne siano molti in circolo ultimamente ma nel lontano 1342, quando fui vampirizzata, ne incontravo tutti i giorni a fingersi umani proprio come me.
Vedo qualcosa in lontananza. Una figura sta correndo ma non è un’Ombra, è l’umano. Corre venendomi incontro come un pazzo. I suoi passi sono irregolari e i movimenti delle braccia scomposti.
Sembra non accorgersi di me. Io invece mi accorgo di lui e delle figure che lo inseguono. Ci troviamo nella stessa situazione.
–Ehi!- gli grido.
Comincio a vederne il volto. È solo un ragazzo.
–Piega a destra!-.
Faccio uno scatto in avanti e curvo verso sinistra per prendere la sua stessa direzione. Stiamo correndo come dannati uno di fianco all’altro, quel ragazzo non dimostra più anni di quanti non ne dimostri io.
–Seguimi! - lui fa un accenno. Ha paura anche di me, d’altronde ho zanne e artigli esposti.
Accelero ancora di più e mi preoccupo di controllare che lui mi segua. Le ombre ci stanno ancora dietro e ogni secondo di attesa vogliono sempre di più la nostra carne. Nel frattempo il sottobosco ha assunto un nuovo aspetto e ora c’è più terreno esposto, si riesce a correre meglio, e la vegetazione è sempre più rada.
Il confine del loro territorio non deve essere molto lontano ormai.
–Tra poco ci lasceranno stare!- urlo al ragazzo. L’unica cosa da fare è correre.
Guardo di nuovo indietro e noto che i nostri inseguitori hanno rallentato.
Il ragazzo esclama: -Li stiamo seminando-
-No, a quest’ora ci avrebbero già preso. Siamo usciti dalla loro zona e ci lasceranno stare-.
Il ragazzo mi guarda in silenzio. –Continua a correre- gli dico.
Pian piano rallentiamo anche noi finché non ci fermiamo, stanchi, ai margini di una radura che conosco.
–Possiamo stare qui-
-É sicuro?-
-Sì, qua sì-.
Il ragazzo crolla appoggiando gli avanbracci al terreno bagnato. La pioggia mi fende il viso mentre sciolgo le gambe in fiamme con il naso all’insù, tenendomi la milza dolorante con la mano. Se avessi avuto bisogno di respirare mi sentirei bruciare anche i polmoni. I miei pantaloni sono tutti impantanati dalle ginocchia in giù e i piedi fradici.
Comincio a sentire rabbia nei confronti di quell’umano. Ritiro le zanne prima di fare sciocchezze.
Lo vedo alzarsi, con la coda dell’occhio, e a quel punto mi dirigo verso di lui e lo spintono. Lui cade di nuovo in quella pozzanghera che è il terreno, rovinosamente, inzuppandosi persino i capelli. Mi avvento su di lui immobilizzandolo con il mio peso, gli afferro i polsi e glie li sbatto sopra la testa sul terreno.
–Cosa ti è saltato in mente di fare eh!? Girovagare per i boschi a quest’ora!? Da solo e con la pioggia… se non ti avessi sentito a quest’ora saresti già bello che morto, mangiato vivo da quelle bestie!- gli sputo tutto in faccia senza contegno, lo spavento a morte e lo sento tremare sotto il mio corpo, non so se per il freddo o per la paura.
Solo adesso lo guardo in volto con attenzione: la pelle è bianca come un fazzoletto, potrebbe svenire da un momento all’altro penso, la bocca si muove per catturare più ossigeno possibile dall’aria umida, i suoi occhi castani hanno le pupille dilatate e sul suo naso aquilino è presente un taglio trasversale.
–Vuoi uccidermi anche tu, vero?-.
Gli mostro i canini guardandolo negli occhi, mi avvicino al suo volto ancora di più e poi mi tiro indietro per alzarmi. Il ragazzo fa per alzarsi di nuovo ma gli pianto il piede destro sul petto per bloccarlo. Lui mi guarda con la testa bassa, il suo sguardo sembra un po’ più sicuro ora che mi sono allontanata.
–Adesso vattene da qua- gli dico –E non fare più una cosa del genere, è chiaro?-.
Attendo la sua risposta –Chiaro- dice.
Tolgo il piede dalla sua felpa infangata e lui si alza. È più alto di me di almeno due spanne ma sono io a fargli soggezione, non il contrario.
–Non so uscire dal bosco da questo punto- dice –Avevo campeggiato con degli amici, saranno preoccupati-
-Segui il sole e uscirai-
-E se tornano quelle cose?-
-Le Ombre? Non è il loro territorio, ti hanno attaccato proprio per questo, perché avevi invaso la loro zona-.
Comincio ad incamminarmi nel bosco per tornare a casa mia ma il ragazzo mi segue. Ormai ho finito con la caccia per questa notte ma lui non sta prendendo la strada che gli ho indicato: -Non ti ho detto di seguirmi-
-Ho paura-
-E non hai paura di me?- mi volto e lo guardo.
–Certo che ho paura, ma ne avrei di più stando da solo-.
Lo guardo, sono parecchio infastidita, ma cerco di tenermi questo pensiero per me. Al posto suo anche io avrei paura.
–Seguimi-.
Mi giro e riprendo a camminare e sento i suoi passi pesanti dietro i miei. Mi tiene a distanza e preferisco così.
Il sole sorge in cielo velocemente e gli uccellini cantano già da almeno un ora. La pioggia man mano diminuisce e noi ci avviciniamo alla vita reale della periferia della città.
–Tu chi sei?- mi chiede.
–Sii più specifico, che vuoi sapere esattamente?-.
Il ragazzo rimane muto un attimo, non si aspettava questa risposta. –Come ti chiami?-
-Adeline- gli dico.
–Ok-.
Non è a suo agio chiaramente.
–Io mi chiamo Myles, invece-.
Ok si chiama Myles ma non mi interessa e non continuo la conversazione.
Lui parla ancora: –Cosa sei?-
-Intendi i denti e gli artigli?-
-Sì-
-Sono un vampiro-.
I suoi piedi si bloccano e io lo guardo: -Muoviti-.
Riprendiamo a camminare stando in silenzio finché non arriviamo al sentiero da prendere per uscire dal bosco.
–Dove siamo?- mi chiede.
Io in questo momento sono immersa nei miei pensieri. Penso a ciò che è successo poche ore prima, penso al fatto che ho mangiato poco e ora mi sento debole. Ho bisogno di nutrirmi e devo tornare a casa il prima possibile, non posso mettermi a mordere la gente comune. Sarebbe nella mia natura farlo, è vero, ma non lo è dal mio punto di vista umano che da secoli cerco di mantenere integro.
–Siamo fuori dalla periferia. Il centro è da quella parte- gli indico un punto verso nord.
-Tu che farai?-.
Arriviamo al limitare del bosco. Davanti a noi si apre un praticello pieno di erbacce alte e oltre una strada secondaria asfaltata. Attraversiamo il prato senza fare molto caso al fatto che sia bagnato tanto siamo già zuppi, e saliamo in strada. È tutto deserto, non c’è nessuno intorno.
Non gli ho ancora risposto quindi mi ripete la domanda: -Tu cosa fai ora?-
-Vado a casa mia, da sola-.
Lo guardo con occhi duri e me ne vado lasciandolo lì ma pochi secondi dopo mi viene in mente un dettaglio che mi era sfuggito fino a quel momento. Non mi sono mai trovata nei guai con le Ombre e non mi sono mai dovuta rivedere da loro. Non che mi importi molto della sorte di quel ragazzo, come si chiamava, Myles, ma se le ombre lo avevano segnato, non avrebbe più vissuto libero e sereno.
Non so perché lo faccio ma mi fermo, mi giro verso di lui, che nel frattempo si è incamminato nell’altra direzione, e gli urlo: -Myles, sei stato toccato? Dalle ombre?-
-In che senso?-.
Mi innervosisce.
–Sono riusciti a raggiungerti e a toccarti fisicamente?-.
Vedo che ci sta pensando e il fatto di sapere che sta rivivendo ogni momento passato in quel bosco mi fa sentire a disagio per lui.
-Sì- dice alla fine.
È proprio ciò che temevo. Immagino quelle orribili creature dannargli l’esistenza, rincorrerlo finché non lo avranno. Non avrà scampo.
Lo guardo con occhi tristi. Io so tutto mentre lui, il diretto interessato, non sa proprio niente di ciò che lo aspetta. Non conosce la verità, non sa che questo è un mondo pericoloso, non sa che gli esseri umani non sono gli unici a popolarlo.
–Cosa succede?- grida allarmato.
Il suo petto di alza e si abbassa a caccia di respiri mentre io lo guardo con occhi vuoti. Si avvicina di corsa e io mi riprendo.
È a neanche un metro da me quando me lo richiede con tono più autoritario: -Dimmi cosa succede! Perché mi hai chiesto se le ombre mi avessero toccato? Parla-.
Sembra che i nostri ruoli si siano invertiti e io mi sento uno schifo per come l’ho trattato poco fa. Non so il motivo ma mi sento investita da decine di sentimenti e sensazioni. Mi dispiace per ciò che gli è successo e vorrei che non fosse mai accaduto. Il pensiero che forse avrei preferito non sentire quelle urla mi da il voltastomaco, sono un mostro. Ora sento il bisogno di aiutarlo ma nel frattempo lo odio per avermi messo in mezzo a questa storia. Le Ombre non mi hanno toccata, eppure sento che mi staranno col fiato sul collo se aiuterò lui.
–Dimmelo!- Myles mi urla in faccia mi prende le spalle e mi riscuote dai miei pensieri.
–Se le ombre ti toccano ti seguiranno ovunque tu andrai. Ora gli appartieni, la tua carne gli appartiene, e non ti lasceranno in pace finché non l’avranno presa-.
Lui si allontana da me, mi lascia le spalle e mi guarda. Sta entrando nel panico e io non so come calmarlo.
Nel corso del tempo sono riuscita a collezionare alcuni libri scritti da vampiri, mannari e altri che trattano anche delle Ombre.
–Vieni- gli dico.
Lo afferro per un polso mentre ancora sbraita per ciò che ha saputo. Non immagino come debba sentirsi in questo momento. Non so se sia la scelta migliore ma devo aiutarlo, ormai è venuto a conoscenza del vero mondo che lo circonda.
Non sono del tutto sicura di ciò che posso fare per salvarlo o per lo meno proteggerlo. Perché mi sono cacciata in questa situazione? Penso arrabbiata con me stessa più che con lui. Vivo da molti anni e non ho quasi mai voluto legarmi a nessuno, io non sono umana e soprattutto io vivrò per sempre mentre tutti gli altri, be… muoiono. Sono sempre esistita pensando ai fatti miei senza immischiarmi troppo tra gli umani, giusto il necessario, e nemmeno con altri vampiri: siamo in pochi ormai e ancora meno sono quelli che, come me, si rifiutano di cedere agli istinti e hanno deciso di vivere il più similmente possibile agli umani. I licantropo sono altrettanto selvatici e si riuniscono in branchi: per loro nient’altro conta se non fare fuori chi gli occupa il territorio e chi se la prende con loro. Tutte le altre creature sono così terribili che tremo al solo pensiero. Un esempio sono le Ombre di stanotte. Quindi non so come mai ho deciso di aiutare questo ragazzo: vivere per l’eternità è terribile eppure ho paura di morire, forse perché so di non avere più un’anima, ma io ho vissuto davvero troppo mentre lui, che ha già una vita relativamente corta se anche morisse a cent’anni, figurarsi se accadesse ora che ne ha venti se va bene. E in quel modo per giunta. Non me lo perdonerei mai.
Sto ancora tirandomi dietro Myles quando mi chiede dove lo sto portando.
–Sei in pericolo- gli dico –L’unica possibilità che hai di sopravvivere è che io ti protegga, per quanto ne sia capace, contro quelle… cose-.
Il ragazzo si blocca improvvisamente e io sono costretta a fare lo stesso: è quasi più forte di me ora.
Mi giro e lo guardo mentre apre la bocca per parlare: –Ora mi spieghi tutto, fin dall’inizio. Mi dirai cosa hai intenzione di fare. Mi dirai chi sei esattamente, cos’erano quei mostri e dove stiamo andando, o io non mi muovo di qui-.
Gli umani sono così ottusi! Penso. Lui è perfino arrabbiato adesso, oltre che terrorizzato, ma io non posso stare troppo tempo qui all’aperto con la luce del sole sul viso: sono troppo debole e affamata per sopportare sia la luce sia l’inebriante odore del sangue che il ragazzo emana e quindi anche per sopprimere l’istinto di saltargli addosso e affondare i canini nel suo collo e nutrirmi del suo sangue caldo e pulsante… mi riscuoto dai pensieri.
Myles sembra quasi imbarazzato, probabilmente lo stavo fissando con troppo insistenza e lo stavo spaventando.
–Stiamo andando a casa mia, il tuo comportamento insensato mi ha fatto perdere la possibilità di nutrirmi e io ho molta fame- lo guardo con cattiveria e gli urlo in faccia –Quindi se non vuoi che ti uccida io, adesso, prima che lo facciano le Ombre, muovi quel culo e seguimi-.
Myles rimane sbalordito ma se lo è meritato, però poi risponde: –Come faccio a sapere che non mi ucciderai dopo?-.
Prima di scoppiare mi calmo e gli dico: –Bene allora, fa come vuoi- mi giro e me ne vado.
La buona intenzione di salvarlo c’è, ma se lui vuole così tanto morire che si accomodi pure, io non lo prego di seguirmi.
Il mio passo è veloce e mi rendo contro che, anche senza bisogno di respirare, sto ansimando, con lo stomaco in preda ai crampi, la testa che scoppia, le orecchie che fischiano. Morirò di fame a causa di un umano suicida, ma che bella giornata.
Dopo pochi istanti sento i suoi passi veloci dietro di me e la sua presenza, il suo odore… mi sforzo di resistere, di tenere i canini ritirati ma è difficile. Ho già ceduto stanotte e non lo rifarò di nuovo…
-Ti senti bene?-. Le sue parole sono urla nelle mie orecchie.
Sento la sua mano sulla mia spalla e quel tocco sembra scottarmi la pelle sotto i vestiti… sangue umano.
–Lasciami!-  gli grido in faccia spaventandolo.
Lui si ritira di colpo, sul viso l’orrore dipinto.
–I tuoi occhi…- sussurra.
I denti si erano sfoderati così come gli artigli e immagino che i miei occhi siano diventati dorati, e le vene azzurre sotto di essi pronunciate.
–Vattene!- gli dico ma cedo all’istinto ancor prima che lui possa fare un passo indietro e mi avvento su di lui.
Cade e io lo seguo sopra al suo corpo. Lo sento dimenarsi e urlare e cercare di colpirmi ma io sono forte e gli immobilizzo le mani sopra la testa come avevo fatto poco prima nel bosco. Il suo cuore batte velocemente dentro la cassa toracica, così forte che sento le vibrazioni prodotte riverberarmi in ogni osso. Le vene dei polsi pulsano violentemente e sto per addentargli il collo quando il mio sguardo, un attimo più lucido, si sofferma sui suoi occhi. Spalancati, terrorizzati, rassegnati.
No.
Di colpo lo lascio andare e gli rotolo di fianco mentre lui si alza e si allontana dal mostro che sono. Perché non scappa? Sarebbe la cosa più ragionevole da fare da parte sua. Da parte mia, invece, mi sento male anche dentro ora; forse ce l’ho un’anima allora.
Mi metto seduta e la testa mi scivola tra le braccia. Myles si muove ma verso la mia direzione e proprio quando sollevo lo sguardo lo vedo accovacciarsi di fronte a me. Il mio aspetto dovrebbe spaventarlo eppure ho la sensazione di non essere proprio così spaventosa, piuttosto sono vulnerabile.
–Quanto abiti lontano?-
-Non molto-
-Allora forza, alzati-.
Quella sicurezza mi stupisce ma riesco ad alzarmi solo con l’aiuto delle sue braccia.
–Si vede che stai male, spaventosità vampiresca a parte-
-Quindi non vuoi scappare a gambe levate urlando come una ragazzina?- lo scherno.
–Per quanto tu mi abbia quasi morso, mi hai anche salvato prima-
-L’hai capito allora-.
Camminiamo in silenzio. Io gli indico la strada mentre mi sorregge con un braccio. Sono riuscita a calmarmi, ma non molto, e mi sembra di perdere e riacquistare i sensi ogni tre passi che facciamo.
 
MYLES
Siamo entrambi davanti alla porta dell’appartamento e ancora sorreggo la ragazza vampira. Perde un po’ di lucidità ogni secondo che passa.
Entriamo e la vedo fiondarsi al frigorifero della cucina, prendere una sacca di sangue e berla con avidità. È uno spettacolo disgustoso ma penso all’effetto rinvigorente che deve darle: il suo viso passa dall’essere giallognolo all’essere bianco come quello di un qualsiasi cadavere, le vene azzurre sotto gli occhi e sul collo sembrano battere per un istante e poi scomparire sotto la pelle, i suoi occhi marroni si illuminano di luce e acquistano la stessa sfumatura dorata che avevano prima, quando aveva cercato di aggredirmi. No, non è solo una sfumatura: le iridi assumono davvero il colore dell’oro che riflette la luce, affascinante ma spaventoso.
La sacca è stata svuotata e i suoi occhi tornano alla normalità poco dopo, anche i canini si ritirano. Tira fuori un’altra sacca dal frigorifero, non di nuovo, penso, ma poi la lascia nel lavandino. Forse troppo freddo non ha un buon sapore nemmeno per lei.
Siamo entrambi conciati male: non oso immaginare l’aspetto che devo avere, sarà come il suo, cioè bagnato fradicio e ricoperto di fango dalla testa e i piedi, faccia e capelli compresi. Sono stanchissimo eppure i miei nervi e i miei muscoli sono tesi.
Non so se sia in grado di fiutare l’odore della paura, ma se fosse in grado di farlo, il mio sarebbe molto, ma molto forte. Non ho creduto al fatto che fosse una vampira finché non mi ha scaraventato a terra con una forza sovrumana e mi ha quasi morso: sentivo il suo corpo sul mio fremere mentre pregustava il sangue che mi scorre in corpo. Pensavo di essere spacciato e, per quanto terrorizzato io fossi, sapevo che non potevo fare niente per evitare quella fine finché non ho visto i suoi occhi puntati sui miei perdere per un secondo quella luce dorata e sentirla togliersi da sopra di me.
E ora siamo qui, nel salotto del suo appartamento. A prima vista una casa qualsiasi piena di libri sulle mensole, un divano dall’aria comoda, un tavolo con due sedie, una tv un po’ vecchia… tutto normale finché non apri il frigorifero.
–Hai un po’ di…- mi trema la voce e le indico la bocca.
La vedo fiondarsi al bagno, probabilmente davanti allo specchio per pulirsi il residuo di sangue fresco che le sporca le labbra. Sento l’acqua scorrere poi torna in soggiorno con il viso completamente pulito: è mostruosa ma anche molto bella, con i capelli neri come la notte lunghi fino alle spalle e le labbra naturalmente rosse.
–Così è meglio- mi dice e apre le tende lasciando che la luce entri nella stanza.
Ho molte domande da farle ma prima di avere il tempo di aprire bocca mi dice: -Vai a farti una doccia, puzzi- che gentile.
–Tu stai bene?-
-Ora sì… tu?-
-Be insomma, è una situazione particolare-.
Non mi risponde e capisco che non è il momento di affrontare il discorso.
Sembra piuttosto infastidita dalla mia presenza e la posso capire e infatti la vedo sparire in un'altra stanza. Torna poco dopo con dei vestiti e me li porge: –Il bagno è quello-.
Vado e chiudo la porta, butto i miei vestiti nel lavandino e apro l’acqua della doccia. Ha ragione, mi porto dietro un bruttissimo odore, forse è l’odore di quelle creature nel bosco. Reprimo un brivido.
–Cosa si fa adesso?- le chiedo dal bagno.
Non ricevo nessuna risposta eppure deve avermi sentito.
Il bagno è piccolo e accogliente e l’acqua calda toglie tutto il freddo che mi si era attaccato alle ossa. Sono in una bruttissima situazione, penso. Non mi fido di lei eppure mi ha salvato e non mi ha fatto del male quando poteva, anche se c’è mancato poco. Non intende ferirmi ma è come una bomba a orologeria: potrebbe scoppiare in qualsiasi momento, l’unico modo per evitarlo è avere quel sangue nel frigorifero. E quelle cose che mi inseguivano… volevo solo fare quattro passi e mi sono ritrovato con quelle cose che mi correvano dietro. Appena le ho viste ho sentito freddo e le paure più primordiali insinuarmisi sotto la pelle.
Il mio primo e unico istinto è stato quello di scappare e così ho fatto finché non ho sentito qualcuno di fronte a me chiamarmi. Era umana, o almeno così mi era parso, e quindi mi ero legato alle sue parole e alle sue istruzioni.
La sua voce mi riscuote dai pensieri: -Riacquistiamo un aspetto decente e facciamo colazione, poi mi dici per filo e per segno cosa è successo. Dobbiamo trovare una soluzione per salvarti la pelle-.
Mi vesto –pantaloni della tuta un po’ corti e una maglietta bianca a maniche corte, sono ridicolo- ed esco dal bagno.
Adeline sta prendendo una serie di ingredienti da vari mobiletti della cucina e appena mi vede mi chiede: -Preferisci una normale colazione oppure all’inglese?-.
Ha forse capito che sono inglese solo dal nome?
Come se mi avesse letto nel pensiero continua: -Lo so che non sei italiano. Anche io sono di origine anglosassone quindi prepara anche per me quello che più preferisci, a me va bene tutto- e sparisce in bagno.
Sul tavolo ci sono padelle, tazze, uova, farina e altre cose per farmi caffè e pancake. Come fa a mangiare del normale cibo anche lei? Vabbè, io preparo.
Dopo dieci minuti mi raggiunge e prepara la tavola: i suoi movimenti sono fluidi, veloci e silenziosi, sembra una danza, affascinante e letale come una pantera, con il suo fisico asciutto e minuto. Ora che ha tolto gli stivali si è abbassata di qualcosa come dieci centimetri e non posso fare a meno di chiedermi divertito come abbia fatto a correre nel bosco con i tacchi. Nonostante questo rimane sempre affascinante come una predatrice.
–Ottima scelta- mi dice di fronte alla colazione.
–Ma tu mangi?-
-Sì, sto forse un po’ male ma il cibo mi piace- non posso fare a meno di sorridere.
Finiamo la colazione; è ora di cominciare a parlare.
–Allora, spiegami tutto dal principio- fissa i suoi occhi nei miei.
Mi fa sentire male rivivere tutto, ma se davvero sono ancora in pericolo, allora dirò ogni cosa.
–Ero in campeggio con alcuni amici, ne abbiamo approfittato finché c’è ancora bel tempo…- già mi si è seccata la gola -Ho deciso di camminare un po’ perché non riuscivo a dormire e di colpo ho sentito freddo e paura…- lo sguardo di Adeline era serio e attento -Poi ho sentito dei rumori, rami scricchiolare dietro di me, così mi sono voltato ma non ho visto niente, ma poi mi sono sentito toccare la caviglia e la pelle ha cominciato a bruciarmi come se fosse immersa nelle fiamme. Così ho corso, più veloce che potevo. Mi sono voltato e li ho visti e non ho potuto fare a meno di urlare-.
Sto tremando. Devo calmarmi, dannazione!
Adeline risponde: -I tuoi amici sono in pericolo, sempre che non siano già morti-.
Credo di stare per svenire, mi si appanna la vista.
–Andrò il prima possibile a controllare, ma non ti prometto niente, mi dispiace-.
Cerco di alzarmi ma il mio corpo è pesante e mi sembra di cadere. Nemmeno me ne accorgo e la ragazza è già al mio fianco a sorreggermi. Sembra così umana. Mi accompagna al divano e mi metto seduto, le mani sul viso, disperato. Se fossero morti?  Non potrei perdonarmelo.
Adeline si accovaccia di fronte a  me e mi scosta le mani dal viso: le sue sono fredde e callose ma lisce e ferme.
–Senti- mi dice –Ora andrò a cercarli e li troverò, vivi…- si interruppe -O morti che siano. Mi dispiace ma devi considerare anche quella possibilità-.
Si alza e si allontana.
–Voglio venire con te-
-Non se ne parla-.
Sento una coperta posarsi sulle mie spalle: –É troppo pericoloso, approfittane per riposarti, appena torno ti sveglio. E non scappare-.
La guardo dal basso: –Non so nemmeno dove mi trovo- dico sconsolato.
–Meglio così, e ora dormi-.
Si rimette i suoi stivali ed esce lasciandomi solo.
È diventata d’un tratto gentile: doccia e cibo fanno miracoli perfino per i vampiri. Ma ora mi sento solo e preoccupato per i miei amici, come farei a dormire?
Non posso fare altro che aspettare e ringraziarla mentalmente per avermi salvato e per essere andata a cercare anche i miei amici che, forse, non rivedrò mai più.
 
ADELINE
Torno nel bosco, nel luogo in cui ho trovato Myles. Sono consapevole di essere ancora in pericolo ma, ora che so che questo è territorio delle Ombre, starò più in guardia.
Sfodero artigli e canini e cammino silenziosa acquattata al suolo. Inibisco la mia presenza e la blocco all’interno del corpo, acuisco vista e olfatto per seguire a ritroso il percorso di Myles e stare allerta nel caso in cui tornassero quelle creature.
Piove ancora e mi sto impantanando di nuovo ma l’odore del sangue e della paura è più forte dell’odore della pioggia e del bosco. Di nuovo mi maledico per essermi offerta di cercare quegli umani, ma c’è qualcosa in quel ragazzo che mi spinge ad aiutarlo: me lo dice l’istinto. Devo aiutarlo ma non so perché. Spero solo di non cascare in sentimenti troppo umani: sarebbero pericolosi, forse più delle Ombre.
Non sento pericoli nei dintorni: ci sono dei piccoli animali, li sento dall’odore e ne ho visti un paio ma delle tende da campeggio ancora niente.
Cammino per altri due minuti e mi giunge al naso uno strano odore, non mi piace, sa di putrefazione, e già capisco cosa significa. Lo seguo finché non vedo le tende e il mare di sangue e membra umane sparse sulla terra, schizzate sulle pareti di tessuto, su tutti quegli oggetti da campo che di solito ci si porta dietro, intorno ad un piccolo falò improvvisato. È uno spettacolo raccapricciante perfino per me.
Resto nascosta nella vegetazione finché non sono sicura che nessuno sia arrivato prima di me o che non ci siano ancora quei mostri in giro e poi mi alzo per controllare più da vicino quello scempio. Cammino ai margini del campo dovendomi tenere una mano sul naso per non vomitare dall’odore che impesta l’aria, potrei avvicinarmi ma sarebbe inutile: non sento la presenza di nemmeno una vita, sono tutti morti. Non riesco nemmeno a contare quanti siano perché ogni corpo è stato fatto a pezzi e mangiato in varie parti. Scommetto che alcuni arti od organi siano addirittura stati recuperati come trofei, è il modo di fare delle Ombre.
Se potessi piangere liberamente, lo farei, ho un groppo in gola che non intende scendere, ma piangerei solamente sangue quindi cerco di trattenermi per non sprecarlo, anche se è un pensiero disumano.
Non posso fare più niente qui, anzi, è meglio se mi allontano subito perché potrebbero tornare a finire il lavoro, a finire il pasto: in qualsiasi modo lo si pensa è disgustoso.
Penso a come reagirà Myles quando glie lo dovrò dire; si sentirà distrutto. Eppure è stato così fortunato da essere ancora vivo, per ora. Devo salvarlo assolutamente, almeno una persona.
Non ho mai sopportato i gesti delle creature non-umane contro le altre razze: tutti cercano di uccidersi e di farsi male a vicenda, ma io non ci trovo niente di giusto e nemmeno di corretto in quanto, si sa, gli umani sono i più deboli e sono quindi quelli che vengono maggiormente presi di mira.
Devo tornare a casa.
 
MYLES
-Myles, svegliati- qualcuno mi scuote con delicatezza e mi riporta alla realtà.
Adeline è di fronte a me, con il viso all’altezza del mio, e sta piangendo. Sangue.
–Cosa succede?- dico allarmato.
–Ti sei addormentato- risponde lei asciugandosi gli occhi con il dorso della mano che le si macchia di rosso –Myles, mi dispiace…- ha la voce strozzata.
Mi metto a sedere sul divano e lei fa lo stesso. Temo che possa essere accaduto qualcosa di orribile. Sento il cuore palpitarmi a ritmo irregolare nel petto, so già cosa mi dirà.
Adeline raccoglie il fiato di cui non ha bisogno e lo dice: -Sono tutti morti-.
Un brivido mi percorre da capo a piedi e comincio a tremare violentemente. Come è potuto accadere? Doveva essere una semplice notte passata fuori! E ora i miei amici non ci sono più. Le lacrime scorrono da sole.
Mi alzo e vado alla finestra, cerco di mantenere un minimo di contegno ma è inutile. Scivolo lungo il muro e mi ritrovo seduto per terra senza rendermi conto di averlo fatto. Fisso il pavimento e ascolto il silenzio, senza accorgermi del passare del tempo.
–Non stare lì sul pavimento che ti congeli, vieni-.
Sento che mi solleva da terra e mi riporta sul divano. Devo essere forte.
Smetto di piangere ma mi sento svuotato, completamente, risucchiato di ogni sentimento. Mi sdraio sul divano guidato dalle braccia di Adeline, la stessa coperta di prima mi viene stesa addosso, una mano mi tocca i capelli e il viso e poi non sento più nulla.
 
Mi sveglio di nuovo con il sole del pomeriggio negli occhi. Ho freddo, ma credo sia dovuto più a ciò che è successo piuttosto che alla reale temperatura dell’appartamento.
Non ho voglia di stare ancora qua disteso a fare niente così mi alzo.
–Ben svegliato-.
La voce della vampira mi giunge da dietro: sta consultando un librone aperto sul tavolo. Mi avvicino e noto che è molto vecchio, rilegato in pelle e con le pagine impolverate e ingiallite dal tempo. Alcune parole sono così sbiadite da non essere più leggibili e alcune cinghie sono legate alla copertina e al retro per tenerlo chiuso.
–Che cos’è?- le chiedo.
–É un libro che parla di molte delle creature che esistono in questo mondo, umani e Ombre compresi-.
Non distoglie l’attenzione dal libro nemmeno un attimo, sembra aver paura a guardarmi in faccia.
No, non paura. Il suo viso, nascosto, era pieno di dolore. Stava davvero piangendo prima? Non me lo ero immaginato? Perché piangere se è solo un vampiro? Che ne sa lei dei sentimenti? Forse ne sapeva eccome. D’un tratto capisco.
–Ehi, guardami- il suo viso si alza e due occhi spenti e stanchi si fissano nei miei.
–Non avresti potuto fare niente per loro, avrebbero ucciso anche te-
-E se anche lo avessero fatto?- non mi aspettavo una risposta del genere.
Lo disse in tono brusco e capii che voleva essere lasciata in pace per quanto riguardava quell’argomento.
–Cosa stai cercando?-.
Con gli occhi di nuovo fissi sul libro mi dice: -Cerco un modo per toglierti di dosso la traccia lasciata dalle Ombre ma non sto trovando niente, dannazione!-.
Intimorito dico: -Non c’è bisogno di arrabbiarsi così tanto-
-Ah no? Quindi ciò che quelle cose hanno fatto a te e ai tuoi amici è giusto? Non avevano il diritto di farlo, non erano nemmeno minacciati!- smise di urlare –L’unica cosa che posso fare ora è aiutare te-
-Ma perché lo stai facendo? Perché mi stai aiutando?-.
Seguì un attimo di silenzio poi mi guardò: –Sono nata nel 1342 e sono stata trasformata in vampiro a 20 anni, nel 1362. Da allora ho vissuto quasi sempre da sola, facendomi i fatti miei o comunque mai niente di buono, mai niente di importante. Non posso continuare così. Ho addosso una maledizione che mi farà vivere in eterno e diversa da come ero in origine, quindi se c’è qualcuno che può e che deve fare qualcosa di buono, visto il tanto tempo che ha da vivere, quella sono io. Non importa se vivrò altri 100 anni o altri 1000, per me sono sempre troppi, ma non voglio buttare via tutto questo tempo. Sto cercando di riscattare la mia esistenza, lasciarmi dietro qualcosa di positivo, qualcosa di buono. Credo sia l’unico modo per non sentirmi tanto vuota-.
Quella rivelazione mi lasciò senza parole e capii tutto il dolore che doveva aver provato, quella ragazza che appariva ventenne ma che nascondeva 672 anni di vita ed esperienze, in un corpo la cui anime le era stata rubata e bruciata. Una dannata in terra. E capii anche perché aveva deciso di vivere il più similmente possibile agli umani, abituandosi alla luce del sole sulla pelle, al cibo nello stomaco che non le avrebbe mai dato energia, a un cuore che non batteva più: era una persona buona, o comunque, era tornata ad essere buona nonostante ciò che le avevano fatto.
La guardo negli occhi, colmi di emozioni. Mi avvicino e la abbraccio.
La sento sussultare nella mia stretta ma non la lascio andare; le accarezzo i capelli e poco dopo sento che quell’attimo di esitazione sparisce e ricambia. Le sue braccia sulla mia schiena sono delicate ma ben salde e il suo viso si appoggia sul mio petto, in ascolto di quel suono che da tanto non può udire dentro di sé. Non ho intenzione di lasciare che resti ancora da sola, ma poi, lentamente, alza il viso e scioglie l’abbraccio, allontanandosi da me.

 
  
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