Foglie. Un parco giochi scricchiolante e malandato di periferia, piove.
Piove perché è una dannatissima bigia giornata inglese, ma per quel che ti concerne potrebbe splendere il sole o scatenarsi un ciclone senza che tali mutamenti incidano sullo stato del tuo pomo d’Adamo, che pulsa ostinato nella gola stretta in triplo nodo. Peter ha messo su un’espressione funerea, le labbra sottili preda di tremiti inconsulti, e si guarda nervosamente attorno, muto. Pupille guizzanti, le sue, rapide scure sfuggenti come anguille che svicolano nel fango. Detesti quei sospiri – breve, lungo, breve – intermittenti come un nebbioso codice Morse che lascia addensare sulle vostre teste una cappa opprimente di mancati tic-tic. Vorresti dirglielo – li odi, che li odi, che ti fanno proprio ammattire quegli ansiti convulsi e inconcludenti.
Ma il nodo stringe, stringe e le parole che stenti ad attribuirti persino nel pensiero agonizzano là, in gola, pronte a morire per asfissia. Mo-ri-re, ripetilo. Morti con i loro sorrisi i loro occhi. Tra-di-re, come si fa? Non un cadavere da piangere, non – è quasi una risata sorda – un cazzo di niente. Piove.