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Autore: Eruanne    29/04/2015    4 recensioni
Un negozio di stoffe, una canzone straniera alla radio e una giovane commessa dal vestito rosso attendono Steve Rogers, portandolo a riconsiderare la decisione di respingere l'amore. Perché chi mai accetterebbe di ballare con uno a cui pesterebbero i piedi?
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Nuovo personaggio, Steve Rogers
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Mallow's



Il negozio era troppo tranquillo. Niente signore dai costosi cappelli sulla pettinatura fresca di bigodini, né scialli colorati a coprire un collo adornato da un semplice filo di perle bianche. Eppure era pomeriggio inoltrato di un normale sabato; davvero, proprio non riusciva a spiegarsi dove si trovassero le donne di Brooklyn.

Girò la manopola del volume, così che la canzone le facesse un poco di compagnia; lo swing allegro la portò a sorridere e a muovere qualche passettino di danza fino allo scaffale, dove si allungò per rimettere la scatola di cartone al posto che le apparteneva.

Tre voci di donne l'accompagnarono mentre finiva di rimettere a posto la merce pronta per essere consegnata alle clienti, là nello stretto sgabuzzino fungente da magazzino.


Tonda nel ciel di maggio
come un formaggio d'Olanda
monta la luna in viaggio
ed il suo raggio ci manda

Erano davvero brave, pensò, inciampando appena in un libro – certamente caduto senza intenzione perché mai avrebbe compiuto un simile atto ignobile. Lo aggirò con cautela e, per fortuna, non ci furono altri ostacoli ad impedirle di stipare il grosso scatolone in un angolino ancora libero. Ora ne mancavano altri quattro da sistemare e poi avrebbe potuto tornare alla sua lettura, sempre che non si fosse presentato qualcuno alla porta.


Odi i fior parlar tra lor
parlano tra loro i tuli
tuli tuli tulipan
muoveranno in coro i tuli
tuli tuli tulipan
odi il canto delizioso
nell'incanto sospiroso

Nonostante fosse una rivisitazione della più celebre Tu-li-tulip Time, delle altrettanto famose Andrews Sisters, dovette ammettere di preferire questa versione italiana. Le piaceva la musicalità di quella lingua sconosciuta, le metteva allegria a dispetto della sua totale incapacità di comprendere il testo.

Senza volerlo, si ritrovò a canticchiare sbagliando tutte le parole e gli accenti alternando strofe americane in un quadro molto strano a sentirsi.

Fu in quel momento – nel quale lei era nel retrobottega e di spalle, la voce e la musica a coprire lo scampanellio della porta – che una persona entrò.

Per la precisione un gruppetto di quattro giovani, di cui due erano ragazzi e due erano ragazze. Dopo un iniziale momento di confusione dipinta sui volti si guardarono e sghignazzarono; tutti meno uno, impegnato ad osservare la nuca di capelli bruni e il vestito rosso a piccoli pois bianchi dalla gonna a campana che la copriva fino alle ginocchia.


He said, “Are you truly truly truly

Truly truly truly truly truly mine”


Sorrise spontaneamente, il giovanotto dai capelli biondi e gli occhi blu, specie quando la commessa finalmente si girò in uno svolazzo di gonna; si impietrì non appena li scorse, il volto paonazzo e gli occhi sgranati, e si affrettò come una furia a spegnere la radio di legno.

«Sono davvero, davvero mortificata» si scusò flebile, torcendosi le mani «non vi ho... non–» prese fiato, assumendo una posa più sicura «Posso esservi utile?»

Le due ragazze – una bionda e una bruna, qual novità! – ancora preda di irrefrenabili quanto inopportuni risolini, non si diedero nemmeno la pena di rispondere. Il compito toccò quindi al ragazzo vestito di una divisa militare.

«Buongiorno» la salutò affabile mentre si toglieva il cappello, tranquillizzandola appena. Ancora viva era la vergogna per la figuraccia appena compiuta, e sperò vivamente non le scoppiasse a ridere in faccia, anche se non sarebbe stato un comportamento da gentiluomo qual sembrava.

«Salve.»

«Le signorine vorrebbero dare un'occhiata alle ultime stoffe arrivate. Per loro solo il meglio, vero Steve?»

Solo in quel momento la ragazza dall'abito rosso si accorse della sua presenza, nascosto dietro agli altri quasi come volesse nascondersi al resto del mondo. Lì per lì non ne capì le motivazioni finché non lo vide; troppo magro e troppo basso rispetto alla media, di certo pensava di sfigurare accanto al suo amico. Non era affatto difficile intuire quante ne avesse passate – e quante ne stesse passando in quel periodo – quel tipo mingherlino dai vestiti ordinari. Eppure qualcosa la colpì. Forse il sorriso cordiale appena accennato rasente la timidezza, o gli occhi blu con una particolare luce che non avrebbe saputo identificare, o tutti e due i fattori; fatto sta che le labbra si tesero quasi per conto loro e formarono un bel sorriso, ricambiato ampiamente dal ragazzo chiamato Steve.

«Se volete seguirmi, sono da questa parte.»

Li condusse in una stanza adiacente all'ingresso dove campeggiavano due lunghi banconi di legno sopra i quali si trovavano le famigerate stoffe; ve n'erano di tutti i tipi, dalle monocromatiche a quelle con pois, fiori, quadri, plissettate o con le frange a ricordo dei ruggenti anni '20. Le signorine si mostrarono soddisfatte e la ringraziarono sentitamente, immergendosi in una fitta conversazione su quale fosse la più adatta per un nuovo abito da ballo che avrebbe, testuali parole, fatto morire d'invidia tutte quante!

La giovane snocciolò una vasta quantità di informazioni sulla moda del momento, componendo con maestria abbinamenti raffinati e spumeggianti adatti alle clienti; non per vantarsi, ma in questo poteva affermare di avere buon occhio, ereditato dalla sua cara e amabile madre. Dopo svariati minuti in cui persino il soldato espresse il proprio parere – costretto, ovviamente – la commessa notò che solo quest'ultimo tentava di rendere partecipe l'amico, che rispondeva a monosillabi o veniva sopraffatto dalla voce più alta delle ragazze.

All'ennesimo afflosciarsi delle spalle magre decise di intervenire rivolgendoglisi direttamente «Scommetto che lei sarebbe più interessato a delle cravatte.»

Non le rispose immediatamente, forse convinto non stesse parlando con lui, ma quando lo realizzò fece tanto d'occhi, spaesato per quell'affermazione e quella frase insperata. Lei gli sorrise, intenerita, e decise di continuare il discorso come niente fosse.

«Venga, gliele mostro. Alcune sono molto belle.»

Non lo aspettò e si avviò, certa che l'avrebbe seguita pur di non rimanere lì a far da tappezzeria. Il negozio non ne aveva certo bisogno. Solo il bancone a separarli, iniziò a tirare fuori con molta attenzione tutte le cravatte ritenute adeguate, anche se dubitava potessero stargli bene. Steve non spiccicò una parola mentre lei le osservava con occhio critico e il labbro inferiore tormentato dai denti; doveva essere eccessivamente timido e in imbarazzo se non riusciva a parlarle o esprimersi in battute che, di certo, il suo amico non si sarebbe lasciato sfuggire.

La vita era sempre ingiusta con i bravi ragazzi, si ritrovò a pensare. Non avrebbe saputo dire né perché né quando l'aveva intuito, ma era piuttosto sicura di aver compreso l'umanità e l'umiltà di quel piccolo ragazzo. Forse era stata quella la scintilla percepita; e ora che erano più vicini – gli si era avvicinata per porgergli la prima cravatta, di un colore simile ai suoi occhi – la notò ancora, insieme al sentimento che sfiorava una gratitudine silenziosa.

«Grazie» parlò infine, osservandola dal basso.

Non si riferiva solo all'oggetto porto, ovviamente.

«Di niente.»

«Allora...» iniziò, distogliendo lo sguardo mentre un soffuso rossore gli imporporava le guance scavate «... questa?»

Si limitò ad annuire «Assolutamente. Ed è inutile spiegarle il motivo» terminò, appena divertita.

«Credo... credo di averlo afferrato» si schiarì la voce – a dispetto del fisico non era stridula ma bassa – e se la poggiò appena al petto, sospirando sconsolato quando si accorse della lunghezza spropositata rispetto al corpo gracile.

«Non deve preoccuparsi» lo rassicurò con un mezzo sorriso «si può sempre rimediare» evitò di dirgli accorciare per non offendere i suoi sentimenti, anche se nutriva forti dubbi sul fatto che glielo avessero già ricordato troppo spesso.

Steve sospirò di nuovo e scosse la testa «Così la si rovinerebbe.»

«Bé, anche a me capita di dover modificare un pezzo di stoffa, non è una faccenda così fuori dal comune. Inoltre con lo scarto si può sempre creare qualcosina. Credo possa saltar fuori una pezza, in questo caso.»

«O un nastrino» sussurrò lui, rivolgendole uno sguardo fugace che intercettò comunque l'occhiata ed il sorriso compiaciuti.

«O un nastrino» ripeté, colpita. Non erano molti gli uomini che si interessavano a queste cose di donne, o se ne intendevano.

La ragazza mora scelse quel momento per interromperli, avvicinandosi col taglio prescelto e sfoggiando un gran sorriso trionfale «Credo d'aver scelto la stoffa giusta! Ce ne sono talmente tante che non so decidermi, sono tutte così belle. Ma questa è molto particolare e sono certa di non averla vista ancora indosso a nessuna delle mie amiche. Chissà, magari dopo mi copieranno tutte! E quando dirò dove l'avrò acquistata ci sarà una bella fila qui fuori.»

La giovane cercò di non perdersi in quel fiume di parole e maledisse nel contempo la madre perché non era presente; col suo carattere più mite avrebbe saputo come risponderle senza sembrare una completa villana o ingrata persona. Contò mentalmente fino a tre prima di sorriderle con tutta l'amabilità di cui era provvista.

«Ne sono davvero lusingata, miss. Ma dovete aspettare ancora qualche minuto, sto finendo di servire il vostro amico.»

Una doccia fredda avrebbe sortito un effetto minore. Sbatté le palpebre dei grandi occhi marroni e la fissò come fosse impazzita, come se le sue parole fossero state un oltraggio alla sua personcina così deliziosa. Aprì più volte la bocca e scoccò un'occhiata sconcertata da Steve a lei, terminando su Steve e infine, pestando appena più del dovuto i tacchi sul pavimento raggiunse gli altri due, allibiti quanto lei.

«Perché l'ha fatto?»

Alla debole domanda riportò gli occhi nocciola sul ragazzo, aggrottando la fronte «E' il suo turno. Doveva scavalcarla?»

«No, ma–»

«Allora non vi è nessun problema.»

«La smetta!»

Parve arrabbiato, e lei non seppe davvero che gli stesse passando per la testa. Eppure non le sembrava d'aver compiuto un'azione tanto deplorevole.

«Non deve mostrarmi simpatia. So che prova solo... pietà.»

Pietà?

La commessa strinse i pugni, la rabbia premeva per uscire «Oh, mi creda, la pietà è l'ultimo sentimento che provo, al momento. Non capisco perché non si è ribellato, né ha detto qualcosa per difendersi. In tal modo la umilieranno senza tregua e per l'eternità considerandola debole. E non lo è.»

Il ragazzo si irrigidì e fece saettare gli occhi dal pavimento al viso di lei cercando menzogna. Rimase colpito da quello sfogo appassionato, da quello sfogo sincero. Credeva in ogni parola detta e lo sfidava a contraddirla. Come poteva spiegarle che, ormai, si era rassegnato ad essere una nullità? Come poteva, quella ragazza sconosciuta – la considerava carina con quei tratti che gli trasmettevano dolcezza e serenità, benché non avesse dei termini di paragone a cui affidarsi come poteva, lei, comprenderlo addirittura consigliandolo? Non aveva alcuna idea delle beffe che la vita gli aveva riservato, degli ostacoli insormontabili che la sua condizione fisica si divertiva a mettergli sulla strada, dell'inadeguatezza che l'aveva accompagnato da sempre.

«Posso capire a cosa sta pensando.»

«Davvero?» mormorò, scettico.

«Crede di non essere abbastanza, e desidererebbe fare qualcosa per cambiare il suo futuro. Lo so bene perché, dopotutto, sono una donna.»

Per la prima volta Steve parve vederla davvero, e si sentì gretto «Non è felice?»

«Amo aiutare le persone a trovare quello che stanno cercando; che sia un pezzo di stoffa, o una cravatta» riuscì a strappargli un sorriso prima di continuare «o semplicemente qualcuno disposto ad ascoltare. E quando se ne vanno con un sorriso sulle labbra so di aver compiuto una buona azione e mi sento più leggera. Forse non era quel che avevo sognato fin da bambina, ma non posso aspettarmi diversamente. Non in questi tempi.»

«Cosa avrebbe voluto?»

Ci pensò un attimo, le gote andavano via via imporporandosi «Viaggiare. Visitare tanti posti e cogliere l'anima degli abitanti.»

«E' molto bello come pensiero» stette in silenzio, alzando le spalle quando indicò attorno a sé con l'indice «Chissà, forse finita la guerra coronerà il suo sogno.»

Un sorriso rassegnato prese il posto del precedente e gli occhi si velarono appena di tristezza «Chissà. Lei mi prometta di non abbattersi. Credo che ciascuno di noi sia destinato a qualcosa di più grande. Bisogna solo insistere finché non lo si scoverà.»




«Idoneo! Sono idoneo!»

Ogni persona presente nell'accogliente negozio di stoffe smise la propria attività per rivolgere uno sguardo al giovane dall'aspetto gracile appena entrato; egli si schiarì la voce, imbarazzato da quell'improvvisa attenzione e si grattò la nuca mentre qualcuno – una voce maschile – borbottava un funereo «La guerra ci rovinerà tutti.»

Camminò appena a disagio fino a quando non udì lo scambio di battute tra Anna e suo padre, finché la ragazza non assicurò che si sarebbe assentata per poco tempo e sì, sì papà, sarebbero rimasti a portata d'orecchio.

Solo quando sedettero sui gradini del retrobottega, il venticello fresco sui volti, Steve ne approfittò per porgerle il foglio col timbro apposto dal dottor Erskine. Lei lo soppesò un momento prima di aprirlo, timorosa di leggere quelle famigerate lettere che le avrebbero sbattuto brutalmente in faccia la notizia – ancora sconcertante – della partenza dell'amico. Perché Steve lo era diventato; volente o nolente, aveva permesso al ragazzo di Brooklyn di prendere parte alla sua vita reclamando per sé un pezzo del suo cuore. Forse un pezzo più grande di quel che avrebbe voluto concedergli.

Con dita tremanti tracciò il contorno della I e della A, ma poi richiuse in fretta il foglio come se si fosse scottata e glielo rendette senza mai guardarlo.

«Congratulazioni. È quello che volevi, no?»

Steve incassò la voce spenta e il groppo formatoglisi nello stomaco con uno stoicismo davvero militaresco; non si aspettava salti di gioia – quello no, per l'amor del Cielo! – né sguardi sospettosi perché aveva un'autentica richiesta d'arruolamento possedendo un corpo inadatto, però pensava che l'amica avrebbe capito. Era suo desiderio rendersi utile per il Paese e non sarebbe stato affatto felice in una fabbrica o in qualità di garzone, questo era certo.

«Anna» iniziò, tentennando quando lei posò gli occhi nocciola – con una punta di terrore notò come fossero lucidi – sui suoi «Sai come la penso in merito, ne abbiamo già parlato.»

«Ne abbiamo discusso

Il quasi-soldato Rogers alzò le sopracciglia e annuì greve ricordando con un macigno sul cuore quel pomeriggio soleggiato in cui, per la prima volta, si era trovato a dibattere con una donna. «E'... è irrilevante» sentenziò, perdendo la sicurezza nel giro di poche parole «Sono stato davvero male.»

«Non me ne parlare» si asciugò velocemente gli occhi e gli prese le mani tra le sue, una scintilla determinata nel corpo e nella voce «Ho ancora sufficienti e nuove argomentazioni, stavolta, per farti cambiare idea.»

Le restituì la stretta ma scosse la testa, fermo nelle convinzioni che lei doveva accogliere «Ci sono uomini che sacrificano le loro vite, io non ho alcun diritto di fare meno di loro. È questo che non vuoi capire» approfittò della presa ora inesistente e fu lui, stavolta, a prenderle una mano; le accarezzò il dorso coi pollici mentre l'altra – in uno slancio di coraggio sempre immaginato ma mai concretizzato – la portò al mento alzandole il viso cosicché potesse guardarlo.

«Non si tratta di me» esalò infine, senza fiato.

Per un drastico momento pensò ad un attacco d'asma; quando si rese conto della vicinanza dei loro corpi e conseguentemente dei loro volti allora realizzò la portata di quel momento e dell'azione appena compiuta. Ora si ritrarrà, pensò. Nessuna ragazza era mai stata ad un soffio da lui, da tempo aveva perfino rinunciato a pensarci; d'altra parte, ora sapeva due cose: che se Anna si fosse scostata ne avrebbe sofferto in maniera inimmaginabile. Che, se non l'avesse fatto, probabilmente sarebbe stato preso dal panico perché non aveva alcuna idea di come procedere. O meglio, un'idea ce l'aveva. Però come avrebbe reagito lei?

Analizzò ogni sentimento che riusciva a trasparire dai tratti dolci ora tesi e pensosi, ripensò a come era sempre stata un libro aperto; era tremendamente facile capire quali stati d'animo la pervadessero, e non aveva impiegato molto a capire l'importanza rappresentata da quella giovane commessa nella sua vita. Un raggio di sole in un'esistenza grigia dove, a parte Bucky, non era rimasto nessun altro.

Anna sospirò, l'accettazione ormai evidente aveva scavalcato la rabbia per quell'assurdo conflitto «Dove ti hanno assegnato?»

«Al momento Camp Lehigh, poi si vedrà.»

Con i battiti leggermente accelerati notò che no, non si era ancora spostata di un millimetro né separata dal suo tocco anzi, portò le dita della mano libera a sfiorare la sua. Rabbrividì perché erano fredde ma ciò non spense in nessun modo il lieve sorriso nascente. Lì fuori, con il vento che ogni tanto le scompigliava le onde scure, la luce che gli permetteva di notare le efelidi sugli zigomi e sul naso, la considerava bella come non mai.

E lui doveva partire proprio ora...

«Anna» la chiamò, timoroso di spezzare quel silenzio carico di frasi sottintese «mi mancherai» disse solo, sentendo le orecchie improvvisamente molto calde.

Impegnato a maledirsi e maledire la timidezza, si accorse che anche le guance della ragazza erano diventare di un bel colore rosato.

«Anche tu, Steve.»

Fu veloce quanto un battito di ciglia. Un attimo prima gli era seduta accanto, le spalle che si sfioravano; l'attimo dopo si era sporta e gli aveva baciato la guancia indugiando forse più del tempo prefissato. Lui era solo consapevole delle labbra morbide e calde sulla pelle, nient'altro. Nient'altro contava in quel preciso, desiderato momento, nemmeno il suo povero cuore impazzito. Udì una porta cigolare e la voce di mrs. Mallow arrivò anche troppo distintamente a scoppiare la sua personale bolla di sapone.

«Annie cara, abbiamo bisogno di te.»

L'Annie in questione si staccò repentinamente e scattò in piedi come una molla – seguita a ruota da lui, lento di riflessi – borbottando qualche frase sconnessa in cui, certamente, rassicurava la madre sul suo pronto arrivo. Rossa in viso, si torceva le dita ed espirò solo quando la porta si richiuse. Ancora non riusciva a guardarlo, notò Steve, amareggiato.

«Stai attento, ti prego. Torna tutto intero» sussurrò rivolta a lui anche se fissava la porta.

«Farò del mio meglio.»

Lo guardò intensamente e infine alzò un angolo della bocca rosea in una specie di sorriso «Io ti aspetterò qui.»

«Sarebbe troppo...» respirò a fondo per darsi coraggio mentre ormai aveva detto addio al suo incontrollabile cuore «...sarebbe troppo invitarti a ballare? Non adesso, ovviamente, ma una sera. Magari quando sarò in licenza – se me la daranno. Presumo di sì» balbettò, pregando nel contempo che lei non gli scoppiasse a ridere in faccia.

Anna finse di pensarci su – in realtà dentro sé aveva già urlato la sua risposta, ma una volta aveva sentito dire – o letto, non ricordava bene – che gli uomini bisognava farli aspettare lasciandoli un po' sulle spine. Durò pochissimo perché si sentiva una vera vipera, e regalò a Steve il più bel sorriso del repertorio.

«Sarebbe meraviglioso» rispose, la voce traboccante d'emozione «Come prima volta potremmo ballare qui, magari? Vorrei evitare i locali perché non so ballare.»

A Steve scappò involontariamente una risata perché, per un momento, aveva creduto si vergognasse di mostrarsi in pubblico con un ragazzetto rachitico.

«Nessuno ti ha mai invitata?»

«Non passo molto tempo in quei posti» confidò, profondamente a disagio «Non ho molte persone con cui andarci e poi non... non mi sembra giusto.»

La guardò torturarsi le dita, il pensiero condotto a quel gemello che la sua Anna aveva perso undici anni prima a causa di una malattia ai polmoni. Più di una volta aveva tentato di convincerla che non commetteva un torto se una volta tanto si lasciava andare abbandonando l'aria malinconica, e lei lo assecondava; poi però le ombre tornavano ad addensarsi e oscuravano le scintille di vita nascoste nella profondità dei suoi occhi. Aveva giurato di perseverare finché non fossero sparite del tutto. Con grande rammarico avrebbe dovuto sciogliersi dall'impegno.

«Come primissima volta anche per me direi di poter accettare le sue condizioni, miss» scherzò, accennando un lieve inchino col capo tanto ingessato da farla ridacchiare «Le successive affronteremo le nostre paure per buttarci nella mischia. È d'accordo?»

Le tese la mano destra, trepidante d'attesa. Quella era una promessa, e con le promesse non si giocava a cuor leggero. Steve lo sapeva. Lo sapeva Anna, che decise in quel preciso istante di essere stanca di lasciare a fattori esterni le decisioni della sua vita; troppo a lungo aveva mancato d'afferrare delle occasioni speciali, e ora che le si presentavano nuovamente non ci avrebbe rinunciato.

Le mani si strinsero con delicatezza a suggellare il patto in cui entrambe le parti risultavano vincitrici e provate da molteplici emozioni euforiche.

«Allora a presto, per il nostro ballo.»

«A presto» rispose Steve, seguendola con gli occhi finché non lo lasciò solo.

Dimenticò di consegnarle il regalo d'addio avvolto in un pacchettino piccolo e semplice, anche se ormai il coraggio di una spiegazione del contenuto vacillava facendolo sentire inadeguato; nella sua testa quel bacio innocente e l'accettazione che tanto gli avevano fatto traboccare il cuore erano solo cortesie di una giovane rispettabile, nulla di più. Non poteva trattarsi di altro, si ripeteva, quindi era inutile riempirsi la testa di congetture e sogni. Doveva tenere i piedi ben ancorati al suolo, ora più di prima; l'esercito americano lo attendeva, l'occasione offerta da Erskine poteva già toccarla con mano. Avrebbe dato il meglio di sé in quell'addestramento, successivamente in guerra. E il pensiero del pomeriggio trascorso l'avrebbe confortato nei momenti più bui.

Rientrò in negozio con questo ultimo pensiero. Senza farsi vedere lasciò il pacchetto proprio sopra la copertina del volume di Piccole Donne, certo della sua scoperta non appena la proprietaria l'avesse scorto.

Con un ultimo saluto ai gestori di Mallow's – la madre di Anna lo abbracciò e il padre gli tese addirittura la mano – Steven Grant Rogers uscì verso il suo destino.




La musica quasi la infastidiva, ma in quel momento avrebbe odiato il silenzio perché solo così, allora, i pensieri non le avrebbero dato tregua. Girò la manopola e il volume si alzò considerevolmente riempiendo il negozio ormai vuoto; nessun cliente sarebbe giunto a quell'ora, i suoi genitori erano tornati di sopra, nell'appartamento in cui abitavano. Lei, d'altra parte, si era presa alcuni minuti per sé e, nel frattempo, aveva deciso di confezionarsi una nuova gonna. Prese il lungo metro a nastro giallo avvolgendoselo attorno al punto vita, lesse il numero e lo annotò su un blocco appoggiato lì accanto, passando infine ai fianchi. Decise di non usufruire di altre misure – sarebbe stata a campana, il suo modello preferito – e ripose il nastro al suo posto proprio mentre qualcuno bussava alla porta. Alzò gli occhi al cielo, esasperata, tentando di ricordare se avesse girato il cartello sulla scritta Chiuso.

Doveva essere uno molto insistente, pensò all'ennesimo tocco sul vetro; rapida andò verso la porta, afferrò la maniglia e allora, solo allora, guardò fuori bloccandosi al pari di una statua di marmo.

Non può essere.

Un ragazzo alto – molto alto – e muscoloso dai capelli biondi pettinati di lato la scrutava rivolgendole un sorriso impossibile da dimenticare. Come impossibile era scordare quegli occhi blu, sinceri e limpidi.

Non può essere.

Non ruppe il contatto visivo mentre girava la chiave e si tirava indietro trascinando con sé la porta, che permise al giovanotto di Brooklyn di mostrarlesi in tutta la sua nuova, incredibile altezza.

Non avrebbe saputo trovare una scala di parametri, ma in quel preciso istante era profondamente scioccata.

«Steve?»

Che domanda stupida! si rimproverò, eppure lui parve non badarci; anzi, se possibile il sorriso si ampliò assumendo una sfumatura di dolcezza in contrasto con gli occhi, dietro cui si celavano stanchezza e tanta, tanta pena. Il cuore dolse nel petto mentre lo appurava, mentre ancora faticava a credere che quel ragazzo fosse la stessa persona di una settimana prima.

E lei lo immaginava ad arrancare e morire di stenti in un campo militare.

«Ciao» la salutò, guardandola finalmente dall'alto.

«Ciao.»

Oh, avrebbe voluto porgli così tante domande, ma dove iniziare? Era talmente confusa!

«Posso rubarti cinque minuti? Oggi è stata proprio una giornataccia.»

Unicamente in grado di annuire, lo condusse verso due sgabelli liberi.


Le raccontò tutto: dall'ennesima visita medica fasulla alla Fiera del Futuro dove aveva incontrato il dottor Erskine – ebreo tedesco di nascita trapiantato nel Queens – che gli aveva offerto un'occasione unica e al contempo speciale; alle giornate passate al campo tra compagni spacconi desiderosi di burlarsi del rachitico di quaranta chili, passando per la tenacia e la volontà con cui aveva perseverato nell'addestramento, finendo con la scelta del colonnello Phillips di assegnarlo al Progetto del Supersoldato. Accennò vagamente al dolore patito per non turbarla ulteriormente – il viso era ancora una maschera di sconcerto e ansia – ma capì subito che lei, come al solito, aveva compreso la verità taciuta. Aspettò qualche secondo dopo averle rivelato della morte del dottore per mano di una spia nazista, e raccontò con un poco di vergogna di come il desiderio di uccidere l'assassino l'avesse colmato per poi scemare rapido com'era venuto. Anna a quel punto aveva posato una mano sulla sua destra, stringendola piano in sostegno. Lui l'aveva ringraziata ed aveva proseguito esponendole i dubbi che lo attanagliavano, specie quelli riguardanti il suo nuovo corpo: la forza e la velocità, in primis, erano difficili da controllare al momento. Quando rivelò che, d'ora in poi – se l'effetto fosse stato permanente – le sue cellule si sarebbero auto-rigenerate permettendogli di guarire velocemente da qualsiasi ferita o contusione, la vide trattenere il fiato e aggrottare le sopracciglia, preoccupata; al che la rassicurò promettendole di non compiere colpi di testa.

«Ed ora, in qualità di eroe americano» disse, parecchio abbattuto per essere stato messo da parte «dovrò esibirmi in un'inutile pantomima perché la gente compri dei titoli per la difesa.»

«Esibirti?»

«Esibirmi, già.»

«Intendi dire su un palcoscenico e con indosso un costume?» domandò curiosa. Quella situazione era sempre più surreale.

«Immagino di sì. È l'unica cosa che vuoi chiedermi?» credeva l'avrebbe sommerso di domande su qualcosa di poco chiaro, invece era rimasta in silenzio durante tutto il racconto esprimendo con gli occhi tutta la sua partecipazione.

Ne era grato, e realizzò pienamente quanto le fosse mancata.

«Cosa vuoi sentirti dire, Steve? Che da una parte sono profondamente dispiaciuta per il tuo nuovo ruolo e che dall'altra invece sono contenta perché i nazisti non ti useranno come tiro al bersaglio vista la tua nuova invincibilità

Un silenzio pesante seguì entrambe le domande. Anna non sapeva da dove né perché le fosse uscito un tale sbotto; sapeva solo d'essere combattuta e che doveva accettare il fatto che ora Steve risiedeva in quel corpo nuovo. Non avrebbe saputo spiegare diversamente i suoi sentimenti – mai cambiati, peraltro. Era innegabile che l'amico fosse qualcosa di più importante –

Come un fulmine a ciel sereno si accorse delle loro mani precedentemente sovrapposte ora intrecciate ed il cuore sembrò fare una capriola per finirle dritto dritto in gola; sembrò trovare molto più interessante la camicia khaki dell'esercito mentre l'imbarazzo raggiungeva picchi mai registrati.

«Scusami» mormorò, alzando appena gli occhi «Non sono nessuno per giudicare. È che... bé, mi è un po' difficile vederti così quando fino a una settimana fa eri Steve il magrolino.»

Risero entrambi riuscendo a sciogliere una bella fetta di tensione; accennò un piccolo movimento per sciogliere il contatto con la sua mano più grande ma inaspettatamente lui sembrò percepirlo perché la strinse appena per non lasciarla fuggire.

«Tu non sei nessuno, Anna. Non per me.»

Entrambi arrossirono un po' eppure non distolsero gli occhi l'uno dall'altra; era bello potersi guardare di nuovo, perdersi e assaporare ogni minima sfumatura dei loro segreti ormai non più celati. Ed era meraviglioso potersi accarezzare con lo sguardo e, perché no, con i polpastrelli tremanti d'emozione.

Steve era caldo, ora, le guance piene e appena ispide dove la barba iniziava a crescere. I capelli erano morbidi come li aveva immaginati, e sottili; avrebbe voluto accarezzarli per l'eternità, sorridere di rimando e commuoversi per la dedizione con cui la sfiorava, timoroso di mancarle di rispetto. Seppe con assoluta certezza di essere la detentrice del suo cuore quando Steve portò la sua mano destra – più piccola e delicata, dalle unghie rosse – alle labbra e ne baciò il dorso con devozione.

I capelli mossi di Anna erano davvero soffici come immaginava, e profumavano. Lei profumava. In quel frangente si ritrovò a sperare di poter rimanere così per sempre, in quel negozio di stoffe tanto amato con la ragazza più importante della sua vita. La conosceva da poco, vero, eppure sentiva chiaramente un profondo legame legarli – perché no – con un nastrino colorato. Si ritrovò a sorridere come un ebete e lei, se possibile, divenne ancor più radiosa forse intuendo il suo pensiero. Il supersoldato si rese conto all'ultimo della vicinanza al volto di Anna a causa dell'improvvisa serietà che l'aveva travolta; in attesa, era sospesa in un momento diluito all'infinito, con le labbra rosee leggermente dischiuse.

Si sporse appena e le sfiorò in un contatto leggero, impalpabile quanto un fiocco di neve sulla pelle; il rimbombo dei battiti del cuore nelle orecchie e un leggero ronzio furono lo sfondo del loro primo bacio, e a seguire del secondo vero primo bacio: un contatto più prolungato in cui ogni cuore rischiò di implodere tanto era impazzito.

Non seppero quanto durò, consci solo dell'enorme fatica di staccarsi e stare lontano da quelle tentazioni quali erano divenute le loro bocche calde.

«Te ne dovevo uno» confidò semplicemente il ragazzo, dandole un buffetto sul naso.

«Siamo pari, dunque.»

«Mah, non ne sono molto sicuro.»

Anna si esibì in un'espressione stupita talmente comica da innescargli una risata «Steven Rogers, non essere così sfacciato! Dove sono finite le buone maniere?»

«Chiedo umilmente perdono, miss» alzò le mani in segno di resa e lei annuì soddisfatta, un sorriso compiaciuto a fare capolino.

«Molto meglio, soldato.»

Passò qualche istante di silenzio – e altre carezze – prima che Steve si decidesse a dire quel che più gli premeva «Hai indosso il mio nastrino.»

Lo sfiorò portando una mano alla nuca della giovane, dove spiccava tra la chioma scura a raccogliere i capelli; anche lei lo toccò e annuì, guardandolo seria in volto.

«Mi è dispiaciuto non averlo ricevuto direttamente da te, ma l'ho apprezzato moltissimo. Avevi già in mente di regalarmelo quando mi chiedesti cosa farne della restante stoffa della cravatta?»

«Non saprei» ammise, stringendosi nelle spalle «Forse sì, nel mio inconscio. Sapevo solo di dovertelo donare prima di partire perché non sapevo se sarei mai ritornato.»

Negli occhi nocciola passò un guizzo di tristezza «Gli eventi sono andati diversamente, per fortuna. Sai se tornerai in prima linea?»

Steve capì immediatamente la paura covata dalla sua commessa preferita; per quanto volesse rassicurarla, sapeva d'altro canto di non doverle mentire «Non so se mi richiameranno. Lo desidererei, questo sì, perché vorrei servire la mia Patria. È sempre stato il mio sogno più grande, anche se il colonnello voleva spedirmi in un laboratorio. Ora...» lasciò volutamente la frase in sospeso, prendendosi tutto il tempo necessario per accarezzarle la guancia sinistra fino al mento «Ora avrei un valido motivo per rimanere, se non ci fosse la minaccia nazista sopra la nostra testa. Se ne avrò l'opportunità la combatterò con ogni mezzo possibile per permetterti un futuro felice di pace.»

Non sarebbe mai cambiato, pensò con un sorriso amaro. Dopotutto, non era per questa ragione che lo amava?

«Sì. Ed io sarò qui ad aspettarti.»

Non ci fu bisogno di altre parole.


Chiedere a qualcuno di ballare era sempre tremendo,

e negli ultimi anni mi sembrava poco importante. Era meglio aspettare.”

Aspettare cosa?”

La compagna giusta.”


L'ha trovata, infine. È stato estremamente facile, anche se avrebbe voluto che il tempo si fermasse mentre camminava alla sua ricerca. Il verde dell'erba e l'azzurro del cielo sono talmente brillanti da nausearlo. Perché non vi è grigiore, a specchiare la sua anima lacerata? Stringe tra le mani il mazzo di girasoli e iris – i suoi fiori preferiti – ma si ferma appena in tempo per non sbriciolare gli steli. Compie profondi respiri e chiude gli occhi, incapace di sostenere la vista dei caratteri semplici presenti sulla lastra di marmo.

Sulla sua lapide.

E la foto – oh, quella fotografia! – la ricorda chiaramente come fosse stata scattata ieri perché ne è stato l'artefice.

Era una piacevole giornata autunnale, lei indossava la gonna nuova, ed era blu.

Un nodo si forma in gola, talmente difficile da mandar giù da costringerlo a chiudere ancora gli occhi; ma quando li serra vede solo bianco, neve, percepisce il ghiaccio e il gelo infilarsi al di sotto dell'uniforme e pungerlo come gli aghi con i quali lei lavorava.

Respira, respira, respira, respira. Così, ecco. Va meglio.

Mente. Tutto pur di non concedersi il lusso di impazzire di un dolore acuto tale da sopraffarlo. Tutto è cambiato da quando si è risvegliato, ed avrebbe preferito morire piuttosto che vivere questo tempo senza i compagni degli Howling Commandos; senza Bucky, il migliore amico di una vita allora troppo breve e ora troppo lunga; senza Anna, la ragazza che aveva stroncato la sua promessa di attenderlo quando la tubercolosi aveva a sua volta deciso di stroncarle la vita.

Dio, perché anche lei? Era così giovane, nel fiore dei suoi ventidue anni.

Era morta circondata dai suoi cari. Senza di lui, impegnato a mettere i bastoni tra le ruote a Schmidt e all'HYDRA in un posto sperduto circondato da neve soffice e pura.

Sola. Era sola, magari ti aspettava, ci sperava!

Si passa una mano sulla fronte sudata e la chiude a pugno serrando le mascelle; spera che questo tipo di dolore superi quello dell'anima. Ma lui è Captain America, il Supersoldato nato da un siero, non prova niente quando i denti si serrano con forza uno sull'altro.

Ricorda che è volato a lei il suo ultimo pensiero poco prima di schiantarsi tra i ghiacci dell'Artico. Ha ricordato il loro primo incontro, perfino la melodia della canzone italiana che tanto l'aveva colpito quando era entrato in quel negozio che profumava di lei. Perfino ora, a distanza di settant'anni, lo percepisce come fosse lì vicina, col corpo caldo dalle dita perennemente fredde. Lo sguardo si posa sulla foto tonda e scolorita ancora dai dolci tratti visibili. E' sorridente, lui proprio non riesce ad imitarla com'era solito fare. Il sorriso di Anna era contagioso: bastava una piccola azione – come portarle un mazzetto di fiori, offrirle il braccio come un vero gentiluomo, leggere mentre lei terminava l'inventario oppure finiva di cucirsi qualche abito – ed ecco spuntare il sorriso di cui non si sarebbe mai stancato.

Come rideva spensierata durante quel ballo impacciato.

Avevano ballato, sì. Subito dopo il bacio e le parole scambiate, e lui aveva temuto di fare una figuraccia tremenda se le avesse calpestato i piedi per sbaglio. Non era successo. Erano stati perfetti, lei lo era. Gli aveva poggiato timidamente la mano sinistra sulla spalla, aveva sussultato appena quando lui aveva posato la destra sul fianco morbido; si erano guardati negli occhi tutto il tempo mentre si muovevano piano seguendo una melodia immaginaria, creata solo per loro e per questo bellissima. E se inizialmente erano impalati come stoccafissi poi si erano rilassati tanto che Anna aveva poggiato la testa sul suo petto, cullata dal battito possente del cuore.

L'avresti voluta baciare ripetutamente. Avresti danzato con lei giorno e notte solo per sentirla fra le tue braccia e saperla contenta.

Fa così male ricordare. Basta.

Fosse ancora viva forse avrebbe potuto rivederla, sopportando la consapevolezza della presenza di un marito, di due o più figli e di una nidiata di nipoti, ma almeno... almeno l'avrebbe rivista prima di lasciarla andare.

Hai sprecato le tue occasioni, lei non tornerà, tu non tornerai indietro a prenderti il vostro tempo. Lei è morta, morta, morta.

Morta.

Non... no.

Piange, il soldato. Piange, Steve, non riesce a frenarsi. L'erba del cimitero di Brooklyn è inaspettatamente soffice a contatto con le ginocchia, testimone silenziosa dell'esternazione del dolore provato dal Capitano insieme alla moltitudine di lapidi. E mentre le lacrime si fanno strada sulla pelle di quel viso senza tempo tanto amato dalla giovane Anna Mallow, le dice addio. Si scusa dell'imperdonabile ritardo, si scusa per aver dormito e per non essere morto perché così, forse, sarebbero potuti rimanere insieme fino alla fine. Si scusa perché, ora, deve lasciarsela alle spalle in un gesto egoistico che nessuno mai gli avrebbe attribuito; ma deve farlo, o impazzirà sul serio. Spera possa capirlo, ne è sicuro poiché Anna l'ha sempre capito molto più di quanto lui l'abbia capita. E si dispera, si scusa ancora, ancora e ancora in una nenia infinita e straziante fino a che il sole non cala su quella città ora irriconoscibile e sui suoi abitanti freddi e distanti dalle cose davvero importanti.

Le confida d'essere corso subito a Brooklyn non appena Nick Fury gliene ha dato l'occasione – ovvero dopo aver accertato la condizione stabile del corpo e della sanità mentale, anche se ora non è certo di possederla – per cercare Mallow's, unico punto fermo della sua incasinata nuova vita. Mallow's non esiste più. Ha lasciato spazio ad un ristorante con camerieri impettiti e impersonali nelle loro linde divise.

Non esiste più, amore mio. Come tutti noi.

Sistema meglio i fiori sulla tomba spoglia e si asciuga gli occhi mentre allunga una carezza al volto amato. Può quasi sentirla mentre gli ripete le battute della loro ultima conversazione, ignara di ciò che il futuro aveva in serbo.


«Fai attenzione.»

Lui l'attira a sé prendendola per i fianchi, le stampa un bacio sulla fronte pensando si preoccupi troppo perché, andiamo!, d'altronde parte in tournée verso Azzano.

«Starò in guardia e picchierò per bene Hitler. Tu mi aspetterai, vero?»

Anna sorride amorevole «Sempre.»


Le dita sfiorano appena il nastrino color malva con cui ha adornato i fiori, si chiede se quello azzurro regalatole sia nella semplice bara di legno. Lo spera, perché in tal modo un pezzetto di lui sarà sempre lì a proteggerla – lui ha fallito, ha fallito miseramente e ne proverà rimorso finché vivrà.

«Addio.»




CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Salve! Chiedo scusa a Peggy Carter – personaggio adorato alla follia dopo la visione di Agent Carter – ma sentivo il bisogno di scrivere una Steve/Nuovo Personaggio che interagisse con lui anche prima di diventare quel gran pezzo di fi...gliolo di Capitan America. Ho giocato un po' con gli eventi del primo film perché, come avrete capito, le due ragazze portate al negozio sono le stesse presenti nella pellicola; diciamo che qui, invece di averle incontrate la famigerata sera, le avevano già conosciute. Passatemi questa licenza così come le ripetizioni volute nell'ultimo paragrafo, volte a far capire lo stato d'animo del povero Steve che scopre, dopo settant'anni, la morte della persona amata. Se ve lo state chiedendo, no, non l'aveva saputo prima; i genitori di lei avevano pronta una lettera da consegnargli, ma non sapevano in quale luogo spedirla perché non sapevano dove si trovasse e, come sappiamo, lui non è più tornato indietro.

Ero piuttosto insicura – e lo sono ancora – perché per me è alquanto difficile scrivere di lui; non so bene il motivo eppure è così. Spero di non aver combinato pasticci e spero di avervi trasmesso qualcosa con questa one-shot: se non c'è una buona dose di angst non sono contenta ^^, ma era praticamente inevitabile.

Grazie a tutti per aver letto, spero vorrete lasciarmi un vostro parere.

Buona giornata,

Eruanne.


P.S. Non me ne vogliano i fan di Harry Potter *alza la mano* se ho utilizzato la celeberrima “Sempre”.

P.P.S. La canzone italiana appartiene al Trio Lescano, gruppo vocale femminile composto da tre sorelle ungaro-olandesi residenti in Italia e attive principalmente durante gli anni 1937-1941, i cui virtuosismi vocali, armonizzazioni swing e jazz divennero ben presto famosi . La canzone in questione è la celebre “Tulipan” del 1939 e cover della canzone americana (come scritto). Se vi va ascoltatela (come altre canzoni), a me mette molta allegria!

  
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