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Autore: Euridice100    01/05/2015    9 recensioni
"Ma l’altra rialza il capo e lo fissa con odio.
È allora che Gold la vede.
Arretra di un passo con la certezza di avere dinanzi a sé un fantasma.
'No, non può essere.'
Ma è allora che il passato torna a essere presente."
(Victorian!AU RumBelle
Seguito di "Cleaning all that I've become" e "All of the stars".)
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Nuovo personaggio, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Your dream is over... Or has it just begun?'
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X - Where does the good go?
 
 
 
“Where do you go
with your broken heart in tow?
What do you do

with the left over you?”
 
 
 
Gli piaceva la loro piccola routine. S’incontravano due, tre volte la settimana, condividevano momenti che avevano il sapore fresco del sorso d’acqua dopo il deserto – benedicevano l’anima riarsa, inebriavano anima e cuore.
Ritagliavano ore per vedersi: una volta tutti insieme a pranzo, un’altra nel bel mezzo del pomeriggio, e qualche sera loro due da soli; frammenti di tempo che volavano, ma che lasciavano sensazioni infinite. Non si accordavano quasi mai in anticipo: al momento di salutarsi non c’era bisogno di alcun “Allora arrivederci a…”, perché sapevano che l’appuntamento era sempre rinnovato. Al giorno seguente, alla settimana successiva; una volta persino a quella sera stessa.
- Mi mancavi, – aveva ammesso lui, e lei aveva sorriso prima di afferrarlo per la giacca e attirarlo a sé.
Vedendoli, Ruby aveva riso – una risata allegra e sincera, non frenata dalla presenza di lui.
- Bado io a Helena, – aveva detto – Buona serata, – e non c’era ironia nella sua voce, solo il sincero desiderio di vedere la sua amica finalmente felice.
Mille ringraziamenti, aveva pensato Gold, sarebbero stati pochi.
Avrebbe voluto portare Belle in campagna, o almeno in un posto migliore, lontano dai panni stesi ad asciugare e dalle urla degli ambulanti che giorno e notte s’aggiravano per Whitechapel; erano rimasti protetti dalle alte mura del patio delle Lucas, seduti sul gradino e con la schiena poggiata alla porta, a parlare, parlare e parlare ancora, quasi senza sapere di cosa. A ricordare – e c’era sempre una frase sospesa tra loro, un Ti amo che non avevano l’ardire di pronunciare, ma che sentivano premere in fondo alla gola, quasi esplodere e imporsi loro malgrado, come quel bacio che si erano scambiati la sera della cena e che, lo sentivano, non sarebbe rimasto isolato ancora a lungo.
A un certo punto si erano resi conto del silenzio che improvvisamente li aveva avvolti, ma non ne avevano avuto paura: in quella quiete non c’era rancore, non c’era disagio, ma completezza; non c’era il vuoto, ma la piena complicità di loro. Erano rimasti vicini, il capo di Belle posato sulla spalla di Gold, a guardare il cielo di maggio tra la cui foschia facevano capolino sparutissime stelle. Non avrebbero saputo indicare il momento in cui le loro mani si erano incontrate: le avevano scoperte allacciate, le nocche quasi bianche tanta era l’impeto con cui si tenevano; le avevano fissate e si erano guardati, ma non le avevano separate.
Avevano iniziato a carezzarsi i palmi e i dorsi, a risalire oltre i polsi e stringersi, stringersi come se la tempesta avesse potuto colpirli e solo il loro abbraccio salvarli; avevano iniziato a toccarsi attraverso i vestiti, a percorrersi e ritrovarsi – riconoscersi – guidati da un desiderio antico che rinasceva con la stessa intensità di un tempo. Con le dita lui le aveva tracciato i lineamenti più volte, quasi volesse impararla a memoria; le aveva forzato la bocca e carezzato a lungo l’interno del labbro inferiore, desiderando baciarlo, morderlo, farlo proprio, venerarlo.
Lei lo aveva lasciato fare. Gli aveva piantato addosso occhi ardenti di tutta la passione, tutta la dolcezza che vi aveva scorte un tempo, e si era stretta un po’ di più a lui.
- Sweetheart…
Provava ancora un brivido quando la chiamava così.
- Shhh.
Avrebbe voluto baciarla, sì, quella sera ancora più delle altre; rannicchiarsi tra le sue braccia e farsene cullare, dimenticare ogni miseria, ogni affanno, la lettera che aveva ricevuto e di cui non poteva parlarle.
Allontanarsi aveva richiesto uno sforzo di volontà tale da lasciarlo disorientato e privo di energie; ma avrebbe fatto come giurato a se stesso: non l’avrebbe più toccata – non l’avrebbe baciata fino a quando non sarebbe stata pronta e, per quanto una parte di lui volesse illudersi, in fondo sapeva che le cose erano ben diverse. C’erano ancora degli istanti in cui, tra un aneddoto divertente, un libro letto grazie a biblioteche itineranti e il racconto di una culla ricavata da un cassetto, quelle iridi brillanti da far male si estraniavano, e la loro proprietaria quasi veniva trascinata via, riportata al tempo in cui lui l’aveva costretta ad affrontare il mondo da sola.
Un mese e mezzo non bastava a cancellare cinque anni di abbandono; forse una vita intera non sarebbe bastata.
Ma fino ad allora l’avrebbe aspettata. L’avrebbe rispettata più di quanto avesse fatto in passato, anche se avesse dovuto attenderla in eterno.
Se si trovava a considerare l’eventualità, la colpa era sua e solo sua.
E ripensare ai sorrisi complici che tanto tempo prima gli dedicava mentre la spogliava, alle sue gambe bianche, ai gemiti e alla droga che era il suo profumo, ripensare che aveva voluto perderli lo faceva sentire peggio.
Non l’avrebbe lasciata ancora col cuore rotto e la reputazione a pezzi – non stavolta, non più. Se qualcosa fosse successo, se fosse ricominciato ciò che esisteva tra loro – ma si era mai interrotto? – sarebbe stato per sempre.
Un per sempre, rifletteva, ci sarebbe stato comunque qualunque piega avessero preso gli eventi. Era strano come, pur conoscendola da una manciata di settimane, lei fosse già divenuta tanto importante.
La sua Helena, che lo aveva accolto a una velocità impressionante, facendolo divenire un tassello imprescindibile della sua giovane vita.
La sua Helena, che gli sorrideva quasi sempre e quando non lo faceva finiva per chiedergli scusa con un’aria talmente contrita che, se fosse stato realmente arrabbiato, l’avrebbe perdonata all’istante.
La sua Helena e quella bellissima e irrefrenabile voglia di giocare cui lui non sempre riusciva a star dietro, cui proprio non era abituato. Neal era stato un bambino tranquillo e saggio, fin troppo maturo per la sua età: forse per il contesto, forse per la terribile e preveggente sensazione di essere di troppo al mondo, cercava di occupare meno spazio possibile, di passare inosservato. Per non far arrabbiare la mamma, si giustificava, anche quando Milah se n’era andata ormai da mesi.
Neal era stato silenzioso; un po’ come Regina, per motivi tanto diversi e al contempo così vicini.
Helena, invece, era cresciuta in un ambiente rumoroso e affollato, dominato da figure forti e risolute come le due Lucas, e aveva sempre avuto accanto Belle, la cui educazione non sfociava in affettazione; il risultato non poteva che essere una bambina sempre in movimento, che schizzava da una parte all’altra e non aveva remore a esprimersi.
La bambina più felice che avesse visto da molti anni a quella parte.
Lei e Belle erano sempre assieme: ridevano, giocavano e scherzavano in continuazione, e soprattutto avevano lo strabiliante e meraviglioso potere di includerlo. Di dargli l’impressione di esserci sempre stato, di non essere rientrato nelle loro vite solo poco prima. Neanche durante la prima cena Gold si era sentito un estraneo cui era richiesto di restare in un angolo: se un terzo li avesse osservati, avrebbe visto una famiglia.
Due genitori e la loro figlioletta che, sebbene si rivolgesse al padre con un generico Tu, l’aveva eletto a compagno di giochi prediletto ed era in grado di trascorrere ore ad ascoltarlo, gli occhi sgranati in un’espressione di rapita fascinazione infantile. La sera in cui aveva preteso fosse lui a narrargli la storia della buonanotte, l’uomo aveva provato una vertigine d’euforia, la gola che gli si chiudeva sotto il peso di un’emozione strana e familiare a un tempo. Aveva guardato Belle certo che fosse il caso di un suo intervento, perché la bambina doveva essersi confusa, non poteva volere davvero condividere un simile momento con una persona semisconosciuta; ma la donna aveva sorriso – un sorriso rassicurante, scevro di ipocrisie, e a lui si era scaldato il cuore al pensiero che per la prima volta la loro bambina volesse qualcosa da lui anziché da un terzo, da un estraneo.
Non raccontava favole da trent’anni, eccetto qualche lontano episodio con Regina, e forse aveva anche dimenticato cosa fare e come farlo; ma poi si era all’improvviso ritrovato su quella seggiola, immerso lui stesso nelle avventure della fanciulla e del toro nero di Norroway 1, con Belle che li osservava dalla soglia e rideva quando lui faceva le voci e le facce.
- Sei un bravo papà, – gli aveva sussurrato quando la piccola si era addormentata; e lui era stato felice di averla resa, per una volta, orgogliosa di lui.
Quella stessa sera aveva riconsiderato la proposta avanzata a Belle durante il primo incontro in carrozza. L’idea di trascorrere giornate intere con Helena, di vederla scorrazzare per la villa e riportarvi il sole come già sua madre aveva fatto era tanto bella da essere quasi dolorosa: lui e la sua bambina finalmente insieme, un’immagine che fino a pochi mesi prima gli sarebbe parsa autentica pazzia. Quanti momenti avrebbero condiviso, quanta felicità? Lui si sentiva pronto a ricominciare, ad avere accanto la sua creatura e darle tutto ciò che per colpa e volontà le aveva negato.
E lo stesso valeva per Belle, certo: da allora in avanti entrambe sarebbero state trattate come spettava loro, come regine. Già inviava a Whitechapel pacchi di vesti e giochi che, puntualmente, si vedeva restituire alla prima occasione.
- Stiamo bene così, – la donna si opponeva fiera alle sue argomentazioni – Non ci serve nulla.
Ma vederle arrangiarsi con ben poco e indossare gli stessi abiti consunti mentre lui viveva nel lusso erano particolari difficili da ignorare. Alla fine, aveva capito, il modo migliore era consegnare tutto a Helena: anche in questo caso Belle faceva la voce grossa, ma non erano molte le argomentazioni capaci di reggere al modo in cui la piccola serrava a sé i balocchi nuovi.
Se le avesse avute a Kensington, quella sarebbe stata quotidianità.
Ma doveva esser cauto. Si stava avventurando per sentieri accidentati, già di per sé forieri di pericoli: Cora era pur sempre in agguato, e se a questo si sommava la lettera ricevuta dalla Zelenyy tutto diveniva ancora più rischioso. Si era chiesto se, allo stato dei fatti, fosse sicuro ospitare una piccina indifesa in una dimora su cui convergevano le mire di due – al bando gli eufemismi – streghe; e, sebbene la risposta immediata fosse negativa, era pur vero che la situazione non sarebbe comunque migliorata di lì in breve.
Rebecca sarebbe tornata in America dopo qualche settimana, gli aveva detto Ella: sì, ma dopo quante? Nessuno, nemmeno una folle come la sua ex amante avrebbe affrontato un viaggio tanto lungo per un soggiorno di pochi giorni, e il pensiero di non poter avere con sé la figlia a tempo indeterminato era inaccettabile; anche perché già Cora lo portava a contemplare tale eventualità – lei, pensava amaramente l’uomo, non sarebbe certo sparita dalla vista nel giro di qualche settimana.
In simili frangenti non agire avrebbe equivalso a perdere un’occasione, anzi, l’occasione; e forse fu il Gold finanziere a parlare, o forse solo il Gold padre innamorato, ma quando prese una decisione seppe subito che non sarebbe tornato sui suoi passi.
Se Belle avesse accettato, avrebbe portato Helena a casa.
 
 
 

And how do you know
when to let go?
Where does the good go?

Where does the good go?”



 
 
Regina aveva trascorso ore d’inferno. Sarebbe potuto essere altrimenti? Era stata chiusa in camera e ogni via di fuga le era stata preclusa: la porta era stabilmente piantonata dai servitori più incorruttibili e Miss Mordane, la sua ex istitutrice, era passata a farle un discorsetto sui suoi doveri di figlia. Odiava quella vecchia bisbetica quasi quanto odiava Cora, se non di più: ai rimproveri bigotti della donna preferiva la dura franchezza di chi le aveva strappato via ciò che di più caro aveva al mondo.
Ciò che in un modo o nell’altro avrebbe riottenuto.
Non sapeva cosa fare, ma non si sarebbe lasciata portar via così l’uomo che amava: rimanere inerte significava accettare le ragioni materne, e piuttosto che farlo Regina avrebbe preferito ogni altra cosa.
Ma come fuggire da una stanza che conteneva il mondo e non la libertà? Quando le avevano portato un pasto, la ragazza aveva provato a fuggire, per poi essere subito ricondotta in camera col monito di non provarci più – perché, a quanto pareva, la cara, dolce Maman aveva dato ai suoi scagnozzi licenza di menare le mani in caso di ulteriori intemperanze. Non che la minaccia intimidisse Regina, ma lei stessa doveva riconoscere che le probabilità di tener testa a ex galeotti grandi e grossi non erano esattamente a suo favore; e l’idea di calarsi dalla finestra con le lenzuola era sì allettante, ma l’avrebbe portata a sfracellarsi al suolo, e al momento dare la soddisfazione del suicidio alla Contessa esulava dai suoi piani.
Dopo due giorni di tentativi Regina si era ritrovata costretta a guardare in faccia la dura realtà: non c’erano vie di fuga. Qualsiasi strategia escogitasse, qualsiasi strada provasse a percorrere, Cora l’aveva già prevista e bloccata impedendole di agire; e lei, che recentemente si era vantata di averla ingannata, nel momento più delicato si riscopriva esserne succube.
Di lì all’eternità.
Come sarebbe stata la sua vita? Sua madre non avrebbe dimenticato né perdonato simile onta: da quel momento in poi il controllo esercitato su di lei sarebbe stato ancora più stringente. Sarebbe diventato soffocante, totale, mortale. Quella stanza sarebbe stata il suo mondo: nella migliore delle ipotesi sarebbe uscita solo per essere consegnata al primo scalatore sociale disponibile a farsi carico di merce avariata come lei in cambio del nome dei Mills
Non sarebbe più tornata al Cheltenham, né in qualsiasi altro collegio. La sua istruzione terminava lì: più di quanto molte sue coetanee avessero ricevuto, ma ancora poco rispetto alle ambizioni che sua madre pareva divertirsi a soffocare.
E poi c’era il pensiero di Daniel.
Si sarebbero più rivisti? Per quanto una parte di lei non si convincesse a declinare la loro storia al passato, Regina non voleva illudersi. Se il giovane avesse deciso di andarsene, di cercare altrove un lavoro e un posto in cui vivere senza timori, avrebbe compiuto una scelta saggia. Era bene così, era giusto così: almeno uno dei due sarebbe stato libero di vivere la sua vita. Regina non avrebbe mai preteso simile rinuncia in suo nome.
Solo, restava la malinconia degli amori perduti, quel pugno di carne nel petto che accelerava la corsa al ritorno di certi istanti ormai da custodire come una fugace parentesi di gioia nella tempesta.
E la terribile sensazione che Daniel non si sarebbe mai comportato così.
Non l’avrebbe mai lasciata senza voltarsi indietro, senza provare a combattere o a contattarla: non l’aveva fatto a dieci anni, non l’avrebbe fatto ora.
Se sembrava sparito, doveva essergli successo qualcosa. Non c’era altra spiegazione; e il timore tormentava la fanciulla giorno e notte.
A onor del vero, andava riconosciuto: l’avvenire cupo che ella aveva paventato si era risolto in ben poco. Al quarto giorno di confino, Cora le aveva permesso di uscire dai suoi appartamenti concedendole persino il privilegio della sua presenza.
- Sono certa avrai ormai imparato a comportarti come si confà, – l’aveva riaccolta la Contessa.
Regina non aveva risposto.
Perché mi odi tanto, quando io ti voglio così bene malgrado tutto?
Aveva ricominciato ad accompagnare la madre in ogni dove: avevano preso assieme tè insipidi da dame tutte uguali tra loro, erano andate a un paio di riunioni di comitati di beneficenza cui la Lady riteneva bene farsi vedere di tanto in tanto, due volte erano persino state in visita da uno zio che aveva nascosto a malapena la sua insofferenza. Regina non dubitava che, se fosse già stata presentata in società, Cora stessa le avrebbe fatto da chaperon a ogni soirée, obbligandola a  svolazzare da una festa all’altra come falene attratte dalla luce.
Quando incontravano qualche coetanea ritenuta ammodo, l’adolescente sentiva gli occhi della madre addosso, quasi a ricordarle come sarebbe dovuta essere, quale esempio avesse in mente lei per inibirla, rimodellarla, farla rientrare nei canoni.
Come ci sono riuscita io, ci riuscirai anche tu, la nobildonna l’ammoniva in silenzio.
Regina ce l’avrebbe mai fatta, dopo aver assaggiato la libertà?
Ma all’improvviso qualcosa si era mosso.
Una mattina, mentre l’aiutava a vestirsi, una cameriera bionda chiamata Mal aveva casualmente lasciato scivolare dalla tasca dell’uniforme un bigliettino che la piccola Mills si era ritrovata a fissare un istante più del dovuto.
- Ti sbrighi a prenderlo? – la domestica era esplosa in un sibilo acuto, causando nella Contessina un sussulto di sconcerto e stizza a un tempo. Come osava una ragazza solo pochi anni più grande, una dipendente per giunta, rivolgersi a lei così? Con un solo cenno avrebbe potuto sbatterla fuori, farla finire a chiedere l’elemosina in mezzo a una strada!
Stava per replicare acida quando Mal aveva riafferrato il foglietto e gliel’aveva lanciato contro, accompagnando il gesto con un’unica, fondamentale parola.
- Lui.
A Regina si era fermato il cuore. Incurante di non essere sola, dimentica del fatto che la serva sarebbe potuta essere una spia materna, aveva stretto al petto il messaggio prima di aprirlo e leggerlo avidamente.
Erano un semplice indirizzo e un’iniziale inconfondibile; l’autore della nota, però, all’ultimo – come se avesse meditato a lungo sull’opportunità di farlo – aveva aggiunto un cuore mezzo sbilenco, un disegnino così tenero e ridicolo che Regina si era sorpresa a sorridere tra sé e sé.
Aveva rialzato il capo verso l’inserviente.
- È suo?
L’altra aveva arricciato le labbra in una smorfia sarcastica prima di replicare.
- Che intelligente! Certo che sì – me l’ha consegnato di persona stamani, mentre accompagnavo la governante al mercato. Lei non ci ha visti, o certo ora non sarei qui a raccontartelo. Allora, – aveva concluso pratica – Che farai?
Regina non aveva risposto subito. Tutto l’entusiasmo che nell’immediato si era impadronito di lei era svanito nel nulla, prosciugato alla vista dei freddi occhi chiari dell’interlocutrice.
Cosa sapeva di Mal Bauer? 2 Nulla, se non che era stata assunta dopo il licenziamento di Ava Zimmer. I fatti avevano dimostrato che a Belgravia la fiducia era un lusso da non potersi concedere: chi le assicurava che quello non fosse l’ennesimo trucco per coglierla sul fatto e separarla, questa volta definitivamente – al solo pensiero il respiro le si strozzava in gola – da Daniel? Era la sua calligrafia, ma se fosse stato costretto a scrivere il biglietto? Non poteva così egoista da esporlo a tanto: se gli uomini della madre non intendevano lesinare schiaffi a lei, cos’avrebbero fatto a lui se fosse capitato, o se fosse stato già nelle loro grinfie?
Aveva inghiottito un fiotto di bile amarissima stracciando il foglio.
- Non m’importa, – sentenziò senza tradire alcun inflessione nella voce – Oramai ho capito i miei errori e non li ripeterò.
Mal l’aveva guardata di sottecchi, un’espressione di palese sospetto sul volto.
- Se pensi che io sia un’emissaria di tua madre, ti sbagli di grosso.
Esattamente ciò che la Contessa avrebbe ordinato di dire.
Regina si era stretta nelle spalle.
- Ciò non cambia le cose. E ti consiglio di smettere di essere tanto indisponente, se non vuoi perdere il posto.
L’altra aveva nascosto a stento uno sbadiglio, indifferente alla minaccia rivoltale. L’atteggiamento aveva allarmato ancora di più l’adolescente.
- Personalmente non posso darti torto. Daniel non è tutto questo granché, malgrado tu sia convinta del contrario.
Regina l’aveva fatta andar via adattandosi appieno alla maschera che si era imposta; ma a quel punto, nulla aveva trattenuto il sorrisino sprezzante in cui le labbra, come dotate di autonoma volontà, le si erano curvate.
Un indirizzo nell’East End, un’iniziale e un cuore.
Appena tre righe, e quasi poteva vedere le dita forti di Daniel vergarle.
Poteva essere una congiura, certo, l’ennesima pugnalata alle spalle che Cora le infliggeva in spregio dell’amore materno che pure sosteneva di nutrire nei suoi confronti.
Poteva essere un altro beffardo scherno che l’avrebbe gettata in ulteriore disgrazia, sì.
Poteva.
Ma finché non l’avesse visto coi suoi occhi, non ne avrebbe avuto certezza.
In fondo cos’altro avrebbe potuto sottrarle sua madre? Ormai si era presa tutto; di lei non era rimasto niente, perché non era mai stata niente se non la sua bambolina. Cora l’aveva manovrata sin dall’infanzia, ricattandola, premiandola col suo affetto e il suo orgoglio; ed era stato proprio il suo naturale, straziante bisogno di essere amata a renderla docile e complice tra le mani materne.
Senza Cora, Regina era niente; ma proprio per questo, proprio perché presto ogni cosa sarebbe finita – era già finita –, prima della resa finale Regina doveva concedere a se stessa l’estremo tentativo.
Era stata paziente, lei che spesso era stata tanto impulsiva. Aveva atteso che le acque si chetassero ancora: non aveva più risposto, non aveva più cercato la lite; si era limitata a obbedire. Si era dimostrata pentita e dispiaciuta, accondiscendente ed educata; la succube che Cora aveva sempre sognato. Quando aveva scoperto la madre guardarla più spesso in volto, Regina si era sforzata per interpretare ancor meglio il suo ruolo.
L’aveva ingannata una volta. Non riusciva a illudersi vi sarebbe riuscita di nuovo, ma se avesse fallito, l’avrebbe fatto come suggeriva il suo stesso nome: da regina.
E un pomeriggio, complice la Stagione ormai avviata che coinvolgeva Cora in mille e più eventi, il momento era arrivato.
Aveva finto un’atroce mal di testa e si era chiusa in camera dando l’ordine di non essere disturbata per alcun motivo. Aveva indossato gli abiti più umili fosse riuscita a trovare ed era sgattaiolata fuori dall’uscita di servizio.
Un indirizzo nell’East End, un’iniziale e un cuore.
Non aveva mai messo piede nella zona, e tutto ciò che sapeva a riguardo erano le voci che lo descrivevano come orribile e disagiata, l’impero della decadenza e dell’immoralità. Se l’avessero vista aggirarsi in postacci simili, la sua reputazione sarebbe stata definitivamente rovinata; per non menzionare il fatto che si stesse recando in visita da un uomo.
Una gentildonna non si reca mai da sola in casa di un gentiluomo, chiunque si fosse occupato della sua educazione l’aveva messa in guardia; e il particolare che Daniel Locke non fosse un gentiluomo non aiutava certo la sua causa.
Ma tra quello, o tornare indietro e seguire la strada già tracciata, Regina non aveva dubbi.
Era riuscita, con suo stesso stupore, a superare senza difficoltà i quartieri ricchi quando era passata davanti a Mal Bauer.
Paralizzata, la bocca arida per la tensione e mille maledizioni in testa, Regina aveva comunque cercato di tirar dritto e passare inosservata; ma era stato vano: la cameriera, seduta su un gradino, l’aveva ormai scorta e le aveva rivolto un lungo fischio.
- Allora non sei poi tanto fifona, – aveva sogghignato quando la nobile si era voltata.
- Cosa vuoi? – Regina si era d’impulso difesa – E chi ti ha dato il permesso di uscire?
- La stessa persona che l’ha dato a te.
- Lo dirò a mia madre.
Mal aveva finito di arrotolare una sigaretta e l’aveva accesa con calma. La Mills era arrossita vedendola aspirare con gusto: una donna che fumava rientrava di diritto tra le scene più scandalose cui avesse assistito. L’altra se n’era subito accorta.
- Svieni per questo e pretendi di andare nei bassifondi. L’importante è crederci, – l’aveva canzonata come al solito – In ogni caso, avvertimi quando dirai tutto alla vecchia Cora. Sono curiosa di sapere come giustificherai la tua, di uscita.
Regina si strinse nel mantello, risentita, ma costretta ad accogliere l’obiezione.
- Che ci facevi qui?
- Quello che non stai facendo tu. I fatti miei.
Una cosa era certa, si era detta la Contessina: poche persone la irritavano più di Mal Bauer.
E di poche persone, in quel momento, aveva altrettanto bisogno.
- Io non ho visto te, se tu non hai visto me, – aveva deciso di patteggiare.
La bionda si era puntellata sui palmi per rialzarsi.
- Mi pare ragionevole, – aveva soffiato verso l’alto un’altra boccata di fumo prima di continuare – Allora, si va a Spitalfields?
Regina, sgomenta, spalancò la bocca.
- Hai letto il biglietto?
- Una domestica deve essere discreta, difendere il buon nome della famiglia che serve e proteggerla da possibili minacce, – aveva recitato con un’aria talmente accorata da far strabuzzare gli occhi all’altra – E se il biglietto fosse provenuto da un malintenzionato deciso a mettere a repentaglio la virtù di vossignoria? – aveva inclinato il capo come a soppesarla, prima di sospirare rassegnata – Con te l’ironia si spreca. Ti accompagno, va’, ché è meglio.
 
 
 
“Look me in the eye
and tell me you don't find me attractive,
look me in the heart

and tell me you won't go.”
 
 
 
Vorrei sapere perché non mi rispondi. Basterebbero un paio di frasi e ti lascerei in pace, te lo prometto; voglio solo capire perché la nostra storia è terminata, cosa io non posso darti e lei sì. Insieme avremmo potuto conquistare il mondo, me l’hai detto tu stesso una sera.
In quanti giorni mi ha dimenticata? Sempre che ci sia mai stata.”
Lei ha anche solo metà della mia ascendenza? Metà della mia intelligenza, della mia bellezza? Non credo. Non per superbia o invidia, ma perché è la verità.
Insieme eravamo bellissimi. Perfetti.
Sono state le tue menzogne, le tue falsità a farmi impazzire di rabbia. Come sopportare simili trame alle mie spalle? Perché dirmi che era morta, per poi scambiarti letterine con lei? Al mio posto ti saresti forse comportato diversamente?
Non meritavo di essere presa in giro; non meritavo di essere presa in giro da te.
Le lettere della Zelenyy avevano un gran pregio.
Bruciavano in fretta.
 
 
 
“Look me in the heart
and unbreak broken,
it won't happen.” 


 
Quando Robert le aveva proposto di mandare Helena a Kensington, Belle aveva reagito in modo strano.
Se gliel’avessero predetto poco più di un mese e mezzo prima, con ogni probabilità la sua risposta sarebbe stata un No inappellabile, esattamente com’era successo in occasione dell’incontro in carrozza. Eppure, malgrado gli infiniti dubbi, stavolta non poteva negare di essere in parte contenta per il desiderio espresso dall’uomo, per la sua volontà di stare con la figlia.
La normalità in cui erano vissute per cinque anni era stata completamente stravolta, ribaltata dall’arrivo di colui che, ancora una volta, con poche frasi e poche parole si era impossessato dei loro cuori.
Alla vecchia, placida realtà se n’era sostituita una nuova, ma altrettanto bella.
No: molto più bella.
Perché da una parte c’erano ancora, c’erano sempre Granny e Tink che scuotevano la testa rassegnate quando sentivano nominare l’industriale, e Ruby che invece sosteneva la coppia e non perdeva occasione per agire da paraninfo di bassa lega, e Graham per il quale tutto era più difficile, ma che pure restava accanto a Belle, silenzioso e gentile com’era nella sua indole, e che non si negava ai giochi della bambina che per cinque anni per lui era stata come una figlia. C’era il lavoro, che le impediva di distrarsi più del dovuto e le imponeva di sorridere e scherzare anche quando non avrebbe voluto – ma sarebbe stato possibile mantenere il broncio a lungo con gente come Leroy?
E dall’altra parte c’era la sua nuova, vecchia realtà: la realtà di Mary Margaret, di Archie e degli altri che andavano a trovarle tanto spesso, di Ashley e dei suoi piccoli – Alexandra mi sta antipatica, era però stato l’irremovibile giudizio di Helena –, di Emma che insegnava alla ragazzina a giocare d’azzardo incurante della sua incapacità di contare e di un Killian forse più cupo del solito, ma che pure suggeriva a Helena come barare e le raccontava miti indiani e superstizioni marinare.
La realtà in cui c’era lui.
E allora, come poteva non essere quella la realtà più bella?
Lui e il modo in cui si era avvicinato a loro figlia, il suo saper restare ai margini se necessario e primeggiare quando la situazione lo richiedeva, lui e la partecipazione con cui ascoltava le avventure della figlia, intessendo magie con la voce e facendo ridere entrambe – perché Belle stessa si riscopriva a ridere più spesso, da quando c’era lui.
Lui, che per una volta le aveva prestato ascolto e aveva lasciato intendere ai suoi di sapere tutto delle loro gitarelle, senza però punirli per questo.
Lui e i biglietti che aveva preso a mandarle quando non potevano incontrarsi, quando l’anima pesante contava di nuovo i giorni che li separavano.
Perché tutti se ne stupivano? Era innamorata, e non era una novità.
Robert non le scriveva cose sdolcinate, ed era giusto così. Sarebbe stato facile parlare di luna e stelle, dispensare baci con un tratto di calamaio dopo l’altro; sarebbe stato facile, ma non sarebbe stato da lui, e soprattutto avrebbe smentito ciò che, pur senza parole, le aveva promesso: l’intenzione di aspettarla.
Quando l’aveva ringraziato per questo, lui aveva distolto lo sguardo per un istante, come se fosse sul punto di aggiungere dell’altro e qualcosa all’ultimo l’avesse frenato. Per una volta, però, Belle non se n’era angosciata: ci sarebbe voluto tempo per esprimere ciò che cinque anni aveva insediato nei loro cuori, tempo e pazienza.
“Se ti perdessi di nuovo… Se perdessi lei… Non lo reggerei.
In questi anni ci sei sempre stata tu. Solo tu. In ogni… In ogni senso.”
Anche lui aveva sofferto, pur tardando ad ammetterlo.
La donna non aveva ancora parlato con Helena della proposta. Aveva chiesto consiglio a tutti i più intimi amici, ottenendo di volta in volta un parere diverso; alla fine aveva deciso che forse la cosa più giusta da fare sarebbe stata lasciar scegliere alla bambina: era piccola e ovviamente immatura per una simile decisione, vero, ma ne era anche la diretta interessata e a Belle pareva opportuno per lo meno consultarla e considerarne la volontà. Era giusto che la bimba stesse col padre, anche stante l’intensità del legame sbocciato, e razionalmente ogni punto andava a favore di tale opzione; e tuttavia…
L’aveva presa sulle ginocchia e le aveva parlato piano, con calma e tranquillità affinché capisse che non esistevano costrizioni in un senso o nell’altro e che qualunque scelta avesse compiuto nessuno l’avrebbe giudicata, rimproverata o addirittura amata meno. Questo era un punto su cui non transigeva: loro figlia non avrebbe subito alcuna coartazione, e nell’eventualità remotissima – inesistente, lo sapeva lei stessa – in cui Gold non fosse stato d’accordo, gliene avrebbe dette quattro.
Era un passo delicato, uno dei più ardui che avessero compiuto fino ad allora: non potevano sbagliare.
Ma Helena l’aveva stupita ancora una volta. Non solo l’aveva ascoltata attentissima e quieta, ma non aveva esitato nel dare l’assenso al trasferimento. Forse era naturale: la bambina aveva ereditato la sua indole avventurosa, e per chi raramente era uscito dal quartiere natio quella doveva presentarsi come un’avventura in piena regola. Non c’era di che stupirsi: a quattro anni molto probabilmente Belle stessa avrebbe risposto in tal modo.
Ma il problema sorgeva proprio dalla scarsa ponderazione della piccola: Helena già immaginava un soggiorno magico, ma quale sarebbe stata la sua reazione in un ambiente estraneo, distante dalle persone con cui era sempre vissuta? Sarebbe stata serena? Non sarebbe stato il caso di iniziare con un semplice pomeriggio, anziché con tre interi giorni?
- Sicura di voler trascorrere due notti lì, tesoro? Io non ci sarò.
- Perché non ci sarai?
Perché ancora non posso, ancora non posso.
Belle aveva raffazzonato giustificazioni pregando perché Helena le accettasse, ma aveva avuto l’impressione che la bambina stesse solo fingendo di crederle per accontentarla.
Forse il suo era egoismo: se fosse stata una madre degna di questo nome, si rimproverava, avrebbe messo da parte i suoi problemi con Robert, l’immotivata paura che il ritorno a Kensington le scatenava e avrebbe accompagnato la figlia. Sarebbe stato sufficiente spiegare all’uomo la situazione, i ricordi di cui le stanze erano latrici e le emozioni che le suscitavano e lui l’avrebbe ascoltata. Non sarebbe successo niente, nemmeno ciò che era accaduto quella sera in cortile quando, soli coi loro respiri che s’inseguivano e mille emozioni che li sovrastavano, per un momento aveva desiderato lui la baciasse.
O forse l’avrebbe baciato lei, se fosse stata pronta a non pensare a lui come a una macchia sul cuore.
Dentro di sé giurava di amarlo e lo malediceva, lo voleva baciare e comunque respingere.
O forse, invece, era solo egoista: e se una parte di lei si fosse sentita tradita dalla rapidità con cui la bambina aveva accettato il trasferimento? Magari avrebbe preferito che Helena le si gettasse al collo implorando di non essere mandata via, e che lei fosse costretta a consolarla e accontentarla, negandola a quel padre che era apparso dal nulla solo ora.
Belle si sarebbe presa a schiaffi per il pensiero: se davvero si fosse ritrovata a fronteggiare una simile situazione, avrebbe subito spiegato alla piccola di non dover temere nulla. Ma questa era la Belle più razionale, quella la più spontanea, nei meandri della cui anima forse si annidava quell’idea tanto deprecabile.
Nella vita aveva seguito sempre l’istinto, e spesso aveva sbagliato; ma, con la figlia tanto coinvolta, l’errore era fuori discussione. Aveva ragionato e ragionato, e la conclusione era sempre stata la stessa: era importante che la bambina vivesse anche col padre e, per quanto la cosa non le paresse tanto accettabile, imparasse a stare lontana da lei.
Dal modo in cui la piccola aveva festeggiato mentre lei avvertiva Gold di passare a prenderla la mattina di chiusura, Belle non aveva potuto fare a meno di pensare che, almeno quanto al secondo punto, Helena era più matura di lei.
 
 
 

“Where do you go
when you're in love
and the world knows ?
How do you live so happily

while I am sad and broken down?”

 
 
 
Quando Daniel l’aveva vista sulla porta della sua stanzetta, l’aveva baciata con un impeto che Regina aveva solo potuto ricambiare.
La vita della Contessina aveva così preso una strana piega: per quanto fosse da sempre abituata a mostrarsi remissiva agli occhi della madre, la frequenza con cui aveva iniziato a raccontarle frottole era a dir poco sorprendente; per non parlare della fantasia delle scuse e dell’abilità a mentire che stava palesando.
Ma, per quanto fosse triste pensarlo, la ragazza non se ne sentiva minimamente in colpa: era l’unica possibilità per vivere la sua vita, e non vi avrebbe rinunciato.
Il tempo con Daniel era ancora più esiguo, ancora più rubato: dovevano ritagliarlo tra i pomeriggi eleganti di Regina e i turni in fabbrica di lui e la cosa era molto più complessa di quanto potesse sembrare. Eppure, anche se il posto in cui viveva il ragazzo era una spelonca putrescente, anche se il quartiere e la sua bruta depravazione che gli abitanti portavano quasi dipinta sul volto la disgustavano, i baci che si scambiavano avevano il sapore della gioia benedetta. Regina non avrebbe scambiato per nulla al mondo quel paio d’ore la settimana, le confidenze e i battibecchi, il cibo che alle volte condividevano tra uno scherzo e l’altro, con le dita unte e senza paura di sporcarsi; perché nessuna cosa era davvero importante quando stavano assieme.
E poi, in quel quadro di colori e forme assurde che era divenuta la sua vita, c’era Mal.
Regina aveva avuto una sola vera amica prima di allora, e non era finita bene; e forse era per scaramanzia se non osava definire la ragazza in tal modo. Semplicemente, non la definiva in alcun modo: Mal era Mal, e per sua natura sfuggiva a incasellamenti e costrizioni. Mal era beffarda e spregiudicata, e non si curava di scandalizzare il prossimo con opinioni caustiche e comportamenti non sempre decorosi, anzi: quando capiva le reazioni che il suo atteggiamento scatenava, si divertiva a enfatizzarlo per amor di provocazione. La sua personalità forte la rendeva immune alle critiche: Mal era fuoco, era un drago che nessuno sarebbe riuscito a domare. Come resistesse nella ferrea disciplina di casa Mills, era un mistero.
- So comportarmi bene con chi di dovere, – le aveva detto una volta – Non sentirai mai mezzo rimprovero rivolto a me.
- Quando sei sola con me, però, non sei certo gentile.
- Perché essere gentile con te? Tu non sei nessuno in quella casa.
Un sussurro serafico, labbra rosa pallido che si curvavano appena ed esprimevano realtà brutali e incisive.
Ma Mal era fatta così.
Tra le ragazze non c’erano quei gesti affettuosi che secondo i romanzetti consacravano una vera amicizia: immaginare qualcosa di simile su di lei era eresia, perché semplicemente non era il tipo di persona da indulgere in smancerie e parolette dolci.
In fin dei conti, pensava Regina, la Bauer condivideva il suo segreto più importante e, malgrado la sua capacità di trasudare livore in vari dosaggi, non l’avrebbe tradita.
Perché neanche Regina avrebbe tradito Mal.
Quando aveva capito che la serva non si sarebbe trattenuta con lei e Daniel, la nobile ne era rimasta sbigottita.
- Hai quindici anni, tesoro, saprai certo badare al tuo fidanzatino. Nel mio tempo libero ho i miei affari di cui occuparmi, – l’aveva gelata con una semplice levata di sopracciglia.
Era stato Daniel a dirimere i dubbi circa il modo in cui Mal trascorreva quelle ore: stando alle voci, la giovane frequentava un certo Stefan, parecchio più grande di lei e, soprattutto, dalla fama fosca.
- Non so se appartenga a una banda o sia un cane sciolto, ma è qualcuno con cui è meglio non avere a che fare. Mi spiace che lui e Mal, invece…
Anche a Regina dispiaceva per la sua compagna d’avventure, ma non sapeva come aiutarla, anche perché ogni sua offerta era ignorata. Quel giorno, però, il ritardo dell’amica la preoccupava oltremodo.
- Quell’idiota doveva essere qui dieci minuti fa, – ringhiò, facendo avanti e indietro sul pavimento grigiastro e disegnandovi linee ossessive – Mia madre rientra tra massimo un’ora, e se non arriviamo in tempo la mia vita è finita.
Daniel la raggiunse e le strinse le mani.
- Sta’ calma, – la rassicurò – Vedrai che Mal sarà qui tra poco, e se tarda ancora ti accompagno io a casa.
- No, no. Non voglio tu passi altri guai. Se ti vedessero…
- Staremo attenti e non mi vedranno. E appena tornerà Mal, gliene dirò quattro io. Si comporta da stupida, e quando è… – un rumore interruppe il giovane che, come la sua innamorata, tese l’orecchio.
- Eccola, la disgraziata.
- Shhh! – Locke la zittì all’istante. Quelli erano sì passi, ma non certo l’incedere di una ragazza. Parevano piuttosto…
Regina guardò Daniel, che cercava una via di fuga. Poteva essere nulla, sicuramente era nulla, ma…
Quando la porta si aprì con un calcio, ogni paura divenne realtà.
In futuro, Regina avrebbe ricordato quelle scene come un sogno confuso: gli uomini di sua madre che entravano nella stanza, che scioglievano a forza il loro abbraccio e li allontanavano, incuranti delle urla, incuranti di far loro del male.
Uno degli scherani che stringeva Mal, di solito così alta e fiera e ora all’improvviso così piccola e fragile, con un occhio già gonfio e il labbro sanguinante.
E, entrata per ultima come una primadonna, come una regina, lei.
- Che posticino meraviglioso, – fu il suo unico commento – Il nido d’amore ideale per una coppia  così ben assortita.
La gentildonna si avvicinò alla figlia. Un cenno fu sufficiente perché lo sgherro che la teneva ferma s’allontanasse; ma alla presa dell’uomo si sostituì quella materna.
Forse meno forte, all’apparenza meno pericolosa, ma altrettanto ferrea.
Altrettanto brutale.
- Voi, – ringhiò Regina – Voi mi avete fatta seguire!
Il sorriso di Cora non fece nulla per smentire l’accusa.
- No, mia cara. Sei stata tu a lasciarti scoprire.
L’improvviso urlo di Daniel fece voltare l’adolescente, ma non poté far molto con sua madre che la teneva per il braccio.
- Lasciatelo andare! – gridò comunque – Lui non ha colpe! Sono stata io a cercarlo!
- Se anche così fosse stato, – le labbra della maggiore delle Mills parevano squarci su una tela, squarci su ogni sogno – Lui ha comunque accettato d’incontrarti. È ugualmente colpevole.
La ragazza sentì gli occhi pungerle.
- Ma perché mi odiate tanto?
- No, Regina cara, – Cora le sorrise triste – Io non ti odio. Io voglio solo il meglio per te. È questo ciò che tu non capisci.
Ma allora, perché la guardava come se valesse meno dello sporco che si raschia via dagli stivali di equitazione? Perché le stava infliggendo anche questo?
Non avrebbe pianto. Non era lei a dover piangere, non mentre Daniel veniva ammazzato di botte e Mal guardava il vuoto davanti a sé, come se le avessero rubato anche la forza per parlare.
Ma non quella di muoversi.
L’urlo soffocato, stavolta, non veniva dal giovane Locke, no: era uno dei malfattori a ululare dal dolore, colpito da una gomitata in pieno stomaco dalla bionda.
Persino Cora, stupita dalla novità, si voltò, indebolendo per un istante la presa sulla figlia.
Un istante sufficiente perché Regina si liberasse.
- Scappa!
L’ordine della Bauer le ferì le orecchie, tale era la disperazione contenutavi. No, non poteva andarsene, non poteva lasciar lì il suo amato e la sua migliore amica, non poteva essere codarda, lei che…
- Regina, vattene!
Stavolta fu Daniel a gridarglielo, a implorarla col suo sguardo ferito, ma ancora combattivo.
E fu allora che Regina, forse per la prima volta nella sua vita, senza quasi rendersene conto obbedì.
 
 
 

“It's love
that leaves
and breaks the seal
of always thinking
you would be 
real, happy and healthy,

strong and calm.”



 
 
Il giorno era arrivato, e ancora non gli pareva vero: era convinto che da un momento all’altro avrebbe riaperto gli occhi e si sarebbe ritrovato nel suo letto, anziché sulla carrozza con cui stava andando a prendere sua figlia.
Quando aveva comprato la villa era certo che nessun bambino vi avrebbe messo piede: Emma Nolan dormiva con la madre all’ultimo piano, e Regina in una delle camere degli ospiti. Si ritrovava così senza nursery e senza il tempo materiale di costruirne una; aveva pertanto deciso di riaprire la vecchia stanza della Contessina, che aveva fatto riadattare e che, soprattutto, aveva riempito con qualsiasi cosa – a suo inesperto parere – potesse servire o piacere a una quattrenne senza badare ai consigli di chicchessia. Il risultato, aveva decretato a lavori ultimati quella stessa mattina, non era poi tanto caotico quanto aveva temuto a un certo punto.
Tutto era pronto: per tre giorni ci sarebbe stati solo lui e sua figlia. Aveva sospeso le visite, risolto o rimandato eventuali problemi con il lavoro e comandato alla servitù di non far entrare nessuno.
Sarebbero dovuti essere tre giorni perfetti.
- Ciao!
Nell’istante stesso in cui mise piede nella locanda deserta, la bambina gli corse incontro con un sorriso da guancia a guancia e lo guardò implorante per essere presa in braccio.
- Salve, mia cara.
- Helena! Io mi chiamo Helena! Perché non ti ricordi il mio nome?
- Scordarmi il tuo nome? – esplose in una pantomima di offese prima di accontentarla. Forse salire le scale con una bimba aggrappata al collo non gli avrebbe fatto tanto bene, ma non se ne curò: il mal di schiena passa, la vergogna per non aver preso in braccio la propria creatura no – Tu mi ferisci. Come potrei mai scordare il nome di una principessa? È più probabile che dimentichi il mio!
- E se te lo dimentichi te lo ricordo io.
- Da quando hai indovinato il mio nome sei la mia padrona, lo sai. Ti ho già insegnato che i nomi nascondono un grande potere… Saliamo dalla mamma?
- Eccomi, – dalle scale, l’interpellata palesò la sua presenza.
Gold alzò il capo: Belle aveva le braccia strette al petto ed era pallida come una bambola. I suoi occhi, non poté fare a meno di notare, erano stanchi e gonfi come dopo una notte insonne. Se ne preoccupò, e si chiese cosa fosse successo; ma quando lo fece, capì di avere già la risposta.
- Salve, – malgrado tutto, quando la raggiunsero la donna li salutò cercando di mascherare la sua inquietudine – Allora, pronto per la bestiolina che hai deciso di caricarti? – provò a scherzare.
- Nooo! – si ribellò la bestiolina in questione – Io sono brava!
- Non preoccuparti, – Gold fece loro l’occhiolino alla donna – La piccola chiacchierona non sarà mai pericolosa quanto la Bean Nighe 3 che fui sul punto di affrontare una volta da piccolo…
- E cos’è?
- È come una banshee. Sai di cosa sto parlando? Te lo racconterò dopo, quando andremo.
- E allora andiamo adesso, così me lo racconti! – esclamò la bimba saltellando sul posto.
L’uomo riportò lo sguardo sull’amata. Persino le ultime vestigia di colore erano svanite dal suo volto.
- No, stiamo un po’ tutti...
- No, – l’inattesa risposta di Belle lo zittì, lasciandolo interdetto – Partendo ora, arriverete prima e pranzerete insieme. Salutiamoci per bene, però.
- Sì, – Helena si avvicinò alla madre, che si inginocchiò alla sua altezza.
- Allora, tesoro! – tra le sue parole era incastonata un’allegria fin troppo esagerata – Sai, solo i grandi partono senza la mamma, perciò tu oramai sei proprio una signorina! Preparati, perché sai che sono curiosissima e che al ritorno dovrai raccontarmi tutto! E mi raccomando, – aggiunse – Obbedisci a papà, a Mary Margaret e agli altri. Comportati bene, come se ci fossimo io o Granny, va bene? E non ripetere le parolacce che hai sentito da Leroy!
- Nemmeno…
- Nemmeno, – l’anticipò senza mezzi termini, qualunque fosse l’imprecazione incriminata. Gold trattenne a fatica una risata – Fa’ la brava, come sempre. Sai tutto quel che c’è da sapere, da fare e non fare, perché sei una bambina grande e intelligente, e brava e bella. E sai che, anche se non ci sono, io ti penso sempre e ti voglio bene. Sempre – qualcosa in quel discorso diede all’industriale l’impressione che non fosse rivolto tanto alla bambina, quanto a Belle stessa – Sei una bambina forte e coraggiosa. Così forte e coraggiosa… – le parole le morirono in gola, mentre i polmoni si allargavano dolorosamente in cerca d’aria.
Non piangere, ti prego, non farlo. Devo essere forte per lei.
La stava spaventando: Belle stessa se ne rendeva conto dal modo in cui Helena aveva spalancato gli occhi, come se avesse percepito le sue emozioni represse, e all’improvviso la fissava confusa. Alla fine del suo discorso si era portata un pollice alla bocca e ora lo mordicchiava pensierosa.
- Ti lascio Bae?
- Cosa? – Belle parve decisamente confusa.
- Ti lascio Bae, se vuoi. Così ti fa compagnia quando non ci sono, e non sei sola.
Gli angoli della bocca le si piegarono come se volesse sorridere.
- Ma senza di te sarà lui a sentirsi solo.
- Ma no, lui è grande. Come me, no? – si voltò verso il padre – Glielo posso lasciare, no? Per favore!
- Tutto ciò che vuoi, Helena.
- Allora va bene, – la donna accettò infine – Lo terrò io. Grazie, amore, – la baciò e si lasciò baciare più e più volte, prima di rialzarsi. Ogni traccia del disagio mostrato prima pareva svanita – Va’ a salutare Granny e Ruby, ora, va bene? E non correre per le scale!
Appena la figlia sparì dalla vista, Belle iniziò a frugare nella valigina di cartone che aveva preparato.
Gold le si avvicinò piano. Conosceva fin troppo bene le ragioni del suo comportamento, della voce rotta e dei gesti erratici. Nella sua solita cecità, aveva analizzato la situazione solo dal proprio punto di vista, non anche da quello della donna: si era accontentato di una risposta affermativa senza indagare, senza interpretare fino in fondo le sue parole o leggervi le paure che pure lei, quasi inconsciamente, aveva cercato di far presenti.
Le paure che ora erano esplose.
- Belle.
Lei non diede segno di averlo udito.
- Belle, – le si avvicinò ancora, fino quasi a toccarla.
- Secondo te cosa devo fare? Lasciarle il pupazzo? Sai, negli ultimi tempi si addormenta solo con quello accanto e potrebbe mancarle, ma…
- Belle.
- …se lo ritrova dopo ciò che ho detto resterà delusa, e non ne ho alcuna intenzione, capisci, io non voglio ferirle, non posso ferirla, no…
- Belle.
L’afferrò, costringendola a fermarsi. Lei alzò il capo confusa, incapace di capire cosa stesse accadendo.
- Guardami. Belle, guarda me, lascia stare il resto. Guarda me, – ordinò perentorio – Guarda me.
Lei obbedì. Sgranò gli occhi, come investita da una realizzazione improvvisa.
Tremò.
- Ti prego, calmati. Se Helena ti vedesse in queste condizioni, ne sarebbe terrorizzata.
La donna si coprì la bocca con le nocche di un mano, ma si lasciò sfuggire un primo singulto.
Non riusciva a essere forte. Per una volta, semplicemente non voleva essere forte. Aveva smentito mille fantasmi, se n’era messa in guardia fino all’ultimo ribadendone la stupidità: non stava mandando la figlia in guerra, ma dal suo legittimo padre, che l’avrebbe trattata come una piccola dea. L’affidava a persone in cui riponeva massima fiducia – Robert, Mary, gli altri –, non a sconosciuti.
Il suo comportamento non era razionale. Non era logico, non era sano. Non andava neanche bene agitare Helena, come pure aveva fatto. Che razza di isterica si sarebbe comportata così? Doveva calmarsi, e subito anche.
Eppure, per quanto si sforzasse, i singhiozzi parevano impossibili da frenare.
- Scusami, – s’impose di mormorare –Non so cosa mi sia preso, io… Sembra quasi che non mi fidi quando invece…
- Va tutto bene, Sweetheart, va tutto bene, non…
- … Io non ti farei mai un torto simile.
In fondo Gold lo sapeva: sia pure a fin di bene, col suo assenso e per pochi giorni, stava portando via a Belle colei che le aveva impedito di spezzarsi quando lui l’aveva lasciata. Madre e figlia erano sempre state insieme, questa era la prima separazione: aveva messo in conto eventuali criticità, ma trovarsi ad affrontarle era completamente diverso. Belle era come rotta al pensiero di Helena, e lui non sapeva come aiutarla: ogni tocco era maldestro, un pugno su una ferita a malapena rimarginata.
- Non devi scusarti, la tua è una reazione naturale. È giusto che sia preoccupata, è normale, ma hai la mia parola che non le accadrà nulla. Tra due giorni torneremo qui e tutto sarà andato per il meglio. La proteggerò dal mondo intero, se sarà necessario, e nessuno le torcerà un capello. Se qualcuno ci proverà, io lo ucciderò. Te lo giuro – te lo giuro su Neal. E non verrà meno a un giuramento fatto in suo nome.
- Ti sto dando me stessa – Belle lo guardò dritto negli occhi – Più di quanto mai abbia fatto.
Lo so, Belle. E non tradirò la vostra fiducia, non stavolta.
- Se tu preferisci venire con noi… – non lo propose con un secondo fine: in quel momento in lui dominava solo il reale, onesto desiderio che Belle stesse bene. Se per questo avesse voluto recarsi con loro a Kensington, sarebbe stata benvenuta. Doveva – voleva – proteggerla da un mondo che col suo contributo l’aveva distrutta.
- Grazie, – si passò il dorso di una mano sulle guance – Magari… Magari la prossima volta vengo. Non te lo prometto. Ma non oggi.
Gold annuì. Andava bene così: l’importante era che Belle fosse più tranquilla. Ciò che contava era sentirla tra le sue braccia, ancora tesa, sì, ma già un po’ più tranquilla rispetto a prima.
- A Helena, – riprese la donna all’improvviso – Piacciono le cose luminose. A Helena piace la luce.
Una dichiarazione che andava al di là del suo significato letterale.
Helena è come te. E di questo sono felice.
- Andrà tutto bene, – le baciò la fronte – Andrà tutto bene.
 
 
 

“Where does the good go?
Where does the good go?”

 
 
 
- Pronta per partire?
La bimba batté le mani entusiasta, anche se qualcosa nel suo sorriso sembrò assente. Gold pregò di essere ancora influenzato dall’incontro con Belle e di star travisando.
- Sì! Tra quando arriviamo?
- Quanto, – la corresse con naturalezza – Tra un po’. Ci aspetta un viaggetto niente male, ma potremmo distrarci parlando della Bean Nighe
Calò un silenzio che fece cadere anche l’estrema illusione dell’industriale.
- Va tutto bene, Helena?
- Ma secondo te alla mamma manco già?
Rispondere col secco che corrispondeva a verità l’avrebbe crucciata o, peggio ancora, portata alle lacrime, e Gold non aveva alcuna intenzione di iniziare la convivenza in modo tanto lugubre. Si risolse per una frase diplomatica nella speranza di avere la meglio sulla prontezza della figlia.
- A ogni mamma manca la sua bambina quando non l’ha con sé.
- E quindi?
Missione fallita.
- E quindi sì. Le manchi, – fu costretto ad ammettere.
Helena tacque. All’improvviso il discorso che mamma le aveva fatto quando papà aveva cenato con loro per la prima volta sembrava molto più reale. Fino ad allora non ci aveva pensato, ma ora il ricordo la colpiva in tutta la sua brutalità.
- Una volta mamma ha detto che ha paura di perdermi, – deglutì – Di non esserci. Ora non c’è… Vuol dire che sta avendo paura? – le vennero i brividi al solo pensiero.
La voce sommessa, così somigliante al miagolio di un gattino appena nato, gli fece mordere a sangue l’interno della guancia. Sua figlia non doveva neanche pensare simili cose.
- Helena – la guardò negli occhi – Non è una cosa che accadrà. Tu e tua madre ci sarete sempre l’una per l’altra. Nessuno vi separerà, nessuno.
- E tu?
Sarebbe voluto restare impassibile a quella domanda. Lasciarsela scivolare addosso, ignorarne la portata. Avrebbe voluto facesse meno male essere per la prima volta considerato un altro rispetto a Belle e a Helena, rispetto a quella famiglia che amava più di quanto avesse mai amato se stesso. Cora ce l’avrebbe fatta, avrebbe conservato impeccabile la padronanza di sé; lui no.
Controindicazioni del possedere un cuore.
- Neanch’io vi separerò. Mai.
- No, non mi hai capito. Tu ci sarai con noi?
Gold deglutì. Non credeva avrebbe udito questa domanda. Il cuore gli batté più veloce mentre ripeteva alla figlia la promessa che aveva fatto a se stesso, che avrebbe voluto poter ripetere a Belle ogni giorno della sua vita.
- Se voi mi vorrete, io ci sarò sempre.
La bambina annuì, come più tranquilla.
- Io ti voglio. E anche la mamma.
Non ti illudere, non permetterti di emozionarti in questo modo stupido. È una bambina, potrebbe aver travisato. Potrebbe star trasferendo sulla madre un suo desiderio.
Star mentendo.
- Come fai a saperlo?
- Come come! – Helena si chiese come mai a volte suo padre, che pure sembrava tanto intelligente, non capisse le cose più ovvie – La mamma vuole che stai con noi. L’ha detto anche a Tink quando credeva che non l’ascoltavo.
Ma a quel punto trattenere un sorriso sarebbe stato vano.
- E cos’altro ha detto di me?
- Non lo so. Grace mi ha chiamata a giocare e io sono andata, – ammise dispiaciuta. La prossima volta sarebbe stata più attenta ai discorsi della mamma. Avrebbe riferito ogni cosa. Ma ora, c’era un’altra domanda che le premeva – Senti… Hai detto che alle mamme mancano le bambine quando non ce l’hanno. E ai papà pure mancano?
- Certo. Tu mi manchi tantissimo quando non siamo assieme.
- E quando eri lontano e non ci conoscevamo?
Gold non seppe cosa rispondere. Come dirle che non aveva mai sospettato esistesse? Che per cinque anni aveva creduto sua madre perduta, morta, uccisa anche a causa della sua crudeltà? L’idea di un figlio non l’aveva mai sfiorato; se avesse saputo che Belle era incinta all’epoca in cui l’aveva scacciata, non si sarebbe comportato così. Forse – sicuramente – per quelle brevi ore avrebbe comunque creduto a Cora; ma non l’avrebbe allontanata.
- Da quando ho saputo che  c’eri mi sei sempre mancata. E tua madre… Tua madre mi è mancata altrettanto. Perché siete le due persone più importanti della mia vita.
Dinanzi al sorriso grato della bambina, Gold ebbe pochi dubbi sul fatto che avesse capito appieno la portata del discorso.
La sua bellissima furbetta.
- Ora però mi racconti di quella cosa?
 
 
 
- Eccoci arrivati! La vedi questa casa? – l’attirò a sé e le indicò l’immobile al di là del finestrino – Questa casa alta alta, col cancello nero? Ecco, è casa nostra – usare il plurale gli causò un profondissimo moto d’orgoglio.
Una scetticissima Helena corrugò la fronte prima di commentare: – È grande.
- Sì, – ribadì suo padre con convinzione – È grande e bellissima, vedrai. Ed è tutta nostra.
- Sì, ma è troppo grande! Come fa a essere tutta nostra?
- Tecnicamente non ci viviamo solo noi. Ci sono anche i domestici, che già conosci. Mi riferisco a Mary Margaret e a sua figlia, ad Archibald...
- Che sono i domestici?
Gold non aveva messo in conto di ritrovarsi, un giorno nella vita, a spiegare le classi sociali a una quattrenne la cui madre non avrebbe neanche voluto aver sentore di un simile discorso.
- I domestici, – provò – Sono le persone che mi aiutano. Cucinano, puliscono casa, mi servono…
- Anche mia mamma ti serviva, quando è venuta qui. Allora anche lei era una domestici, – dedusse esaltata, prima di soffermarsi a pensare – Ma tu sei grande, – obiettò candida – Perché hai bisogno di gente che ti aiuti?
- Neanche gli adulti possono fare tutto da soli.
Arrampicarsi sugli specchi.
Corso pratico gentilmente offerto da Robert Gold.

Il fatto che una persona grande e ricca – un re! – come suo papà non potesse far tutto da sola non la convinceva affatto. Mamma, Ruby e Granny erano grandi, anche se non ricche, e non avevano domestici che le aiutassero. Perché papà non riusciva a fare lo stesso? Forse per i re era diverso?
Aprì la bocca per dirlo, quando il portello della vettura fu bruscamente aperto da un affannatissimo Archie.
Gold lo gelò con lo sguardo.
- Non sapevo che l’ordine di non essere disturbato fosse tanto oscuro.
- Perdonatemi, Miss Helena… Mr Gold… – il maggiordomo riprese fiato – C’è un problema. Un problema grave.
Se Gold non bestemmiò, fu solo per la bambina presente.
- Non m’importa. Ho dato disposizioni precise a riguardo, e pretendo di essere ascoltato.
Helena guardò il padre, che continuava a fissare l’insubordinato in un modo che le era sconosciuto e che quasi le metteva paura.
- Signore, – Hopper non si perse d’animo – Ce la siamo ritrovati davanti senza preavviso.
All’industriale non sfuggì l’uso del femminile.
- Lei sarebbe?
- La…
- Resta qui, – gli impose senza permettergli di completare la risposta e si rivolse alla figlia: – Helena, – la piccola rialzò il capo – Torno a breve. Stai tranquilla, non c’è niente di cui preoccuparsi.
- Non lo faccio, – mormorò lei mentendo.
L’uomo se ne accorse. L’invitata indesiderata si sarebbe pentita della sua visita; e se ne sarebbero pentiti anche i servi disattenti.
Quando giunse all’ingresso, si bloccò.
 
Sulla porta di casa c’era Regina Mills.
 
 
 

“What do you say
it's up for grab
 now that you're on your way down?
Where does the good go?

Where does the good go?”
“Where does the good go?”- Tegan and Sara

 
 
 
1 “Il toro nero di Norroway” è un’antica fiaba scozzese. In breve: una fanciulla parte per un’avventura cui presto si unisce un toro nero che in realtà è un cavaliere sotto mentite spoglie. Trovate la storia completa su http://www.paroledautore.net/fiabe/classiche/jacobs/toro_norroway.htm;
2: ed ecco un’altra Queen of Darkness! Per il cognome di Mal mi sono ispirata all’attrice che la interpreta, Kristin Bauer (von Straten), e ho inventato una storia con Stefan prendendo spunto dal film con Angelina Jolie.
3: la Bean Nighe è la versione scozzese dalla più nota banshee irlandese, lo spirito femminile i cui lamenti disperati preannunciano la morte e, in generale, portano sfortuna - http://hilamoon.blogspot.it/2014/03/creature-della-mitologia-scozzese.html e
http://en.wikipedia.org/wiki/Bean_nighe.
 
 
 
N. d. A. : Raggi di sole! ♥ 
È iniziato maggio, che porterà il caldo, la sessione d’esami e il finale di OUAT. “Annamo bene…” – cit. Spero almeno che il nuovo capitolo vi sia piaciuto, o comunque non vi abbia fatto completamente schifo: esprimete il vostro parere, anche critico, perché sapete che è sempre benvenuto e può essermi d’aiuto – oltre che rendermi felice, naturalmente! XD
Siamo (finalmente) arrivati a un punto cruciale: il prosieguo sarà fondamentale per la storia. Stay tuned... ;)
Il timore per l’OOC riguarda come al solito tutti i personaggi, ma stavolta la (s)fortunata vincitrice del premio “Come diamine l’ho caratterizzata?” è… Belle! Un applauso per lei, signore e signori! Scherzi a parte, temo di averla resa un po’ troppo piagnucolona o comunque fragile. Come le ho fatto precisare, i suoi dubbi non nascono dalla sfiducia, ma da una sorta di – naturale, credo – ansia da separazione: è sempre stata con la figlia e all’improvviso deve separarsene per interi giorni; anche stante gli abbandoni improvvisi di cui ha purtroppo esperienza, credo sia spontanea una reazione non proprio pacatissima e razionale… Spero però di non aver esagerato!
Mi sono ispirata un po’ alla 4x06, da cui ho tratto e riadattato una o due battute. ;)
Ringrazio chiunque legga la storia, la recensisca e/o l’aggiunga a una categoria: il vostro supporto è la mia forza, gioie! ♥ ♥ ♥
Ci si rilegge qui tra due sabati e, nel frattempo, sulla pagina Facebook “Euridice’s world”! :)
Bacioni, Dearies! :* ♥ :*
Euridice100
   
 
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