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Autore: Deliquium    03/05/2015    3 recensioni
I raggi del sole gli accarezzano il volto. Ardono dell'intensità che ne anticipa la morte. Il vento scuote le fronde degli alberi. Gli uccelli si levano in volo. Alcuni sassi rotolano giù dal fianco della montagna su cui si snoda la Scala e poi tutto tace.
Lui attende. Tra le dita sottili da fanciullo i grani del rosario scorrono.
Genere: Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Virgo Shaka
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Rovine'
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Brahma




If the red slayer think he slays,
Or if the slain think he is slain,
They know not well the subtle ways
I keep, and pass, and turn again.

Inspira e lascia entrare l'aria nei polmoni. La trattiene una manciata di secondi e poi espira, lasciandola uscire. Il suo pensiero segue il percorso dell'aria, dal dentro al fuori e viceversa.
È seduto all'ingresso del suo tempio tra due delle trentatré colonne che segnano il confine tra il sacro e il profano. Ascolta il mondo con la punta delle dita e lo vede tendendo le orecchie.
I raggi del sole gli accarezzano il volto. Ardono dell'intensità che ne anticipa la morte. Il vento scuote le fronde degli alberi. Gli uccelli si levano in volo. Alcuni sassi rotolano giù dal fianco della montagna su cui si snoda la Scala e poi tutto tace.
Lui attende. Tra le dita sottili da fanciullo i grani del rosario scorrono.
Schiude gli occhi per un istante: davanti a lui la scalinata s'insinua tra le rocce e scompare, del Quinto Tempio non scorge che una parte del tetto. Poi, torna a richiuderli.
È abituato al silenzio: ne riconosce le sfumature, le invisibili vibrazioni che lo rendono tranquillo, teso, arrabbiato. C'è silenzio e silenzio. C'è la quiete che sopraggiunge alla fine di una tempesta, quando le gocce di pioggia scivolano lungo gli steli d'erba. C'è il silenzio dell'attesa, quando il cuore palpita, le membra si irrigidiscono e le orecchie si tendono. C'è il silenzio rabbioso di chi ha perso tutte le parole o ne ha accumulate talmente tante da non sapere più quale pronunciare per prima. E, infine, c'è il silenzio senza scopo e senza aspettative, specchio del nirvana che si potrà raggiungere.
Un crepitio alle sue spalle. Increspa le sopracciglia e inclina la testa per ascoltare la voce delle ombre dietro di lui; ma le ombre non hanno voci, solo sussurri che parlano a orecchie non umane.
Si alza, il volto rivolto un'ultima volta al crepuscolo, là dove la scalinata scende verso le altre Case.
La sera ha già avvolto il Tredicesimo Tempio, primo ad essere lambito dal chiarore dell'aurora e a conoscere poi la carezza dell'imbrunire.
Un giorno come tutti gli altri. Un tramonto come tutti gli altri. Eppure sa – sente – che l'aria è inquieta e che, se potesse parlare, sussurrerebbe parole d'avvertimento.


Far or forgot to me is near
Shadow and sunlight are the same
The vanish'd gods to me appear
And one to me are shame and fame. 


Il Sesto Tempio è rischiarato dalle fiamme che ardono in cima ai candelieri di ferro battuto.
Lui vive in un mondo sospeso al di là del tempo, dove il passato si mischia al presente e la luce delle candele tinge la realtà di chiaro-scuri rinascimentali.
Tutto ciò che gli è servito nel corso degli anni è stato se stesso e un luogo dove sedere a rimirare l'infinito, ma, ora che l'aria sfrigola d'aspettativa dopo oltre duecento anni, avverte ancora prurito alla cicatrice che la verità ha lasciato nel medicare le ferite del dubbio.
Le fiamme guizzano sulla superficie della corazza, ravvivandola. Lui cammina a occhi chiusi in un mondo che ha imparato a conoscere grazie alla privazione e, quando le candele si spengono di colpo, avverte il peso della crescente oscurità filtrare attraverso le palpebre chiuse.
«Ti ho aspettato a lungo, ma non sei mai venuto.» Le parole che escono dalle sue labbra sono impolverate.
Il silenzio si contrae e un respiro gli risponde. Un fiato che gli carezza il volto, lieve come schiuma.
«Non me ne sono mai andato, Kshatriya.»
Non ha parlato, ma lui l'ha udito e corruga la fronte mentre il suo cosmo s'increspa.
Un altro respiro: «Perché tentenni?»
Fa scorrere il rosario tra le dita. Al suo cospetto non cesserà mai di sentirsi come se fosse appena nato: inutili le esperienze, vane le conoscenze, prive di scopo le aspettative e le ideologie.
«Per come mi hai chiamato.» risponde.
Il respiro che segue alle sue parole è frammentato dal riso.
«Non riconosci più quel nome? Hai forse smesso di essere un guerriero?»
Apre gli occhi d'istinto, pur sapendo che non vedrà altro che oscurità.
«No.» dice. «Io so cosa sono. Ma...»
S'interrompe. Il dubbio gli fa abbassare lo sguardo.
«Ma?»
Torna a fissare il respiro-voce che dimora nell'oscurità.
«Sono stato cieco.»
«Confermo. Troppa luce impedisce di vedere il mondo.» Tace per alcuni istanti, prima di ammorbidire il tono. «Dimmi, come preferisci essere chiamato adesso?»
Lui sospira. Si accorge della stanchezza intrecciata alle sue membra, della gravità che lo trattiene.
«È necessario un nome?»
«Se vuoi esistere.»
«Loro mi chiamano Shaka.»

The strong gods pine for my abode,     
And pine in vain the sacred Seven;     
But thou, meek lover of the good!   
Find me, and turn thy back on heaven.


Shaka volge lentamente il capo verso il portale a doppio battente che protegge l'accesso al Giardino degli Alberi Gemelli. Nell'oscurità che cela le forme il passaggio è sia aperto che chiuso.
Shaka alza le spalle, inspirando. Trattiene il respiro e guarda il buio. Nessuna differenza tra la vista e  la non-vista, tra la vittoria e la sconfitta, tra l'essere qui e l'essere altrove.
Alza il mento, in ascolto. Il loro incedere tra le vestigia senza tempo del Santuario è silenzioso quanto l'eco del battito d'ali di una colonia di farfalle.
Il Serpente a Tre Teste striscia. Il suo nome è Tradimento. Il suo nome è Necessità.
«Sei ancora qui?»
«Mi stai chiedendo davvero questo, Shaka?»
Il guerriero piega le labbra in un lieve sorriso. Il sacerdote congiunge i palmi uno contro l'altro.
«Ho creduto che avessi ricominciato ad essere silenzioso.»
«Vuoi che lo sia?»
Le stelle gridano la cacofonia dell'apocalisse. 
«Stanno arrivando.» sussurra il respiro-voce.
Shaka volge il capo a ovest verso la casa del Leone. Più giù, là dove le dimensioni scivolano l'una nell'altra, il combattimento infuria.
Riconosce i cosmi. Il Serpente a Tre Teste sarebbe dovuto rimanere morto.




Il respiro-voce parla.






Il guerriero-sacerdote risponde.





«I morti sono vivi e i vivi presto saranno morti.»
«Tutto in Brahma si compie.»
«Tutto in Bramha si compie. L'oscurità come la luce. La vergogna come l'onore.»
«In te ogni dio vive.»
«Ogni dio in me vive. Yama, il signore della morte, così come Agni, il dio del fuoco.»
Le candele si riaccendono.
Il respiro-voce è tornato silenzioso.
Shaka tende il rosario davanti a sé: è vecchio di oltre duecento anni e tre perle sono diventate nere.



Note dell'AutriceBrahma è una poesia scritta da Ralph Waldo Emerson (1803-1882). Musicata da Deleyaman, un collettivo attivo da una decina d'anni e guidato da Aret Madilian, è contenuta nell'album “Fourth - Part Two” del 2011. Cerco di spiegare brevemente il senso di Brahma (la poesia, intendo): nell'induismo i termini che contengono b-r-m-n (mi sembra di ricordare) sono molto importanti. Ad esempio, Brahma, che è il dio dell'universo, o brahman che è l'anima, l'essenza dell'universo, o ancora brahmini, la casta sacerdotale. La poesia esprime la concezione principale che ruota attorno a Brahma, ovvero l'unione degli opposti. In Brahma tutto converge, ogni cosa è in Brahma. Quando l'uomo avrà compreso quest'unità, sarà completo e avrà realizzato sé stesso. Il primo verso fa riferimento a un misterioso “red slayer”. Ci si è chiesti chi o cosa potesse essere. Slayer è un termine letterario inglese che significa 'uccisore'. Una delle caste indiane è quella dei guerrieri  Kshatriya, termine che deriva dal sanscrito ksatra, che vuol dire 'dominio, governo, potenza'.

Credits - Ralph Waldo Emerson, Brahma.

Musica - Deleyaman, Brahma

 


Questa è opera di fantasia.
Saint Seiya, i suoi personaggi e ogni richiamo alla serie citata appartengono a Masami Kuramada. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma solo come omaggio da parte di un fan. Tutti i personaggi, gli episodi e le battute di dialogo sono immaginari, e non vanno riferiti ad alcuna persona vivente né intesi come denigratori. In particolare, i personaggi, le ambientazioni e le situazioni da me create, mi appartengono; per poterli utilizzare altrove, o per riprodurre questa storia o parti di essa è necessario il mio consenso.
   
 
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