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Autore: vannagio    04/05/2015    6 recensioni
«Hai telefonato al tuo amico cacciatore?», chiese Sam.
«Seeh».
«E che ti ha detto?».
«Mi ha dato l’indirizzo di un tatuatore. Mi ha assicurato che è uno dei migliori qui a New York. Un tipo che fa il suo lavoro senza fare domande, non chiede cifre esorbitanti e ha lo studio in una zona abbastanza defilata. Meglio di così…».
Diede un morso al cheeserbuger senza perdere di vista la cameriera. Sam annuì.
«Bene. Sbrigati a mangiare, allora. Voglio andarci stasera, prima che chiuda».
Dean spostò lo sguardo su Sam, sbattendo un paio di volte le palpebre, come qualcuno che è appena rinvenuto da un incantesimo. Mandò giù il boccone e sbuffò.
«Veramente…». Ammiccò in direzione della cameriera. «Avevo altri programmi per la serata».
Sam roteò gli occhi.
«Scordatelo. Non mi muoverò di un singolo passo prima di avere quel tatuaggio. Siamo stati incoscienti, avremmo dovuto farlo subito dopo l’incidente in Minnesota con Jo».

[Storia ambientata durante la seconda stagione, dopo gli eventi dell'episodio 2x14 "Born Under A Bad Sign"]
Genere: Avventura, Commedia, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Seconda stagione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Una storia di metallo e inchiostro'
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Williamsburg, New York




Capitolo 4



JD li stava aspettando appoggiato alla fiancata della sua vecchia Ford. Quando l’Impala posteggiò accodandosi alla sua auto, lo videro alzare una mano in segno di saluto e incamminarsi per andare loro incontro. Dean smontò dall’auto. Sperava non si trattasse di una seccatura inutile, non aveva fatto colazione ed era di umore pessimo. Inoltre la spalla e la faccia gli facevano ancora un male cane per le botte della sera prima.
«Allora? Che vuole la vecchia?», chiese.
Sam lo fulminò con un’occhiataccia.
«Dean, portale un po’ di rispetto».
«Oh, scusa tanto, Sammy, non volevo offendere la tua fidanzatina!».
«Dean!».
«Che c’è? Non è colpa mia se sei miele per le api per le nonnine».
Sam arrossì vistosamente e JD nascose una mezza risata dietro un colpo di tosse.
«Non so cosa sia successo», disse poi, per rispondere alla domanda di Dean. «Mi ha convocato mezz’ora fa, chiedendomi… anzi, ordinandomi di portarmi dietro anche voi. Volevo aspettarvi prima di entrare».
Dean si mise le mani in tasca e sbuffò.
«Non ci resta che scoprirlo, allora».
Il Coyote Club aveva un aspetto smorto di prima mattina, come qualcuno che ha fatto baldoria fino a tarda notte e il giorno dopo è costretto a trascinarsi controvoglia fuori dal letto. Le luci erano spente, il palco era deserto e le sedie erano state capovolte sui tavoli. Non avevano fatto in tempo a varcare la soglia, che vennero aggrediti da un cane rabbioso con le sembianze di una vecchietta.
«Voi tre! Avete dormito bene? Vi siete riposati?».
«Sì, grazie per l’interessamento», disse Dean.
Il sorriso di Halona aveva qualcosa di diabolico e innaturale, forse perché non era molto abituata a usarlo. Le tagliava la faccia in due, come un pupazzo dei Muppets.
«Oh, mi fa piacere. Sono felice per voi. Sapete invece chi non è ancora riuscita a tornare a casa, è in piedi da quasi ventiquattro ore e ha visto l’alba in compagnia di poliziotti e paramedici?».
Dean inarcò un sopracciglio.
«Qualcosa nei tuoi modi da Il Mattino Ha L’oro In Bocca mi dice che sei tu».
«Abbiamo un cazzo di vincitore!», esclamò Halona, sollevando le braccia verso il soffitto.
Sam e JD avevano sgranato gli occhi.
«Halona, cosa è successo?».
«Lester è morto».
«COSA?», dissero JD, Dean e Sam all’unisono.
Halona fece loro segno di seguirla e li condusse fino all’entrata del cesso, che era stata transennata con i nastri della scientifica. Aprì la porta stando attenta a non staccarli e disse loro di guardare dentro.
«Porca puttana!».
La sagoma di un uomo era stata tratteggiata a partire dal pavimento fin sopra al lavandino. C’era sangue sulle piastrelle, sul rubinetto e intorno allo scarico dell’acqua.
Halona si appoggiò con la spalla allo stipite.
«Era andato al cesso. Il pavimento era bagnato. È scivolato e, guarda caso, è caduto proprio sul rubinetto, che gli si è conficcato nell’occhio dritto fino al cervello. Non dovrei essere qui, ma ho un aggancio alla polizia che mi ha concesso mezz’ora: volevo che vedeste. Perché, non so voi, ma io la trovo strana come coincidenza. Ieri sera parlate con Lester di Killer Joe e qualche ora dopo Lester muore per colpa di un incidente».
Per l’occasione Sam aveva indossato la faccia da Verginella Ingenua.
«Aveva bevuto molto, ieri sera. Non è poi così strana come coincidenza».
Halona gli andò sotto a muso duro. Dean fece un passo in avanti, ma JD lo trattenne con una mano sul petto.
«Sai perché non ho avuto bisogno di verificare la storia del FBI, ieri sera?», chiese lei. «Perché ti ho guardato negli occhi e ho capito che stavi dicendo grosso modo la verità. Be’, adesso ti guardo negli occhi e vedo solo un mucchio di stronzate».
Sam fece per dire qualcosa, ma Halona lo zittì con un’occhiataccia.
«Chiudi il becco, chiudete il becco tutti e tre, e aprite le orecchie. Domani seppellirò un vecchio amico e per me la faccenda si chiuderà lì. È stato un incidente. Punto, fine. Ma se c’è la remota possibilità che sotto ci sia altro, allora voi siete sicuramente coinvolti e dovete assicurarmi che Lester riposerà in pace. Se c’è un responsabile, deve pagare. Sono stata chiara?».
Sam e Halona si guardarono negli occhi per qualche istante.
«Ha la mia parola, signora».
Uscirono dal Coyote Club con l’aria mogia e tetra di chi ha preso parecchie legnate. Sam, in particolare, era tornato lo Stitico Tormentato di sempre. A Dean bastò fissarlo un secondo per capire cosa stava pensando e scosse la testa.
«Non può essere stato Killer Joe a uccidere Lester. Non ha senso».
«Dobbiamo stare ai fatti, Dean», disse Sam sospirando. «Killer Joe mascherava i suoi omicidi come incidenti». Cominciò ad elencare sulla dita della mano. «La macchina di Darla si è incendiata, l’armadio stava per schiacciare JD e Lester è scivolato sul rubinetto. Inoltre Killer Joe aveva ricevuto l’incarico di uccidere due uomini e una donna, e sappiamo che aveva la fama di non mollare fino a lavoro compiuto. L’incarico è il suo conto in sospeso, è chiaro come il sole. Ai suoi occhi JD è Wile, Darla è Gina e Lester… be’, Lester era Lester».
Dean si sedette sul cofano dell’Impala e sbuffò.
«D’accordo, ma perché ha cominciato solo adesso? Sono passati trent’anni, Cristo Santo! La vendetta è un piatto che va servito freddo, okay, però in questo caso il piatto è andato a male, e da parecchio anche! Senza contare che il buon vecchio Joe è morto nel negozio, non dovrebbe andarsene a spasso come se nulla fosse. I fantasmi sono legati ai luoghi in cui sono vissuti o morti».
«Possono legarsi anche agli oggetti», gli fece notare Sam.
Dean aggrottò la fronte.
«Stai dicendo che per tutto questo tempo abbiamo avuto sotto il naso un oggetto a cui Killer Joe era legato e non solo non ce ne siamo accorti ma ce lo siamo anche portati appresso come dei cazzo di dilettanti?».
Sam annuì.
«Non c’è altra spiegazione, altrimenti come avrebbe fatto il fantasma ad arrivare al Coyote Club? La buona notizia è che il campo in cui cercare si restringe agli oggetti che JD ha in tasca».
«Che aveva in tasca», lo corresse Dean. «Deve essere qualcosa che JD ha dimenticato ieri sera al club, perché poi siamo andati via, mentre il fantasma è rimasto lì a pareggiare i conti con Lester».
Due paia di occhi si posarono su JD.
«Hai perso qualcosa?».
Lui si tirò i capelli all’indietro, a disagio.
«Be’, in effetti…».
«Ehi, JD!».
Dean, Sam e JD si voltarono verso l’ingresso del Coyote Club. Halona aveva appena chiuso il catenaccio dell’entrata principale. Tirò fuori dalle tasche dei jeans qualcosa e lo lanciò a JD, che lo prese al volo.
«Li ho trovati addosso a Lester prima che arrivasse la polizia», spiegò. «Credo che tu li abbia dimenticati al suo tavolo, ieri sera, e che lui li abbia presi senza fare tanti complimenti».
JD si guardò le mani. Uno zippo d’argento e un pacchetto di sigarette.
Bingo, pensò Dean.
«L’accendino era di Wile, vero?», chiese lei. «L’ho riconosciuto subito, per questo ho capito che doveva essere tuo».
Quando Halona ebbe svoltato l’angolo in sella alla sua Sportester, JD mostrò a Sam e Dean lo zippo d’argento di Wile.
«Non può essere questo. Non dovrebbe essere qualcosa che è appartenuto a Killer Joe?».
Sam scosse la testa.
«Può essere qualsiasi cosa che è entrato in contatto con lui. Basta anche un micro-frammento di DNA, te l’ho già detto. Per quanto ne sappiamo, questo potrebbe essere l’accendino con il quale Wile ha appiccato il fuoco per bruciare il cadavere di Killer Joe. Da quanto tempo ce l’hai?».
«Fammi pensare…». JD si grattò il mento. «Da giovedì. Poco prima che arrivaste voi due, avevo trovato cianfrusaglie di Juno e Wile in magazzino. Ricordi, te ne avevo parlato? Il braccialetto coi teschietti faceva parte di quella roba. Lo zippo d’argento era dentro una cassettina di ferro insieme a un anello e un coltellino a serramanico».
Dean e Sam si scambiarono un’occhiata che parlava da sola.
«Il ferro…».
«…respinge gli spiriti».
«La cassettina avrà tenuto Killer Joe intrappolato per tutto questo tempo».
Dean si rivolse a JD.
«La cassettina dov’è?».
«Al negozio, perché?».
Sam sorrise.
«Buona idea, Dean! Per sbarazzarci di Killer Joe dovremmo fondere lo zippo, ma il punto di fusione dell’argento è 961° C. In attesa di trovare un posto in cui fonderlo, mettiamo l’accendino nella cassettina. Se ha funzionato per trent’anni, funzionerà anche adesso».



Sam mise lo zippo d’argento nella cassettina di ferro e chiuse il coperchio. Dean la imballò per bene con un paio di giri di nastro adesivo e poi la gettò dentro al bagagliaio dell’Impala. Una volta chiuso anche quello, si sfregò le mani sorridendo soddisfatto.
«Tutto è bene quel che finisce bene. È la prima volta che concludiamo un lavoro senza sparare nemmeno un proiettile».
Mentre si incamminavano verso il negozio di tatuaggi, Dean intercettò lo sguardo da Stitico Tormentato di Sam e sbuffò. Possibile che non fosse mai in grado di godersi il momento senza complicarsi la vita con inutili masturbazioni mentali?
«A Lester non è finita tanto bene, in realtà», disse infatti.
Sul serio, non poteva passare alle masturbazioni vere e proprie? Almeno quelle mettevano di buon umore.
«Guarda il lato positivo, Sammy. La morte di Lester ci ha aiutato a trovare la soluzione del caso. La sua morte non è stata vana».
Sam sbottò in una risata amara.
«Ah, sono sicuro che gli sarà di grande consolazione nel posto in cui si trova adesso».
Dentro al negozio tutto era tornato alla normalità. Darla si trovava dietro al bancone, masticava una gomma, ascoltava musica alla radio e, nonostante un braccio fasciato, si passava lo smalto sulle unghie. Dean le si mise accanto per contemplare il risultato. E accarezzarle la schiena in modo volutamente allusivo.
«Uhm, questo colore ti dona».
Lei ammiccò.
«Nero come la mia anima».
Sam si schiarì la voce. L’espressione contrariata con cui li stava fissando diceva che era parecchio scocciato. Dean concluse che a suo fratello serviva una bella scopata. E al più presto, anche. L’astinenza lo trasformava in una specie di zitella acida con un bastone ficcato su per il culo.
«Dov’è JD?», chiese a Darla.
«Nel suo laboratorio», rispose lei, indicando col pennellino dello smalto la tenda. «Sta preparando tutto l’occorrente per i vostri tatuaggi. Ah, ragazzi, non appena lo smalto è asciutto, vado a fare rifornimento per la colazione. Prendo qualcosa anche per voi?».
«No, grazie, sono a posto», disse Sam.
La risposta di Dean fu laconica.
«Tacos».
Darla inarcò un sopracciglio.
«Tacos a colazione?».
Lui fece spallucce.
«Ieri ho saltato la cena!».
Oltre la tenda, JD stava aprendo la boccetta con l’inchiostro. Sul banco da lavoro erano già pronti lo stencil del pentacolo circondato dal sole, la macchinetta elettrica, un panno per tamponare l’inchiostro in eccesso, il disinfettante e barattolini di creme varie. Sentendoli entrare, JD alzò lo sguardo e sorrise.
«Qui è tutto pronto, sotto a chi tocca!».
A Dean e Sam bastò un’occhiata.
«Car-ta, for-bi-ce, sas-so!».
Carta per Sam, sasso per Dean.
«Do’h! Come fai a fregarmi sempre?».
JD si legò i capelli con un elastico e indossò i guanti in lattice.
«Avanti, Sam. Togliti la camicia e vieni».
Mentre suo fratello obbediva come un bravo soldatino, Dean tossì a disagio.
«Questa situazione comincia a essere un po’ troppo omo per i miei gusti».
Sam prese posto sulla poltrona in pelle, sospirando.
«Non dargli retta, è in astinenza da zuccheri».
«Non ti preoccupare». JD passò un cotone imbevuto di disinfettante sulla porzione di pelle che sarebbe stata interessata dal tatuaggio. «Non è il primo macho con cui ho a che fare».
«Scusate, io sono ancora qui, eh?». Dean prese una sedia e ci si sedette sopra a cavallo, incrociando le braccia sullo schienale. «Stavo solo pensando che con il lavoro che fai ti sarà capitato di vedere qualche volatile di troppo, o no? La cosa non ti crea problemi?».
JD applicò lo stencil del tatuaggio sul petto di Sam, sotto la clavicola, passandoci sopra la mano per farlo aderire uniformemente alla pelle. Dopo aver tirato via la carta, ritoccò i contorni del disegno con una matita speciale.
«Quando tatuo, il corpo che ho davanti è solo una tela. E poi, se dobbiamo mettere i puntini sulle ì, vedo molte più patate che volatili».
Dean sbarrò gli occhi.
«Non è che avresti bisogno di un apprendista, vero?».
Sam alzò gli occhi al cielo, ma JD scoppiò a ridere.
Proprio in quel momento, il caschetto nero di Darla fece capolino da dietro la tenda.
«JD, sto uscendo».
«D’accordo».
«Non dimenticare i miei tacos, donna!», disse Dean.
«Chiamami un’altra volta “donna” e poi vedrai dove te li ficco, i tuoi tacos».
Nel frattempo JD aveva cosparso il disegno con una crema semi-trasparente e adesso, si rese conto Dean, fissava il pacchetto di sigarette con una certa intensità. Anche Sam doveva averlo notato.
«Se vuoi accendertene una, non è un problema».
«Sì, tanto è sabato, il negozio ufficialmente è chiuso».
JD sorrise.
«Grazie, ragazzi».
Afferrò il pacchetto e lo capovolse contro il palmo della mano. Ne saltò fuori l’ultima sigaretta e un anellino d’argento. Dean si sporse in avanti per guardarlo più da vicino.
«E quello da dove arriva?».
Lui, però, non rispose. Fissava l’anello in stato catatonico.
«Che succede?», chiese Sam.
JD sollevò lo sguardo nella loro direzione, gli occhi grandi come piattini da te.
«Abbiamo preso un grosso granchio».
Dean stava per chiedergli di che cazzo stesse blaterando, quando uno stridio metallico e assordante lo costrinse a tapparsi le orecchie. Corse fuori dal laboratorio fino alla sala d’attesa e non poté trattenere un’imprecazione. La grata della porta di ingresso era stata chiusa col catenaccio: erano intrappolati dentro. Rabbrividì all’improvviso, non di paura, ma di freddo, l’aria era diventata gelida di punto in bianco: aveva il fiatone e la nuvoletta di condensava appariva e spariva ogni volta che espirava e inspirava con la bocca.
Tornò sui suoi passi.
«Ci servono degli oggetti di ferro, subito».
Sam però aveva già provveduto, sia lui che JD erano armati rispettivamente di chiave inglese e piede di porco. Ai loro piedi c’era una cassa degli attrezzi.
«Quel cazzo di anello. Da dove arriva?».
«Lo aveva Darla. Poi dopo l’incendio dell’auto, l’ho preso io. Ieri sera me lo sono ritrovato in tasca e l’ho lasciato accidentalmente al Coyote Club con lo zippo e le sigarette».
Il negozio precipitò nel buio e la tenda ondeggiò come se qualcuno ci fosse passato attraverso. Dalle pareti cominciò a colare una roba viscosa e nera, probabilmente ectoplasma, che si accumulò dinnanzi a loro in una grossa pozzanghera e dalla quale prese forma la sagoma di Killer Joe. Cappello da cowboy compreso.
Dean afferrò una tronchese per catene dalla cassa degli attrezzi.
«Ti prego, JD. Dimmi che c’è del sale qui dentro».



«Ma che cazzo…?».
Darla posò le buste colme di roba da mangiare sul marciapiede e corse verso l’ingresso del negozio di tatuaggi. La grata era chiusa col catenaccio. Non solo. La vetrata della porta era oscurata, come se fosse stata coperta con un drappo nero, non si riusciva a vedere attraverso il vetro. Mise le mani a coppa intorno agli occhi, per cercare di intravedere qualcosa, ma il drappo o qualsiasi cosa fosse era troppo fitto e scuro. Provò a scuotere la grata più forte che poté, ovviamente il catenaccio non cedette di un millimetro.
Fino a tre giorni prima, lo avrebbe considerato uno scherzo di cattivo gusto, pur sapendo che JD non era tipo da fare scherzi simili. Dopo aver rischiato di bruciare viva dentro la sua auto e aver ascoltato i racconti di Dean, non dovette riflettere molto per ipotizzare cosa stesse succedendo dentro al negozio. Compose il numero di JD e attese in linea, fissando il suo riflesso preoccupato sulla vetrata nera della porta.
«Messaggio gratuito: il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile».
Dannazione!
Diede un calcio alla grata, frustata come non mai. La se stessa nella vetrata sembrava anche più incazzata di lei.
Aspetta un attimo…
Darla strabuzzò gli occhi. Porca puttana, il suo riflesso stava… mutando?
Il caschetto si allungò in una cascata di capelli lunghi oltre le spalle e lisci come spaghetti. Il viso a cuore si gonfiò leggermente sulle guance diventando più tondo. Gli occhi si stirarono sugli angoli, come se qualcuno li stesse tirando con due pinzette. Intorno alla vita germogliarono delle grosse piume verdi e blu che si chiusero in una lunga gonna intorno alle gambe.
Darla non riuscì a trattenere un singulto strozzato. Si voltò per accertarsi che non ci fosse nessuno alle sue spalle.
«Juno?».
Cazzo, era proprio lei. O, meglio, il suo riflesso.
Juno aveva una cassettina di ferro tra le mani.
«Aspetta, quella è la cassettina dove abbiamo messo lo zippo!».
Juno sorrise. E poi aprì la cassettina. Dentro però non c’era lo zippo. C’era un anello. E Darla riconobbe anche quello. Rivide se stessa frugare nello scatolone della roba di Wile e Juno, trovare la cassettina di ferro, aprirla, trovarvi dentro lo zippo, un coltellino e… l’anello! Darla abbassò lo sguardo sul suo braccio fasciato e le tornò in mente che JD le aveva sfilato il bracciale dal polso e l’anello dal dito per evitare che infettassero le scottature.
«Killer Joe è legato all’anello. E adesso sono entrambi lì dentro. La cassettina, invece…». Darla si voltò verso l’Impala. «Devo trovare il modo di entrare. Tu puoi fare niente?».
Ma Juno era scomparsa, sulla vetrata non c’era altro che il riflesso di Darla.
«Be’, certo, sarebbe pretendere troppo».
Corse verso l’Impala e provò ad aprire il bagagliaio. Ovviamente era chiuso a chiave. Raccolse un sasso da terra e sospirò.
«Mi dispiace, Dean, è per il tuo bene».
Ruppe il finestrino, sollevò la sicura, aprì lo sportello e sbloccò il portellone del bagagliaio azionando la levetta sotto al sedile. Dentro al vano bagagli trovò un arsenale in piena regola, oltre alla cassettina di ferro. Chissà a che cazzo potevano mai servire fucili e pistole contro i fantasmi. Alla fine optò per una specie di spadone.
Sul retro dell’edificio, sopra ai bidoni dell’immondizia, si affacciava la finestrella del magazzino del negozio. Darla si tolse i sandaletti col tacco, incastrò cassettina e spadone sotto l’ascella e, ignorando le fitte di dolore al braccio, si arrampicò a piedi scalzi. Per fortuna quella mattina aveva deciso di indossare gli shorts e non la minigonna. Per fortuna era scappata così tante volte da casa nel cuore della notte, che sapeva fin troppo bene come sfruttare le intercapedini di un muro. L’impugnatura dello spadone si rivelò utilissima per mandare in frantumi il vetro della finestrella. Infilò il braccio per sbloccare la serratura e finalmente sgattaiolò dentro.



«Ti prego, JD. Dimmi che c’è del sale qui dentro».
«No, mi spiace».
Dean imprecò.
«Tutte le cazzo di fortune a noi!».
Killer Joe se ne stava fermo dinnanzi a loro senza muovere un muscolo. Be’, Dean non aveva intenzione di aspettare che escogitasse un modo fantasioso per ammazzarli, così si lanciò in avanti e lo colpì con la tronchese per catene, trapassandolo da parte a parte. Il ferro fece il suo mestiere, la sagoma di Killer Joe venne tagliata in due e si dileguò nell’aria.
«È stato troppo facile», disse JD.
Sam rinsaldò la presa sulla chiave.
«Ah, non ti illudere».
Non aveva ancora finito di parlare, che la grossa abat-jour ancorata al banco di lavoro si scardinò di botto, prese il volo e lo colpì alla tempia. Sam cadde per terra con un rivolo di sangue che gli colava sulla fronte.
«Sammy!».
Dean venne scaraventato nella direzione opposta. Prima che potesse rimettersi in piedi, il banco di lavoro gli si schiantò addosso, mozzandogli il fiato e bloccandolo contro la parete. Sam, intanto, si era faticosamente tirato su.
«Dean!».
Lui gemette, con una smorfia.
«Pensa a JD, è lui che vuole!».
Killer Joe era tornato solido e visibile. Sam provò a scacciarlo con la chiave inglese, ma una violentissima folata di vento lo mandò a sbattere con una forza inaudita contro l’armadio di metallo, lasciandolo sul pavimento semi-incosciente. Adesso che la via era libera, Killer Joe poteva occuparsi di JD, che aspettava la sua prossima mossa a gambe divaricate e il piede di porco saldo nella mano destra.
«Nulla di personale», latrò Killer Joe. «Ho un lavoro da portare a termine».
«Allora vieni a prendermi, bastardo! Che cosa stai aspettando?».
Dentro al laboratorio il vento soffiava con una tale violenza, che la tenda si strappò dagli anelli che la tenevano agganciata al bastone. Rimase sospesa in aria e si attorcigliò su stessa a formare una specie di… fune. Poi strisciò su per la parete e lungo il soffitto come un serpente: la testa si annodò intorno al lampadario, mentre la coda si lasciò cadere, penzolando a pochi centimetri da JD.
Dean sgranò gli occhi.
«JD, SOPRA DI TE!».
Non fece in tempo a guardare in su, che la fune gli si arrotolò intorno al collo come un cappio, strozzandolo e tirandolo in aria. Dean fece leva sulle braccia con tutta la forza che aveva in corpo per spingere via il mobile che gli gravava addosso, ma era come cercare di spostare una montagna, non si smuoveva di un millimetro. JD intanto annaspava, cercando invano di slegare il nodo, le gambe che si dimenavano nel vuoto. L’anello gli sfuggì di mano, cadde per terra e rotolò sul pavimento, come dotato di vita propria, dritto nel palmo di Killer Joe, che si era chinato per raccoglierlo.
«Credo che questo mi appartenga», disse, mentre se lo infilava al dito.
JD era cianotico, Sam incosciente, Dean arpionato alla parete.
Era finita.
O forse no.
All’improvviso una luce abbagliante si materializzò dal nulla, al centro della stanza. E proprio come JD aveva raccontato, si gonfiò rapidamente in una bolla luminosa dalla superficie malleabile e sottile, che investì Killer Joe in pieno.
JD cadde a terra, tossendo e sputando saliva. La tenda, tornata a essere semplicemente una tenda, gli si ammucchiò accanto. Il mobile smise di gravare addosso a Dean, che riuscì a liberarsi spingendolo via, proprio mentre Sam riprendeva conoscenza.
Ma la bolla luminosa e Killer Joe stavano ancora lottando.
Dean fischiò.
«Cazzo, sembra Blob vs Supernova».
«Non riuscirò a trattenerlo ancora per molto», disse un’eco lontana.
Blob stava avendo la meglio, infatti, come un buco nero che risucchia tutto, perfino la luce.
«Dobbiamo fare qualcosa!», urlò Sam, mentre il vento intorno a loro assumeva le sembianze di un vortice.
«Già, ma cosa!», gridarono di rimando JD e Dean.
In quel momento la porta del magazzino si spalancò con un tonfo sordo e ne emerse una Darla scalza e armata di spadone.
«Uoa, è arrivata Xena!».
Xena, la principessa guerriera, lanciò lo spadone a Sam e la cassettina di ferro a Dean. Nello stesso frangente Blob ebbe la meglio su Supernova, ingoiandosela in un sol boccone, e riprese le sembianze di Killer Joe.
Ma Sam si era già lanciato all’attacco e con un fendente ben assestato gli tranciò di netto la mano, che si dissolse ancora prima di toccare il pavimento. Mentre Killer Joe gridava fuori di sé per la rabbia (o per il dolore?), l’anello rotolava via. Allora JD si buttò a terra, lo afferrò e lo lanciò a Dean. Che intanto era già pronto con la cassettina aperta.
«Canestro!», esultò.
Chiuse la cassettina e sorrise.
Le urla di Killer Joe erano quelle di una Banshee. Il fantasma si sciolse in un vortice di vento nero e venne risucchiato dalla cassettina.
Infine, tutto tacque.



Anche respirare con affanno gli faceva male, ogni boccata d’aria che scendeva giù per l’esofago era un sorso di lava bollente, sentiva ancora il cappio intorno al collo che si stringeva sempre di più e il fiato che gli si strozzava in gola. Cercava di prendere respiri profondi per calmarsi, per convincersi che l’aveva scampata, che quel respiro non sarebbe stato l’ultimo. Riuscì a tranquillizzarsi solo avvertendo il tocco leggero di dita calde tra i capelli. Pensava che si trattasse di Darla, ma quando sollevò lo sguardo, il suo cuore fece una capriola.
«Juno!».
Il suo viso irradiava luce mentre sorrideva. Tutto, in lei, era luminoso.
«Ciao».
Continuava a far scorrere le dita tra i suoi capelli, lentamente, fino alle punte. Era sempre stata una delle sue abitudini, al mattino, svegliarlo accarezzandolo in quel modo. Quante volte, dopo che lei era morta, aveva desiderato aprire gli occhi nel suo letto con la sensazione di quelle dita tra i capelli? Gli venne da piangere.
JD allungò una mano verso la sua guancia e, meraviglie delle meraviglie, riuscì a toccarla. Era calda e fredda al tempo stesso, impalpabile e solida. Le scostò i capelli e nel momento stesso in cui la vide, la testa del pavone adagiata sulla spalla, si rese conto quanto avesse anelato rivedere quel tatuaggio ancora una volta. Juno capì, così si alzò in piedi e si girò. Il pavone era proprio come lo ricordava. O quasi. Perché la coda, invece di avvolgersi intorno alla coscia, si apriva in una vera e propria gonna che sfiorava il pavimento. Quando si muoveva, sembrava che Juno levitasse. Probabilmente era davvero così.
Anche JD si mise in piedi. Sfiorò delicatamente il becco del pavone con l’indice, quasi avesse paura di fargli male o che sparisse all’improvviso. Una volta accertatosi che c’era davvero e che non gli si sarebbe dissolto sotto le dita, JD si chinò e lo baciò sul collo. La mano seguì la linea del dorso dell’animale fino alle due fossette in fondo alla schiena di Juno, per poi deviare sul fianco e cingerle la vita con un braccio. La tenne stretta a sé, la bocca sempre premuta contro il collo del pavone, finché, dopo quello che gli parve un tempo infinito e ugualmente brevissimo, Juno non si voltò nel suo abbraccio.
«Cercavi di comunicare con me, non vero?», le chiese. «La scritta sul parabrezza di Darla, il tatuaggio sulla mano di quel tizio, la bolla luminosa… eri sempre tu».
«Avrei voluto essere più chiara, ma dovevo tenere a bada Joe. E Darla era fuori dal negozio, non potevo uscire ad aiutarla».
«Sei sempre stata qui? Per tutto questo tempo?».
Lei annuì.
«Eri così chiuso in te stesso, dopo la mia morte, che non ho avuto il coraggio di lasciarti da solo. Mi sono legata al negozio, è qui che ci siamo conosciuti, che mi hai tatuato il pavone sulla schiena, che abbiamo fatto l’amore per la prima volta. Poi è arrivata Darla e lei ti ha dato una scossa. Ero pronta ad andare oltre, sapevo che saresti stato bene finalmente, ma quel Joe è sbucato fuori all’improvviso… non potevo permettere che vi facesse del male».
Juno poggiò la mano sulla sagoma incappucciata tatuata sul braccio di JD. Quando sollevò il palmo, la sagoma era sparita e al suo posto c’era solo il tatuaggio nella forma originaria: il viso di Juno.
«Scusa se l’ho fatto modificare, ma era troppo doloroso».
«Hai fatto bene, invece. Tuo nonno Wile diceva sempre che questo tipo di tatuaggi è per gli idioti».
«Be’, forse un po’ idiota lo sono».
Juno sorrise. Soffiò sul tatuaggio, che tornò la figura incappucciata di sempre.
«Promettimi che andrai avanti», disse, fissandolo negli occhi. «Che sarai al sicuro, lo so già. Quella Darla è una tipa tosta».
JD aumentò la stretta intorno alla sua vita.
«Stai per andartene?».
La sua espressione era risoluta. Cocciuta e caparbia anche da fantasma.
«Promettimelo, Junior!».
JD le sistemò una ciocca dietro l’orecchio.
«Nessuno mi chiama più così».
«Per me sarai sempre Junior. Me lo prometti, allora?».
«Sì, te lo prometto».
«Bravo, il mio ragazzo».
Lo baciò brevemente sulla bocca sollevandosi sulla punta dei piedi e poi lo morse giocosamente sul mento. Anche quella era una sua abitudine. Lui la prendeva in giro perché era bassa e lei rispondeva che era all’altezza giusta per morderlo sul mento.
«Ti amo, Juno».
«Lo so, ti amo anch’io, ma presto amerai qualcun'altra. Ed è giusto così».
Gli buttò le braccia al collo e JD ricambiò l’abbraccio, chiudendo brevemente gli occhi, ma quando li riaprì…
…si ritrovò sdraiato sul pavimento del suo laboratorio. Tre volti preoccupati lo fissavano dall’alto.
«Grazie a Dio, si è svegliato!».
«Di’ un po’, JD. Chi stavi sognando? Quei versi che emettevi erano piuttosto equivoci».
«Piantala, idiota!».
JD sorrise in direzione del soffitto.
Addio, Juno.



Sam si specchiò un’ultima volta prima di abbottonare la camicia. Il pentacolo circondato dal sole spiccava sulla pelle arrossata come un pugno in un occhio. Non si sarebbe mai trovato a suo agio con l’idea di avere un tatuaggio, non faceva per lui.
«Fin quando devo applicare la crema e coprirlo con la pellicola?».
JD si stava sfilando i guanti in lattice.
«Finché non scarica tutto l’inchiostro in eccesso e poi ancora per qualche giorno. Mi raccomando, quando lo lavi, non strofinarlo. E controlla Dean, non mi sembra il tipo che segue alla lettera le istruzioni».
Sam rise.
«Puoi dirlo forte».
Uscirono dal laboratorio e JD passò dietro al bancone. Sam mise mano al portafoglio, ma lui scosse la testa.
«Nemmeno per sogno, mi offendo».
«Ma…».
«Ci avete salvato la vita, il minimo che posso fare per sdebitarmi è un tatuaggio gratis».
Sam lanciò un’occhiata fuori, attraverso la vetrata della porta d’ingresso. Dean lo aspettava vicino all’Impala, stava chiacchierando con Darla. Al secondo turno di Carta-Forbice-Sasso aveva vinto lui.
«Avevo ragione io, alla fine», disse JD all’improvviso.
Lui aggrottò la fronte.
«Riguardo…?».
«A credere che Juno non avrebbe mai fatto del male a me o a Darla».
«Come lo sapevi?».
«Non è cosa siamo a definire chi siamo. Me lo diceva sempre mio nonno Wile. Conoscevo Juno come le mie tasche. Sarebbe morta, piuttosto che nuocere alle persone che amava, pur di aiutarle. E… be’, a quanto pare nemmeno la morte è riuscita a fermarla. Era cocciuta come un mulo, a volte».
Già, proprio come Dean. Ma era comprensibile, in fondo. Cosa avrebbe fatto lui nei panni di Juno? Cosa avrebbe fatto lui nei panni di Dean? Cosa avrebbe fatto se suo padre gli avesse chiesto di uccidere suo fratello? Scosse la testa per scacciare il pensiero.
«Credi che sarai mai in grado di dimenticarla davvero?».
Lo stava chiedendo a JD o a se stesso? Forse a entrambi.
«Dimenticarla, no», rispose lui. «Andare avanti, sì. È quello che lei vorrebbe, è quello che devo fare. Ed è quello che dovresti fare anche tu».
Sam indietreggiò di un passo.
«Come…?».
«Ti si legge in faccia».
JD lo stava fissando intensamente, adesso. Per un breve istante Sam avvertì di nuovo il pizzicare dell’ago sulla pelle. Si stropicciò gli occhi con una mano, improvvisamente si sentiva stanco. Di quella vita. Di sentire la mancanza di Jessica. Di avere qualcosa dentro che non andava.
«Ce la farai, sei un tipo tosto». JD gli poggiò una mano sulla spalla. «Talmente tosto che sei piaciuto ad Halona!».
Sam abbozzò un sorriso.
«Le porteresti i miei saluti, a proposito?».
«Certo».
«Dille anche che ho mantenuto la promessa».



Dean e Darla stavano aspettando che JD finisse di tatuare Sam, entrambi appoggiati alla fiancata dell’Impala. Lui ci dava dentro con i suoi tacos, lei fumava una sigaretta.
«Allora, sei pronto a cavalcare verso l’orizzonte in sella al tuo fido destriero? Qual è la vostra prossima destinazione?», gli chiese.
Dean alzò lo sguardo verso la strada.
«Ancora non lo so, ma qualcosa salterà fuori. Qualcosa salta sempre fuori. Il più delle volte ha le zanne e cerca di ammazzarci».
Rimasero in silenzio, finché Dean non appallottolò il sacchetto dei tacos ormai vuoto e Darla non spense il mozzicone sul marciapiede col tacco del sandaletto.
«Senti, posso sedermici dentro un’ultima volta?».
Dean incrociò le braccia al petto, lanciandole un’occhiataccia.
«Hai un bel coraggio a chiedermelo, dopo quello che le hai fatto».
«Ancora con ‘sta storia? Se vuoi te lo ripago, il fottuto vetro. Anche se dovresti ringraziarmi, visto che ti ho salvato il culo».
«Hai fatto del male alla mia bambina, non potrò mai perdonarti per questo».
Darla roteò gli occhi.
«Va bene, porca troia. Fai come se non ti avessi chiesto un cazzo».
Dean scoppiò a ridere e tenne aperto lo sportello del passeggero, mentre lei saliva sull’auto.
«Sei irresistibile quando diventi sboccata».
«Io sono sempre sboccata».
Lui prese posto sul sedile del conducente e ammiccò.
«Appunto!».
Darla aprì il cruscotto e cominciò a rovistare tra le musicassette, di tanto in tanto ne prendeva una per leggerne il titolo.
«Comunque te lo avevo detto, sei il tipo che scappa».
«Alcune volte non vorrei esserlo», disse Dean, sorprendendo perfino se stesso. «Certe volte vorrei fermami. Purtroppo ci sono delle… responsabilità dalle quali non posso scappare». Sbuffò, mettendo su un sorriso sghembo. «Perciò, in fin dei conti, forse non sono un tipo che scappa. Non in tutte le circostante, almeno».
Darla si portò i capelli dietro l’orecchio.
«Ci sono giorni in cui anch’io mi riprometto di cambiare e mettere la testa a posto. Puntualmente, però, ci ricasco. E sai perché? La vita che faccio nonostante tutto mi piace. Non è strano? Da un lato vorrei un ragazzo fisso o una famiglia mia. Dall’altro so per certo che se avessi ciò che dico di desiderare, rimpiangerei ciò cui ho dovuto rinunciare, che ne sentirei la mancanza. Forse è così anche per te, non credi?».
Dean fece spallucce, tamburellando le dita sul volante per scacciare l’imbarazzo. L’unica era cambiare argomento.
«Bene, adesso che abbiamo superato il momento Posta Del Cuore, ti dispiacerebbe togliermi una curiosità? Diventerò un fiocchetto sulla tua giarrettiera?».
La risata di Darla sapeva di tabacco.
«Si può sapere perché me lo chiedono tutti? È proprio una fissazione per voi uomini. Secondo me l’idea di lasciare un segno così profondo su una donna vi eccita. Vi fa sentire importanti. Un po’ come il “Ti è piaciuto?” dopo il sesso». Darla aprì la custodia di una cassetta. «In ogni caso, no. Non lo diventerai».
Dean inarcò entrambe le sopracciglia e lei gli fece pat pat sulla guancia.
«Non sei così figlio di puttana, fattene una ragione». Gli porse la musicassetta che aveva scelto. «Dovresti ascoltare questa mentre sei in viaggio, secondo me ti si addice. E forse ti aiuterà a ricordare perché in fondo in fondo ti piace fare la vita che fai».



Darla e JD erano due puntini lontani nello specchietto retrovisore, quando Sam tirò fuori dallo zaino il diario di John Winchester. Dean teneva lo sguardo fisso sulla strada.
«Sei soddisfatto adesso? Abbiamo i tatuaggi che volevi tanto».
Sam sollevò lo sguardo dalle pagine del diario. Oddio, la faccia da Stitico Tormentato no, ti prego.
«Non avevo il diritto di dirti quelle cose, ieri notte. Mi dispiace».
Dean fece spallucce.
«È acqua passata, Sammy».
«Dico sul serio, Dean. Non mi sono fermato a pensare cosa ha significato, per te, promettere quella cosa a papà. Ti chiedo scusa».
«Come ho detto, è acqua passata».
Prima che straripasse, Dean pensò bene di arginare il fiume in piena di sentimentalismi inserendo la cassetta nel mangianastri. Bastò il primo accordo di chitarra elettrica per metterlo di buon umore. Darla aveva ragione, quella canzone sembrava fatta a posta per lui. Cominciò a canticchiare, battendo il tempo sul volante.

Living easy,
Loving free,
Season ticket on a one-way ride.
Asking nothing,
Leave me be,
Taking everything in my stride.

Sam stava consultando il giornale confrontandolo con il diario di papà, in cerca di un nuovo caso da risolvere.
«Senti qua. Pare che in Louisiana sia stato avvistato il mostro della palude. Che ne dici?».

Don't need reason,
Don't need rhyme,
There ain't nothin' that I'd rather do.
Going down,
Party time,
My friends are gonna be there too.

Dean ingranò la marcia e diede gas.
«Dico… Louisiana, stiamo arrivando!».

I'm on the highway to hell,
On the highway to hell,
Highway to hell,
I'm on the highway to hell.







________________







Note autore:
E questo era l’ultimo capitolo.
Spero che, adesso che avete letto la conclusione, la storia nel suo insieme continui a piacervi. Vi ringrazio per l’entusiasmo con cui l’avete accolta (se devo essere sincera, non me lo aspettavo) e per i bellissimi complimenti che mi avete rivolto. Mi sono divertita un mondo a scrivere questa piccola long e a leggere poi le vostre reazioni. Credo che, al di là della riuscita di una storia, sia questo l’importante: divertirci nel fare ciò che piace fare al meglio delle nostre possibilità.
Grazie ancora a tutti e alla prossima!

P.S.: La canzone che Dean ascolta alla fine è, ovviamente, “Highway to Hell” degli AC/DC.
   
 
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