Canti
gioiosi di cinciallegre salutavano la primavera, e lo sbocciare della
prima
margherita riempì i loro cuori di sicurezza e coraggio.
La loro
corsa verso la libertà era stata salutata dai primi raggi di
una nuova
stagione.
Non
sapevano dove stavano andando, non sapevano se avrebbero mai trovato
una
collocazione in quel mondo, ma non gli importava; loro si sentivano
adeguati
stando insieme, come se facessero parte di una realtà
distante anni luce.
La
pioggia cominciò a scendere delicata, dando il tempo ai due
ragazzini di
rifugiarsi sotto la tettoia di una lussuosa villa, prima di inasprire
il suo
scroscio.
Konzen
accolse il piccolo Goku tra le sue braccia tenendolo al riparo dal
freddo. Quel
corpicino esile adagiato sul suo petto, così caldo e
rassicurante, lo stimolava
ad andare avanti, a provare a vivere, a costruire un futuro al suo
piccolo dio.
Guardò
la
villa alle loro spalle pensando a quando avrebbero potuto vere un loro
tetto
sulla testa.
<<
Goku
>> disse, spezzando il silenzio << Ti
piacerebbe vivere in una casa
come questa? >>
Il
piccolo si girò osservando, con l’oro curioso dei
suoi occhi, l’edificio che li
sovrastava.
<<
È una bella casa, ma se tu non abitassi con me, diventerebbe
il posto più
brutto e triste che io possa immaginare.>>
Konzen,
sentendo tali parole, lo aveva abbracciato con quanta forza aveva in
corpo.
<<
Troveremo una casa provvisoria e io cercherò lavoro. Ne
farò 2, 3, 4…quanti ne
bastano affinché tu non debba lavorare mai. Andremo a scuola
e se avrai voglia
di proseguire gli studi, ti farò frequentare la migliore
università del Kanto;
mi laureerò anch’io per trovare un buon lavoro e
comprare la casa dei nostri
sogni… >>
Il biondo
si chiese se quello era ciò che tutti chiamavano
“pensare al futuro”. Lui non
lo aveva mai fatto, non aveva mai visto una via d’uscita in
quello statico e
inespressivo orfanotrofio, ma ora la sensazione quella situazione
bloccata in
un presente infinito era diventata passato. Stava pensando
all’avvenire come
poteva fare un comune ragazzino alla sua età.
Goku si
strinse sempre di più a lui riscuotendolo dai suoi pensieri
che, davanti a
quegl’occhi dorati, sembravano trovar conferma e perder di
significato allo
stesso tempo.
Ad un
tratto la porta di quella villa si aprì.
<<
Signora Yashiro, io vado. Tornerò per cena! >>
<<
Ok, va bene! Ma, Cho, quante volte ti devo ripetere di chiamami mamma?
>>
Si
sentì
rispondere dall’interno.
Konzen
conosceva
quella voce, e poi quel nome, Cho, non gli era nuovo.
Infatti,
quando vide il ragazzo chiudere la porta di casa e allontanarsi sotto
un
ombrello nero, non ebbe più dubbi: capelli scuri e cresta,
giacca di pelle,
pantaloni scozzesi e borchie… non poteva essere che il
ragazzo che lo aveva
iniziato al punk.
<<
Hey, Gensui! >> Urlò il biondo. Il ragazzo si
girò e, vedendolo, sorrise
dolcemente: << Douji! Che piacere rivederti! Cosa ci fai
da queste parti?
>>
Konzen
gli raccontò le sue vicende e il moro che, con i suoi occhi
smeraldo sembrava
leggere nell’anima, sorrise di nuovo, poi si
avvicinò al piccolo e si presentò.
Quel fortuito
incontro fu decisivo per la loro nuova vita senza catene. La madre di
Gensui,
Ryoko Yashiro, una donna un po’ singolare, dal comportamento
a volte infantile,
a volte maturo e autoritario, li adottò assieme al suo
marito Daisuke Yashiro,
un uomo dolce e dai tratti femminei, che non avevano avuto problemi con
il
rapporto molto intimo fra Konzen e Goku.
Per mesi
vissero tranquilli, finché un giovane dai capelli rossi, non
fu ritrovato in
pessime condizioni, davanti alla loro porta di casa.