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Autore: Rota    06/05/2015    2 recensioni
La notizia di un trasferimento improvviso per motivi di lavoro, annunciata da sua madre dopo una cena sfarzosa, non lo aveva destabilizzato più di tanto. Aveva certo amici, nel vecchio distretto, e una rete di conoscenze più fitta e sicura, ma andare a vivere a Shibuya non voleva dire rintanarsi dall'altra parte del mondo, isolato da qualsiasi sprazzo di civiltà, né tanto meno dover abbandonare in modo definitivo le vecchie amicizie. L'unica cosa che Yukio aveva chiesto a sua madre, in cambio della solita pacifica convivenza familiare, era una scuola con un club di basket, dove poter continuare a giocare ciò che più preferiva. La Touou Academy era stata una delle opzioni possibili, avvicinata con interesse per la sua fama e il suo prestigio rispetto alle altre, e da quello che il ragazzo aveva visto, in quei dieci giorni dall'inizio delle lezioni, non sembrava smentire le dicerie.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shoichi Imayoshi, Touou, Un po' tutti, Yoshinori Susa, Yukio Kasamatsu
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
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*Terzo anno – III*

 

 

 

Ritrovarsi a piangere contro un gabinetto, nella prospettiva di vomitare da un momento all'altro, non era esattamente quello che aveva pensato di finire a fare, appena iniziato il torneo della Winter Cup. Così come non aveva immaginato di sentire il sapore delle proprie lacrime su labbra e lingua, dove che quelle gocce di acqua salata e calda erano rotolane sugli zigomi o seguendo la forma sottile del naso, fino a morire quasi tra i suoi denti.
L'impotenza che lo aveva preso e che gli impediva di reagire in qualche modo al continuo tremare delle proprie spalle era una continua mortificazione. Sembrava quasi ironico, il tutto: non solo la sconfitta alla prima partita di campionato, che bruciava di umiliazione peggio che mille fuochi sulla pelle, ma anche quella tristezza incapace di reazione o di qualsivoglia evoluzione di slancio.
Per il tempo che si fece bastare a premere la fronte contro la tavoletta fredda di plastica fu invaso dalla sensazione di sconfitta totale e nullificatrice. Questo gli rese complessa l'azione stessa del respiro, rubandogli più aria del dovuto – il pavimento su cui le sue ginocchia si reggevano divenne come molle, capace di inghiottirlo per non lasciarlo più andare.
Tutto quello che aveva pensato di poter essere era stato vanificato dalla volontà di qualcuno. Il peso del suo fallimento gli attanagliava la gola e gli grattava direttamente nei polmoni, come veleno asfissiante da cui lui non riusciva in alcun modo a liberarsi.
Tentò anche di dare voce al proprio dolore ma tutto quello che gli uscì dalle labbra furono rantoli sconnessi, senza suono. Non vedeva più niente, non sentiva più niente. C'era solo, com'era sempre stato in quasi vent'anni di vita, il suo sentire sensibilissimo e la sua anima esposta.
Però sentì un suono provenire da dietro di sé, o almeno riuscì a percepirlo prima che due arti si chiudessero attorno al suo capo e un abbraccio stretto lo stringesse a un petto fremente, caldo di singhiozzi e di spirito. Era sudato e morbido, come qualcosa che non aveva mai sentito.
Quando il senso della vista gli tornò funzionante, Imayoshi poté distinguere Kasamatsu Yukio appresso a lui, in quel piccolo bagno degli spogliatoi, con il viso altrettanto rigato di lacrime e nessuna parola pronta tra le labbra. Lui non era capitano, non lo era mai stato, e quindi non si poteva arrogare il diritto di pretendere la conoscenza del suo stato d'animo; eppure, anche dalla sua posizione di semplice giocatore, semplice vice capitano, condivideva con lui il dolore, e la sua presenza in quello spazio ristretto voleva
dire soltanto questo.
Le sue dita si mischiarono ai capelli scuri di Shoichi, le pieghe della divisa che ancora indossava oscurarono parzialmente la vista dell'altro.
Aveva giocato con tutto se stesso, senza risparmiarsi proprio nulla – tutti loro, persino Aomine Daiki, e anche Susa e anche Wakamatsu non potevano dire di aver alcun tipo di rimorso o di rimpianto.
Come nella peggiore della realtà, quello sforzo non era bastato. La loro volontà di vincere non era stata sufficiente perché ciò accadesse; questione di fortuna, questione di merito: constatarlo sarebbe solo servito a farli stare peggio in un secondo momento, perché era ovvio che da qualche parte, da qualsiasi parte, loro avevano peccato.
Kasamatsu si prese tutti i suoi singhiozzi, dal primo all'ultimo. Rimbombarono nella sua cassa toracica, come uno strumento atto a intonare una melodia straziante. Non si rifiutò neanche un solo secondo, e quando Shoichi rispose alla sua stretta con un abbraccio altrettanto fermo, altrettanto forte, alzò gli occhi al soffitto e lasciò che le lacrime uscissero di nuovo dalle sue palpebre, senza opporre resistenza.
Tutto era finito, dunque, proprio lì.
E tutto, proprio lì, poteva di nuovo cominciare.

 

Pensare al futuro era qualcosa che non gli aveva mai occupato la mente, prima di quel momento. Poteva risultare quasi paradossale un'affermazione simile, a dire il vero, considerando che aveva costruito il proprio futuro pezzo dopo pezzo, comportandosi in un dato modo specifico con la presunzione di averne poi, in seguito, un guadagno netto.
Certi suoi comportamenti risultavano, ai suoi stessi occhi, quasi stupidi, privi di significato, perché il fine ultimo non era mai stato analizzato con vero occhio critico.
Quello che era, in quel momento, non lo sarebbe stato mai più. Quei tre anni passati alla Touou Academy avrebbero avuto solo un senso limitato, circondato da definizioni e pilastri di demarcazione settoriale: una fase, un periodo, un passaggio. La vita adulta, quella vera, era oltre il confine dell'adolescenza, e lui avrebbe imparato a esistere solo da quel momento in avanti, come se la propria esperienza non potesse essere altro che una semplice base per un domani più luminoso e fruttuoso.
Gli veniva da vomitare soltanto al pensiero. Il suo stomaco si contorceva su se stesso per capitolare in più modi, in diversi punti, dandogli degli spasmi dolorosi che annullavano ogni altro tipo di sensazione tattile.
Guardava fuori dalla finestra mentre il resto della classe finiva una delle tante lezione del terzo anno: letteratura giapponese classica, materia d'esame, piuttosto difficile per una persona come Kasamatsu che non era per niente portata per le lettere umanistiche.
Il cielo era più grigio che azzurro, e in lontananza si poteva vedere quel pallore tipico delle ventate di neve che soffiavano da settentrione. Quel pomeriggio, sul tardi, anche Shibuya sarebbe stata ammantata di bianco latte.
Percepì poco l'insegnante che gli arrivava vicino e si fermava accanto al suo banco, con più stupore che rabbia in corpo. Yukio era capoclasse e studente modello, almeno per quanto riguardava il comportamento standard, e in tutta la scuola era risaputa la figura poco ammirevole all'ultimo campionato di basket della sua squadra: la voce che l'uomo usò per lui, mentre gli si rivolgeva pacato, aveva molto del pietoso e del commiserato, come se lui non fosse che una povera vittima degli eventi.
-Quando sarai all'università, non ci penserai più.
Il suo destino era già stato scritto da qualche parte, questo era la più grande paura di Kasamatsu, così come il non aver alcuna voce in capitolo per le scelte da fare, per la strada da percorrere, per l'uomo che aveva intenzione di essere.
Si chiese, mentre si voltava in silenzio a guardare l'uomo, che cos'altro il tempo si sarebbe mangiato.
Probabilmente, tutti i sentimenti irosi nei confronti di Aomine Daiki, perché per spirito di autoconservazione e per evitare, quindi, il propagarsi di quel principio antico di gastiti nervose, la sua memoria tendeva a scartare certi brutti ricordi, e con lui quella di molte discussioni fatte con i compagni di squadra, le brutte parole scambiate nei momenti d'ira, le maledizioni propinate nelle situazioni peggiori.
Sperò che fosse soltanto quello, lo sperò davvero. Perché al resto – a tutte le cose belle – lui non voleva davvero rinunciare.
Si chiese quale uomo potesse definirsi migliore senza una valutazione completa della propria storia personale, e si rispose da se che non valeva neanche la pena crescere se avesse dovuto rinunciare a un solo dettaglio della propria esistenza.
Anche per le cose brutte; sì, anche per le cose brutte.
La lezione continuò, attorno a lui, quando non avendo risposta dalla sua bocca il professore si era allontanato dal suo banco e aveva ripreso a parlare al resto degli studenti piuttosto intontiti.
Capitò, quindi, che Yukio posasse gli occhi sulla nuca di una persona, un ragazzo della sua classe che sempre aveva avuto davanti a sé, per due anni di fila, grazie al rimescolamento degli studenti di corso in corso.
Imayoshi Shoichi si voltò verso di lui e gli sorrise, dietro la montatura scura degli occhiali. I capelli raccolti all'indietro, una matita tra le dita.
Yukio si rese conto di non poter dimenticare proprio lui, tra tutti i dettagli tanto importanti. E di non volerlo assolutamente permettere.

 

***

 

-Penso di essere emotivamente coinvolto da te.
Lo ha invitato in quella pasticceria il giorno prima, all'improvviso, senza neanche dargli il minimo preavviso, spiazzandolo e intontendolo come poche altre cose, tanto che non era stato il suo spirito a accettare la cosa ma il suo corpo, in maniera del tutto meccanica e automatica.
In quel momento, di fronte a una cioccolata calda e allo sguardo basso di Imayoshi Shoichi, Kasamatsu continuava a essere piuttosto perplesso.
-Non ho capito.
Il sorriso di lui non fu per niente bello: era nervoso, contratto, più simile a una smorfia antipatica che a un gesto di piacevolezza. Ne fu quasi infastidito.
-Mi piaci, Yukio- kun.
Sospirò fintamente affranto, cercando di scacciare dal corpo un po' del proprio nervosismo.
-Pensavo avresti capito comunque.
-Per chi mi hai preso?
-Ah, scusa.
Anche Kasamatsu sentì la necessità di proteggersi, in qualche modo, perché Imayoshi lo aveva attaccato all'improvviso senza dargli tempo né spazio per reagire di conseguenza con tutta la propria razionalità pronta. Incrociò le braccia al petto, cercando di recuperare qualche pensiero coerente, ma si ritrovò presto a dover ammettere di non esserne capace.
-Non so cosa dire.
-In realtà non è necessario che tu dica nulla.
-Sul serio?
-Sul serio.
Lo guardò molto male, e la sua postura si irrigidì parecchio – come il suo sguardo, sotto le sopracciglia aggrottate in mezzo alla fronte sgombra di frangia.
-Pensi davvero di valere così poco?
-Non è questo...
-Lo è.
Si sporse sul tavolo, col busto, e quasi ne fece tremare la superficie orizzontale quando vi picchiettò sopra il dito indice, per rimarcare il concetto che stava pronunciando.
-Io non ti considero così poco da non valere neanche una risposta.
Imayoshi capì, ma continuò a rifiutarsi di guardarlo in viso per più di qualche istante.
Kasamatsu sbuffò, tornando indietro contro la propria sieda.
Non riusciva a godere, minimamente, dell'atmosfera tranquilla e rilassata del locale dove si trovava; c'erano pochi clienti e i camerieri, che sapevano fare bene il proprio lavoro, si muovevano tra i pochi tavoli con discrezione e silenzio, senza fare quasi rumore.
I suoi occhi si concentrarono su un dettaglio casuale, così da lasciare la bocca priva di impedimenti emotivi di qualche tipo.
-Posso chiederti da quanto tempo hai maturato questa consapevolezza?
-Ti serve molto saperlo?
-Sì, abbastanza.
-Razionalmente, solo da un paio di mesi.
-Non razionalmente?
-Credo da sempre.
Si sentì all'improvviso in imbarazzo, con le guance color porpora. Imayoshi in quel momento lo stava guardando, forte del fatto di non essere ricambiato. Come al solito, era lui quello più fragile tra i due, alla perenne ricerca del punto debole dell'altro per poterlo sfruttare a proprio esclusivo vantaggio.
-Ti disgusta.
-No, non lo fa.
Sorrise e cominciò a girare, a vuoto, il cucchiaino nella propria cioccolata calda, mescolando il liquido scuro e denso con la panna bianca.
-Yukio- kun, tu non mi devi niente. Ho voluto dirti questa cosa per togliermi un peso dal cuore. Prendilo come un atto puramente egoista.
-E quindi, come finisce? Che mi lasci qui con questo carico senza neanche prenderti la briga di sapere se me lo trascinerò dietro o lo abbandonerò?
-Non ci vedremo forse mai più.
Yukio alzò di scatto lo sguardo a lui, abbastanza irritato.
Si sentiva offeso nell'orgoglio e nella persona, usato e poi gettato via senza il minimo ritegno: eccola lì, la parte peggiore di Imayoshi che proprio non riusciva a sopportare né mai si sarebbe permesso di farlo.
-E questo chi lo deciderà?
-Beh, tu. E anche io. Le cose cambiano, Yukio- kun. Questo è naturale. Ognuno di noi raggiunge la propria maturazione. Io ho capito cosa voglio e cosa non voglio, ma non tutto dipende da me. È una lezione che ho imparato di recente.
Mentre Shoichi, liberandosi di tutto quello – emozioni, pensieri, dubbi, segreti, confessioni – riusciva a credere se stesso come una persona in grado di reggere la verità altrui, Yukio pian piano sentiva sempre più mortificazione addosso, oggetto e non soggetto reale di un sentimento che, almeno nel suo immaginario, era condiviso e compartecipe. Non riusciva a capire cosa l'altro volesse davvero dire e cosa avrebbe dovuto fare, men che mai quello che stava provando dentro, per se stesso e per lui.
Era confuso, e questo lo irritava moltissimo.
Abbassò lo sguardo, mortificato.
-Le tue parole sono prive di malizia e per questo feriscono più del solito.
-Mi spiace. Non mi sono mai scusato per tutto quello che ti ho detto.
-Perché lo fai adesso, allora?
-Te l'ho detto, per puro egoismo.
Lasciò che passassero diversi minuti in silenzio. Imayoshi consumò quasi del tutto la propria cioccolata, mentre aspettava tranquillo che l'altro si arrendesse all'evidenza dei fatti.
Lo aveva schiaffeggiato moralmente, in modo da rimanere illeso nella propria persona. E a quel punto non importava neppure più che l'altro gli rispondesse o meno, ma solo che si allontanasse.
Aveva paura, questa era la verità. E Yukio lo aveva capito benissimo.
-Sei così sleale, Shoichi. Vieni qui a parlarmi d'amore, eppure non sei minimamente interessato ai miei sentimenti.
Si alzò dalla propria sedia, senza neanche finire quanto ordinato prima. Prese il proprio cappotto e lo guardò per un'ultima volta.
-Addio, Shoichi.

   
 
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