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Autore: determamfidd    06/05/2015    1 recensioni
La battaglia era finita, e Thorin Scudodiquercia si svegliò, nudo e tremante, nelle Sale dei suoi Antenati.
La novità di essere morto sparisce in fretta, e osservare i propri compagni presto lo riempie di dolore e senso di colpa. Stranamente, un debole barlume di speranza si alza nella forma del suo parente più giovane, un Nano della linea di Durin con dei capelli rosso intenso.
(Segue la storia della Guerra dell'Anello)
(Bagginshield, Gimli/Legolas) Nella quale ci vuole tempo per guarire, i membri morti della Compagnia iniziano a guardare Gimli come se fosse una soap opera, Legolas è confuso, il Khuzdul viene abusato, e Thorin è quattro piedi e dieci pollici di sensi di colpa e rabbia.
[Traduzione]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Gimli, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Incontra una Nana

Haban figlia di Hara

Haban era una mercante Barbafiamma di successo che trasportava merci dai Colli Ferrosi a Ered Luin e viceversa. Incontrò Gróin figlio di Farin, un giovane nobile, durante una sosta ad Erebor e i due si innamorarono all'istante. Lei fece diventare la Montagna Solitaria la base delle sue operazioni, e diede alla luce due figli tra un carico e l'altro: Óin e Glóin. Haban aveva i luminosi e folti capelli della sua gente, che passò al figlio minore Glóin e ai nipoti Gimli e Gimrís. Era furba, estremamente competitiva e amava riuscire a vincere accordi difficili. Fu Haban che per prima mise l'interesse per le banche e gli affari finanziari nella testa di Glóin. Era anche una famosa danzatrice d'ascia, e poteva farne girare anche quattro allo stesso tempo. Haban fu uccisa nella Battaglia di Azanulbizar nel 2799 TE.

Haban di godofmischieffoal


Quella notte dormirono in un alto flet sui rami di un albero mellyrn, e gli Elfi che accompagnavano Haldir nascosero tutti sorrisetti superiori alla vista di Gimli che lottava per arrampicarsi.

«Potreste provare ad aiutare, invece di stare lì a ridere!» esclamò infine Gimli, e tutti gli Elfi risero.

«Qua» disse Legolas in tono neutrale, e lanciò una corda a Gimli. Poi l'Elfo dei boschi lanciò un'occhiata priva di emozioni ai Galadhrim e si voltò.

Solo la mano di Frís sul braccio di Thorin impedì che una furiosa tirata scendesse sulle teste degli Elfi di Lórien.

«Thorin» disse piano «Devi dormire. Venti ore è troppo. Ritorna quando si sveglieranno: non aiuti né Gimli né te stesso vedendo ciò.»

«Sarebbe furibondo se sapesse che l'ho visto così» fu d'accordo Lóni «Andiamo Frár. Náli, torneremo fra poco. Saranno al sicuro in questi boschi.»

«Ne dubito» ringhiò Thorin, ma permise a sua madre di guidarlo dal blu intenso della notte di Arda alle stelle annegate del Gimlîn-zâram.


«Mangia!» abbaiò Hrera, mettendo una ciotola davanti a Thorin il mattino dopo «Ah, Thorin caro, il tuo volto sta venendo ingoiato dai cerchi neri che hai sotto agli occhi! Presto non rimarrà nessun volto e solo cerchi neri e tutti si chiederanno dove sarai finito.»

«Non era divertente nemmeno la prima volta che l'ho sentito, Nonna» borbottò Thorin, ma si sedette al tavolo e prese il cucchiaio. La ciotola era piena dello stufato di gnocchi tradizionale dei Vastifasci di Hrera, e lui si illuminò. Erano passati secoli dall'ultima volta che l'aveva mangiato.

«Avevo pensato che avrebbe potuto catturare la tua attenzione» sbuffò lei e si voltò per colpire le nocche di Frerin con un cucchiaio «Non toccare! È per tuo fratello.»

«Non è giusto» si lamentò Frerin «Perché Thorin può avere lo stufato della Nonna e io no?»

«Perché Thorin ha faticato fino ad essere esausto» replicò Hrera «Tienine fuori le tue dita appiccicose e forse potrebbe avanzarne un po' per te.»

La mano di Frerin si allontanò talmente in fretta che sembrava fosse stata caricata a molla.

«Questa scena mi è stranamente familiare» disse Thrór allegramente «Mi sembra di essere tornato ad Erebor prima del Drago.»

Thorin guardò su con espressione cauta. Suo nonno normalmente non parlava con tanta tranquillità di quel tempo. «Mi ricordo molto poco di quegli anni» disse «Mi ricordo lo sfarzo, e lo stufato ovviamente...»

«Grazie» disse Hrera con dignità, e poi colpì Fíli e Kíli sulla nuca col cucchiaio «Non iniziate anche voi! Quella è per vostro zio.»

«Ma ha un odore così buono!» gemette Kíli.

Thorin, sollecitato da un qualche spirito dispettoso da lungo tempo dormiente, prese una grande cucchiaiata del suo stufato e fece un suono soddisfatto.

«Non riesco a credere che l'hai appena fatto» disse Kíli e si buttò su una sedia per iniziare a lavorare su un notevole broncio.

«Va bene, forze le storie di Frerin sui vostri scherzi non sono del tutto inventate» disse Fíli, incrociando le braccia e lanciando a Thorin una lunga occhiata seria.

«Zio Frerin?» provò Frerin speranzoso, e Fíli e Kíli fecero identici suoni di derisione.

«Continua a sognare, ragazzino» disse Fíli, e ghignò.

Hrera agitò il suo cucchiaio nella loro direzione. «Non combinate guai oggi, bisnipoti, e farò un piatto anche per voi» disse dolcemente.

«Tutto il giorno?» disse Kíli.

Hrera annuì solennemente. «Tutto il giorno.»

«Sii forte, fratello, possiamo riuscirci» disse Fíli, e prese il suo cucchiaio e iniziò a mangiare il suo porridge con l'aria determinata di un Nano pronto alla battaglia «Io avrò quella zuppa.»

«È molto buona» disse Thorin innocentemente.

«Ti odio» borbottò Kíli. Hrera gli colpì nuovamente la testa col cucchiaio, e lui fece un lungo lamento. «Ah, perché tutte le Nane imparentate con noi sono terrificanti?»

«Oh, mi spiace – pensavo sapessi qualcosa della storia della nostra famiglia» disse Frís con calma «Mi passeresti lo zucchero, Thráin caro?»

«Non provate a protestare» consigliò Thrór ai due giovani Nani «Sarà solo peggio.»

«Ah» disse di nuovo Kíli, e la sua faccia si schiantò contro il tavolo.

«Torni là subito?» chiese Frerin a Thorin, prendendo lo zucchero mentre andava verso sua madre e ricoprendone la superficie del suo porridge. Thorin ingoiò una cucchiaiata di zuppa e annuì.

«La Compagnia è a Lothlórien» disse, e dalle espressioni scure intorno al tavolo seppe che nessuno glielo avrebbe impedito.

«Cosa vuoi che facciamo?» gli chiese Frerin. Thorin alzò un sopracciglio.

«Puoi riposare oggi, se vuoi, a meno che Padre non desideri la tua compagnia mentre controlla Glóin più tardi.»

«Quel vecchio Nano si muove come il vento quando vuole» disse Thráin, e scosse il capo «Sfortunatamente, continua a farsi distrarre da dei probabili depositi di oro. Ha mai smesso di essere un bancario?»

«Glóin? No» disse Thorin, e sorrise. Senza dubbio Glóin stava ragionando sulla probabilità che quei depositi contenessero metallo utilizzabile, il profitto e i costi necessari per estrarli, e le differenze fra i due.

«Sarò con quel Dori oggi» disse Thrór «Le difese di Erebor procedono in fretta. Ti terrò informato.»

Thorin sbadigliò, e si strofinò gli occhi. «Grazie, nonno.»

«Io intendo controllare tua sorella e Dáin» disse Frís, e poi scosse il capo «E per piacere copriti la bocca, inùdoy

Frerin ridacchiò fino a che Thorin non gli tirò un calcio sotto al tavolo.


«Ciao, capo» disse Nori quando Thorin si scrollò di dosso l'appiccicosa luce stellare «Si stanno muovendo di nuovo.»

«Da quanto stai guardando?» disse Thorin, e si sfregò di nuovo gli occhi. Dolce Mahal, era stanco.

«Un paio d'ore» disse Nori, e si voltò per indicare la linea di persone bendate che incespicavano nella dorata luce del mattino «Un meraviglioso gruppo di idioti, o no?»

Le labbra di Thorin si strinsero. «In effetti.»

Aragorn era alla testa della processione bendata, guidato da Haldir e altri due Elfi. Dietro di lui era Gimli, poi Boromir, Frodo, Sam, Pipino e Merry. Per ultimo c'era Legolas, il suo volto rilassato sotto la benda ma con le labbra incurvate in irritazione. «Almeno il terreno è in piano e senza ostacoli» grugnì Thorin.

«Almeno quello» disse Nori «Sono un tantino irritato per non poter sfruttare una simile occasione d'oro grazie al piccolo inconveniente di essere morto.»

«Vorresti svuotare le loro tasche?» Thorin lanciò un'occhiata divertita al suo compagno, e Nori scrollò le spalle.

«Non ci sarebbe momento migliore, non credi?»

«Non cambi mai, amico mio» disse Thorin, e scosse il capo in divertimento.

L'espressione di Nori era confusa. «Dovrei?»

In quel momento, un nuovo gruppo di Elfi venne loro incontro, e Haldir scambiò con loro alcune parole prima di voltarsi verso la Compagnia. «Sembra che una strana creatura sia stata scacciata ai confini» disse loro «Una cosa rattrappita che correva con la schiena piegata. Non era un Orco e dunque non l'hanno ucciso, ed esso è svanito lungo l'Argentaroggia.»

«Elfi» ringhiò Thorin «Non ne fanno una giusta!»

«Quello è il vecchio strambo che il nostro Scassinatore incontrò sotto le caverne del Re Goblin, no?» disse Nori, e si grattò la testa «Ormai avrà una certa età.»

«Ha portato l'Anello» disse Thorin «Chissà quanto a lungo è vissuto?»

«Peccato che non l'abbiano infilzato» disse Nori.

Improvvisamente Thorin ricordò le parole di Gandalf, e un dolore acuto lo attraversò. «Aye, forse.»

«Mi portano anche un messaggio dalla Dama dei Galadhrim» continuò Haldir «D'ora in poi camminerete liberamente, anche il Nano Gimli. Sembra che la Dama conosca l'indole di ognuno.»

Si piegò e rimosse per prima la benda dagli occhi di Gimli. «Perdonami!» disse, e fece un inchino elegante «Guardaci con occhi amichevoli adesso! Perché tu sei il primo Nano che veda gli alberi del Naith di Lórien dai tempi di Durin stesso.»

Gimli trattenne la propria lingua, ma i suoi occhi cupi dicevano tutto.

Thorin fece correre lo sguardo sulla grande collina incoronata da alberi che si innalzavano, luminosi e aggraziati, nella luce del sole e nella dolce brezza. Erano incoronati dalle foglie dorate dei mellyrn, e attraverso esse grandi rami d'argento brillavano. Sull'erba crescevano piccoli fiori gialli, a forma di stella e brillanti e separati da altri boccioli bianchi e verdi. L'intero panorama sembrava in qualche modo antico come Khazâd-dum eppure vivente, una reliquia di tempi passati portata al giorno d'oggi, una finestra su un mondo svanito.

«Questa» disse Nori con profondo disgusto «è la cosa più Elfica che io abbia mai visto.»

Thorin grugnì. Era meraviglioso, sì – ma Nori aveva ragione. Il potere degli Elfi irradiava dalla vista, e non poteva fare a meno di sentirsi piccolo, malfatto e ricurvo sotto il suo peso.

«Caras Galadhon» disse Haldir orgogliosamente «Il cuore del potere Elfico in terra, regno del Sire Celeborn e Galadriel, Signora della Luce.»

«Meraviglioso» disse piano Frodo, e fu ripetuto da Sam, Aragorn e, per l'orrore di Thorin, Gimli.

«Stai forse scherzando, Mastro Nano?» chiese Haldir, alzando le sopracciglia.

Gimli scosse il capo. «Nay, è meraviglioso. Le foglie brillano come oro pallido! Invero, questo luogo è bello oltre ogni dire» sembrava a disagio per averlo ammesso.

«Va bene, ma non dirglielo, le loro teste sono già abbastanza grandi!» esclamò Nori, e Thorin si massaggiò la base del naso.

«Mia stella, sei nuovamente piuttosto oscuro» gemette «Ricordati chi sei, figlio di Durin!»

Gli occhi di Gimli si indurirono, e si voltò per guardare nuovamente gli alberi mentre le bende venivano rimosse dagli occhi degli altri.

Il volto di Aragorn era pieno di malinconia. «Qua il mio cuore rimarrà per sempre» mormorò «Oh, Undómiel, perché tu fosti così bella nella luce della sera con l'argentato niphredil intrecciato nei capelli?»

«Se quella non è la faccia di un innamorato, io sono uno Hobbit» disse Nori, e Thorin si accigliò.

«Davvero» disse lentamente «Questa... Undómiel, suppongo. Ma cosa farebbe una mortale qui in questo luogo senza tempo?»

«Chi lo sa?» Nori scrollò le spalle «Non mi preoccupo molto di ciò che fanno gli Uomini. A meno che non abbiano qualcosa che voglio, ovviamente.»

«Venite» disse Haldir «Vi condurrò dal Sire e dalla Dama.»

Si arrampicarono per la collina per tutto il giorno, passando sotto a rami di grandi alberi, ognuno di essi più grande di travi di ferro e ricoperto della stessa corteccia bianco argentata. Qua e là un talan, o piattaforma, poteva essere intravisto fra i rami, e diventarono più numerosi man mano che si avvicinavano alla cime della collina.

Una strada lastricata di pietra bianca giunse serpeggiando attraverso due enormi tronchi, e Haldir li guidò lungo di essa. Gli Hobbit si guardavano intorno meravigliati mentre il sole iniziava a calare e piccole luci iniziavano ad alzarsi nel cielo, blu e argento e brillanti come spiriti in terra.

Infine la strada giunse al più grande degli alberi, con un tronco così grande che si poteva pensare che non fosse qualcosa che era cresciuto ma costruito. Scale aggraziate ne abbracciavano la pelle argentata, arrotolandosi come una carezza.

«Qui abitano Celeborn e Galadriel» disse Haldir «È loro desiderio che voi saliate e paliate con loro.»

«Cosa, vuoi far arrampicare dei viaggiatori stanchi per quelle scale?» esclamò Nori «A me non sembra molto gentile.»

Gimli occhieggiò la struttura delicata con un certo nervosismo, ma poi seguì Frodo lungo le scale senza una parola. I suoi passi pesanti sferragliavano e rimbombavano contro di esse, e lui gemette e imprecò in Khuzdul. Thorin capì che Gimli doveva sentirsi due volte più sgraziato, piccolo e storto di lui.

«Gimli» mormorò, camminando insieme al Nano più giovane «Sei un ottimo Nano e un grande guerriero e una buona anima. Non lasciarti intimidire da questo posto!»

«Chi non si sentirebbe piccolo di fronte a una tale bellezza vivente?» mormorò Gimli, e fece correre le dita lungo la liscia corteccia dell'albero di mellyrn.

«Quant'è alta questa cosa?» ansimò Pipino dalla fine del gruppo «Un tantino sfarzoso per i miei gusti!»

Le labbra di Gimli tremarono, e ricominciò ad arrampicarsi con nuovo vigore.

Finalmente le scale si aprirono su un grande talan come se fosse il ponte di una grande nave. Gimli indietreggiò fino ad essere quasi in fondo alla Compagnia, permettendo a Legolas e Aragorn di stare davanti con Frodo. Merry e Boromir gli diedero degli sguardi comprensivi e Sam gli diede una pacca sulla spalla, ma prima che lo Hobbit potesse parlare due Elfi, alti e gloriosi, iniziarono a scendere dalla piattaforma rialzata dove sedevano.

Le luci che svolazzavano attorno a loro erano quasi troppo luminose, e Thorin socchiuse gli occhi per vedere meglio i nuovi arrivati. Camminavano mano nella mano, e la donna era alta quanto l'uomo. I capelli di lui erano lunghi e argentati, ma quelli di lei erano luminosa gloria: un misto di argento ed oro e brillanti con se fossero di mithril; come l'anima stessa del sole.

«Ah!» sospirò Gimli, e chinò la testa rugginosa. Aragorn si toccò la fronte in segno di saluto, e Legolas fece un passo avanti per inclinare il capo all'uomo con una certa familiarità. Ah, quindi questa era la parentela di cui aveva parlato prima, comprese Thorin.

«Il Nemico sa che siete entrati qui» disse il Sire, e la sua voce era bassa e musicale «Tutta la speranza che avevate di procedere in segreto è svanita.»

Il cuore di Thorin affondò. «Beh, siamo a posto» borbottò Nori.

«Otto sono qui, eppure nove si sono allontanati da Granburrone. Ditemi, dov'è Gandalf?» continuò il Sire. Ma mentre parlava, gli occhi della Dama si spostarono su Aragorn.

«Egli è caduto nell'ombra» sospirò, e se la voce dell'uomo era musicale allora la sua era il suono del cinguettare degli uccelli e dell'acqua che scorreva, bellissima e melodiosa.

Aragorn annuì mentre sosteneva il suo strano sguardo stellato, col dolore che gli danzava negli occhi. Tutti gli Elfi urlarono in orrore e stupore.

«Venne catturato da ombra e fuoco» disse Legolas bruscamente «Un Balrog di Morgoth.»

«Lo vidi, là su quel Ponte» singhiozzò Gimli, e il suo grande dolore era nuovamente sul suo volto «Vidi il Flagello di Durin.»

«Capisco» disse Celeborn «Da tempo temevamo che i Nani avessero risvegliato quel male. Se l'avessi saputo, ti avrei proibito di venire qui. E Gandalf scelse quella strada? Si direbbe quasi che alla fine Gandalf sia caduto dalla saggezza nella follia, inoltrandosi inutilmente nella rete di Moria.»

Gimli chinò il capo, e serrò gli occhi.

«Sarebbe davvero avventato colui che dicesse una simile cosa» disse Galadriel, e la sua voce era fredda come il vetro.

Le sopracciglia di Thorin si aggrottarono, e lui fece scattare la testa per osservare l'aggraziata donna-Elfo.

«Ha appena...?» disse Nori confuso.

«Ha appena difeso un Nano» sussurrò Thorin.

La Dama, circondata di luce, si avvicinò a Gimli, intimorito e triste. «Mai un atto di Gandalf fu inutile in vita sua, e nessuno può riferire per intero il suo scopo» mormorò lei «Non pentirti di aver accolto il Nano. Se il nostro popolo avesse conosciuto un lungo esilio lontano da Lothlórien, quale dei Galadhrim passerebbe nelle vicinanze senza il desiderio di rivedere l'antica dimora, fosse anche divenuta un covo di draghi?»

Celeborn sembrava preso alla sprovvista – e anche Legolas.

«Dolce caritatevole Mahal» disse Thorin in completo stupore.

«Capisce!» disse Nori «Lei capisce – ma è un'Elfa!»

La Dama Galadriel sorrise a Gimli, e i suoi occhi erano pieni di antichi ricordi. «Oscura è l'acqua del Kheled-zâram, e gelide le sorgive del Kibil-nâla, ma splendidi erano i saloni dalle mille colonne di Khazâd-dum nei Tempi Remoti prima della caduta dei potenti Re della roccia profonda.»

Thorin indietreggiò, la sua mente scioccata. «Conosce il Khuzdul!»

«Conosce il Khuzdul!» gli fece eco Nori, con la bocca spalancata. La sua mascella si chiuse di scatto, e deglutì. I suoi occhi erano spalancati e selvaggi. «Davvero felice che Balin non sia qui ora. Troverebbe un modo di morire due volte.»

«Lei... lei non l'ha chiamata con quell'orrendo insulto Elfico» disse Thorin, e si mise la mani fra i capelli e la fissò «Non l'ha chiamata Moria... l'ha chiamata col suo nome...»

Il volto di Gimli si alzò lentamente, ed era coperto di meraviglia. I suoi occhi incontrarono quelli della Dama, e poi sorrise così improvvisamente e così brillantemente che Thorin sussultò alla vista. Aveva pensato perduti i sorrisi di Gimli.

Con quella luminosa e infuocata gioia sul volto, Gimli si inchinò goffamente alla maniera dei Nani, dicendo: «Ma ancor più splendida è la viva terra di Lórien, e Dama Galadriel più preziosa di tutti i gioielli nascosti nei luoghi profondi.»

Il sorriso della Dama si allargò e lei inclinò la testa verso Gimli in segno di rispetto e benvenuto.

«Non riesco a credere a ciò che vedo» ansimò Thorin.

Celeborn fece un passo avanti e alzò le mani. «Che Gimli dimentichi la mia dure parole» disse un po' rigidamente «Il mio cuore era turbato e non riuscì a trattenersi.»

Gimli continuò a guardare la Dama in assoluta meraviglia.

«Ma cosa sarà della Compagnia?» continuò Celeborn «Senza Gandalf, ogni speranza è perduta.»

La Dama Galadriel distolse lo sguardo da Gimli per incontrare gli occhi di Boromir. «La vostra missione è sulla lama di un coltello» disse piano «Una piccola deviazione ed essa fallirà, per la rovina di tutti.»

Boromir tremò, e poi distolse lo sguardo. Attraverso il suo stupore, Thorin riuscì a chiedersi perché. Cosa c'era di così importante negli occhi della donna-Elfo?

«Ma la speranza permane finché la Compagnia sarà fedele» disse lei, e si voltò verso Sam. Lui sostenne il suo sguardo senza spostarsi, il suo volto onesto risoluto, anche se le sue guance si arrossarono.

«Che i vostri cuori non si turbino» disse lei, voltandosi verso Legolas. Lui tremò, ma tenne il suo sguardo su di lei. «Ora andate a riposare, perché siete logori dal dolore e dalla molta fatica.»

I suoi occhi andarono verso gli Hobbit mentre continuava. «Stanotte dormirete in pace» poi il suo sguardo si fermò su Frodo, che tremò e indietreggiò come se qualcosa lo avesse trafitto.

Celeborn alzò le mani e fece segno agli Elfi attorno a loro, e la Compagnia venne nuovamente guidata verso le scale.

«Cosa, fino a su e ora giù di nuovo, dopo solo cinque minuti?» urlò Nori indignato «Beh, mi piace!»


Nori se ne andò dopo il pasto serale, lamentandosi della (nelle sue parole) assurdamente esagerata quantità di Elfi ovunque lui guardasse. Thorin rimase, la sua mente era ancora sconcertata dalle risposte della Dama Galadriel sia al Sire che a Gimli.

Dei canti fluttuavano fra gli alberi, e anche Thorin fluttuava, confuso e stupefatto, guardando la Compagnia come se gli fossero sconosciuti.

[ Elvish Lament, performed by notanightlight ]

«Un lamento per Gandalf» mormorò Legolas, e chiuse gli occhi addolorato.

«Cosa dicono?» chiese Merry, ma Legolas scosse il capo.

«Non ho il cuore di dirtelo» disse.

«Beh, potresti unirti a loro, no?» suggerì Sam.

«Nay» Legolas alzò il mento e aprì gli occhi per guardare gli alberi illuminati dalle stelle «Per me la perdita è ancora troppo vicina.»

«Perché sei arrossito, Sam?» chiese Pipino «Sei diventato rosso come un peperone e non negarlo.»

«Ah, beh» disse Sam, imbarazzato «Quando la Dama mi ha guardato, fu... fu come se mi stesse guardando dentro alla testa. Come se mi stesse chiedendo cosa farei se mi desse la possibilità di andare a casa nella Contea in un bel buco con un giardino mio.»

«Strano» disse Merry «Quasi esattamente la stessa impressione che ho avuto io; soltanto che, soltanto... non credo che dirò altro» concluse debolmente.

«Strano» disse Gimli con la sua voce profonda e le sue sopracciglia erano aggrottate, anche se i suoi occhi brillavano ancora di quella strana gioia «Ho veduto la mia gente, la mia vecchia casa, i miei amici, e. E, no, nemmeno io lo dirò. Mi parve che la mia scelta dovesse rimanere segreta e conosciuta solo a me stesso.»

Boromir si accigliò. «Siate cauti! Non ho molta fiducia in questa Dama Elfica e nelle sue prove.»

«Guardati dal parlar male della Dama Galadriel!» disse Aragorn severamente «Non vi è in lei e in questa terra nessun male, salvo che un uomo non ve lo porti lui stesso.»

Boromir si morse il labbro, e Thorin si svegliò dal suo stupore per guardare Aragorn incredulo. «E tu chiami questa una rassicurazione!» esclamò «A quest'Uomo serve la tua amicizia, non la tua censura!»

Aragorn, ovviamente, non poteva sentirlo.

«Questa canzone dovrebbe anche parlare dei fuochi d'artificio del vecchio Gandalf» disse improvvisamente Sam, e Thorin avrebbe potuto benedire lo Hobbit per cambiare argomento «Sarebbe un crimine lasciarli fuori. Ora, che ne dite?» e si alzò ed iniziò a declamare mentre attorno a loro il canto Elfico si alzava nel cielo notturno.


Il mattino seguente giunse troppo presto. La sua testa gli faceva male per aver dormito troppo poco e i suoi occhi bruciavano, ma Thorin si diresse verso la Camera di Sansûkhul da solo.

Le stelle lo accerchiarono e poi lo rilasciarono in una piccola valle soleggiata. Sbatté le palpebre per la calda luce dorata che filtrava attraverso il tetto di giganteschi alberi, ricoprendo tutto ciò che trovava in un calore luminoso. Il suono dell'Argentaroggia poteva essere udito chiaramente. Era uno scenario pacifico, e lui ne era sospettoso. Si voltò più volte prima di spiare una piccola figura curva sulla riva del torrente.

«Gimli» mormorò, e fece un passo avanti prima di fermarsi come se fosse stato colpito.

Gimli era piegato sul torrente, guardando vacuamente nell'acqua. Aveva in mano il suo coltello da viaggio, e le sue labbra erano quasi bianche tanto strettamente erano premute. I suoi occhi vacui stavano brillando.

«Cosa fai qui, figlio mio?» sussurrò Thorin, prima di obbligarsi a fare un altro passo.

La barba di Gimli era sciolta e gli ricadeva sul petto, e l'altra mano ci giocherellava distrattamente. Apparentemente senza guardare, separò una ciocca dalla sua lunga, folta barba rossa. L'altra mano salì, e con uno scatto improvviso tagliò la ciocca e la lasciò cadere nell'acqua.

«Óin» mormorò.

«No! 'Ikhuzh!» disse Thorin, e si mosse verso Gimli per - per cosa? Fermare il suo lutto? Cosa poteva fare Thorin? Ne aveva anche solo il diritto?

«Perché lo fai?» giunse una dolce voce Elfica, e lui si voltò per vedere Legolas che entrava nella pacifica radura. La testa dell'Elfo era inclinata, e i suoi occhi erano spalancati.

Gimli non rispose, ma tagliò un'altra ciocca della sua barba. Le estremità tagliate facevano capolino attraverso il resto e gli si arricciavano sul mento, setose e morbide come la prima crescita di un bambino. A Thorin faceva male vedere la sua bella barba così massacrata.

«Cugino Balin» sussurrò Gimli.

«Mia stella, per favore non piangere così» disse Thorin, e poi abbandonò la propria dignità e lo implorò senza vergogna «Non devi compiere i rituali. Non devi tagliare una ciocca per ognuno di loro: mantieni il tuo onore e la tua barba!»

Gimli non lo udì. Sospirò e ne tagliò un'altra, prima di mormorare il nome di Lóni e farla cadere in acqua.

«È un qualche tipo di rituale?» chiese Legolas, affascinato. Thorin gli ringhiò contro.

«Questo non è per i tuoi occhi, Elfo!» ringhiò. Poi si voltò nuovamente verso Gimli e disse: «né è necessario! Mia stella, ci sono modi migliori di piangere. Non fare il mio errore! Una barba più corta non è un dolore minore!»

Gimli infine alzò lo sguardo, la mano ancora affondata nella lunga massa della sua barba sciolta e il coltello nell'altra mano stretto talmente tanto che Thorin poteva vedere i tendini tirati lungo le nocche. «Non hai ragione di essere qui» disse Gimli, e la sua voce rombava come una valanga «Lasciami stare.»

«Vorrei solo sapere cosa stai facendo» disse Legolas, alzando le mani per mostrare di non avere cattive intenzioni «Perché ti tagli la barba? Pensavo che un Nano non si tagliasse mai la barba.»

«Ci sono due motivi per cui un Nano si taglierebbe la barba, e questo è il primo» disse Gimli, tornando a guardare l'acqua. La sua voce rallentò e perse emozione mentre si tagliava un'altra ciocca. «Náli» disse, e la sua voce si spezzò.

«È una forma di lutto?» disse Legolas, spalancando gli occhi.

Gimli sospirò di nuovo, e diede all'Elfo un'occhiata triste. «Sto piangendo i miei congiunti e i miei amici e lo Stregone Grigio. Non ho inchiostro né ago e non posso tatuarmi i loro marchi in questo luogo, quindi do una ciocca per ognuno, più preziosi per me del mio orgoglio. Ora vattene.»

«Ben poche cose sono più preziose dell'orgoglio per un Nano» disse Legolas «Posso camminare dove lo desidero.»

Gimli non rispose nuovamente, ma si tagliò un'altra ciocca e la lasciò cadere nelle acque. I peli rossi corsero e brillarono nel torrente bianco come foglie cadute in autunno.

«Dimmi che è l'ultimo!» disse Thorin, e si girò per non vedere «Avrai dei peli che ti escono dalle trecce per più di un anno, inùdoy» gemette «Perché fare ciò?»

«Vuoi rimanere a deridermi?» disse Gimli, alzando gli occhi cerchiati di rosso.

Il volto di Legolas si addolcì. «Nay, Mastro Na- Mastro Gimli» disse «Non sono qui per deriderti.»

«Allora vattene. Il mio lutto non è uno spettacolo per divertire gli Elfi!»

«Ra shândabi!» esclamò Thorin, e incrociò le braccia e guardò truce l'Elfo.

«Io non» iniziò Legolas, e poi sospirò in esasperazione e si passò una mano nei suoi setosi capelli biondi «Io non intendo farti sentire in quel modo» disse con tono più calmo «Mi dispiace.»

A questo punto, Gimli batté le palpebre. Poi il suo volto divenne sospettoso. «Questo mi è nuovo.»

«Sì, e anche per quello mi dispiace» Legolas ripiegò le lunghe gambe sotto di sé, e si sedette a qualche piede di distanza dal Nano, girando il volto verso le rapide acque del Kibil-nâla «Non capivo. Non capisco tuttora.»

«Ma vorresti» disse Gimli senza emozioni. Poi i suoi occhi si indurirono. «E quanti dei tuoi fratelli si nascondono intorno a noi, ridendo al Naugrim nella sua miseria e solitudine? Avete fatto un sorteggio per andare a infastidirlo per divertirvi? Avete qua pronta una benda?»

La testa di Legolas si alzò di scatto, e i suoi occhi brillarono. «No! Non ci sono altri!» urlò «Non ti farei una cosa simile!»

Gimli lo guardò storto.

Le spalle di Legolas si abbassarono, e lui fece una smorfia. «Non è stato corretto da parte loro» disse «Dovresti essere trattato con più rispetto.»

«Allora lasciami solo!»

«Vattene, dannato maledetto Elfo!» urlò Thorin.

«Non lo farò» disse Legolas senza fiato «Gimli, non riesco a capire! Ti ho visto con la Dama... ho visto che lei poteva capire, mentre io... Mi confondi ad ogni svolta.»

«Ecco una direzione che nemmeno tu puoi confondere» ringhiò Gimli «Vai. Via.»

Legolas lo fissò, col petto che si alzava e si abbassava velocemente. Poi si strinse la tunica verde con le lunghe dita e alzò il mento testardamente. «No.»

Gimli lo fissò a sua volta con rabbia per un lungo istante, e la minaccia di violenza era nell'aria chiara come una campana.

Poi Gimli fece un suono di sconfitta, e ricadde su se stesso e si voltò. «Non ho la forza per continuare a discutere con te» borbottò «Rimani e sta zitto.»

«Non mi udirai» promise Legolas.

«Nel nome di Durin, Gimli!» quasi ruggì Thorin «Fallo sparire! Se devi fare questo, non avere questo dannato Elfo come testimone!»

Gimli lo ignorò, e si pettinò la barba sfoltita con la dita ancora una volta, prima di mormorare: «Ori». Poi tagliò una ciocca e la lasciò cadere in acqua.

Solo dopo sette altre ciocche Gimli si fermò, il suo coltello cadde dalla mano debole e la sua testa si chinò. Le sue spalle tremavano dal pianto mentre singhiozzava l'antico nome Nanico di Gandalf, e fece cadere in acqua i lunghi peli rossi con un singulto soffocato.

Legolas rimase in totale silenzio, e guardò con occhi lucidi.

Infine Gimli alzò il capo e si passò una mano sulla barba sfoltita. «Basta» mormorò, i suoi occhi rossi ma asciutti.

«Potrei...» Legolas si piegò in avanti, e le sue dita sottili si allungarono verso il coltello «Potrei prenderlo?»

Gimli lo guardò e basta, esausto e svuotato.

Thorin guardò con crescente sospetto e stupore l'Elfo che si portava il coltello ai suoi capelli pallidi e ne tagliava una ciocca. «Ecco» disse piano, e la lanciò in acqua «Per Mithrandir.»

Un momento di calma discese sulla radura. Legolas inspirò lentamente, e quando espirò una certa tensione svanì dalle sue spalle e si sedette più dritto. Il suo volto, che prima era teso e ansioso, divenne rilassato e calmo mentre guardava i capelli dorati che correvano nelle acque del ghiacciato Argentaroggia.

«Sì» si disse «Sì, va bene.»

«Perché l'hai fatto?» chiese Gimli, la sua voce vuota e spassionata «Le mie tradizioni non hanno alcun valore per te in questa terra di Elfi senza tempo. Se non mi stai deridendo, cosa stai facendo qui?»

Legolas si girò le estremità dei capelli tagliati tra le dita, e poi girò il coltello a lama larga di Gimli con una mossa elegante e pratica per porgere l'impugnatura al Nano. «Questa è una terra di Elfi, sì» disse cripticamente. Poi guardò Gimli come se ciò che avesse detto fosse in qualche modo importante.

«Parla chiaramente!» ringhiò Thorin «Ah, Gimli, non rimanere ad ascoltare queste sciocchezze!»

«Risponderai mai chiaramente a una domanda?» disse Gimli esasperato, con un tocco del suo vecchio fuoco nella voce. Thorin quasi urlò di gioia nel sentirlo.

«Mi hai sentito! Ah, mia stella, sei tornato da me!» disse, e desiderò di poter tenere stretta la testa spettinata di Gimli, di premere insieme le lor fronti. Sembrava lo scherzo più crudele di tutti non poter mai abbracciare o toccare questo Nano, più vicino a lui di un figlio.

L'Elfo rimase dov'era, porgendo a Gimli il suo coltello. «Vedo che devo essere più chiaro» si disse «Mi sembri un tipo piuttosto diretto.»

«Non ho ragione di nasconderlo» disse Gimli, alzando una grande spalla e lasciandola ricadere «Io sono Gimli, e questo è tutto. Perché dovrei fingere di essere diverso?»

«Non è proprio tutto però, o sbaglio?» Legolas scosse il coltello, e Gimli si piegò in avanti e lo prese molto, molto lentamente «Sei più di ciò che appari, Mastro Nano.»

«Preferirei se non mi chiamassi così» Gimli rinfoderò il coltello nel suo stivale con una spinta leggermente più forte del necessario «Ho un nome d'uso, e non è brutto.»

«Mi dispiace» disse Legolas in fretta.

«Questa è la terza volta. Cosa sono, dunque, perché tu mi debba chiedere scusa?»

«Onesto» disse Legolas, e sorrise il piccolo, inscrutabile sorriso degli Elfi «Coraggioso. Gentile. Impetuoso. Leale. Eloquente. Generoso. Mi sorprendi di continuo, Mastro Gimli. Pensavo si sapere cosa e chi fossi, e trovo che quasi tutto ciò che conosco sono menzogne e mezze verità deformate da antichi odi. In tutte le mie estati sotto foglie e rami, non mi sono mai sbagliato tanto.»

Thorin indietreggiò, e la sua bocca si spalancò.

Suonava quasi come-

«Non può essere» sussurrò.

Gimli stava fissando l'Elfo, le sue labbra aperte per la sorpresa. «No, aspetta» disse brusco «Questo è. Io. No, le cose non funzionano così. Ora sono io quello confuso! Torna indietro un attimo e rispondi alle mie domande. Perché sei qui?»

Legolas inclinò il capo, e la sezione tagliata dei suoi capelli gli cadde sulla guancia. «Vorrei esseri amico» disse.

Gli occhi di Gimli si abbassarono. «Anche tu pensi a ciò che ha detto, quindi?»

«Sì» lo sguardo luminoso di Legolas cadde sull'acqua, e in esso vi era tutto il dolore infinito degli Elfi «Ci ha chiesto, prima di entrare a Moria...»

«Di essere amici, aye» sospirò Gimli, e si massaggiò una gamba con la mano larga e forte «Vorrei averlo ascoltato.»

«Anche io» disse Legolas piano.

«Quindi. Gandalf l'ha chiesto. Altre ragioni?» Gimli alzò lo sguardo, e la luce del sole brillava sulle perline nei suoi capelli e sull'orecchino da lobo.

«Per te» disse Legolas «Devi capire, mi è sempre stata data un'immagine dei Nani che...»

«Ah» disse Gimli, col volto che si riempiva di amarezza «Senza dubbio.»

«No, non saltare a conclusioni prima che io abbia finito!» disse Legolas con improvviso e inaspettato calore «Reagisci sempre in questa maniera, e io non ho ancora detto nulla!»

«Non ce n'è bisogno» disse Gimli con sarcasmo «Fammi indovinare, dato che posso probabilmente indovinare qualcuno degli insulti più comuni verso di noi: io sono avaro, avido, senz'anima, traditore, e non ho nessun sentimento. È tutto?»

Legolas cadde in silenzio, e poi esclamò: «no non lo è! Perché mio padre è Thranduil di Eryn Lasgalen ora, ma un tempo fu Thranduil del Doriath, Gimli! Puoi ora immaginare le storie che mi sono state raccontate? Puoi immaginare le parole che mi venivano date insieme al latte e al pane?»

Gimli lo guardò ad occhi spalancati. «Aye» ansimò, e poi si prese la testa fra le mani «Aye, posso.»

«Ma no, tutto ciò era sbagliato, vorrei non averlo detto ora» gemette Legolas e si alzò in fretta con le mani strette nella tunica verde grigiastra che indossava «Non incolpo la tua gente, Gimli. La follia di quell'era cadde su molti, sia Elfi che Nani, tutto per tre gemme e un giuramento di sangue...»

«Mia nonna era una Barbafiamma» borbottò Gimli.

Legolas si strozzò sulle sue parole, e si voltò per fissare Gimli con guance arrossate.

Gimli tolse le mani dal volto e le strinse fra loro. «La loro gente sta svanendo» disse verso l'erba «Furono quasi distrutti dopo la loro orribile azione; la vendetta del Monco fu rapida e terribile. Ma alcuni sopravvissero, anche se Nogrod non fu mai più come prima. La maggioranza scapparono a Khazad-dûm dopo che le Ered Luin furono perdute.»

«I tuoi capelli» disse Legolas, debole e tremante.

Gimli annuì senza parole.

«Tu... tu hai del sangue Barbafiamma» disse Legolas, e si girò per urlare verso gli alberi «Ai, amarth faeg!»

«Nulla è mai semplice» disse Gimli in un sussurro «Quindi, questo è quanto. La tua idea di amicizia era nobile, ragazzo. Penso sia stato molto gentile da parte tua. Ma c'è troppo tra di noi. La gente di mia nonna macellarono la tua, tuo padre imprigionò mio padre e assediò la nostra casa, e gli Elfi cacciarono e assassinarono i nostri cugini, e oltre a queste innumerevoli altre atrocità, sin dall'inizio dei giorni. La Dama potrà non guardarmi con disgusto, ma di certo tu sì.»

Legolas rimase immobile per un lungo, lungo momento, il suo respiro era veloce e le sue mani tremavano. Poi obbligò i suoi occhi a posarsi su Gimli, che sedeva, triste e immobile, davanti alle rive del fiume.

«No, non è così» disse Legolas infine «Il popolo di tua nonna è svanito. Tu sei qui, e ti sei mostrato coraggioso e gentile.»

Le sopracciglia di Gimli si aggrottarono in confusione, e guardò su lentamente.

«Prometto di dirti la verità» disse Legolas, e si avvicinò. Era alto e orgoglioso, una lancia d'oro pallido nella luce calda, ma non sembrava più freddo e distante.

«Non ha senso» gracchiò Gimli «Prima la Dama. Ora questo. La mia testa sta girando, e non so più cosa sia vero o falso. Gli Elfi non guardano i miei simili come pari. Noi siamo gli indesiderati e voi siete i favoriti, e così è come è sempre stato. Gli Elfi non difendono i Nani dai loro simili, ma la Dama l'ha fatto - e contro il suo Sire dinnanzi a tutta la sua gente! Gli Elfi non chiedono scusa ai Nani, e tu l'hai fatto tre volte ora! Agli Elfi non importa delle corte vite dei mortali, e tu mi parli con gentilezza e non mi lascerai! Cosa pensi di guadagnare con ciò?»

«Guadagnerò un amico» disse Legolas, e poi fece tra rapidi passi per sedersi nuovamente di fronte a Gimli, con le lunghe gambe piegate sotto di sé. Erano una vista bizzarra: il robusto, infuocato Nano e il sottile, pallido Elfo.

«Chi ti ha detto che agli Elfi non importa dei mortali?» chiese Legolas.

Gimli batté le palpebre. Poi disse: «Non lo so. Sembra quasi che io lo abbia sempre saputo. È sbagliato, dunque?»

Legolas annuì, e le sue narici di dilatarono in irritazione. «Sembra che anche tu abbia ingoiato menzogne in un sol boccone.»

«Aye» disse Gimli pensierosamente «Perché pensai il male della Dama prima di incontrarla. Ora capisco che lei è in realtà la più saggia e gentile di tutte le creature del mondo, per capire il lutto di un Nano.»

«Era magnifica, Gimli» disse Legolas con voce bassa «Mi dispiace di non averlo detto. Mor... Khazad-dûm era gloriosa anche nella sua rovina.»

Gimli chiuse gli occhi. «Aye. Lo era» poi fece una risata triste «E il tuo accento è atroce.»

«Mi dispiace anche per i tuoi congiunti»

«Beh» gli occhi di Gimli si aprirono e lui parve un po' imbarazzato «Io... io ti ringrazio per avermi trascinato via dalla mia follia e dal mio dolore davanti alla tomba di Balin.»

«Non dovresti ringraziarmi» disse Legolas gentilmente.

«Un Elfo che ha salvato la vita di un mortale?» Gimli sbuffò piano «Aye, credo proprio che dovrei ringraziarti.»

«Perché parlano così di noi?» Legolas non fece la domanda con rabbia. Anzi, sembrava prosciugato e stanco.

Gimli sbuffò. «Per la stessa ragione per cui la tua gente parla male della mia, senza dubbio. Si dice che saremmo sempre gettati da parte. I Nani saranno amici finché saremo utili agli Elfi, e poi saremo messi da parte e le nostre creazioni, più care a noi di ogni altra cosa, trattenute per lunghe Ere. Poi, gli Elfi lasceranno questa terra e tutti i suoi problemi e andranno ai loro porti sicuri oltre ai mari burrascosi, lasciando tutto il dolore e le calamità ai mortali. Non mi stupisce che esistano tali storie.»

Legolas urlò. «No! Non è per nulla vero! Noi lasciamo questa terra perché dobbiamo. I grandi fra noi si indeboliscono, e dobbiamo partire o diventare nient'altro che l'ombra di ciò che eravamo. Molti di noi amano ancora la Terra di Mezzo e le sue bellezze, ma il dolore diventa troppo da sopportare e solo la Casa degli Elfi lavarlo via. Perché i mortali ci spezzano il cuore: siete così luminosi, e così fragili. Non possiamo fare a meno di affezionarci, e rimaniamo desolati quando voi morite e andate nel luogo dove non possiamo seguire.»

Gimli fece un lungo sospiro e guardò Legolas di sottecchi. «Tutte menzogne, dunque.»

Legolas annuì fermamente.

«Mi chiedo cos'altro sia una menzogna» disse Gimli «Forse Gandalf lo avrebbe saputo.»

«Senza dubbio» disse Legolas, e fece un cenno col capo «Per Gandalf, dunque?»

«No» disse Gimli, e scosse il capo, con le perline che danzavano nei capelli spettinati «Gandalf avrebbe voluto che fossimo amici, ma non che creassimo un amicizia nel nome di un morto. Quella non è affatto amicizia» poi socchiuse gli occhi «Non pensi a ciò che gli Elfi di Lothlórien diranno di questo?»

La faccia dell'Elfo si scurì. «Non possono negare le parole della Dama Galadriel, e tutti l'hanno vista salutarti con cortesia e rispetto. E poi, ci sono state amicizie tra Elfi e Nani prima d'ora. Saremmo difficilmente inusuali.»

«Aye, ma pensa a come sono finite quelle amicizie» disse Gimli, e sospirò «Sarai deriso.»

«Non mi importa» disse velocemente Legolas «Hai visto le Porte bene quanto me - meglio, forse, dato che era notte! Il nome di Celebrimbor era su quelle Porte, fatto da mani Naniche.»

«Narvi» ricordò Gimli. Poi le sue sopracciglia si alzarono. «Khelebrimbur, come era conosciuto tra la mia gente, e non creava solo porte.»

Legolas gemette. «No. E la maledizione della sua famiglia lo seguì.»

«Qualche maledizione sulla tua famiglia di cui dovrei essere a conoscenza?» disse Gimli, con un sorriso triste.

«Nay» disse Legolas «Sulla tua?»

«Molte» disse Gimli con secco umorismo «Sono della Linea di Durin, dopotutto.»

Thorin lo guardò male.

«La mia gente non capirà» continuò Gimli, e la preoccupazione gli attraversò velocemente il volto «La tua gente non capirà.»

«La Dama capirà» disse Legolas.

«Ah» sospirò Gimli, e poi annuì lentamente «Sì. La Dama capisce tutto.»

Legolas deglutì, e poi si sporse verso il Nano e allungò la mano. «Possiamo riprovarci?» chiese piano.

Gimli guardò giù la mano, e poi arricciò le labbra. «Ma - quegli Elfi lì fuori - Doriath - il massacro dei Nûlukhkhazâd - l'assedio di Erebor - mio padre - tuo padre!» esclamò «Perché?»

«Perché in questa terra di Elfi, non posso cantare. Devo trovare un Nano che mi mostri come piangere» disse Legolas, e anche se il suo respiro era ancora piuttosto veloce, stava sorridendo «E poi, trovo che non posso guardare i Galadhrim che ti trattano in quella maniera senza desiderare di punirli sonoramente! Per il resto, il Doriath non è più, sono un ricordo dei giorni Antichi. Non so cosa voglia dire quella parola, amico mio. Mi piacerebbe se tu mi parlassi ancora delle abitudini della tua gente: mi sembrano dure, ma bellissime, come una montagna alta e orgogliosa nel più crudele dei venti. Erebor è di nuovo dei Nani e nessun Elfo la minaccia, e mio padre ha tutto il mio amore e la mia fedeltà in tutto tranne che questo. Ti chiedo, Gimli - possiamo riprovare?»

Gimli guardò la mano di Legolas come se fosse piena di serpenti.

«Gimli» disse Thorin con stupore e disperazione. E poi disse quel nome segreto che aveva udito solo una volta prima, detto nell'intimità delle stanze di Glóin a Granburrone.

Il silenzio si allargò, e parve che il mondo intero svanisse in sottofondo. Il respiro di Thorin si bloccò dietro ai suoi denti.

E poi la mano robusta di Gimli atterrò sul palmo di Legolas. «Il mio nome è Gimli, figlio di Glóin, della Linea di Durin e della Montagna Solitaria» disse, e guardò su. Il lutto era ancora presente agli angoli dei suoi occhi, ma ora stava ricambiando il sorriso. «Io sono, ho paura, decisamente un Nano e non c'è molto che ci si possa fare. Però, spero tu non lo trovi troppo offensivo, ragazzo.»

Legolas rise. «E io sono Legolas Thranduilion, e mi dispiace informarti che sono un Elfo, e un Elfo del bosco di Bosco Atro; un Sindar di nascita e cresciuto Silvano, e non posso cambiarlo più di quanto posso cambiare il tramonto o la caduta delle foglie. Spero non sia troppo esasperante.»

Gimli ridacchiò. «Ah, ma gli Elfi sono sempre esasperanti!»

Legolas rise ancora, una piccola onda nella corrente dell'Argentaroggia. «E i Nani sono sempre offensivi!»

Gimli ghignò. «Ben incontrato, Legolas.»

L'Elfo sorrise con calore. «Questa volta.»

La risata di Gimli spaventò gli uccelli sugli alberi, rimbombante e piena di allegria e gioia. Le loro mani rimasero strette insieme, le dita lunghe dell'Elfo pallide come il latte contro la robusta mano marrone di Gimli. Così diverse, così completamente diverse, ma rimasero insieme con la facilità in cui una chiave entrava in un lucchetto.

Thorin fissò i due con incredulità crescente.

«Mi mostrerai altro di questo bosco?» disse Gimli, rompendo il caldo silenzio. Stava ancora ghignando.

«Sarebbe un onore» disse Legolas, sorridendo «Ho trovato un luogo in cui il mellyrn cresce vicino a una strana pietra grigiastra, attraversata da nero simile al vetro. Forse sapresti dirmi cosa sia?»

«Uhm, sembra un qualche tipo di ossidiana» disse Gimli, e poi si tirò in piedi e uso la stretta che aveva sulla mano di Legolas per far alzare anche lui «Mi piacciono i mellyrn. Sono come grandi pilastri di argento e oro, ma si muovono e respirano!»

«Ah, sono meravigliosi, o no?» disse Legolas, e finalmente lasciò la mano di Gimli per fare un cenno verso Est «Da questa parte.»

«Guidami, Mastro Legolas» disse Gimli con un piccolo inchino, e i due risero insieme più piano e fianco a fianco lasciarono la radura.

«Forse potrai anche parlarmi dei tuoi congiunti mentre camminiamo?»

«Se riuscirò a trovare le parole, aye. Ma non ci conterei troppo, ragazzo»

«Nel nome di Durin?» urlò Thorin nel silenzio. Poi si strappò dal mondo vivente per attraversare i corridoi delle Sale fino alla propria stanza, dove si sedette e rimase furioso per ore.


A venire da lui fu sua nonna, durante le prime ore del mattino.

«Ah, cosa ti avevo detto, tesoro mio?» disse gentilmente, sedendosi sul letto accanto a lui e girando il suo volto verso di lei. Lui glielo permise, la sua mente stanca e annebbiata dallo stupore e dalla rabbia. «Divorato dai cerchi neri. Guardati.»

Lui supportò i vezzeggiamenti di lei per alcuni secondi, prima di allontanare la testa dalle sue mani. «Abbastanza» disse piano «Non sono un bambino.»

Lei fece una pausa, e poi si mise le mani sulle anche. «No, non lo sei, ma ne stai facendo una gran bella imitazione» disse «Non ho mai visto una scenata simile da quando tuo padre aveva diciassette anni e aveva deciso che bisognava chiamarlo col suo titolo in ogni occasione.»

L'aneddoto era così assurdo che a Thorin venne quasi da ridere. «Padre aveva fatto ciò?»

Hrera sorrise. «Era molto giovane.»

«Avrebbe scuoiato me o Frerin o Dís se ci fossimo comportati così» disse Thorin.

«Ah, beh, avevate il vostro stile, voi tre» disse lei, e poggiò la mano sul dorso di quella di lui «Ora, dimmi cosa ti fa attraversare le Sale come un'enorme furibonda nuvola temporalesca, terrorizzando tutti con il tuo sguardo truce e i tuoi enormi cerchi neri al posto degli occhi.»

Lui le lanciò un'occhiata sardonica, ma lei si limitò ad aspettare. Poi Thorin girò la mano e strinse quella di lei. «Gimli ha fatto amicizia con l'Elfo» disse bruscamente.

Il suono di sorpresa di Hrera fu molto rumoroso nell'intimità della stanza.

«È abbastanza per far arrabbiare ogni Nano, figuriamoci uno che...» Thorin si interruppe e strinse i denti con rabbia.

Hrera rimase ferma e in silenzio per un istante, e poi si raddrizzò con uno sbuffo, alzando la testa severamente e inchiodandolo con il suo sguardo serio. «Dillo» ordinò «Sono più che stanca della tua censura emotiva, Thorin. Dillo!»

Lui la guardò storto. Lei ricambiò lo sguardo.

«Dillo!» esclamò di nuovo, e la sua mano strinse quella di lui in avvertimento «Voi testardi uomini Durin e la vostra dannata ostinazione! Stoici fino a star male, siete! Cosa ci vorrà perché tu ammetta che ami quel ragazzo come un figlio?»

«Va bene!» ruggì Thorin, e le lasciò la mano di scatto «Sì, gli voglio bene! È la mia stella!»

Lei annuì orgogliosa. «Meglio. Ben fatto, nidoyel

Thorin la guardò male. Lei lo ignorò solennemente e gli diede una pacca sulla mano. «Riuscirò a levarvela a tutti, uno alla volta» si disse, prima di dargli un benevolente sorriso da nonna «Ora, tuo figlio ha fatto amicizia con un Elfo. Perché questo ti dà tanto fastidio?»

«Perché?» gridò Thorin, e lei sobbalzò e gli diede un pizzicotto sul dorso della mano.

«Ci sento benissimo, non serve che urli» disse irritata «E sì, è ciò che ti ho chiesto. Perché ti dà fastidio?»

«Perché...» Thorin si mise una mano fra i capelli «Perché è un Elfo! L'unica cosa che farà sarà deludere Gimli – è innaturale! Sono nemici, per carità di Mahal; Legolas è figlio di Thranduil! Si odiano

Le sopracciglia di Hrera si alzarono. «Uhm» disse distrattamente, e poi lo inchiodò con quello sguardo nuovamente «Sai, io odiavo completamente tuo nonno quando l'ho incontrato.»

Thorin non ebbe nemmeno la possibilità di aprire la bocca per la sorpresa di un'altra rivelazione, perché Hrera continuò: «Oh sì! Lo detestavo – fino alla maniera ridicola in cui si pettinava la barba all'epoca. Era una vista vergognosa, e sono felice di averlo convinto a cambiarla. In ogni caso, eccomi lì, ottant'anni e portata via da casa mia e lanciata in questa nuova corte di Erebor per la volontà di mio padre e del Consiglio. E questo gran villano che non mi ha mai nemmeno parlato educatamente sarà mio marito? Pah! Re o no, non l'avrei toccato con un martello lungo dieci piedi.»

«Tutto questo ha un motivo?» disse Thorin debolmente.

«Ci sto arrivando, caro» disse lei «Un po' di pazienza da parte tua, per piacere. Ora dov'ero...

«Oh, sì. Dunque, io non volevo avere nulla a che fare con Erebor, Longobarbi, tuo nonno e tutte quelle cose. Ma dove potevo andare? Ero alla Montagna e l'inverno stava arrivando, e non avrei potuto tornare a casa finché non fosse arrivata primavera e le nevi nei passi si fossero sciolte.

«Giorno dopo giorno sopportai la corte, e giorno dopo giorno dovetti stare in compagnia di sempre più Longobarbi con la faccia di pietra. E poi la cosa più strana successe: io iniziai a capirli.»

«Familiarità, vuoi dire?» Thorin si strofinò gli occhi «Pensi che sia questo ciò che è successo a Gimli e l'Elfo? Sono diventati amici perché sono stati obbligati a stare in compagnia l'uno dell'altro nella Missione?»

«Grande Telphor, no» disse Hrera, ridendo «Se fosse stato per quello avrei finito con lo sposare il mio lavoro. Voglio dire che col tempo iniziai a vedere al di sotto dei vostri sguardi di pietra e volti stoici e amore di tradizioni incomprensibili, e – francamente – orripilanti scelte in fatto di barba per riconoscere chi fossero davvero i Longobarbi. Tempo, Thorin.»

«Ma un Elfo?» disse Thorin, e scosse il capo senza speranza.

Hrera alzò gli occhi al cielo. «Ignorare i più anziani quando ti hanno appena raccontato una storia molto interessante è estremamente maleducato, akhûnîth. Ora, sii pratico per un momento e pensa con il tuo cervello, invece che con il tuo sottosviluppato senso di ingiustizia e storia. Il tuo ragazzo e l'Elfo prima o poi avrebbero riconosciuto i tratti positivi l'uno dell'altro, dato abbastanza tempo. Nessuno è così cieco» lei lo guardò di sottecchi «Anche se voi Longobarbi vivete per darmi torto.»

«Ah, ma grazie a voi, mia signora nonna, ho anche del sangue Vastifascio» disse lui, e lei incrociò le braccia.

«Allora non hai proprio scuse, sbaglio?»

«Cosa successe dopo?» chiese Thorin, interessato nonostante tutto.

«Cosa?»

«Con la corte, e te, e nonno»

«Oh, quello» Hrera sbadigliò, e si coprì la bocca «Scusami, è molto presto. Io finii col tirare dei fermagli di argento su cui stavo lavorando addosso a tuo nonno un giorno, e lo colpirono dritti in faccia. Il giorno dopo giunse a corte indossandoli» lei sorrise con affetto «Si intonavano molto bene col suo occhio nero.»

Thorin non riuscì nemmeno a trovare la forza di essere stupito per qualcos'altro.

«Troppe sorprese oggi» borbottò.

«Va tutto bene, va tutto bene» lo coccolò lei.

Hrera gli baciò la fronte, e poi lo spinse sul cuscino con un dito. «Dormi» disse fermamente «O siederò qui e ti parlerò di quando eri piccolo finché non lo farai.»

Lui chiuse gli occhi istantaneamente, e poi si accigliò quando udì la morbida risata di lei. «Sei una Nana tremendamente crudele, nonna» mugugnò.

Lei spense le candele con un soffio e si alzò. La sua mano rimase sulla fronte di Thorin per un momento. «Sì, caro. Lo so» disse gentilmente.

TBC...

Note:

Un sacco di dialogo preso dai capitoli “Lothlórien” e “Lo Specchio di Galadriel”.

Celebrimbor – Un Noldor, figlio di Curufin e nipote di Fëanor, il più grande fra i fabbri Elfici. Fu Celebrimbor a creare gli Anelli del Potere con l'aiuto di Sauron nel suo travestimento Annatar, Signore dei Doni. Celebrimbor creò i tre Anelli degli Elfi in segreto, e così Sauron non li toccò mai.

Aragorn e Arwen – I due si innamorarono a Lothlórien. Leggete le Appendici per l'intera storia d'amore iper-triste.

Doriath – Il grande regno dei Sindar su cui regnavano Elu Thingol e Melian la Maiar. Celeborn e Oropher (padre di Thranduil) vengono entrambi da questo regno. Quando Thingol chiese ai Nani di Nogrod di inserire il Silmaril in una collana (la Nauglamir), si rifiutarono di consegnare il loro lavoro. Quando Thingol cercò di prenderlo, lo uccisero e saccheggiarono il palazzo.

Per tre gemme e un giuramento di sangue – il Silmaril, e il giuramento dei Noldor che li portò all'esilio da parte dei Valar (esilio da Aman).

Nogrod (Khuzdul: Tumunzahar) – Regno dei Nani Barbafiamma nelle Montagne Azzurre, città sorella di Belegost, perduta durante la Guerra dell'Ira quando le montagne sprofondarono nel mare. Questi Nani furono i responsabili del sacco del Doriath e dell'assassino di Elu Thingol.

Monco – Beren Erchamion, l'amante mortale di Lúthien Tinúviel, l'Elfa più bella che sia mai vissuta. Lúthien era la figlia di Elu Thingol, Re del Doriath. Quando Thingol fu ucciso dai Nani di Nogrod, Beren diede la caccia e uccise i Barbafiamma responsabili e riprese la Nauglamir.

Nûlukhkhazâd – I Nanerottoli erano un popolo simile ai Nani, più piccoli dei loro cugini, erano meno socievoli eppure davano liberamente i loro veri nomi. Gli altri Nani li consideravano brutti e pigri, ed è possibile che essi siano stati Nani di varie case che erano stati esiliati per ragioni sconosciute. Quando gli Elfi li incontrarono per la prima la volta, pensarono fossero poco più che animali, e li cacciavano per sport. Alla fine della Prima Era, erano completamente estinti.

Telphor – uno dei Sette Padri dei Nani, primo antenato del clan Vastifasci.

Tutte le fanart e i lavori ispirati a Sansûkh possono essere trovati sul blog dedicato.

   
 
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