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Autore: Inathia Len    08/05/2015    3 recensioni
Me lo chiedo ancora, se ho fatto bene ad abbandonare la sua città galleggiante. E non lo dico solo per il lavoro… Il fatto è che un amico come quello, un amico vero, non lo incontri più. Se solo hai deciso di scendere a terra, se solo vuoi sentire qualcosa di solido sotto i piedi, e se poi intorno a te non senti più la musica degli dei… ma, come diceva lui, “non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla”. Il guaio è che nessuno crederebbe a una sola parola, della mia storia…
SherlockBBC incontra Novecento di Baricco... ai posteri l'ardua sentenza...
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Irene Adler, Jim Moriarty, John Watson, Lestrade, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Qualcosa nell'ombra

 

 

 

 

 

John correva.

John aveva corso tante volte nella propria vita, per un motivo o per un altro. La prima volta che si era trovato un lavoro e non aveva messo la sveglia, oppure quella volta che aveva deciso di portare Sarah al cinema e non gli era partita la macchina… persino il giorno del suo matrimonio aveva corso, perché quei confetti del cavolo gli si infilavano ovunque e il ristorante era proprio dietro l’angolo e così aveva preso per mano Mary ed erano corsi via, ridendo come due scemi.

Ma questa volta era una corsa diversa. Non appena Frank Andom aveva pronunciato le parole fatidiche, confermandogli che quella nave ospedaliera che si erano fatti venire lo sghiribizzo di far saltare era proprio il Virginian, era uscito dal negozio quasi avendo le Furie alle calcagna. E va bene che quella nave era vecchia, e va bene che molto probabilmente cadeva a pezzi ed era ormai fuori norma… ma Cristo, volevano prima controllare che fossero scesi tutti?! Perché ne era certo come del fatto di avere gli occhi blu e di essere stato colpito alla spalla in guerra: Sherlock, con la testa dura che aveva, era ancora su quella fottutissima nave.

E allora John correva, il cuore in gola –e non solo metaforicamente parlano- e il fiato corto, le orecchie che gli fischiavano e il corpo che urlava che non ce l’avrebbe mai fatta, perché il porto era lontano e, soprattutto, la sua vita non gli aveva mai concesso un lieto fine che fosse uno…

Svoltò in una via a sinistra e poi prese la prima a destra, saltando il carrellino di una vecchietta che era uscita presto per fare la spesa e ora inveiva contro di lui, agitando il bastone e urlando qualcosa sui “giovani d’oggi”.

John corse come un cretino, non sentendosi più il cuore e credendo di avere un infarto lì, seduta stante. Sentiva Andom che gli gridava qualcosa alle spalle –sperò che non se la fosse presa del fatto che si era tenuto la tromba, poi gliela avrebbe riportata… magari l’avrebbe fatto con Sherlock…- ma non si sarebbe fermato.

Perso nei suoi pensieri, poco ci mancò che andò a sbattere contro un paio di lampioni –mai correre con la testa da un’altra parte, si ricordò con una smorfia, la caviglia che si lamentava del repentino cambio di peso-.

Poi, finalmente, il porto.

Avevano fatto scalo a Plymouth un sacco di volte, avrebbe potuto dire il nome di ogni singolo pub e barista nel raggio di miglia, ma quello non era il momento per una rimpatriata. Non di quel tipo, almeno. Forse dopo, si disse, dopo ci sarà tempo. Quando tutto sarà sistemato…

E con il porto, comparve anche la nave.

Era davvero messa male, mangiata dalla ruggine in ogni singolo centimetro, sembrava che non fosse mai stata nera o bianca, ma fosse nata rossa. Imponente lo era rimasta, ma ora faceva solo pena. C’erano ancora degli uomini al lavoro, uno dei lampadari –che riconobbe essere proprio quello della sala da ballo della prima classe- stava venendo calato proprio in quel momento. Diverse scale erano poggiate alla fiancata e tanti uomini andavano avanti e indietro, tenendo delle valigette in mano…

Dinamite.

Il pensiero colpì John togliendogli definitivamente il fiato.

Si accasciò accanto a un lampione, il cuore in gola e il fiato talmente grosso da non riuscire a respirare, la terribile sensazione che avrebbe vomitato o sputato un polmone da un momento all’altro. Ansimava, piegato sulle ginocchia, la tromba in una mano e un braccio che gli comprimeva lo stomaco, quasi a impedirsi di sboccare. Decisamente non era il momento.

-Ehi, tutto bene?-

Una voce gli fece alzare parzialmente la testa –e il risultato fu che osservò l’uomo di traverso-. L’accento non era di quelle parti, sembrava inglese. O quanto meno britannico… erano anni che non sentiva l’accento di casa sua... La carnagione era chiara, gli occhi anche e i capelli rossicci. Era ben vestito e sembrava avere un mucchio di soldi. Stava appoggiato ad un ombrello e guardava la nave con malcelato schifo.

-Io…?- boccheggiò stupidamente John. –Alla grande- rispose, facendo segno di “okay” con la mano, lasciando la tromba per terra.

-Non si direbbe…- commentò l’altro. –Aveva paura di perdersi la demolizione? Oh, mancano ancora un decina di minuti, non si…-

John si riebbe di scatto e afferrò l’altro per la collottola del vestito elegante.

-Dieci minuti?- riuscì a chiedere, sentendo l’ansia tornare. –Ma non potete! Non… c’è un uomo a bordo!-

L’uomo si liberò dalla presa di John e si sistemò la cravatta. John gli chiese scusa con lo sguardo, ma quello non sembrò accettare.

-Tutto il personale è stato fatto evacuare. Mancavano i lampadari, fino a ieri non avevamo le… come le chiamate voi?... gru? Sì, gru. Ecco, ci mancavano quelle. Ma per il resto siamo pronti… e la nave è stata controllata… secondo lei io farei saltare per aria qualcuno?-

-Le dico che c’è!- insistette John, tossendo. –Ma insomma, chi si crede di essere lei per…-

-Mycroft Holmes, dirigo i lavori di smantellamento- si presentò l’uomo, gelido, porgendogli anche un tesserino di riconoscimento. –E lei sarebbe?- chiese, dopo una pausa, squadrando gli abiti dismessi di John.

-John Watson. Ci facevo il trombettiere là sopra, prima della guerra. Fino al ’33 ci sono stato- disse John, pregando di suonare più importante di quanto in realtà non fosse. –E le dice che c’è un uomo lassù. Perché dovrei, eh, se non fosse vero? Che me ne verrebbe in tasca? Glielo dico io: niente. Niet. Nada. Una cippa impanata e fritta. Le dico che c’è qualcuno lassù, qualcuno che non è mai sceso da quella nave… ora: o lei me lo fa cercare, sospendendo tutto, oppure io trovo il modo di salire comunque su quella nave e allora sì che avrà dei problemi.-

Mycroft Holmes lo scrutò piano.

-Potrei minacciarla di andarsene…-

-Credo che lo troveremmo entrambi molto imbarazzante.-

 

 

 

 

Mezz’ora. Ecco quanto quell’idiota di Holmes gli aveva concesso. Se non fosse stato impossibile, avrebbe detto che quell’uomo assomigliava straordinariamente a Sherlock, per alcuni tratti. Innanzitutto, aveva un’aura di autorità innata. Ma, se Sherlock se ne fregava altamente e si era sempre accontentato di John e della sua musica, Mycroft, in un nanosecondo, aveva messo su una squadra per andare a cercare il suo “amico invisibile”, come lo aveva prontamente ribattezzato.

Tornare sul Virginian dopo quasi quindi anni fu un duro colpo per John. Niente più capitano Anderson che lo scrutava storto, la cui barba nascondeva però un sorriso bonario. Niente più musica soffusa, che sembrava permeare l’aria anche quando nessuno suonava. Niente più chiacchiere dei passeggeri, che ciarlavano in un mescolio di lingue e dialetti e accenti e inflessioni che avrebbe fatto girare la testa a chiunque. Niente più fanfare e stelle filanti che facevano da scenografia alle partenze… niente.

Ora quel posto puzzava di muffa, di chiuso e di vecchio. Le assi, un tempo di parquet lindo e talmente lucido che ti ci potevi specchiare, ora le assi erano state mezze mangiate dai tarli o rinchiodate a forza. E comunque non erano lucide da quel po’ di anni. Anzi, sembravano non esserlo mai state. I corridoi erano invasi da detriti e acqua, quasi la nave stessa si fosse arresa e fosse pronta a essere demolita. John non aveva nulla in contrario, senza il Virginian poteva vivere. Senza Sherlock… ci aveva provato e non era andata granché bene.

Fece strada agli uomini di Mycroft Holmes e raggiunsero il salone da ballo della prima classe. Anche lì, senza più tavolini, sedie, orchestra e ballerini, non si respirava la stessa aria. Anche il lampadario si erano portati via…

-Qui non c’è nessuno, John. Mi creda- tentò di farlo ragionare l’uomo. –Quello che è in questa nave sono sei quintali e mezzo di dinamite. Si fidi, se il suo amico è un po’ intelligente, se n’è andato anni fa e…-

-STIA ZITTO!- lo interruppe John, esasperato dalle sue chiacchiere e dal suo tono condiscendente. –Sherlock è su questa nave, lo so. È solo che… che lo stiamo spaventando. Facciamo troppo casino- disse, ignorando il sopracciglio alzato di Holmes e degli uomini con lui. –Dobbiamo dividerci… no. Anzi. Dovete scendere, lasciarmi solo. Forse così si farà trovare. Vi prego…-

Mycroft Holmes fece ruotare la punta dell’ombrello sul pavimento, mentre pensava. John seguì il movimento, implorando dentro di sé.

-Le do altri venti minuti. Avevo detto mezz’ora giù al porto, ormai sono passati dieci minuti. Ne ha altri venti… finiti quelli, questa bagnarola salta per aria. Con o senza lei a bordo- concluse, puntandogli l’ombrello contro. E John capì che era inutile protestare, dire che quella nave non era possibile ispezionarla da soli in venti minuti… ma era già tanto che gli fossero stati concessi. Era già tanto che quel Mycroft gli avesse, almeno in parte creduto.

Guardò gli uomini uscire e strinse la presa sulla tromba. Forse aveva una vaga idea di dove Sherlock potesse essere. O almeno, sarebbe partito da là. Se lui fosse stato spaventato, se tutte le sue certezze fossero –letteralmente- sul punto di esplodere… lui dove sarebbe andato?

Sarebbe tornato all’inizio.

 

 

 

Non aveva messo piede nella sala macchine dalla sera in cui aveva spalato carbone con Sherlock, ormai quasi venti anni prima. E l’atmosfera, cupa e minacciosa, almeno quella era rimasta. Non c’era più il caldo assassino, che ti faceva sudare ben più di sette camice e puzzare peggio di un caprone sudato; non c’era il vociare e il bestemmiare dei macchinisti, che però riuscivano sempre ad avere una parola gentile per Sherlock, nonostante venisse da “là sopra”. Era stato uno di loro e uno di loro sarebbe rimasto, con o senza Lestrade.

John si avventurò nella penombra, tromba alla mano, scendendo le scale due gradini alla volta, rischiando di cadere e di rimetterci il femore. Sapeva che non avrebbe dovuto chiamarlo, a quello non avrebbe risposto. Ma alla musica…

Una volta arrivato in fondo, dopo aver dato una rapida occhiata alle ombre attorno a lui, prese un gran respiro e prese a suonare. E suonò proprio quella musica, la prima “ninna nanna” che Sherlock avesse mai composto per lui. Perché doveva sapere che era lui… anche perché, quale altro pazzo avrebbe potuto suonare la tromba in una nave che stavano per far esplodere?

E qualcosa si mosse. Proprio quando aveva deciso di mandare tutto in vacca, di tornare da Holmes con la coda tra le gambe e la morte nel cuore… qualcosa si mosse.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Inathia's nook:

Ed eccomi qua di nuovo. Siamo solo a un capitolo dall'epilogo. E diciamo che questo è un po' il prologo a, appunto, l'epilogo. Ha senso? Un prologo all'epilogo... boh. Vabbè...

Niente più flash back, Sherlock comparirà... e sentiremo la sua versione della storia. E del suo finale ;P

Non ho davvero molto da dire se non che ringrazio con tutto il cuore SherrySmith e Just Izzy per essermi state vicine in questo viaggio... ma verrà il tempo dei ringraziamenti ;)

Vi lascio e vi do appuntamento, oltre che alla settimana prossima, alla sezione dei commenti. Mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate...!

I.L.

 

  
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